PEDAGOGIA CATECHISTICA

 

  Accompagnare gli adulti nella fede          

 

(Elaborazione dei miei appunti integrati da una sintesi e riflessioni sulle dispense)

 

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Premessa

 

 

Si è sempre stati convinti, in particolar modo in Italia, che il cristianesimo fosse forte e che la tradizione cattolica fosse saldamente radicata nelle nostre famiglie e nell'intera società, per cui bastava la frequenza al catechismo elementare, che costituiva l'imbeccata al cristianesimo cattolico, e poi il gioco era fatto: il bambino era già instradato e da quel momento in poi bastava la famiglia e la società per mantenere un buon cristiano.

 

Infatti, così è stato fino al Concilio Vaticano II in concomitanza del quale, però, si è avuta una radicale trasformazione e risveglio della nostra società, favoriti anche dal boom economico e da un diffuso benessere. Da questo momento in poi le cose, da un punto di vista religioso, non furono più come prima. Gradualmente, lentamente e impercettibilmente la struttura cristiana della società entro cui si muoveva ed era sostenuta la famiglia e ogni suo singolo componente, si sgretolò sempre più. Iniziarono le prime defezioni e i cristiani, chiamati dopo il Vaticano II ad essere responsabili della propria fede, si accorsero di non avere elementi sufficienti per sostenerla.

 

I segnali più eclatanti di questa svolta radicale nel modo di vivere e pensare furono le leggi sul divorzio e sull'aborto.

 

Si era del tutto impreparati a tale trasformazione sociale. Si puntò, allora, sui giovani, quali speranze future di una ritrovata società cristiana e così si proseguì per qualche decennio, dimenticando totalmente il mondo degli adulti, ritenendoli, probabilmente, non più recuperabile o difficilmente tali o, illudendosi, già pienamente formati.

 

Si incominciò a toccare con mano il basso livello di coscienza cristiana e la scarsa (e sempre più tale) partecipazione ecclesiale degli adulti battezzati.

 

Alcuni di questi, forse i più sensibili, chiedono un aiuto per una loro riqualificazione cristiana; altri,  e sono la maggioranza, presi dalle responsabilità della vita e da un crescente benessere e materialismo esistenziali, non provano nessun interesse per il discorso religioso; altri ancora, infine, non hanno mai avuto un annuncio cristiano o sono stati solo insufficientemente sfiorati da questo.

 

Ci si è, pertanto, trovati totalmente spiazzati: troppi secoli di vuoto catechistico alle spalle in favore degli adulti. Ora si sta procedendo per esperimenti e a tentoni.

 

Un po' di storia

 

La catechesi degli adulti è nata con la Chiesa. Infatti, l'annuncio, il kerygma era rivolto agli adulti che, convertiti, coinvolgevano la famiglia e iniziavano un cammino catecumenale, la cui durata variava a seconda delle comunità in cui si trovavano (a Roma era di tre anni) e che li portava alla pienezza della fede con il battesimo, cresima ed eucaristia.

 

Tra il IV e V° secolo appare, ad opera di S.Agostino, il primo trattato di catechesi degli adulti "De catechizandis rudibus".

 

La pratica sempre più diffusa del battesimo dei bambini e la cristianizzazione dell'Europa portano alla decadenza del catecumenato e con esso ogni forma di catechesi.

 

Con il Medioevo la fede si identificava nella stessa struttura sociale e imperiale, per cui la catechesi è fatta dalla stessa società ed è ritmata sulle feste e celebrazioni. L'unica forma di catechesi è l'insegnamento del Credo, del Padrenostro, i comandamenti e simili.

 

Il Concilio di Trento prende atto che la catechesi è spaventosamente decaduta e fa obbligo ai parroci di istruire i fedeli, soprattutto la domenica. Dal quel momento l'omelia è l'unica forma di catechesi degli adulti, mentre per i bambini nasce il catechismo il cui insegnamento nasce sulla falsariga della scuola. Si ha, quindi, la scolarizzazione della catechesi che dura fino ai nostri giorni.

 

Il Vaticano II avverte la necessità della catechesi degli adulti, ma il tutto si riduce a qualche cenno, sparso qua e là, nei documenti conciliari. Sarà il Direttorio Catechistico General del 1971 che romperà gli indugi e stabilisce che la catechesi principale è quella degli adulti. Da questo momento in poi è un susseguirsi di pressanti urgenze su di una catechesi permanente degli adulti.

 

La situazione oggi

 

Il primo dato che si impone è che oggi qualcosa si muove, ma in modo ancora poco chiaro se non confuso. Ed appaiono subito dei grossi limiti:

 

            - La catechesi è rivolta ai soli cristiani che già sono nella chiesa;

            - Manca totalmente una catechesi per chi è "lontano" o è "fuori";

            - Gli adulti che partecipano alla catechesi sono una minoranza.

            - Il metodo dell'annuncio è mutuato da quello scolastico, creando negli adulti una

              sostanziale passività che, spesso, sfocia nel disinteresse e nell'abbandono.

 

Sembra quasi che la Chiesa abbia perso la sua capacità di annuncio e con esso la propria capacità missionaria.

 

Si impone, a tal punto, una comprensione di che cosa sia la catechesi degli adulti e come essa possa essere attuata, evitando le solite forme parascolastiche che, per loro natura, spingono la persona ad uno stato di passività che porta, poi, inevitabilmente al disinteresse e, da qui, all'abbandono.

 

 

L'EVOLUZIONE UMANA E SPIRITUALE DI UN ADULTO

 

 

Un primo passo per sviluppare la catechesi degli adulti e renderla efficace è la conoscenza stessa degli adulti e delle loro fasi evolutive. Infatti, mentre per fanciulli adolescenti e giovani abbiamo sviluppato una più che sufficiente conoscenza psicologica e studiati a fondo le loro dinamiche, i loro bisogni, i loro interessi e le loro reazioni, per il mondo degli adulti stiamo solo muovendo, a fatica, i primi passi.

 

Tale carenza è stata causata, prevalentemente, dalla convinzione che l'età adulta fosse sinonimo di età stabile e come quel mare magnum dove ogni evoluzione, ogni crescita, ogni sviluppo va a confluire e finisce. In realtà, la psicologia ci ha recentemente dimostrato come anche l'età adulta ha le sue fasi e, quindi, anche le sue evoluzioni, i suoi drammi, i suoi successi e i suoi fallimenti. Potremmo dire che mentre infanzia, preadolescenza, adolescenza e giovinezza sono fasi evolutive della vita umana che puntano a creare un'identità nella persona e alla sua affermazione, l'età adulta si può concepire come una evoluzione continua della personalità all'interno dell'affermazione e dell'identità conquistate precedentemente. Una evoluzione che tocca tutte le dimensioni della persona.

 

L'età adulta e le sue tappe

 

Due sono le correnti di ricerca sull'età adulta:

 

-  Teorie costruttivistiche (J. Flower) : si pongono sulla falsariga del Piaget circa lo sviluppo cognitivo, le sue tappe e caratteristiche. In tale prospettiva, il Flower propone la visione di una fede legata all'interno delle logiche e dinamiche dello sviluppo psicologico e spirituale.

 

-    Teorie psicosociali (Erikson) : l'attenzione, qui, viene posta sulle situazioni che                l'adulto è chiamato a vivere e in cui si muove. Fede e maturazione spirituale sono strettamente legate a tali situazioni e al modo con cui l'adulto le vive.

 

Seguendo queste ultime teorie, si evidenzia come nell'età adulta ci sono degli stadi di evoluzione con caratteristiche proprie e che sono superati attraverso un periodo di crisi, caratterizzate da una perdita di chiarezza del proprio vivere che genera insoddisfazione esistenziale, e dalla conseguente necessità di dare un nuovo assetto alla propria vita. Tali passaggi, che possono essere accelerati da situazioni contingenti, sono vissuti in modo più o meno doloroso.

 

Ogni stadio è caratterizzato dal modo con cui una persona si pone nei confronti di se stesso, degli altri e della realtà in genere, verso cui sviluppa pensieri, visioni e comprensioni proprie. Tuttavia, l'evoluzione da uno stadio all'altro non è necessariamente automatica, ma segue ritmi e tempi propri di ogni persona e può anche bloccarsi su di uno stadio. Il periodo di passaggio e di crisi è anche il periodo in cui l'individuo è più vulnerabile e più aperto al cambiamento, più disponibile a rinnovarsi.

 

 

Le tre fasi evolutive dell'età adulta

 

 

Erikson distingue tre fasi di evoluzione nella vita adulta che se, da un lato, sono legate all'età, dall'altro dipendono molto anche dal livello di disponibilità a cambiare in quel momento. Queste sono:

 

                                   - Il giovane adulto  (tra i 20 e i 40 anni)

 

                                   - L'adulto maturo    (tra i 40 e i 60 anni)

 

                                   - L'anziano  (oltre i 60 anni)

 

 

Prima fase: il giovane adulto

 

Se fino all'età di vent'anni circa la persona ha lavorato e sofferto per affermare la propria identità, la propria individualità e per fornirsi dei mezzi necessari per affrontare la propria affermazione in seno alla società, l'età dai venti ai quarant'anni è il periodo di tale affermazione in cui si è chiamati ad una personale e diretta assunzione di proprie responsabilità non solo verso se stessi, ma anche verso gli altri. L'entrata in tale periodo un tempo era posta intorno ai 15 anni circa, oggi, a motivo del prolungarsi del periodo scolastico e della difficoltà di trovare lavoro, è stata tendenzialmente posticipata tra i ventiquattro e i ventisette anni, con sforamenti anche ai trent'anni. E' questo il periodo della ricerca di una propria strada, di propri spazi esistenziali di affermazione. E' il tempo dei tentativi.

 

Tale fase è caratterizzata dalla sfida dell'intimità, cioè l'identità del proprio Io, da poco definito e conquistato durante l'adolescenza, che accetta il rischio del confronto con gli altri (amicizie, fidanzamento, matrimonio, lavoro, impegni sociali e ideologici, ecc.) e dalla capacità di sognare o "la fantasia creativa" come la definiva Jung, cioè la fantasia non come fuga o rifugio, ma come capacità di immaginare se stesso e il proprio futuro e che funge da motore nel presente, proiettandoci verso il futuro.

Seconda fase: l'adulto maturo

 

E' la fase dell'affermazione avvenuta e della vita ormai stabilizzata: si ha la propria famiglia, dei figli, una professione, un'immagine sociale definita. E' il tempo, anche, in cui ci si accorge di non essere più giovani e che il tempo che ci rimane da vivere è minore di quello che abbiamo già vissuto. Anche fisicamente non si ha più il vigore giovanile e siamo costretti a cambiare ritmi di vita e di lavoro. E' il tempo in cui dall'idealismo si passa al realismo o al pragmatismo.

 

Questa seconda fase è caratterizzata da un proprio potere personale che ci viene affidato dall'età matura, dall'esperienza e dalla posizione sociale ormai stabile e da cui scaturisce anche una certa responsabilità non solo verso se stessi, ma soprattutto verso gli altri che si manifesta sotto forma di preoccupazione per gli altri. E' un'epoca questa caratterizzata anche da un ritorno su se stessi, cioè di una sorta di riflessione e di valutazione del proprio impegno esistenziale e del proprio spendersi. E' un ritornare in se stessi dopo un lungo periodo di grande semina e di grandi impegni (matrimonio, figli, lavoro, ecc.)., un ritorno che, talvolta, può fare anche paura, perché ci si accorge che qualcosa sta per finire e che molto abbiamo speso della nostra vita e non sempre con successo. E', dunque, un periodo di bilanci e di riequilibrio delle proprie energie e di revisione della propria vita. E' questo anche il tempo delle crisi matrimoniali ed esistenziali, poiché questo è il tempo della resa dei conti.

 

E' il tempo questo in cui si sente il bisogno di ridefinire se stessi, di trovare nuove motivazioni e nuovi spazi esistenziali. Questo momento in genere sfocia in ciò che Erikson chiama la sfida della generatività, cioè la capacità di occuparsi e preoccuparsi di ciò che si è prodotto nella propria vita affinché non vada perduto, ma abbia un suo futuro; è quasi un voler prolungare la propria vita oltre gli spazi consentitici dal destino, ma è anche un preoccuparsi per gli altri, delle generazioni future a cui egli deve render conto e deve lasciare, in qualche modo, la sua eredità. E' un periodo in cui si incomincia a guardare la propria vita con più distacco a favore degli altri.

 

Terza fase: l'anziano

 

A partire dai cinquantanni circa si è obbligati a far fronte ad una serie di condizionamenti fisici, economici e sociali: più attenzione alla salute, si va in pensione, si deve rinunciare a ruoli sociali che ci si era costruiti con impegno e difficoltà in tempi precedenti. E' una fase che è sostanzialmente caratterizzata dal distacco, da una lenta e progressiva spogliazione esistenziale e sociale. Ma corrispondentemente si sviluppa anche un ricco movimento di interiorizzazione, di rientro in se stessi, che già era incominciato nella fase precedente. E' il tempo delle valutazioni sul passato e dei ricordi. Si tratta di reimpostare la propria vita su parametri totalmente diversi e, soprattutto, dall'accettare la propria condizione esistenziale presente cercando di trovarne nuovamente il senso, diversamente si cade in un amaro pessimismo e, da qui, nella disperazione. L'accettazione del proprio vissuto bene integrato nel presente, reso accettabile dal nuovo senso esistenziale, porta alla saggezza di vita. L'accettazione di una vita vissuta e del proprio scorre verso la propria morte, rende liberi da se stessi e aperti nuovamente alla vita, ora priva di timori e di ansie, perché ci si è riconciliati con se stessi.

 

L'evoluzione spirituale di un adulto

 

Come la vita fisica e psichica è segnata dalle tre fasi che abbiamo appena analizzato, così quella spirituale ne è condizionata e ne segue, in genere, le evoluzioni: cambia, quindi, il nostro rapportarci con Dio, di sentirlo e di parlare con Lui. Vediamone, dunque, fase per fase, le caratteristiche.

 

Il giovane adulto

 

E' il periodo in cui si rimette in discussione quello che ci è stato inculcato a livello di fede (ma non solo). E' una fase critica, ma necessaria per metabolizzare e fare proprio ciò che abbiamo ricevuto, più o meno, acriticamente. E' il tempo in cui si contrappone la visione scientifica del mondo con quella della fede; ci si accorge della fragilità delle istituzioni ecclesiastiche e che le verità assolute del cristianesimo non sono condivise da tutte le altre religioni che, invece, ne propongono di diverse. Inizia, quindi, lo sgretolamento della fede infantile e la necessità di esaminare intellettualmente ciò in cui si crede e di sottoporlo acritica.

 

Da un punto di vista pastorale, questo è il tempo in cui offrire la possibilità di rivisitare la propria fede, di ritrovare un proprio cammino spirituale e di scoprire nuovi spazi esistenziali in cui vivere un nuovo livello di fede.

 

L'adulto maturo

 

Questo periodo è caratterizzato, come abbiamo visto, da un lato, da un esercizio di un proprio potere personale, che ci viene attribuito dall'età matura, dall'esperienza e dalla posizione sociale conquistata e che si traduce in responsabilità verso gli altri; e, dall'altro, da un movimento di ritorno verso noi stessi.

 

La risposta a queste esigenze viene data, in termini di fede, dalla diaconia, intesa come servizio all'altro, un mettersi a disposizione dell'altro sull'esempio di Cristo, che si è fatto pane che si spezza per tutti; e dal mistero in cui si esperimenta la grandezza, ma anche i limiti della vita e in cui ci rende conto che la realtà è ben più grande di come la possiamo concepire. In tal senso viene meno il senso del potere e del possesso, sostituito dal rispetto e dalla contemplazione. La fede, qui, si interiorizza sempre più e che sempre più si arricchisce.

 

Pastoralmente è questo il tempo più opportuno per offrire maggiori impegni di testimonianza, da un lato, mentre, dall'altro, si impone una catechesi di riconsiderazione della fede, in sintonia con il bisogno di interiorità e di servizio, inteso come messa a disposizione della comunità delle proprie ricchezze spirituali e umane.

 

L'anziano

 

E' il tempo caratterizzato dalla spogliazione del proprio stato di salute, che si fa malfermo, dei propri ruoli sociali, delle proprie disponibilità economiche, ma è anche il tempo, spogliati dalla materialità e dagli impegni della vita, fecondo per la propria interiorità e spiritualità. In termini di fede, si è chiamati a vivere la kénosis di Cristo e a prendere atto che la potenza di Dio si manifesta nella propria debolezza, come afferma Paolo: "Quando sono debole, è allora che sono forte" (2Cor. 12,10).

 

Spogliati, dunque, dalle necessità materiali ci si apre una nuova visione della vita impostata sulla gratuità e sul dono, il cui valore è intrinseco alla vita stessa e non poggia sulle attività che la riempiono.

 

Diventa questo un tempo nuovo di evangelizzazione, in cui l'annuncio risuona in termini di riconciliazione e di perdono.

 

Due sacramenti per ogni stagione

 

Eucaristia e Penitenza, pur integre e assolute nel loro valore salvifico, sono vissute in termini che sono propri di ogni età.

 

Nella fase della giovinezza l'eucaristia può essere vissuta dall'adulto come momento di incontro con il Cristo risorto da cui sgorgano messaggi di fraternità e di condivisione; mentre la penitenza spinge a colmare il divario che si crea tra la proposta di Cristo e la povertà del nostro vivere quotidiano.

 

Nella fase della maturità l'eucaristia può essere vissuta come altare, cioè come sacrificio di un amore che ci ha amati fino alla fine e che ci spinge a modulare in noi atteggiamenti di dono generoso; mentre la penitenza può essere vissuta come un momento di riconciliazione e di accettazione dei nostri limiti, di quelli della realtà e alla rinuncia al senso di onnipotenza e di prevaricazione nei confronti degli altri.

 

Nella fase della vecchiaia l'eucaristia può essere celebrata come memoria e rendimento di grazie e come luogo in cui ci si lascia raccontare nuovamente l'amore di Dio, riconoscendolo lungo il cammino della nostra vita trascorsa; mentre la penitenza va vissuta come confessione e riconoscimento dei propri sbagli e peccati, ma anche come una celebrazione delle meraviglie di Dio.

 

COME APPRENDE L'ADULTO?

 

 

 

Apprendere è modificare

 

Comprendere le dinamiche dell'apprendimento può permettere una scelta corretta nelle relazioni e nella trasmissione del messaggio di fede agli adulti.

Quando, però, si parla di apprendimento in tema di fede, non si intende mai una semplice acquisizione intellettuale di nozioni riguardanti la fede, ma, piuttosto, un processo di crescita interiore e di cambiamento che coinvolge ogni spazio esistenziale.

 

Apprendere diventa un educare, pertanto, al pensiero di Cristo, a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come lui e a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo. Tutto ciò ben espresso da Paolo in quel "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Fil. 2,5).

 

L'apprendimento, proprio perché esistenziale, deriva sempre da un'interazione tra la persona e un ambiente favorevole. Così proposto, l'apprendimento produce sempre un cambiamento, prima interiore poi esistenziale, ed abilita la persona a porsi di fronte al mondo della fede e della realtà in modo adeguato.

 

Compito del catechista, pertanto, sarà quello di conoscere bene chi gli sta davanti e le dinamiche psicologiche che lo muovono, secondo il detto pedagogico che per "insegnare il latino a Pierino, bisogna prima conoscere Pierino".

 

Indichiamo, pertanto, di seguito cinque principi pedagogici che delineano l'ambiente entro cui l'adulto apprende:

 

                        - Autonomia: l'adulto è in grado di dirigersi da solo;

                        - Esperienza: l'adulto apprende a partire dalla sua esperienza;

                        - Età/Ruolo: l'adulto apprende a partire da una serie di bisogni;

                        - Utilità: l'adulto ha bisogno di percepire l'utilità di quello che fa;

                        - Tempo: l'adulto ha coscienza che il suo tempo è limitato.

 

 

L'adulto è in grado di dirigersi da solo  (Autonomia)

 

L'adulto si distingue dall'adolescente proprio per la sua capacità di assumersi le responsabilità e compiere delle scelte consapevoli. Ogni adulto, quindi, diventa responsabile del cammino della propria fede.

 

Questo primo principio pedagogico impone il rispetto dell'autonomia che comporta il lasciargli la responsabilità del suo apprendimento.

 

Il catechista, pertanto, deve coinvolgere gli adulti alle principali tappe della sua catechesi. Queste sono:

 

            - Identificare i bisogni delle persone;

            - determinare gli obiettivi finalizzati al soddisfacimento dei bisogni;

            - scegliere i contenuti e i mezzi per raggiungere gli obiettivi;

            - attuare il cammino formativo, prevedendo delle verifiche intermedie.

 

Proprio perché l'adulto è il responsabile primo del suo apprendimento, dovrebbe poter dire il suo parere su ogni tappa del cammino catechistico. Si è detto "dovrebbe" poiché spesso l'adulto si pone di fronte all'apprendimento in uno stato di passività scolastica.

 

Nell'ambito di tale responsabilità ed autonomia, il catechista deve porsi con l'adulto in un rapporto di aiuto, trasformandosi in un accompagnatore e stimolatore lungo il cammino della fede.

 

L'adulto apprende a partire dalla sua esperienza   (Esperienza)

 

L'adulto, quando si predispone all'apprendimento, non è una tabula rasa, ma fa sempre riferimento all'esperienza, quale elemento costitutivo del suo vissuto e, in ultima analisi, della sua personalità. Vi è, quindi, nell'apprendere un continuo riferimento all'esperienza che porta dentro di sé.

 

L'esperienza costituisce la visione della vita e gli fornisce gli strumenti per una adeguata valutazione della realtà, consentendogli un orientamento esistenziale.

 

Considerata, quindi, l'importanza dell'esperienza, è importante e necessario che il catechista faccia riferimento all'esperienza dell'adulto, poiché tener conto dell'esperienza significa tener conto della vita della persona, che dall'esperienza è intessuta.

 

Il riferirsi all'esperienza valorizza l'adulto nel suo vissuto, lo spinge ad apprendere e lo predispone al cambiamento.

 

Va tenuto presente, tuttavia, che ognuno nella vita ha fatto le proprie esperienze che hanno modificato la persona rendendola più o meno sensibile a determinati argomenti, Ciò può predisporre favorevolmente ad un cammino di fede, ma anche impedirlo fino a bloccarlo completamente.

 

L'adulto apprende a partire da una serie di bisogni  (Età/Ruolo)

 

La vita dell'adulto, pur essendo unitaria nel suo evolversi, tuttavia è costituita da particolari momenti di passaggio che gli possono creare situazioni di crisi, di disorientamento esistenziale da cui scaturiscono dei bisogni, cioè la necessità di ritrovare l'equilibrio perduto. Ed è proprio dal bisogno, motore che spinge alla ricerca di nuovi equilibri, che scaturisce anche l'interesse e la motivazione che anima determinati comportamenti e scelte di vita.

 

I bisogni, pertanto, sono dei potenti motori che spingono la persona alla ricerca e al ritrovamento di se stessa. Sono questi i momenti in cui essa diventa particolarmente sensibile e ricettiva.

 

Bisogna, pertanto, tener conto dei bisogni e degli interessi di ordine religioso propri di quella determinata tappa della vita dell'adulto e/o dei ruoli che riveste in essa.

 

Pertanto, quando si progetta un cammino formativo bisogna tener presente dei bisogni e interessi degli adulti, preferendoli alle logiche dell'istituzione che ha voluto il corso formativo o a quelle dei contenuti stessi del corso. In altri termini l'educatore deve tener conto dei bisogni delle persone, le esigenze del contenuto e i bisogni dell'istituzione che li manda; ma per esigenze educative deve privilegiare i bisogni e le necessità delle persone rispetto alle altre due esigenze.

 

Infine, quando un catechista prepara un intervento formativo deve aver coscienza che egli stesso è un adulto, che si trova in una determinata fase della sua vita che ha i suoi bisogni, i suoi interessi, la sua visione delle cose e riveste, lui stesso, dei ruoli sociali che gli sono propri. Il catechista deve avere coscienza di tutto ciò e sapere che questo può influenzare positivamente o negativamente il servizio che sta per fare. Deve porre attenzione, quindi, a non proiettare le proprie esperienze negative nella sua azione educativa.

 

L'adulto ha bisogno di percepire l'utilità di quello che fa  (Utilità)

 

Quanto all'utilità, questo aspetto è la logica conseguenza del precedente punto in cui si è parlato dei bisogni, delle necessità nella vita degli adulti quale punto di partenza o di riferimento nello svolgimento della catechesi.

 

Anche nel campo della fede l'adulto deve percepire che in qualche modo quello che sta apprendendo gli serve per alimentare la propria vita o per averne una visione più chiara; oppure ciò costituisce una risposta ad un problema che lo sta assillando o che, comunque, rientra in qualche modo nei suoi interessi. In altri termini, l'adulto deve sentire che quanto sta apprendendo gli serve a qualche cosa e, pertanto, lo gratifica nel suo desiderio di chiarezza, predisponendolo all'apprendimento.

 

Bisogna, quindi, rispettare il suo desiderio di percepire l'utilità della proposta di apprendimento.

 

Da ciò derivano alcune conseguenze pratiche:

 

-   Il catechista deve organizzare i suoi programmi in funzione dei problemi degli adulti. Ciò può esser fatto trattando un tema oggettivo oppure in riferimento ai problemi concreti degli adulti.

 

-   nella proposta catechistica conviene avere come punto di partenza e di arrivo le   domande e le preoccupazioni immediate degli adulti, in quanto che l'apprendimento della fede non può essere fatto in modo disincarnato: deve partire dalla vita e arrivare alla vita.

 

-    In questa prospettiva, il catechista deve favorire negli adulti in formazione il legame tra la fede e la  vita.

  

Fedeltà a Dio e fedeltà agli uomini

 

Benché, a prima vista, le due cose possano sembrare contrastanti e irriducibili  tra loro, tuttavia, esse si integrano reciprocamente al punto tale che l'una non solo non esclude l'altra, ma, anzi, la presuppone.

 

Infatti, se ben si guarda quanto fin qui si è detto circa l'adulto, altro non è che un tentativo di meglio comprenderlo nelle sue dinamiche affinché, nel rispetto di queste e, quindi, nel rispetto nei suoi confronti, possa transitare meglio l'annuncio salvifico. Tale annuncio, poi, pur modellato per essere meglio appreso, tuttavia deve essere rigorosamente fedele al contenuto di ciò che si trasmette. E ciò esprime la fedeltà a Dio. Così che "La Parola di Dio deve apparire come una via d'uscita ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, una soddisfazione alle proprie aspirazioni" (Documento Base n.52). Per dirla con il salmista: "Lampada ai  mie passi è la tua Parola, Signore" (Sal.118).

 

Un'ultima osservazione va posta  sulla differenza che intercorre tra la catechesi e la teologia. Va detto subito che l'una (teologia) integra l'altra, ma non la sostituisce. Infatti, mentre la teologia sviluppa una riflessione sistematica e scientifica sui contenuti fondamentali della fede cristiana, la catechesi si preoccupa di sbocconcellare queste riflessioni per farle raggiungere, attraverso opportuni canali pedagogici, all'uomo nel suo vivere concreto e quotidiano.

 

 

 

IL CAMPO DI PERCEZIONE RELIGIOSA

DI UN ADULTO: COME FARLO EVOLVERE

 

 

Premessa

 

Quando un adulto viene per partecipare ad un corso di catechesi, non vi arriva mai completamente sprovvisto di un suo bagaglio di esperienze e conoscenze sugli argomenti di cui si parla. Ebbene, l'insieme delle esperienze e conoscenze, di cui l'adulto è fornito, costituiscono il suo "campo percettivo". E', pertanto, importante conoscerlo e sapere come vi si può intervenire per modificarlo o, comunque, produrre in esso una evoluzione.

 

Cosa sono le precomprensioni o rappresentazioni

 

La precomprensione è detta anche "rappresentazione", cioè come un adulto, in base alle proprie esperienze e conoscenze, vede la realtà, gli altri e come vi entra in rapporto. Tale rapporto, infatti, non è mai diretto, ma è sempre e comunque filtrato da queste rappresentazioni che formano la "struttura mentale" o "campo percettivo della persona".

 

Ognuno, quindi, percepisce la realtà e le cose a modo proprio, secondo un antico assioma della filosofia scolastica: "Quidquid recipitur admodum recipientis recipitur" ("ciò che si recepisce è recepito secondo il modo di essere di chi riceve").

 

Queste precomprensioni o strutture mentali influiscono, pertanto, in modo significativo sul nostro modo di percepire la realtà, di relazionarci e di valutare. Questo non è ininfluente sul nostro rapportarci a Dio, sul nostro formarci idee e concetti su Dio, la Chiesa, ecc.

 

Caratteristiche delle rappresentazioni

 

Avviciniamoci, ora, per osservare meglio queste rappresentazioni e come queste si caratterizzano. Esse, infatti :

 

-   Sono il risultato, il punto di arrivo di una storia lunga e complessa. Esse sono un insieme organizzato di informazioni, immagini,opinioni, conoscenze, esperienze che si sono sedimentate nel tempo e ci consentono di avere una visione soddisfacente ed armonica della realtà.

 

-    Sono influenzate dalla nostra appartenenza sociale e culturale. In altri termini, il nostro modo di pensare, di vedere, di valutare le cose ed entrare in rapporto risente inevitabilmente dell'ambiente in cui viviamo e della cerchia di persone che frequentiamo.

 

-  Sono strutturate affettivamente nel senso che queste rappresentazioni non sono solo mere acquisizioni intellettuali e razionali, ma si radicano anche nel nostro mondo affettivo, costituito da emozioni, sentimenti e pulsioni. E' il mondo dell'irrazionale che gioca molto sulle nostre simpatie, antipatie, repulsioni e attrazioni.

 

-   Determinano le nostre attitudini e il nostro agire orientandolo. Ciò significa che tra il modo di vedere e sentire le cose e il nostro modo di comportarci si crea una stretta e inscindibile reazione, tant'è che dal modo con cui una persona si comporta si può anche capire il suo modo di essere.

 

Si pone, da ultimo, una distinzione tra rappresentazioni e sapere scientifico. Mentre le prime sono un insieme organizzato di informazioni, di esperienze che ci coinvolgono sia intellettualmente che affettivamente e determinano il nostro modo di comportarci, di percepire la realtà e di relazionarci; il secondo è più tardivo e si aggiunge alle prime, è, quindi, più superficiale e, pertanto, più facilmente modificabile.

 

In altri termini, mentre le rappresentazioni hanno a che fare con la struttura della personalità e con le profonde convinzioni e sentire della persona, il sapere scientifico coinvolge la persona da un punto di vista razionale e intellettuale e solo in un secondo momento, quando sarà stato metabolizzato, potrà accedere alla struttura della personalità.

 

Da ciò si hanno due immediate conseguenze:

 

-    per cambiare i comportamenti di una persona bisogna intervenire sul campo percettivo e non sulle sue conoscenze;

 

-    è più difficile operare sul campo percettivo che su quello scientifico.

 

 

Le rappresentazioni e i loro diversi livelli

 

Poiché le rappresentazioni sono un sistema che si è formato e continua formarsi nel corso di tutta una vita, è possibile individuare in esse livelli diversi di formazione, per cui si avranno:

 

-          Rappresentazioni che appartengono ad una cultura o civiltà. Esse sono le più antiche e sono profondamente radicate in noi; potremmo dire che sono iscritte nella nostra memoria inconscia, nei nostri geni. Ci consentono di riconoscerci nell'ambiente sociale e culturale in cui siamo nati e di ritrovarci in esso.

 

-   Rappresentazioni legate alle prime esperienze educative che risalgono già dal concepimento, dal seno materno e, poi, dal primo rapporto parentale (primi tre anni) fortemente strutturante la personalità psico-fisica del bambino e che ne determinerà la riuscita o meno del futuro uomo.

 

-  Rappresentazioni legate all'educazione scolastica. Il periodo scolastico incide notevolmente sulla formazione intellettuale della persona e sulla sua struttura mentale e può determinare il proprio modo di vedere e di valutare le cose.

 

Come si può ben vedere, le rappresentazioni nel loro formarsi sono variamente stratificate e a seconda della profondità e del loro radicamento presentano un diverso grado di malleabilità, i primi due strati potremmo dire che costituiscono lo zoccolo duro, ma non impenetrabile, della nostra personalità, mentre l'ultimo è più malleabile e su cui si può più facilmente intervenire.

 

Le rappresentazioni e la fede

 

Il catechista è chiamato ad occuparsi della fede delle persone, a prendersene cura, a provocarla. Eppure niente è più irraggiungibile della fede, poiché questa ha a che fare con lo strato più profondo, intimo della persona e più profondamente radicato in lei. Non si può, quindi, agire direttamente sulla fede di una persona, poiché la fede non è mai la conclusione logica di un bel ragionamento, ma intervengono in essa realtà che ci trascendono. L'unico spazio su cui ci è dato di operare sono le rappresentazioni.

 

Quale, dunque, il compito del catechista e come operare?

 

Il compito della catechesi: intervenire sulle precomprensioni

 

La formazione punta ad aiutare una persona ad abbandonare, in tutto o in parte, il proprio sistema di rappresentazioni e ad assumersene un altro più adeguato. Si tratta, quindi, far far compiere alla persona un'evoluzione interiore che la porti ad una nuova e più efficace comprensione delle cose.

 

La formazione, che mira a far compiere un passo evolutivo alla persona, trova la sua efficacia là dove si verifica una "crepa" tra la tradizionale rappresentazione che una persona ha di una determinata realtà e l'esperienza contrastante che questa persona fa di quella determinata realtà. Non si può che far leva su queste brecce per spingere la persona a rivedere le proprie rappresentazioni.

 

A tal punto come operare? Intervenire solo con bei discorsi espositivi che interpellano la sola ragione, significa sostanzialmente fallire l'obiettivo, poiché il cambiamento delle rappresentazioni è praticamente refrattario ad una pedagogia che interpella solo la ragione. Infatti, le rappresentazioni sono un sistema organizzato che ha radici molto profondi nella personalità e la avvolge interamente. Pertanto, il limitarsi ad aumentare le nozioni e le conoscenze sulla fede non incide che marginalmente sulle rappresentazioni dell'adulto. Ciò significa che il modello espositivo ha capacità limitate di cambiamento.

 

Cosa, dunque, fare per poter incidere adeguatamente sulle rappresentazioni e spingere, così, ad un cambiamento la persona?

 

Una prima definizione:  destrutturare e ristrutturare

 

Il processo formativo consiste in un intervento articolato che mira a destrutturare e ristrutturare le rappresentazioni religiose di una persona o di un gruppo. Si tratta, pertanto, di scegliere un metodo adeguato, che non sia soltanto espositivo, ma atto anche a provocare uno smantellamento o quanto meno una messa in crisi del "sistema rappresentazioni", rendendo, in tal modo, sensibile la persona, disponibile ad una propria verifica e a intraprendere un nuovo cammino di ricostruzione di un nuovo sistema di rappresentazioni.

 

 

ANALISI DI ALCUNI MODELLI DI CATECHESI

 

 

 

Prendiamo ora in esame tre modelli di catechesi oggi largamente diffusi:

 

                                   - Modello espositivo

                                   - Modello di ascolto e animazione

                                   - Modello di collaborazione catechisti-adulti

 

 

Descrizione dei tre modelli

 

 

Il primo modello (espositivo) è largamente diffuso, è anche il più semplice e si basa su di una struttura parascolastica: uno parla, gli altri ascoltano. E' il caso dei corsi biblici, delle conferenze per adulti, della catechesi sistematica per adulti e simili. Non c'è un limite al numero dei partecipanti: più si è, meglio è.

 

Lo schema entro cui si svolge è normalmente il seguente:

 

           

  - Breve preghiera iniziale

            - Lettura del testo e spiegazione da parte del relatore

            - Dibattito e confronto su quanto ascoltato.

            - Preghiera conclusiva

 

Il secondo modello (ascolto e animazione) si è diffuso abbastanza recentemente e va sotto il nome di "Centri d'ascolto" oppure "Piccole comunità del Vangelo". Sono incontri condotti presso le case private. Il numero dei partecipanti, pertanto, deve essere limitato. Ma ai fini pedagogici e di gestione del gruppo, il numero ideale va dai 7 ai 10 partecipanti.

 

L'obiettivo è creare dei legami tra i partecipanti e aiutarle a comunicare le loro impressioni e le loro riflessioni sulla Parola di Dio ascoltata, nella coscienza che lo Spirito parla in ciascuno. In questo modello il catechista funge da animatore e coordinatore, con interventi esplicativi e chiarificatori sul testo biblico meditato. E' un centro di ascolto nel senso che la Parola è al centro dell'ascolto di tutto il gruppo e che ognuno, divenuto riflesso della Parola, diventa centro di ascolto per tutti.

 

Lo schema entro cui si svolge è normalmente i seguente:

 

-  Breve preghiera iniziale

-  Lettura del testo

- Confronto tra i partecipanti, in cui ognuno porta le proprie esperienze e le proprie impressioni e in cui l'animatore funge da coordinatore e da stimolo                              

-  Preghiera conclusiva

 

Il terzo modello (collaborazione catechista-adulti) è il più raro, forse perché anche più impegnativo e complesso. Catechista e adulti si incontrano per stabilire assieme gli obiettivi del corso, formulano lo sviluppo di un cammino che prevede l'esprimersi delle persone su quanto pensano o hanno sperimentato sul tema o testo prescelto. L'intera dinamica dell'incontro grava sull'intero gruppo, che è il protagonista principale della propria formazione. In questa prospettiva il catechista più che relatore o animatore è un accompagnatore

 

Lo schema entro cui ci si muove  è normalmente il seguente:

 

-  Breve preghiera iniziale

-  Lettura del testo e prima reazione immediata dei partecipanti che esprimono di  getto le loro impressioni; il catechista riassume gli interventi e le domande.

-  Si analizza il testo in senso esegetico e teologico

-  I partecipanti riesprimono ciò che hanno appreso dal testo e ciò che il testo suggerisce per la loro vita.

-  Preghiera finale

 

Questo modello è una sorta di sintesi dei due precedenti, ma se ne discosta perché obbedisce ad una logica pedagogica propria: quella dell'accompagnare l'adulto in un processo di autoapprendimento in cui l'adulto è responsabile e fautore della propria crescita di fede.

 

 

Analisi dei tre modelli

 

 

Esposti brevemente i tre modelli di catechesi, prendiamo, ora, in esame alcune componenti per ogni modello:

 

                        - Il ruolo del catechista

                        - L'impatto formativo

                        - La praticabilità

                        - Gli effetti ecclesiali

 

 

Ruolo del catechista

 

Nel primo modello egli è soprattutto un insegnante che ne sa più degli altri. Gli è chiesto di possedere bene i contenuti e di saperli trasmettere. Ai partecipanti si chiede attenzione e pazienza.

 

Nel secondo modello il catechista è soprattutto un animatore che conosce le dinamiche di gruppo e si preoccupa affinché tutti parlino e si tenga alto il tono del "dibattito".

 

Nel terzo modello il ruolo del catechista è decisamente più complesso poiché in lui si assommano più ruoli: deve essere un facilitatore, nel senso che deve far esprimere tutti i componenti del gruppo sulla tematica trattata. E' anche un accompagnatore che aiuta il gruppo ha trovare la strada per raggiungere gli obiettivi; ed infine deve essere un trovarobe, nel senso che sa dove reperire il materiale che serve al gruppo.

Inoltre egli deve avere conoscenze teologiche, capacità pedagogiche e di animazione e deve anche avere un po' di fede.

 

L'impatto formativo

 

Quali possibilità hanno i tre modelli di incidere sulla fede dei partecipanti, favorendo la loro evoluzione spirituale?

 

Il primo modello (espositivo) incide sul livello scientifico, aumenta, cioè, le informazioni e le nozioni, ma non intacca le strutture mentali delle persone. E' un seme gettato su di un terreno non arato: le possibilità che attichisca sono molto limitate se non pressoché nulle.

 

Il secondo modello (ascolto e animazione), contrariamente al primo, ara, smuove il terreno, ma non semina, non rulla e non innaffia. Il lavoro rimane a metà.

 

Il terzo modello (collaborazione catechista-adulti) è forse quello più incisivo. Richiede, infatti, maggiore preparazione, coinvolgimento preventivo dei partecipanti, che sono gli attori principali della gestione del gruppo e del cammino. E' più atto a destrutturare e ristrutturare le precomprensioni.

 

La praticabilità

 

La praticabilità dei vari modelli ci è suggerita dalle circostanze e dai mezzi che abbiamo a disposizione.

 

Il primo modello è il più semplice: basta un catechista preparato e pochi incontri.

 

Il secondo modello richiede spazi appositi (case private), la suddivisione in gruppi dei partecipanti, un animatore che sappia far interagire il gruppo e ne conosca le dinamiche.

 

Il terzo modello è decisamente il più complesso. Richiede più tempo per operare una destrutturazione e una ristrutturazione. E' difficile che venga supportato da una persona sola. E' un cammino fatto in équipe.

 

Gli effetti ecclesiali

 

Il primo modello tende a produrre una comunità passiva in cui uno insegna e altri imparano, riproducendo lo schema di una Chiesa gerarchica, divisa in Chiesa docente e Chiesa discente.

 

Il secondo modello tende ad una Chiesa che si autogenera, autosufficiente e che si dà da sé la Parola. Una Chiesa a base democratica.

 

Il terzo modello mette in atto una Chiesa tutta discepola e profetica nel contempo, poiché annuncia e impara annunciando, in cui i laici sono produttori di senso.

 

 

 

LA SCELTA DELLA PEDAGOGIA DELL'APPRENDIMENTO

NELLA CATECHESI DEGLI ADULTI

 

 

 

Prima di introdurci nella questione, poniamo subito un chiarimento terminologico. Che cosa si intende con la parola "metodo"?

 

Quattro sono le accezioni del termine "metodo":

 

- Alcuni intendono l'utilizzo di una serie di tecniche di comunicazione come, ad  esempio, dinamiche di gruppo, linguaggio delle immagini, studio di testi, ecc.

 

-  Altri intendono una sequenza di interventi operativi finalizzati al raggiungimento di obiettivi prestabiliti e la trasmissione di contenuti. Ad esempio, il metodo dei "tre gradi formali": presentazione, spiegazione, applicazione. Oppure il metodo JOC: "vedere, giudicare, agire".

 

-  Altri ancora intendono un modello catechistico che esprima una certa logica       pedagogica, cioè un modo particolare di organizzare i contenuti e la loro                   trasmissione in vista di determinati fini.

 

-  Altri, infine, concepiscono il metodo come un cammino comunemente indicato in          quattro operazioni:

 

                        - Identificazione dei bisogni;                                                 

                        - determinazione degli obiettivi da raggiungere;      

                        - scelta delle attività e dei contenuti attraverso cui raggiungere gli obiettivi;

                        - applicazione e verifica

 

In buna sostanza, il primo significato riguarda l'uso di mezzi e tecniche di comunicazione; il secondo riguarda una serie di sequenze operative; il terzo una strategia di fondo e, infine, il quarto riguarda la programmazione catechistica.

 

Per il nostro lavoro si è fatta la seguente scelta sincretica, per cui si avrà:

 

-   una programmazione, cioè l'insieme delle operazioni che vedono un'azione catechistica sviluppata nei suoi quattro momenti; (quarto significato)

-   un metodo, cioè un modo con cui si stabilisce un rapporto tra catechista, soggetto e contenuto; (terzo significato);

-   un'applicazione didattica  di un metodo, cioè l'insieme delle sequenze operative con cui si attua un metodo; (secondo significato)

-   mezzi e tecniche, cioè aiuti pedagogici al servizio dei metodi e delle loro applicazioni didattiche; (primo significato)

 

Va segnalato che, per quanto riguarda la programmazione, vi è un certo consenso, quasi mai seguito dalla pratica. E' decisivo, invece, avere la coscienza di quale metodo applicare, conoscerlo bene e poi avere la costanza di applicarlo.

 

 

Tre modelli o metodi catechistici

 

 

Dopo aver fatto le dovute precisazioni sul plurimo significato del termine "metodo", prendiamo ora in esame i tre modelli già sopra illustrati:

 

                                   - Modello o metodo dell'insegnamento

                                   - Modello o metodo dell'ascolto e dell'animazione

                                   - Modello o metodo dell'autoapprendimento

 

 

Il modello dell'insegnamento

 

a) Considera la persona come un oggetto su cui trasferire il proprio sapere. Il metodo è di tipo scolastico; uno parla e gli altri ascoltano. Si ritrova nelle conferenze, nei corsi biblici.

 

b) La relazione è tra "insegnante" (dominante) e "discepolo" (dominato). Alla lunga stanca. Caratterizzato dalla totale passività del partecipante

 

c) Ha degli indubbi vantaggi, purché sia un buon insegnamento che non si limiti a trasmettere, ma offra anche possibilità di pensare.

 

d) E' indubbio che la catechesi debba offrire un qualche tipo di insegnamento, considerato che "la fede nasce dall'ascolto della Parola" (Rm 10,17). Oggi questa forma riacquista peso per la povertà culturale dei cristiani e per i continui interrogativi a cui è sottoposta la fede, che non è più un dato pacifico e scontato, come lo è stato ai tempi in cui la società era di fatto cristiana.

 

Il modello dell'animazione

 

a) Esso è incentrato non sul sapere dell'animatore, ma sulle risorse e le esperienze dei partecipanti, in cui il sapere si considera già virtualmente presente. Si mira, pertanto, a far esprime il più possibile le persone, poiché il sapere è nel gruppo e l'animatore ha il compito di farlo emergere, senza prevalere sul gruppo.

 

b) Vi sono ragioni teologiche e pedagogiche che spingono a giustificare questo modello. Le ragioni teologiche risiedono nella natura stessa della fede: ogni credente, rivestito di Spirito Santo, è portatore di verità che spinge all'annuncio. Infatti, in Giovanni si legge: "Lo Spirito Santo che avete ricevuto da Gesù Cristo rimane ben saldo in voi, perciò non avete bisogno di nessun maestro. Infatti, lo Spirito è il vostro maestro in tutto" (1Gv. 2,27).

 

Questo modello, tuttavia, lascia in ombra un elemento importante: il raffronto con qualcosa che viene da fuori di sé, cioè la Parola annunciata. Il rischio concreto è che vi sia molto gradimento per tale modello, ma con risultati superficiali e deludenti per quanto riguarda l'apprendimento di solidi contenuti che interpellino esistenzialmente. In tal modo il gruppo, privato di informazioni e insegnamenti esterni, gira su se stesso rischiando la sterilità.

 

Il modello dell'autoapprendimento

 

a) In questo modello, la relazione pedagogica non è più incentrata sull'insegnante, ma sul gruppo stesso, che diventa soggetto principale dell'azione pedagogica: è il gruppo che si fa da maestro e autoapprende, opportunamente stimolato e condotto dal catechista. Lui diventa ricercatore di verità, di cui si autoalimenta. Il confronto e la sfida, quindi, si pone tra il soggetto e il sapere che deve essere conquistato e che gli è ancora estraneo.

L'attenzione si sposta dall'insegnante e dal contenuto sull'attività di ricerca e di confronto dello stesso soggetto.

 

In tale prospettiva il catechista non è più né insegnante, né animatore, bensì accompagnatore, che fornisce i mezzi e il supporto necessario perché il soggetto possa percorre la distanza che lo separa dal sapere.

 

Questo modello non si oppone agli altri due, ma li comprende senza ridursi ad una semplice somma dei due, poiché è mosso da una logica pedagogica che gli è propria.

 

b) Forse questo è il modello più consono alla fede. Infatti nella sua dinamica c'è l'annuncio che raggiunge ogni componente del gruppo; l'ascolto, poi, produce una risposta; una Parola annunciata che viene, poi, interpretata, poiché non vi è trasmissione di fede senza reinterpretazione del messaggio cristiano.

 

Non più, quindi, chiesa docente o discente, né chiesa che pretende di darsi la verità, ma chiesa tutta discepola e tutta annunciatrice.

 

In questo contesto il catechista trova il suo modello in Giovanni Battista, che spiana la strada e crea le condizioni perché l'altro cresca e lui diminuisca. Ne esce una chiesa adulta dove il laico è annunciatore.

 

 

 

 

LE FASI DIDATTICHE IDEALI

DELLA CATECHESI DEGLI ADULTI

 

 

 

 

Premessa

 

Si propone qui un'applicazione didattica semplice per un cammino di catechesi per adulti. Non è certo l'unica, né può essere applicata sempre e ovunque. Ogni proposta didattica va presa in considerazione nel rispetto dell'ambiente e delle persone a cui è rivolto il messaggio. Essa rientra nella logica di una metodologia di "apprendimento attivo" e si compone di tre fasi, precedute e seguite da due momenti: accoglienza e verifica.

 

Le tre fasi ideali

 

Le tre fasi, che indicheremo subito, sono finalizzate a creare un rapporto creativo tra le persone e il tema trattato e costituiscono un cammino di catechesi. Esse non vanno comprese come momenti separati  tra loro, né devono essere applicate rigidamente.

 

Esse sono:

 

-   La fase proiettiva o di espressione, che mira a far esprimere al gruppo la propria impressione e le proprie precomprensioni sul tema trattato.

 

-   La fase analitica o di approfondimento permette di verificare la propria precomprensione espressa nella fase precedente con il tema o il testo , che sono analizzati. E' la fase in cui ci si accorge delle divergenze tra il nostro modo di pensare e di vedere le cose e la realtà adeguatamente analizzata. Le cose viste al microscopio appaiono sempre diverse da come si sono percepite ad occhio nudo, anzi, si vedono cose che prima neppure si percepivano. E' una fase che spiazza e mette in crisi.

 

-   La fase di appropriazione o di riespressione consiste nel fare proprio, di interiorizzare il frutto del lavoro fatto. E' un tempo di assimilazione e di cambiamento.

 

Come sopra accennato, queste tre fasi vanno incluse da due momenti:

 

- L'accoglienza, che consente al gruppo di incontrarsi e familiarizzare. Precede sempre le tre fasi

- La verifica, che deve essere fatta dal gruppo e dai catechisti. E' un'analisi di come si sono svolte le cose. Segue sempre, ovviamente, le tre fasi.

 

All'interno della dinamica delle tre fasi vanno sempre distinti, là dove possibile, due ruoli fondamentali: quello dell'animazione e quello teologico, che dovrebbero essere svolti da persone diverse.

 

L'accoglienza

 

E' un momento molto importante perché può determinare il clima dell'intero incontro. Un proverbio dice che "il buon giorno si vede dal mattino" e ciò è vero soprattutto se i partecipanti si incontrano per la prima volta. Si dovranno, quindi, curare i primi momenti dell'impatto.

 

Come fare?  Potremmo pensare a quattro momenti:

 

-          La conoscenza reciproca, presentandosi l'uno dopo l'altro con qualche cenno su se stessi.

 

-          Dire i propri stati d'animo, cioè le motivazioni che ci hanno spinto a venire, le attese dall'incontro, domande sul programma, ecc.

 

-          La presentazione del programma e contrattazione, che possibilmente sia scritto, con la possibilità di intervenire su di esso, di esprimere dei pareri e, là dove possibile, anche modificarlo.

 

La fase proiettiva o di espressione

 

Il principio pedagogico su cui si basa questa prima fase è: "dare la parola prima di prendere la parola".

 

Da ciò ne consegue che il catechista deve sopratutto tacere e ascoltare, mettersi, per così dire, tra parentesi lasciando spazio agli altri. Il suo compito in questa prima fase sarà quello di stimolare l'intervento di tutti i partecipanti.

 

Questa prima fase è molto importante; infatti, ciò che i partecipanti dicono sul tema o sul testo riflette le loro precomprensioni, i loro modi di pensare, la loro cultura, i loro problemi e i propri interessi. In questo esprimersi "a ruota libera", per così dire, i partecipanti riversano nel calderone del gruppo il proprio brodo, cioè se stessi e i propri bisogni.

 

Cosa deve fare, pertanto, il catechista? Innanzitutto deve:

 

- permettere al gruppo di esprimersi liberamente, di raccontare la propria esperienza;

- raccogliere le opinioni e i punti di vista diversi;

- aiutare il gruppo a chiarire i propri punti di vista, riformulandoli senza manipolarli. Ognuno     deve, poi, ritrovarsi in ciò che ha detto;

- Riutilizzare questi elementi durante il cammino formativo;

- Mettere a fuoco gli interrogativi, poiché essi costituiscono le brecce entro cui penetrare e su cui lavorare.

 

La fase di analisi o di approfondimento

 

Il principio pedagogico su cui si basa questa seconda fase è: "uno sguardo attento alla realtà aiuta la persona a rimettersi in discussione"

 

L'analisi, pertanto, è il momento in cui si dà la parola al tema o al testo, che diventano, così, gli interlocutori del gruppo. Analizzare significa spogliarsi della propria "forma mentis", liberarsi delle proprie precomprensioni per accedere all'oggettività e al mondo del testo o tema, spesso molto lontani al nostro. E' il momento, questo, in cui testo o tema sono studiati per se stessi nella loro oggettività. Da ciò può derivarci una luce, spesso non necessariamente quella che pensavamo noi.

 

In questa fase può essere:

 

-  utile creare una scheda o un cartellone riepilogativo, continuamente aggiornato, del cammino che si sta percorrendo elencando le tappe percorse.

-   indispensabile l'intervento di un esperto che fornisca al gruppo le conoscenze necessarie per procedere nella propria formazione.

-    d'aiuto testi biblici, del magistero, liturgici, documenti teologici, ecc.

 

In questa fase il catechista ha il compito di trovare buoni testi, fornire chiavi di interpretazione, griglie di analisi.

 

La fase di riappropriazione o di attualizzazione

 

Il principio pedagogico che sottende questa ultima fase potrebbe essere il seguente: "la persona si fa dicendosi".

 

La fede, infatti, rimane una vuota intuizione se non è testimoniata dalla parola e dalla vita. In tal senso dice bene Paolo quando afferma "Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo." (Rm 10,9-10).

 

Questa fase esprime tutto il dinamismo della Parola e della fede: la Parola annuncia, la persona l'accoglie, la fa propria aprendosi esistenzialmente a Dio, diventa essa stessa annunciatrice, generando ad altri la Parola accolta e incarnata.

 

E' un momento importante perché permette ad ogni persona di integrare le riflessioni e le scoperte fatte nel proprio sistema di vita, creando una nuova precomprensione. C'è, quindi, la metabolizzazione di quanto "si è mangiato", lo si fa diventare proprio, parte della propria vita. E' il momento in cui si produce un cammino di conversione e di trasformazione.

 

Quali sono i passi che conducono alla riappropriazione?

 

-   Innanzitutto è utile far prendere coscienza del cammino fatto, raffrontando l'oggi con le due fasi precedenti: la proiezione e l'analisi. La persona, può, quindi, misurare il cammino fatto e rendersi conto a quale punto si trova.

 

-   La scoperta del cammino fatto, della crescita spirituale compiuta deve essere anche coscientizzata attraverso la parola. Infatti, la verbalizzazione del nostro processo interiore porta alla luce della nostra coscienza chi noi siamo ora veramente, diversamente c'è il rischio che il nostro nuovo Io rimanga latente e inconscio. La parola, quindi, da forma al nostro nuovo essere.

 

-   Una volta presa coscienza del cammino fatto e delle nostre nuove potenzialità non rimane che individuare i campi di azione e di impegno. Questi possono essere la famiglia, gli amici, rapporti sociali, ecclesiali, economici, politici. Può essere una qualsiasi realtà che ora, grazie al cammino interiore di fede, viene vissuta in modo nuovo.

 

La verifica

 

Il principio pedagogico sotteso in questo momento è il seguente: "In un'azione formativa nessun progresso è misurabile se non ci si danno i mezzi  per misurare lo scarto tra gli obiettivi prefissati e quelli realmente raggiunti".

 

In altri termini serve una verifica che, come dice la parola stessa, significa "fare verità, fare luce"

 

Proprio perché il cammino fatto è stato di gruppo, questa va fatta con il gruppo alla fine dell'itinerario, ma anche nel bel mezzo del cammino quando il clima creatosi o una certa difficoltà di rapporti impediscono al gruppo di progredire. La verifica intermedia consente, pertanto, di riassestare il gruppo e, forse, anche di modificare, riadattandolo secondo le esigenze emerse, gli obiettivi e il percorso stesso.

 

La verifica consiste nel formulare una valutazione sull'intero cammino o su alcune sue singole parti. La finalità è di valutare se gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti e se le attese dei partecipanti sono state soddisfatte e in quale misura.

 

I punti di attenzione nella verifica sono:

 

-  Il vissuto, cioè come i membri del gruppo si sono sentiti; come hanno vissuto il cammino.

 

-  Il contenuto, cioè ciò che si è imparato e le nuove scoperte fatte.

 

-  I metodi, l'impatto che i metodi, i mezzi, le tecniche utilizzate nel percorso hanno avuto sui partecipanti e la loro utilità.

 

-   Le "conversioni", si tratta di misurare i cambiamenti di prospettiva, di mentalità, la propria trasformazione interiore e del mio modo di rapportarmi con gli altri.

 

-   Come proseguire, in altri termini se ci sono miglioramenti da apportare, chiedendo ai partecipanti ciò che hanno maggiormente o meno apprezzato, che cosa è loro mancato.

 

 

 

 

FORME DI APPRENDIMENTO TECNICHE E MEZZI

NELLA CATECHESI DEGLI ADULTI

 

 

 

 

 

Premessa

 

Comunicare è un'arte e nel contempo un lavoro difficile e complesso, poiché il messaggio quando cade sugli ascoltatori, trova situazioni individuali molto diversificate e non sempre ben disposte all'accoglienza. La parabola del seminatore lo sta a ricordare.

 

Essa si svolge su di un piano verbale, ma anche non verbale: Gesù ha insegnato usando la parola, ma anche opere e segni. Egli era la massima espressione del Padre che andava a colpire direttamente nel cuore di ogni singolo uomo anche quando parlava alle folle. La sua predicazione mirava a "tirar fuori" dall'anonimato delle folle le persone spingendole ad una dichiarazione personale di fede.

 

Tra i compiti del catechista sta anche quello di saper "dare la parola". E' un'arte questa che richiede il ricorso a tutti i modi di comunicazione disponibili.

 

I quattro modi per imparare

 

Talvolta si pensa che l'unico modo per trasmettere e aggiornare la fede siano i vari corsi, cioè folti gruppi di persone che si pongono in atteggiamento, generalmente passivo, di ascolto di uno che parla. Ma è proprio vero che questo sia l'unico sistema e che sia il migliore?

 

Abbiamo, in realtà, a disposizione quattro modi di comunicare e di imparare. Infatti, possiamo apprendere e comunicare:

 

                                               - In assemblea

                                               - In piccoli gruppi

                                               - In coppia con un'altra persona

                                               - Da soli

 

Vediamone rapidamente i pro e i contro di ciascuno:

 

a) L'assemblea è il modo più utilizzato, il più conosciuto e lo si utilizza sotto forma di corso, conferenza, dibattito, tavola rotonda, ecc.

Il vantaggio consiste nel poter trasmettere molti contenuti ad un gran numero di persone, che si sentono tutelate dall'anonimato. Questi sistema, però, può causare passività, noia, mortifica i rapporti interpersonali e non lascia spazio all'interiorizzazione personale.

 

b) Il lavoro a gruppi privilegia il rapporto tra le persone sui contenuti; è fonte di scambio di esperienze, provoca una interazione tra i componenti e certamente un arricchimento reciproco, se non altro a livello umano; è un luogo dove, almeno potenzialmente, ognuno, costretto a mettersi a confronto diretto con gli altri, si mette in discussione. Ha, poi, il vantaggio di potersi suddividere i compiti quando gli obiettivi o il cammino sono complessi.

Comporta però anche qualche svantaggio, infatti, il gruppo è un'entità sociologica chiusa e, a lungo andare, può diventare una fonte che si esaurisce rallentando o bloccando il cammino di crescita; ci sono poi difficoltà nel far confluire in assemblea i dati elaborati da ogni singolo gruppo, ne risente, quindi, la condivisione. Il numero ideale dei partecipanti varia da 6 a 8 persone.

 

c) Il lavoro in coppia è utilizzato quando si deve svolgere un compito preciso o quando si vuole ottenere una condivisione e uno scambio in profondità.

Se da un lato crea affiatamento, dall'altro esiste un minore confronto che nel lavoro a gruppi e, quindi, minori stimoli e minore ricchezza di esperienza e di scambio di contenuti. C'è, infine, il rischio che uno prevalga sull'altro.

 

d) Il lavoro individuale è la forma che più conosciamo perché tutti siamo stati educati attraverso questa. Essa dà il vantaggio di una massima personalizzazione e implicazione di se stessi. Manca, però, l'elemento di confronto, lo scambio di esperienza, il misurarmi con gli altri e può creare persone individualistiche, che hanno difficoltà di comunicare, rigide nelle proprie affermazioni.

 

Imparare a variare le forme di apprendimento

 

Abbiamo visto come ogni forma ha i suoi vantaggi e propri limiti e ciò ci spinge a variare e dosare la proposta. In quale modo? Questo ci viene suggerito, di volta in volta, da gruppo, dai contenuti e dagli obiettivi; ma sono soprattutto gli obiettivi che determinano la scelta del come lavorare.

 

Un rilievo, a tal punto, va fatto: gli adulti, a motivo della loro formazione, faticano ad uscire dalle due forme dominanti: l'assemblea e il lavoro personale.

 

 

Il significato delle tecniche e dei mezzi

 

Spesso, in catechesi, si ritiene che le tecniche e i mezzi siano una sorta di abbellimento, ma non necessario. Si dà, invece, importanza ai contenuti, curandone l'esposizione, ritenendo il resto un quid pluris non indispensabile. Va modificato questo modo di pensare, poiché tecniche e mezzi non sono solo un modo per dar forma al contenuto, ma sono strumenti, talvolta potenti, di veicolamento dei contenuti.

 

In altri termini, si tratta di dotarsi di validi strumenti di comunicazione che sappiano penetrare in profondità nelle persone e consentire loro di accogliere un messaggio che potrebbe anche sconvolgere le loro vite e dare un nuovo orientamento.

 

Va fatta attenzione, tuttavia, affinché mezzi e tecniche non prevalgano sul messaggio al punto di oscurarlo. Essi sono da considerare, comunque, come semplici strumenti a servizio della Parola.

 

I mezzi come prolungamento dell'educatore

 

Una volta scoperta l'utilità dei mezzi e delle tecniche di comunicazione, queste non devono essere usate come prolungamento del catechista, del tipo "mezzora parlo io e mezzora continuate voi" con cartelloni, quaderni, colori, ritaglio di figurine, disegni, ecc., sviluppando quello che è stato detto. Questo diventa una sorta di conferenza camuffata, benché resa più viva e piacevole.

 

Come, dunque, vanno intesi questi mezzi e tecniche di comunicazione perché non siano ridotte ad una diversa forma di conferenza?

 

I mezzi come spazio aperto alla libertà

 

Al fine di evitarne una strumentalizzazione, bisogna permettere a questi mezzi di essere realmente ciò che sono per natura: uno spazio di libertà creato tra educatore e persona in formazione. Quindi, non un prolungamento del catechista verso la persona, bensì un ponte tra i due, che consente un passaggio comune ad entrambi.

 

La finalità di questo mezzi è creare un apprendimento attivo del gruppo, trasformandolo, da una lato, in autoapprendimento, sempre nel rispetto della logica che l'adulto è autonomo e responsabile del proprio apprendimento; e dall'altro, far interagire un gruppo attorno ad un tema e ad un testo scelto.

 

 

 

 

PER UN'ETICA ED UNA SPIRITUALITA'

DEL CATECHISTA DEGLI ADULTI

 

 

 

 

Premessa

 

Il catechista degli adulti non è soltanto una persona di buona volontà che mette del suo tempo a disposizione delle necessità della parrocchia. Egli è chiamato ad operare su delle persone e ad incidere sulle loro coscienze e scelte esistenziali. Serve, pertanto, anche una notevole preparazione culturale e spirituale, rafforzata nel tempo dall'esperienza.

Un buon catechista non si improvvisa, ma lo si coltiva con cure amorose che favoriscano le necessarie competenze.

 

Una concezione semplicistica di spiritualità

 

Per essere un buon catechista, però,  non è sufficiente avere delle buone conoscenze teologiche e pedagogiche, ma serve anche una fede convinta e vissuta, cioè una buona spiritualità di fondo, poiché il catechista è chiamato non ad insegnare delle verità di fede, ma fare un annuncio, quell'annuncio che lui per primo ha ricevuto e vive ed, ora,  è chiamato a trasmettere.

 

Tuttavia, si faccia attenzione a non pensare che per fare della catechesi basti buona volontà e fede. E' coniugando la fede vissuta, alimentata dalla Parola, da adeguate conoscenze specifiche, teologiche e pedagogiche, e da opportuna esperienza che si crea l'ossatura del buon catechista. Un lavoro, come si vede, lungo, complesso e non sempre di certa riuscita, ma necessario per fare del catechista un accompagnatore, un "buon compagno di viaggio".

 

Infatti, il catechista, come ogni altro libero professionista, è chiamato ad operare sulle persone, ad incidere sulle loro coscienze, a muoversi nel campo delle loro libertà; ed essendo l'atto catechistico un intervento educativo, si avvicina a quella di ogni educatore

 

Considerata, quindi, la delicatezza e la complessità della figura del catechista e dei suoi compiti, ci si chiede come deve essere e come si pone il suo rapporto con l'altro.

 

Il rapporto educativo del catechista non è a senso unico

 

Come in ogni rapporto umano si crea sempre una interazione che influisce inevitabilmente su tutti gli attori di tale rapporto, così anche in quello catechistico. In ogni rapporto umano, infatti, si dà e si riceve. Con questa coscienza e umiltà ci si deve approcciare agli altri.

 

In tale rapporto, tuttavia, si devono evitare due comportamenti: quello dell'amicone che tende ad annullare le diversità dei ruoli, e quello dell'insegnante che determina cattedraticamente contenuti e obiettivi da raggiungere.

 

Ognuno deve porsi nel gruppo con la coscienza del proprio ruolo, e per quanto riguarda il catechista, questi deve porsi non come amicone o insegnante, bensì come compagno di viaggio, il cui compito è quello di aiutare e facilitare un certo cammino, che devono fare gli altri, evitando, pertanto, di sostituirsi a loro.

 

Il rapporto educativo mira ad esercitare un'influenza

 

Pensare ad un rapporto educativo neutro è una illusione oppure non è rapporto educativo. L'atto educativo esercita sempre una certa influenza sull'educando e se ciò non avvenisse si decreterebbe il fallimento dello stesso atto educativo.

Ma cosa si intende per "influenzare"? Va subito detto che influenzare non è plagiare; questo violerebbe il campo della libertà individuale e lo si bloccherebbe nella sua crescita morale e spirituale.

 

L'atto educativo va inteso come un momento in cui il catechista offre dei contenuti su cui riflettere, indica la strada per appropriarsene, lasciando, però, la piena autonomia e responsabilità del cammino che è e rimane sempre una libera scelta individuale. Ogni atto costrittivo decreta il fallimento dell'educazione. L'educazione, proprio perché opera sulla libertà della persona, può anche sfociare in un fallimento. L'educatore deve accettare anche questo rischio; e per questo l'atto educativo è sempre anche una grande sfida, il cui esito finale lo conosce solo Dio.

 

Nel rapporto educativo il catechista è orientato a scomparire

 

Ogni ruolo educativo è a tempo determinato, quello del genitore come quello dell'insegnante. Pensare ad un ruolo perpetuo significa aver giocato male da sempre questo ruolo.

 

Infatti ogni atto educativo mira a fornire gli strumenti necessari e sufficienti perché la persona possa, alla fine del cammino, percorre la strada con le proprie gambe. Se ciò non avvenisse, sarebbe un fallimento educativo. L'obiettivo di ogni educazione è l'affermazione e l'autonomia dell'altro.

 

Così pure il catechista deve svolgere il suo ruolo riducendolo man mano che l'altro cresce e sente sempre più il bisogno di avere un proprio respiro.

 

Paradigma del catechista deve essere la figura di Giovanni Battista che indica ai propri discepoli la figura del Cristo, perché egli deve diminuire affinché Lui cresca.

 

La spiritualità del compagno di viaggio

 

Nello svolgere la sua opera educatrice il catechista deve avere sempre la coscienza che sta lanciando un messaggio la cui accoglienza e il cui effetto può essere conosciuto soltanto da Dio. Egli è colui che lancia il seme, ma farlo crescere e prosperare non è compete al seminatore, ma a Dio.

 

Quindi soltanto Dio e il suo Spirito sono competenti per condurre ogni uomo alla fede in Cristo Gesù e alla sua piena maturità. Proprio in tal senso Paolo afferma: "Io hi piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora, né chi pianta, né chi irriga è qualcosa, ma Dio che fa crescere. ... Siamo, infatti collaboratori di Dio" (1Cor. 3,6-7.9a).

 

Criterio guida, quindi, del catechista è quello di essere con la sua persona, con le sue parole e azioni una mediazione che permette l'azione dello Spirito Santo.

 

Ancora una volta, la figura guida del catechista è Giovanni Battista: egli è il profeta che prepara la strada al Signore che viene. Egli, dunque, è colui che deve diminuire affinché cresca il vero Protagonista.

 

Alcuni atteggiamenti spirituali

 

Nell'ambito della sua azione  il catechista si configura come maestro, testimone ed educatore; ma è anche discepolo, missionario, compagno di strada. Una simile figura, cosi complessa, richiede anche particolari atteggiamenti interiori perché possa essere efficace e credibile.

 

In lui deve svilupparsi un'attitudine all'ascolto, che precede e fonda la sua capacità di parlare. Il catechista potremmo definirlo come l'uomo dell'ascolto. Innanzitutto ascolto di Colui che lo ha inviato e che è la Parola per eccellenza; ma anche ascolto dei bisogni delle persone a cui si indirizza.

 

Il catechista dovrebbe, alla fine di ogni incontro, chiedersi quanto spazio ha lasciato alla Parola di Dio, quanto agli adulti e quanto, invece, ne ha occupato lui.

 

Altro atteggiamento è quello della simpatia non intesa come sentimento di attrazione sentimentale, bensì come capacità di entrare in comunione con gli adulti e percepirli dalla prospettiva di Dio. Una simpatia, quindi, spirituale, teologica, non sentimentale e umana che, comunque, se c'è non guasta, anzi facilita il rapporto.

 

Una verifica di questo atteggiamento consiste nel passare in rassegna i volti a fine incontro e vedere quanta attenzione si è dedicata a ciascuno.

 

Altro atteggiamento, ancora, è il "con-crescere", cioè il crescere nella fede assieme ai compagni di viaggio. Solo in questo modo la fede diventa condivisa e il gruppo si trasforma in comunità che si fa condivisione alla mensa dell'unica fede.

 

Un quarto atteggiamento è l'attitudine a creare un terzo spazio. Tutto il cammino catechistico deve essere cristocentrico; centrare, cioè, l'attenzione su Colui che sta all'inizio e alla fine di ogni cammino di fede e di salvezza. Il catechista, pertanto, dovrà indicare le vie maestre che conducono a Dio e renderle facilmente accessibili: la Parola di Dio, la liturgia e la tradizione della Chiesa. Infatti non è concepibile una sana e credibile catechesi senza il contatto diretto con le fonti prime della fede.

 

Solo muovendosi su questi parametri il catechista troverà la sua vera identità e metterà le premesse per essere un valido strumento di Dio, suo vero sacramento vivente attraverso cui Dio può, ancora una volta, incontrare l'uomo e donargli la salvezza.

 

Formare i catechisti a divenire compagni di viaggio degli adulti

 

E' indubbio che la formazione dei catechisti degli adulti sia un'urgenza dei nostri tempi. Troppa attenzione si è dedicato alle fasce giovani, ignorando che un'altra realtà stava scivolando nell'oscuramento della fede.

 

Il compito del catechista non è una pia pratica cristiana da lasciare nelle mani di chi ha "buona volontà", ma è privo di ogni altra adeguata competenza. Esso è soprattutto un mestiere faticoso e, talvolta, duro e avaro di soddisfazioni, spesso prodigo di delusioni e amarezze. Come tale va imparato, come arte si affina nel tempo e con l'esperienza e si coltiva e sviluppa con una buona spiritualità, che affonda le sue radici nella preghiera e nella Parola di Dio.

 

Spesso, purtroppo, i catechisti sono scelti spesso in base alla loro buona volontà, caricati di impegni che li supera e lasciati soli nella loro esperienza.

 

Il cammino è ancora lungo e la meta molto lontana. Non dobbiamo illuderci che Dio compia quello che ci compete: la grazia, infatti, non sostituisce l'azione dell'uomo, ma la porta soltanto a compimento.