PASTORALE LITURGICO-SACRAMENTALE

 

(Sunto e riflessioni sulle dispense dell'insegnante)

 

 

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Un tratto di storia recente

 

 

Partiamo con il chiederci qual è il nostro contesto storico-liturgico e le sue origini. In altre parole, bisogna tener conto dell'eredità ricevuta, poiché questa, poco o tanto, incide sul nostro presente.

 

Tre sono gli elementi da considerare attentamente: gli orientamenti pratici, la mentalità e le condizioni storico-socio-culturali in cui si è sviluppata l'azione liturgica.

 

Ogni epoca è condizionata da certi orientamenti pratici, dettati da una certa mentalità, che si collocavano in precise condizioni storiche.

 

Ogni azione liturgica, pertanto, per comprenderla adeguatamente e capire ciò da cui era sostenuta, va collocata all'interno di questo schema di lettura.

 

Per esempio, prima della riforma liturgica del Vaticano II, il battesimo non era sostenuto da un'adeguata azione pastorale, ma a richiesta, veniva somministrato al richiedente. Ciò era possibile perché la società e le sue strutture civili, in cui veniva a collocarsi la famiglia, erano cristianamente configurate e, quindi, non c'era la necessità di una particolare formazione, poiché il credente era già religiosamente inquadrato e sostenuto. Bastava, quindi, rispettare determinate scadenze dettate dallo scorrere dell'età (battesimo, cresima, eucaristia) o dall'accadere di determinati avvenimenti (matrimonio, unzione degli infermi, ordine sacro) e il credente era perfettamente orientato nel suo cammino cristiano. Quanto al comportamento morale, bastava seguire quello che diceva il parroco o le convenienze sociali e ognuno sapeva esattamente come comportarsi.

 

La liturgia preconciliare, inoltre, era di tipo prevalentemente giuridico e di pignolesca applicazione delle regole liturgiche. La lingua liturgica, già a partire da papa Damaso (380) che la introdusse in sostituzione del greco e in contrapposizione alla Chiesa orientale, era il latino, che risultava, ovviamente, incomprensibile ai più. Ciò favoriva una netta divisione tra celebrante e popolo, che, durante la celebrazione, si limitava a pregare per conto proprio. Uno stacco favorito, anche fisicamente, dalla balaustra, che separava il presbiterio dal resto della chiesa; nonché dalla posizione dell'altare maggiore, spesso collocato lontano dal popolo e in cima ad una gradinata e, talvolta, avvolto all'interno di un colonnato (v. Duomo di Verona). Lo stesso modo di porsi del celebrante (voltava le spalle al popolo e bisbigliava in latino i testi di preghiera) rendeva ancor più inaccessibile, avvolgendola in un alone di mistero impenetrabile, la partecipazione del popolo, che, per la verità, si limitava pazientemente ad assistere a riti del tutto incomprensibili e irraggiungibili. I più volonterosi cercavano di seguire sul "messalino" la celebrazione eucaristica, ma senza capirci dentro un gran che.

 

La liturgia era percepita come un cerimoniale, che accompagnava un sacramento; una sorta di abito che ricopriva la celebrazione del sacramento e non aveva nulla a che fare con la spiritualità del popolo.

 

I fermenti dei nuovi movimenti liturgici hanno sostanzialmente sconvolto questo schema e modo di porre la liturgia. Una liturgia che era stata ritagliata a misura del clero e a cui il popolo assisteva da lontano, senza capire a cosa stesse realmente accadendo.

 

Tali fermenti hanno trovato il loro giusto riconoscimento all'interno del Vaticano II (1962-1965), un concilio dal taglio squisitamente pastorale, dato fin dall'inizio da Giovanni XXIII, che nel discorso di apertura aveva sottolineato come questo concilio non aveva compiti di definizione dottrinali, bensì l'obiettivo di calare la dottrina nella vita di tutti i giorni.

Nasce così la "Sacrosantum conciluim", la costituzione sulla "sacra liturgia", il cui intento è, da un lato, ridefinire teologicamente la liturgia, dandone una nuova comprensione; dall'altro, far sì che questa venga resa comprensibile e raggiungibile da tutto il popolo di Dio. Si incomincia a capire che la liturgia non è una questione riservata al clero, ma a tutta la Chiesa e che il vero celebrante nella liturgia non è il prete, ma l'assemblea presieduta. Si verifica, quindi, uno spostamento di accento.

 

In particolar modo la SC evidenzia come "tutti i fedeli vengano formati a quella piena consapevolezza e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche ... alla quale il popolo cristiano, <<stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato>>, ha diritto e dovere in forza del battesimo" (SC §14). Va di conseguenza che "I pastori d'anime curino con zelo e pazienza la formazione liturgica, come pure la partecipazione dei fedeli" (SC §19).

 

Emergono sempre più, quindi, la necessità di mettere a fuoco le esigenze della liturgia.

 

Infatti, quando si era partiti con la riforma liturgica ci si era limitati a cambiare le forme e ad attuare gli aspetti pratici. Ci si era dimenticati, però, di fondare e giustificare biblicamente e teologicamente tale riforma.

 

Così il Concilio fa un passo indietro e parte non con la riforma liturgica, ma con la storia della salvezza, quale tema fondativo dell'azione liturgica.

 

Quattro i punti cardinali su cui si impernia la storia della salvezza, colta in funzione liturgica o celebrativa: 1) l'evento salvifico: Cristo morto e risorto; 2) l'evento ecclesiale: la Chiesa è il soggeto della liturgia. Infatti, la liturgia non è un'azione privata, ma comunitaria; 3) l'azione liturgica come luogo in cui si realizza l'incontro tra Dio e l'uomo; 4) tale incontro avviene attraverso segni sensibili.

 

Bastano questi quattro punti di riferimento per dare il via ad una liturgia rinnovata, segna dal passaggio di una liturgia scandita da un cerimoniale, ad una liturgia colta come luogo in cui si attua la salvezza dell'uomo e in cui si sviluppa, tra Dio e l'uomo, un dialogo salvifico e di santificazione per l'uomo e che si opera nell'ambito della comunità ecclesiale.

 

Non è sufficiente, però, dire che cos'è la liturgia, bisogna anche vedere come attuarla.

 

Il primo passo è preparare la comunità alla sua partecipazione in modo diretto e fruttuoso. La liturgia, quindi, va pensata in questo senso, considerato che essa dice la celebrazione della comunità e non di un prete; per questo bisogna renderla disponibile e raggiungibile da tutti. Qui si ineriscono le radicali modificazioni rituali: se la liturgia è la celebrazione del mistero di Cristo, questa celebrazione non deve risultare un mistero, ma aprirsi al popolo di Dio perché vi possa accedere. Ecco, allora, la traduzione dei testi dal latino in lingua volgare, le letture perché tutti possano accedere alla Parola di Dio, riscoperta nella Dei Verbum, i commenti, ecc. Una liturgia che nel suo porsi diventa, spesso, spiegazione a se stessa.

 

E', comunque, evidente che da sola la riforma liturgica non è sufficiente a spiegare il senso teologico che vi si cela dentro, ma deve essere accompagnata da una consistente azione pastorale, proprio per rendere sensibile la comunità celebrante all'azione liturgica, al suo significato e senso. E' necessario passare dalla riforma al rinnovamento, cioè l'aiutare la gente ad assumere un nuovo atteggiamento e una nuova mentalità di fronte alla celebrazione liturgica.

 

Ancor oggi, se da un lato si è raggiunta ormai la riforma, dall'altro, non si è completato il rinnovamento: la gente è ancora spettatrice di un'azione liturgica, oggi più raggiungibile, ma ancora sconosciuta nei suoi significati. C'è, quindi, ancor oggi la difficoltà di comprendere la liturgia e la sua celebrazione.

 

Quali sono gli elementi che rendono difficile questa integrazione con i nuovi parametri liturgici?

 

1) Innanzitutto è da rilevare che l'epoca della "cristianità" è finita. Siamo entrati in un contesto storico-sociale e culturale fortemente individualista in cui si è perso il senso della comunità. I quadri culturali e sociali si sono fortemente frammentati e manca il quadro di riferimento. Se da un lato la diversità di pensiero e di visione delle cose può costituire una ricchezza culturale, dall'altro, di fatto, si crea una frammentazione che certamente non favorisce visioni d'insieme.

 

La domanda del religioso, comunque, persiste, anzi è aumentata, anche se le forme richieste puntano più su di un benessere di tipo psicologico-spirituale, che rispecchia l'esigenza propria di una società dei consumi e materialistica.

 

2) Vi è uno scollamento tra le varie espressioni di vita cristiana, in particolare tra le credenze, le pratiche rituali e i costumi di vita cristiana. Questi tre aspetti si presentano in modo difforme, cioè privi di coerenza tra loro. Infatti, la vita che si conduce è spesso in dissonanza con ciò che si crede e si professa con la pratica cristiana.

 

3) C'è spesso un grosso divario tra la domanda e l'offerta. Spesso si viene a chiedere un sacramento, inteso come un rito e una cerimonia di abbellimento, in ottemperanza ad una tradizione cristiana, da cui poco o tanto si è segnati; mentre la chiesa offre un impegno di vita cristiana

 

4) C'è una certa fatica a comprendere il linguaggio simbolico e rituale proprio della liturgia e della fede tradizionale, per cui si rende sempre più necessario adattare la liturgia alla capacità di comprensione della gente. Il rischio concreto è che, a forza di sfrondare, non resti più niente del mistero celebrato. E' più corretto, invece, cercare di aiutare la gente a leggere il simbolismo e il ritualismo liturgico, vincendo così una ignoranza liturgica di fondo; si evita in tal modo di svendere la liturgia per un facile populismo. Bisogna tendere ad elevare il livello culturale e religioso del credente e non di abbassare la cultura per renderla accessibile. In tal modo si mantiene, aggravandola, l'ignoranza del mondo del religioso, che per sua natura è fatto e si esprime in moro simbolico e rituale.

 

E' necessaria, quindi, una iniziazione al linguaggio liturgico per far accedere alla comprensione e  alla ricchezza dell'azione liturgica.

 

Partecipazione: concetto teologico e obiettivo pastorale

 

Che cosa significa partecipare? A che cosa partecipare? E quando si può dire di aver partecipato bene ad una celebrazione?

 

Partecipare, dunque, è il motto della nuova liturgia. Il cristiano deve togliersi da quello stato di passività che lo portava ad assistere in modo annoiato e paziente dei riti incomprensibili e irraggiungibili.

 

Il Vaticano II ha fatto fare alla liturgia un salto di qualità: da una liturgia pensata per il clero, a cui potevano accedere solo gli addetti ai lavoro, ad una voluta per coinvolgere l'intero popolo di Dio, considerando la partecipazione all'azione liturgica non solo un diritto, ma anche un dovere delle comunità cristiane (SC §14).

 

Ecco allora che l'impostazione dei testi e dei riti devono essere tali da esprime più chiaramente le sante realtà, di modo che il popolo cristiano, per quanto possibile, possa capirle più facilmente e parteciparvi attivamente e comunitariamente (SC §21).

 

Ma ciò non è sufficiente, bisogna che la chiesa volga attente premure affinché i fedeli non assistano come estranei spettatori al mistero di fede, ma comprendendolo bene per mezzo dei riti, partecipino all'azione liturgica in modo pieno e attivo (SC §48).

 

Tutta, quindi, l'azione del rinnovamento liturgico, espresso nella riforma, punta a rendere maggiormente accessibile la celebrazione liturgica al popolo di Dio, colto non più come inerte e paziente spettatore di cose che non gli sono riservate, ma come concelebrante la realtà di un mistero in cui è pienamente coinvolto in prima persona, in virtù anche del suo sacerdozio battesimale.

 

La celebrazione liturgica, infatti, è il luogo in cui si compie l'azione salvifica di Dio in favore del suo popolo ed è, pertanto, spazio d'incontro tra la comunità celebrante e Dio, che si lascia raggiungere attraverso il memoriale, espresso nel rito e nella parola, dal suo popolo. Pertanto, partecipare alla liturgia significa entrare in vivo contatto con le realtà sante che si attuano nell'ambito della celebrazione e venirne direttamente coinvolti.

 

L'azione liturgica si esprime attraverso un linguaggio simbolico, fatto di riti e parole; parole che spiegano il rito che, a sua volta, attua la parola. In questo gioco combinato di rito e parola si incarna nella comunità celebrante, in ogni credente e nell'intera Chiesa il mistero di salvezza che viene celebrato.

 

La partecipazione liturgica nell'ambito della celebrazione tocca due livelli: un livello celebrativo, nel senso che la liturgia ha una sua modalità espressiva fatta di riti e parole, che chiedono di essere compiuti dall'assemblea celebrante, secondo le competenze proprie. E un livello di partecipazione al mistero celebrato, nel senso che la celebrazione, ossia l'attuazione del gioco tra parola e rito, rende presente il mistero salvifico celebrato, a cui l'assemblea celebrante accede e viene coinvolta, sperimentando l'azione salvifica di Dio a favore del suo popolo.

 

Conseguenze pastorali ed esigenze formative

 

Riepilogando, potremmo dire che la riforma si tradurrà in vero rinnovamento soltanto quando l'assemblea celebrante prenderà coscienza del suo ruolo nella celebrazione e comprenderà come lì, in quell'azione liturgica, viene celebrato il mistero della sua fede. Non si tratta, dunque, di moltiplicare i gesti o di trasformare l'assistere in contemplare, ma è l'intera persona che deve essere coinvolta, razionalmente ed emotivamente, nella celebrazione, da cui deve lasciarsi assorbire totalmente.

 

Partecipare alla celebrazione, dunque, significa entrare, attraverso la ritualità, accompagnata dalla parola, nel mistero della fede celebrata, lasciandosi plasmare spiritualmente ed emotivamente da esso.

 

Tutto ciò comporta che le azioni liturgiche e il clima creato attorno ad esse siano particolarmente curati, per metterne in evidenza il loro significato profondo, così da renderlo facilmente raggiunto e vissuto dall'assemblea stessa.

 

Concludendo, potremmo dire che partecipare ad una celebrazione significa entrarci dentro, lasciandoci assorbire dalla celebrazione stessa, seguendo quanto essa ci richiede, non però in modo meccanico, ma facendo mio il gesto, a cui mi consegno per esprimermi e cercando di comprenderlo.

 

Quando celebriamo non siamo chiamati a fare grandi ragionamenti, ma dobbiamo lasciarci assorbire sentimentalmente ed emozionalmente dal gesto e dalla parola, a motivo della loro natura simbolica, l'unica in grado di trasportarci da una dimensione ad un'altra.

 

La gestualità rituale, infatti, posta in una cornice liturgica, dice l'esprimersi del mistero, a cui siamo configurati e in cui siamo coinvolti.

 

La liturgia: "culmen et fons" dell'azione dell'a Chiesa

 

Se l'azione primaria della Chiesa è l'annuncio della Parola così che essa venga accolto ed apra alla fede, tuttavia il suo fine ultimo è quello di formare un popolo di credenti che, radunato attorno alla Parola e al Pane, celebri le lodi di Dio e prenda parte ai misteri salvifici, in cui si radica la sua fede e da cui ne esce rinforzato.

 

Vediamo, dunque, come l'azione della Chiesa ha un suo inizio indispensabile nell'annuncio e un suo termine (culmen) nella celebrazione della fede, che si esprime attraverso l'azione liturgica. La liturgia, dunque, è il "culmen" verso cui tende tutta l'azione evangelizzatrice della Chiesa.

 

Ma la liturgia, se da un lato è il punto di arrivo, il vertice stesso dell'azione ecclesiale; dall'altro, essa è anche la sorgente (fons) da cui promana tutta l'energia spirituale e salvifica, che assumendo forma sacramentale, viene resa disponibile a tutto il popolo credente. La sacramentalità, infatti, oltre che esprimere la natura propria della Chiesa, dice l'azione redentiva di Cristo che, proprio nel sacramento, si fa storia per raggiungere ogni uomo, rendendo visibile nel sacramento stesso la sua azione salvifica.

 

La liturgia, dunque, proprio perché essa celebra il mistero di Cristo, diventa la "fons" da cui promana l'agire sacramentale salvifico di Cristo stesso, che permea e fonda la vita del suo popolo, offrendosi, per suo tramite, all'intera umanità.

 

Con ciò non si vuol fare del panliturgismo, né si vuole attuare una sacramentalizzazione globale. La liturgia, infatti, non è tutto, molto è anche fuori. Infatti, se la celebrazione liturgica non trovasse la sua attuazione concreta nella vita di tutti i giorni, esprimendosi in particolar modo nella carità, verrebbe fatalmente vanificata e diventerebbe la celebrazione di una menzogna sacrilega.

 

Una migliore comprensione del significato e della dinamica della liturgia, colta come "culmen et fons", ci viene dalle prime comunità cristiane, la cui vita era scandita da tre momento fondamentali: l'annuncio della Parola, la sua celebrazione nel culto, l'impegno nella carità.

 

L'annuncio della Parola era l'annunciare gli eventi salvifici già compiuti della morte e risurrezione di Cristo, la sua opera e il suo messaggio, a fronte del quale chi ascoltava doveva prendere posizione e decidere la propria vita.

 

La Parola così accolta, apriva la vita del credente alla fede nel Cristo morto e risorto e al mondo nuovo, in cui egli veniva immesso con il battesimo. Ma gli eventi salvifici così annunciati, accolti nell'ascolto e creduti venivano anche celebrati con appositi atti di culto, in cui il credente veniva coinvolto in essi anche esistenzialmente. L'evento salvifico, pertanto, non era più una realtà ascoltata, ma anche vissuta, sia pur in modo mediato e sacramentale.

 

La Parola, tuttavia, accolta nella propria vita e celebrata nel culto, non poteva rimanere lettera morta, confinata, per così dire, in sacrestia. Dopo il suo ascolto accogliente e la sua celebrazione, la Parola veniva così restituita al credente perché la potesse celebrare nella propria vita, attraverso un'azione di impegno nell'annuncio e nella carità.

 

Ciò premesso, quali, dunque, le conseguenze pastorali? Possiamo definirle in tre momenti: 1) la liturgia presuppone una fede acquisita nell'ascolto e sperimentata come azione salvifica nel rito, che trova il suo naturale eco e prolungamento nella vita. Fede accolta, fede celebrata e fede vissuta costituisce il ciclo naturale di ogni azione pastorale.

2) La liturgia non va colta come una fuga dalla vita, una sorta di panacea, quindi, contro lo stress quotidiano, ma essa va strettamente collegata con la vita, anzi ne è la celebrazione salvifica, consacrante e santificante. 3) Infine, proprio perché l'azione liturgica è celebrazione del mistero di Cristo, in cui si partecipa alla sua azione salvifica, ed ha una sua configurazione propria, liturgia non deve ridursi ad un ricettacolo di iniziative che la snaturino o la offendano. Pertanto, fede, celebrazione e vita devono trovare e creare tra di loro un rapporto equilibrato, di cui l'anno liturgico ne è espressione ed esempio.

 

Il quadro generale della pastorale liturgica

 

Potremmo definire la pastorale come l'azione propria della Chiesa, storicamente contestuata, finalizzata a trasmettere Cristo all'uomo. Un Cristo che, ovviamente, non è più in carne ed ossa, ma si presenta oggi sotto forma di Parola annunciata, celebrata e vissuta.

 

Già da questa breve definizione possiamo vedere lo stretto legame che c'è tra l'azione pastorale della Chiesa e la liturgia, tanto che potremmo definire la stessa liturgia come un'azione pastorale vera e propria, il cui intento è quello di restituire alla vita vissuta il Cristo accolto nell'ascolto e celebrato nel culto.

 

E' evidente che la liturgia usa un linguaggio simbolico e rituale che le è proprio, e non può essere diversamente. Ma è anche evidente che tale linguaggio, nel contempo, è di difficile decifrazione o, quanto meno, di non immediata comprensione. Serve, quindi, un'adeguata azione pedagogica che sappia preparare e introdurre il credente alla liturgia, così che essa non sia una mera esibizione sacra di fronte ad una paziente e annoiata platea, ma un luogo di partecipazione comunitaria da parte di un'assemblea liturgica concelebrante, in cui Cristo è reso presente con la Parola e il Pane, per mezzo del rito.

 

L'azione pedagogica, finalizzata ad introdurre il credente nel mondo della celebrazione liturgica, può essere scandita in quattro momenti: a) Educazione intesa come un insegnamento per una corretta comprensione ed esecuzione del gesto sacro e, quindi, creare nel credente una sorta di sensibilizzazione allo stesso. Si tratta, quindi, di insegnare a compiere correttamente l'azione liturgica, di cui egli è partecipe e non semplice spettatore. b) Formazione, un termine che dice un'azione mirata a dare forma al tuo essere cristiano. Un'azione, quindi, che mira a fornire al credente la sua identità cristiana, realizzando, anche in modo visibile, ciò è già interiormente per sua natura.

 

Il gesto liturgico, pertanto, correttamente eseguito a seguito dell'azione educativa, deve anche essere animato da una convinzione e da una presa di coscienza di ciò che si è, per cui attraverso quel gesto, correttamente appreso, si possa esprimere la propria intima natura di credente. Il gesto liturgico, a questo livello, viene personalizzato, fa parte di te ed esprime te, testimoniando il tuo livello di fede; e attraverso questa sua personalizzazione, il credente viene assorbito e introdotto nel mistero. c) Animazione, come dice la parola stessa, è dare un'anima a ciò che si celebra perché il mistero appaia in tutto il suo splendore e vivacità e sia più facilmente raggiungibile e partecipato dall'intera assemblea celebrante. Tale livello dice l'intervento sull'azione liturgica, perché essa possa esprimere al meglio ciò che si celebra, aiutando la comprensione e la partecipazione. d) Pastorale: questo livello riguarda la cura del percorso della celebrazione liturgica. Questo momento è posto in stretta e inscindibile connessione con i punti precedenti e ha a che fare, in qualche modo, con la "Fons et Culmen". L'obiettivo della pastorale liturgica è chiaramente in relazione ad un cammino, che deve, da un lato, sensibilizzare il credente al mondo del simbolico, del rito e del sacro e, quindi, portarlo ad accedere alla celebrazione partecipata e cosciente del mistero, attuato nella Parola e nel rito. Si tratta di far prendere coscienza e di attivare, quindi, la natura propria del popolo di Dio, quale "stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa" (1Pt 2,9).

 

Attraverso questa griglia, composta da quattro momenti, si può elaborare una prassi di pastorale liturgica, il cui soggetto è la comunità stessa con la sua ministerialità (ministero di presidenza, di lettorato, accolitato, di canto e , ecc.) e i propri organismi comunitari (Gruppo liturgico, Consiglio pastorale).

 

 

L'animazione della liturgia

 

Prendiamo, ora, in esame uno dei quattro livelli che compongono la griglia sopra illustrata: l'Animazione.

 

Animare! Quale senso ha questo termine? Incominciamo subito con il chiarirne il senso per evitare dei malintesi e incomprensioni.

 

Animare significa "dare un'anima" alla liturgia. Ma è proprio vero che la liturgia ha bisogno di un'anima? Se la liturgia ha bisogno di un'anima, questa certo non la dà l'uomo, poiché anima della liturgia è lo stesso Spirito Santo, che attraverso il gesto e la Parola, comunica l'azione salvifica all'intera assemblea radunata nel suo nome e a tutta la Chiesa, comunque lì presente.

 

Ecco che allora animare significa fare entrare nell'anima della liturgia, che è lo Spirito Santo, che attraverso il dinamismo delle azioni liturgiche ci introduce nel mondo di Dio e ce ne rende partecipi e a Lui ci configura.

 

Ma l'efficacia del dono di Dio dipende molto anche dalla disponibilità dell'uomo. Ecco, quindi, la necessità di creare le condizioni opportune perché il credente si apra coscientemente al mistero che si compie e che egli stesso, facendone memoria, celebra.

 

Infatti, tutte le celebrazioni iniziano con dei riti di accoglienza perché il credente celebrante si predisponga all'azione salvifica, che si compie e di cui lui è partecipe e, pertanto, interamente coinvolto. Il rito di accoglienza, pertanto, è un rito di introduzione al mistero.

 

In tale contesto l'animazione non va colta come l'azione propria dell'uomo per "rendere più efficace" la liturgia, quasi che la sua efficacia dipenda dall'operare umano. Quanto si celebra è l'attualizzazione di un mistero la cui efficacia è naturalmente connessa al mistero stesso che opera "ex opere operato, non operantis".

 

E' proprio la forza di questa intrinseca efficacia del mistero celebrato che cambia il credente partecipante e celebrante. Ma questo cambiamento non va inteso come un qualcosa di magico o di costrittivo, per cui entri in chiesa in un modo e ne esci completamente cambiato. Ma è il contatto e l'esperienza con il mondo del divino che ti predispone al cambiamento e che, comunque, ti rende spiritualmente più ricco. Significativo, in tal senso, è l'episodio di Mosé di ritorno dall'incontro con Dio sul monte Sinai: il suo volto era raggiante "poiché aveva conversato con il Signore" (Es 34,29). Una liturgia ben vissuta, pertanto, è un fermento che opera in te.

 

Ecco che, allora, l'azione dell'animare crea le condizioni migliori perché le persone si predispongano al meglio per accogliere l'azione divina, a cui sono configurati nella celebrazione. Si tratta, dunque,  di sensibilizzare il credente al mondo del divino che lì viene celebrato.

 

Se così importante è l'animazione, allora, la tentazione è quella di servirsi di specialisti, riservando a loro la funzione dell'animare l'assemblea. Ma così facendo non ci si accorge che l'assemblea viene esclusa ed estraniata, in qualche modo, dall'azione liturgica. Non va dimenticato che il soggetto dell'azione liturgica è proprio l'assemblea; è lei la protagonista della celebrazione, in lei, quindi, si devono trovare le risorse dell'animazione.

 

Ciò, tuttavia, non esclude che in particolari celebrazioni ci sia anche lo specialista, ma questo non deve diventare la logica.

 

Ricchezza e complessità della celebrazione

 

Questo significa che ogni celebrazione liturgica è varia, composta da diversi elementi che hanno, ognuno, un proprio linguaggio espressivo, che tende a rivelare la ricchezza del mistero che si compie.

 

Quali sono tali elementi? Innanzitutto il Tempo liturgico, che è il tempo di Dio inserito nel tempo dell'uomo e che scandisce il compiersi del mistero nella storia, in cui l'agire di Dio si intreccia con quello dell'uomo, facendone in tal modo una storia sacra e di salvezza.

 

Vi sono, poi, anche diversi Tipi di celebrazioni come ad es. il battesimo, la cresima, l'eucaristia, il matrimonio, l'unzione degli infermi, la liturgia delle Ore, le esequie, le celebrazioni penitenziali; tutti tipi di azioni celebrative che scandiscono il vario vivere dell'uomo, sottolineando i momenti più importanti della sua vita, inserendoli e facendoli partecipi, in tal modo, degli stessi ritmi di vita di Dio.

 

Tali celebrazioni, inoltre, trovano la loro espressione attraverso vari Codici comunicativi, come la parola, il canto, la musica, i gesti e i segni, lo spazio, i silenzi e i luoghi della celebrazione. Questi creano la cornice espressiva del mistero che si compie e in cui il credente è coinvolto e interpellato dall'azione stessa di Dio.

 

Ma ogni azione celebrativa ha anche i suoi attori specifici, che si esprimono attraverso i vari Ministeri e servizi, come quello del presidente dell'assemblea, i diaconi, gli accoliti, i lettori, i cantori, chi raccoglie le offerte, si occupa della cura dell'ambiente o chi dirige il corretto compiersi dell'azione sacra.

 

Il compito dell'animazione liturgica

 

In un'epoca di smarrimento dei valori cristiani, è importante riscoprire il proprio essere cristiani come coloro che si ritrovano alla domenica intorno alla Parola e al Pane. E' importante, quindi, in una parrocchia riconoscere e evidenziare i vari ministeri finalizzati all'animazione liturgica.

 

Quali sono, pertanto, i compiti di tale animazione? Potremmo individuarne di due tipi: una animazione ordinaria e una più articolata. Quanto alla prima, essa richiede un dispiegamento minimo di forze. Basta, quindi, un lettore, uno che intoni i canti e uno che raccolga le offerte. Quanto alla seconda, come nel caso del Triduo pasquale, la Pasqua, il Natale, le cresime, le comunioni, ecc., la questione si complica poiché serve decisamente uno schieramento di persone più numeroso, che abbiano acquisito un minimo di preparazione adeguata all'occasione; e una serie di specifici preparativi di contorno perché l'azione liturgica risalti al meglio. Serve, pertanto, una programmazione, in cui bisogna scandire bene i tempi di intervento, stabilire le cose e i movimenti necessari al compiersi dell'azione liturgica, ecc. Una programmazione che serve per togliere l'ingenuità dello spontaneismo e dell'improvvisazione, che rischia di far cadere tutto nel ridicolo e nel disordine.

 

E' buona cosa, poi, al termine della celebrazione compiere una verifica, una sorta di esame di coscienza, per verificare il buon andamento della celebrazione. Ciò produce una maggiore sensibilità e acuisce l'attenzione per le altre celebrazioni.

 

Tre, dunque, i tempi richiesti e opportuni: programmare le celebrazioni; ciò comporta sapere quale tipo di chiesa ho davanti e devo realizzare perché l'assemblea si esprima al meglio; coordinare e attuare in modo armonico i vari interventi, la cui finalità è dare risalto alla chiesa che deve apparire e celebrarsi; ed infine verificare e vigilare sul modo comunitario di vivere la celebrazione, sul come si è compiuta la celebrazione e se da questa è apparsa la vera anima di quella comunità.

 

Vediamo, ora, quando e quanto programmare? Tre sono i livelli di programmazione e di animazione: annuale, periodica (tempi dell'anno liturgico), settimanale.

 

Buona cosa è che il Gruppo liturgico stenda una programmazione annuale, che consente, da un lato, uno sguardo d'insieme alla celebrazione dell'unico mistero; dall'altro evidenzia i momenti forti che scandiscono l'anno liturgico, così che ogni evento sia per tempo individuato e consenta di lanciare dei messaggi di preparazione alla comunità.

 

Un momento particole potrebbero essere i funerali: come immaginarli, come celebrarli, quale messaggio lanciare alla comunità.

 

Quanto alla programmazione periodica essa è incentrata in particola modo sui tempi forti dell'anno liturgico, come l'avvento o la quaresima. Come organizzarli, quale messaggio lanciare, quali segni o gesti evidenziare su cui attirare l'attenzione.

 

La programmazione settimanale, infine, risulta essere il più difficile, perché richiede un impegno costante e ripetitivo a breve tempo. In tal caso, meglio avere più gruppi (uno per settimana) a cui affidare l'animazione liturgica domenicale.

 

Il soggetto ministeriale dell'animazione liturgica

 

Il Messale Romano nella sua introduzione esorta affinché la preparazione pratica di ogni azione liturgica trovi una comune intesa corale tra tutti i partecipanti, sotto la direzione del Rettore della chiesa. Benché sia di fatto pressoché impossibile praticare tale esortazione, che porterebbe all'immobilità di ogni liturgia, tuttavia è pregevole l'intento che anima tale esortazione: la celebrazione non è mai un fatto privato o di competenza del prete, ma deve coinvolgere l'intera comunità credente e celebrante, in cui sono depositati vari carismi e ministeri. Solo in tal modo la celebrazione è comunitaria ed esprime la comunione dei suoi componenti.

 

Tale esortazione, inoltre, sottolinea tre aspetti fondamentali del compiersi dell'azione liturgica: gli aspetti rituali, cioè i vari ministeri liturgici con i loro compiti; aspetti pastorali, che devono pensare al bene spirituale dell'assemblea più che ai propri gusti personali; aspetti musicali, cioè il canto come forma di preghiera e di partecipazione attiva al compiersi dell'azione liturgica; un canto o una musica che devono essere una sorta di commento all'azione celebrativa che si compie in quel momento.

 

Vari sono i ministeri e le funzioni che ogni azione liturgica richiede:

 

·  i ministeri ordinati per il servizio di presidenza;

 

·  i ministeri istituiti (lettorato e accolitato)  per il servizio alla Parola e dell'altare, a cui si possono oggi aggiungere i ministri straordinari della comunione;

 

· la guida del canto, il cui compito è intonare e sostenere il canto dell'assemblea, o di introdurre nuovi canti, mai quello di sostituire l'assemblea.

 

·  la guida della celebrazione, che propone i commenti, aiutando a cogliere i vari momenti celebrativi che scandiscono la celebrazione, ecc.

 

·  altri servizi ancora, utili per la processione offertoriale, la cura della chiesa e della sacrestia, la preparazione della celebrazione e la sua attuazione ordinata, ecc.

 

In questo contesto il Gruppo liturgico può diventare il soggetto della formazione liturgica dell'assemblea, così che la Parola accolta nella fede possa essere celebrata nella sua fecondità e diventi capace di illuminare la vita cristiana sia ecclesiale che personale.

 

Liturgia, vita spirituale, pratiche di pietà  (SC 11-13)

 

Nel corso dei secoli il rapporto tra liturgia e pietà popolare ha assunto forme molto diversificate, a seconda del modo di intendere e di sentire la liturgia e la personale vita spirituale, entrambe condizionate dal contesto storico, culturale e sociale in cui venivano, di volta in volta, a collocarsi.

 

Tale rapporto è caratterizzato dalla maggiore o minore integrazione tra le due forme di vita spirituale, quella ufficiale e istituzionalizzata (la liturgia) e quella, per così dire, privata (lla religiosità popolare).

 

Nei primi secoli le due forme erano sostanzialmente ben integrate se non coincidenti; in seguito cominciò a crearsi una sorta di parallelismo fino ad una dicotomia tra liturgia e spiritualità cristiana.

 

Con l'avvento del Vaticano II si è caldeggiato la riunificazione o, quanto meno, una conformazione delle pie pratiche cristiane con la liturgia, proprio perché questa è sentita dalla Chiesa come "Fons et Culmen" dell'intera vita cristiana e, pertanto, anche la pietà cristiana deve ad essa riferirsi, attingere ed esprimerla.

 

Il Vaticano II ricorda la necessità di questo aggancio tra le due perché la liturgia "è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano" (SC §14).

 

In particolare nei § 11-13 la SC detta le line generali di comportamento:

 

Nel § 11 si evidenzia la necessità delle disposizioni interiori nell'accostarsi alla liturgia, cercando di armonizzare la mente con le parole che si pronunciano e i gesti che si compiono, cooperando in tal modo con la grazia divina. In altri termini si chiede di sintonizzare lo spirito a quanto viene celebrato.

 

Il § 12, nel sottolineare che la vita spirituale non si esaurisce nella celebrazione liturgica, ricorda la necessità che questa si trasformi in una preghiera intima e continua, protratta nel segreto del proprio cuore, così che tutta la nostra vita si trasformi in una liturgia di lode e in un'offerta al Padre.

 

Il § 13 indica la strada che i "pii esercizi" devono tenere: essere, da un lato, conformi alle norme della Chiesa; dall'altro, devono armonizzarsi con la liturgia nel rispetto dei tempi liturgici. Ciò significa che la liturgia rimane il criterio a cui rifarsi, in quanto in essa si celebra e si attua la storia della salvezza, a cui ogni spiritualità deve essere ricondotta e da cui deve promanare.

 

Il compito pastorale

 

Se la liturgia, adeguatamente vissuta, porta a far si che tutta la vita diventi una liturgia di lode e di ringraziamento a Dio, nonché un atto di culto al Padre, costituendosi quale fonte primaria e culmine di ogni vita spirituale, è anche vero che essa non può esaurire tutte le risorse della vita spirituale propria di ogni fedele.

 

Il credente, pur attingendo dalla liturgia il suo alimento spirituale, è chiamato ad incarnare, secondo il sentire proprio, nella propria vita la spiritualità celebrata nella liturgia, adeguandola alla propria vita interiore, secondo un proprio stile personale. Solo in tal modo la liturgia trova una risonanza e una sua continuità nella vita del credente, venendo, per così dire, personalizzata. Tuttavia, tali forme di pietà non devono mai essere sostitutive della liturgia, ma soltanto ad esse complementari.

 

Da ciò derivano alcune indicazioni di tipo pastorale:

 

·    I Pii Esercizi e le pratiche devozionali devono essere conformi alla fede professata e celebrata, evitandone ogni deformazione o sovrapposizione. La pietà personale deve favorire in noi l'incarnazione degli "stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Fil 2,5)

 

·    E', inoltre, opportuno favorire quelle pratiche di pietà che in qualche modo sono una sorta di prolungamento dell'azione liturgica, come, ad es., il culto eucaristico.

 

·    Bisogna, infine, aiutare il credente a comprendere e a partecipare vivamente alla liturgia, far si che essa si prolunghi nella sua vita, poiché soltanto in tal modo la fede celebrata si trasforma in fede vissuta, da cui la pietà cristiana attinge la sua espressione.

 

 

 

PII ESERCIZI E ANNO MARIANO

Tratto da

"Congregazione per il culto divino"

 

 

 

La Congregazione per il culto divino apre le sue considerazioni sui pii esercizi, da attuarsi nell'anno mariano, con una breve premessa, in cui ci si richiama alle indicazione della SC (§ 11-13), la quale prevede che anche i pii esercizi riferiti al culto mariano devono essere in armonia con la liturgia e trarre, in qualche modo ispirazione da essa e nel rispetto dei tempi liturgici; e in particolar modo fondare il culto e la pietà su riferimenti biblici e con agganci liturgici, cercando di evitare le discordanze tra pietà popolare e liturgia, da un lato, e espressioni cultuali mariane in dissonanza con quanto il Concilio insegna sul culto a Maria (LG).

 

Pii esercizi raccomandati dal Magistero

 

Viene caldeggiato che i pii esercizi mariani siano radicati nella Parola di Dio e siano di ispirazione biblica, questo, ovviamente, per evitare una pietà basata su personali interpretazioni e, spesso, di dubbia autenticità. Viene sollecitato un uso della Parola di Dio non di tipo intellettuale, ma popolare, cioè che parli con immediatezza al cuore della gente.

 

Fatta questa breve premessa, la Congregazione passa in esame tutta una serie di preghiere riferite a Maria e che sono caldeggiate dal Magistero, come l'Angelus Domini o la Regina coeli; il santo Rosario; le Litanie delle Vergine; i mesi mariani.

 

L'angelus Domini e, in tempo pasquale, la Regina coeli sono consigliate perché sono preghiere strutturate su base biblica, che ricordano il mistero della nostra redenzione, in cui si coglie la posizione di Maria, come collaboratrice della stessa Redenzione.

 

Anche il Santo Rosario è una preghiera consigliata perché preghiera di impronta biblica, in cui vengono meditati e contemplati i misteri della nostra salvezza, compiutisi in Cristo, e in cui si esalta il ruolo di Maria nella redenzione.

 

Si suggerisce, in determinate occasioni e là dove è possibile, di dare un  carattere celebrativo al Rosario, utilizzando la lettura e la meditazione di passi biblici riguardanti i misteri contemplati; mentre si suggerisce che tali misteri, gaudiosi, dolorosi e gloriosi siano scanditi in determinati giorni della settimana che ricordano il compiersi. Si invita, infine, a non esaltare la preghiera del Rosario al punto tale che altre pratiche di pietà vengano oscurate.

 

Altra forma di preghiera e di culto consigliati sono le Litanie della Vergine, quali espressione di lode e supplica a Maria. Esse possono costituire anche la parte centrale di un incontro di preghiera. Esse sono una serie di titoli riferiti a Maria, idonei a coglierne la natura nel progetto divino e ad esaltarne le qualità teologiche. Si invita, infine, a farne una traduzione teologicamente corretta e letterariamente valida.

 

Quanto ai Mesi mariani si rileva come questi siano sorti indipendentemente dai tempi liturgici, adeguandosi, invece, alle esigenze e al sentire popolare (maggio, settembre, ottobre, novembre). E' buona cosa, comunque, riagganciare questi mesi alla liturgia e al mistero di Cristo, per evitare delle contrapposizioni o delle concorrenze tra Maria e Cristo. La liturgia romana ha già individuato il suo mese mariano: il tempo di Avvento.

 

Valori della religiosità popolare

 

La religiosità popolare manifesta una profonda sete di Dio da parte della gente semplice e umile, che sente Dio come il sostegno e l'aiuto nelle difficoltà della vita quotidiana e predispone e la predispone ad accoglierlo con generosità nella propria vita, riconoscendone la provvidenza e la presenza amorosa. E', quindi, una pietà che rende sensibili al mondo del divino sentito presente e coinvolto nella propria vita.

 

In tale ambito, Maria, colta come madre di Dio e di Cristo, è sentita anche come propria madre a cui si ricorre con filiale disposizione, sentendola vicina nelle difficoltà e nella sofferenza; ma ne vengono celebrate anche con entusiasmo  le feste e le solennità, insorgendo contro chi la offende volgarmente.

 

Evangelizzazione della pietà popolare

 

La pietà popolare, espressione intima e genuina della fede della gente semplice e umile, necessita di essere orientata e fondata sulla Parola di Dio, perché acquisti, in tal modo, forza e vigore spirituali. E' necessario che essa trovi un collegamento con la storia di salvezza, salvaguardandola da scadimenti in espressioni parareligiose, che sanno molto di pratica magica. E' importante che l'immagine di Maria corrisponda a quella fornita dalle Scritture e, in particolare, dai Vangeli, entrando in consonanza al sentire della Chiesa.

 

Orientamento verso la liturgia

 

Inserita nella Parola di Dio, la pietà popolare deve trovare la sua attuazione più naturale nella celebrazione liturgica, proprio perché quella Parola, a cui è legata, viene anche celebrata. Deve essere fatto capire, lentamente e gradualmente, che l'espressione più piena e completa della propria pietà e spiritualità si compie nella celebrazione liturgica, inserendosi, così, nell'alveo del culto ecclesiale. E' necessario, quindi, che i fedeli, sotto la guida dei loro pastori, giungano a creare un fruttuoso connubio tra la loro personale vita di pietà e la liturgia.

 

Dimensione popolare della liturgia

 

Va, infine, dissipato l'equivoco che la liturgia sia una realtà riservata solo ai fedeli particolarmente preparati. Non si dimentichi che il popolo di Dio è un popolo rivestito di un sacerdozio regale ed è nazione santa e stirpe eletta (1Pt 2,9) e che compete a loro il culto divino e non a degli esperti e specialisti. L'intero popolo dei credenti, pertanto, ha il diritto e il dovere di celebrare il mistero di Cristo, di cui è rivestito in virtù del battesimo.

 

 

 

AZIONE PASTORALE E CELEBRAZIONE LITURGICA

 

 

 

Perché una Pastorale liturgica?

 

Se la pastorale è l'azione propria della Chiesa finalizzata ad annunciare Cristo all'uomo, la liturgia è espressione propria di questa pastorale, poiché in essa la comunità celebra questo annuncio e si impegna ad attuarlo nella propria vita. Ma per attuare questa pastorale liturgica, affinché la liturgia sia sempre più colta come luogo di celebrazione e di vita, serve un serio impegno pastorale. La liturgia, pertanto, è pastorale che abbisogna, però, di un'efficace azione pastorale, perché diventi, a sua volta, pastorale incisiva.

 

Lo Spirito e le mediazioni

 

Se la liturgia è il luogo d'incontro di Cristo con l'uomo, va detto che questo incontro non è opera della volontà e delle capacità organizzative umane, ma è frutto dello Spirito che lo consente attraverso gesti, parole, riti. Tale rapporto , quindi, non è diretto, bensì mediato dalla ritualità non sempre immediatamente raggiungibile; per questo è necessario attuare una pastorale liturgica, finalizzata a sensibilizzare il credente al mondo del sacro e ad accedere al mondo del rito e del simbolico.

 

Entrare in tale mondo è necessario non solo per poterlo comprendere, ma anche per potervi partecipare attivamente per poi ricondurlo nell'ambito esistenziale. Non si può ritenere, infatti, sufficiente la celebrazione del sacramento davanti all'assemblea, indipendentemente dalla sua preparazione, contando sull' "ex opere operato", cioè sull'efficacia del sacramento in sé e per sé indipendentemente dalla partecipazione del credente. La potenza di Dio non è in realtà onnipotenza, ma trova un grave limite nel libero consenso dell'uomo.

 

In negativo; in positivo

 

Proprio il ritenere la celebrazione sacramentale, comunque efficace in virtù dell' "ex opere operato" induce a mantenersi entro un certo massimalismo rituale: basta eseguire scrupolosamente i riti prestabiliti dai libri liturgici, e si compie il mistero in cui tutti ne sono coinvolti. Quasi in una sorta di automatica e magica attuazione, senza considerare adeguatamente né il luogo, i tempi, il livello di preparazione dell'assemblea o della sua partecipazione. Si ritiene che, comunque, il risultato è garantito, dimenticando i condizionamenti non solo del rito, ma anche i limiti dell'uomo imposti all'agire di Dio.

 

In positivo, invece, va letta la riforma liturgica conciliare che vede nella liturgia la "fons et culmen" dell'intera vita ecclesiale e di ogni credente. In essa viene celebrata la storia della salvezza che trova il suo vertice nel mistero di Cristo. Tale storia e tale mistero vengono resi presenti in seno alla Chiesa proprio attraverso la celebrazione rituale e liturgica. Tal celebrazione, pertanto, è determinante nella vita della Chiesa e del credente.

 

Il compito e l'azione della liturgia è quella di condurre il credente all'incontro con Cristo, perché poi, quanto celebrato nel culto possa essere espresso nella vita, creando un saldo connubio tra liturgia e vita.

 

Ma una simile liturgia non può dirsi soddisfatta da una mera applicazione di norme liturgiche, poiché la loro perfetta applicazione non garantisce il risultato. Da qui la necessità di introdurre, educare e formare il credente al mondo della liturgia.

 

Pastorale dell'assemblea liturgica

 

Se la celebrazione liturgica è un compiere il mistero, attraverso una gestualità ritualistica accompagnata dalla parola, la pastorale si pone sul livello della pratica. E' necessario, pertanto, individuare i punti su cui concentrare la propria azione pastorale liturgica, che così si possono sintetizzare: a) il senso teologico profondo dell'azione liturgica; b) le situazioni ecclesiali oggi prevalenti; c) il rito come si presenta; progetto, programma e regia.

 

Il senso teologico profondo dell'azione liturgica

 

Con la riforma sia della teologia che della liturgia operata dal Vaticano II si è giunti anche ad un rinnovamento liturgico che, da un lato, comprende la liturgia come la celebrazione della storia della salvezza attuata in Cristo e, quindi, dello stesso mistero di Cristo; dall'altro, legando la liturgia e la sua comprensione teologica alle Scritture, dando un sano fondamento all'agire stesso della Chiesa.

 

Cristologia ed ecclesiologia sono i due pilastri portanti dell'intera liturgia e della sua corretta comprensione teologica.

 

Ma la liturgia, proprio perché celebrata dall'uomo si serve di un linguaggio umano fatto di gesti, simboli, riti, parole che riportano l'agire e il vivere umano all'interno della liturgia. Essa, pertanto, si trova ad un crocevia di scienze umane come l'antropologia, la sociologia, la psicologia, l'ermeneutica e la filosofia, che forniscono e supportano il linguaggio umano al compiersi del mistero di Cristo in mezzo al suo popolo, grazie al quale l'uomo può accedere al mondo del divino, partecipando e beneficiando all'azione salvifica di Cristo.

 

Una liturgia supportata da tale linguaggio squisitamente umano, attraverso cui si esprime, è ingrato anche di raggiungere ogni uomo nel contesto storico in cui si colloca.

 

Le attuali situazioni ecclesiali

 

Spesso nel nostro contesto parrocchiale si procede, ancor oggi, ad una applicazione liturgico-sacramentaria, che non tiene in nessuna o scarsa considerazione il contesto storico-culturale e sociale, in cui tale applicazione avviene. Non ci si è di fatto accorti, in campo di applicazione sacramentale, del netto divario che è venuto a crearsi tra la fede e la pratica sacramentale che, qualora ci sia,non è adeguatamente compresa né supportata da una fede sufficiente, quando questa c'è.

 

Proprio per questa situazione, che è venuta a crearsi nel corso del tempo, è necessario tener presente le diverse tipologie di assemblee che si formano nelle celebrazioni liturgiche, prestando a ciascuna adeguata attenzione: frequenza per età, tipo di cultura e di problematica sociale, questioni locali specifiche, tipo di ambiente, ecc.

 

Importante anche rilevare il tipo di cultura prevalente in un determinato luogo, intendendo per cultura i valori sociali e umani generalmente condivisi in quel luogo. Valori che trovano le loro varianti e il loro diverso modo di essere intesi, a seconda dell'età, del luogo geografico, delle tradizioni proprie del luogo, ecc. Tutto ciò porta al formarsi di assemblee liturgiche del tutto eterogenee e difficilmente compatte. La vecchia tradizione che uniformava il sapere e che ancora non era stata scalzata dai mass media è ormai del tutto tramontata. E' importante, quindi, tener presente la loro effettiva composizione, cercando di diversificare gli interventi pastorali, per quanto possibile.

 

In un contesto simile è facile immaginare anche diversi sono i livelli di fede e di credenza religiosa: si va dal fedele fervente a chi partecipa soltanto spinto da una tradizione, vivendo ai margini della Chiesa.

 

E' da chiedersi, allora, se la liturgia con tutta la complessità della sua ritualità e gestualità sia sufficientemente flessibile per accogliere una così vastissima gamma di situazioni. Forse serve un'adeguata educazione formazione religiosa e liturgica.

 

Il rito

 

Un punto fondamentale della comprensione della liturgia è il rito, in cui si può distinguere l'aspetto teologico, la sua forma espressiva e la sua attuazione "hinc et nunc".

 

Il rito in quanto tale è chiamato a svolgere una duplice funzione: una storico-antropologica, legata al mutare della cultura e, quindi, alla formulazione di sempre nuove comprensioni. Infatti, non va dimenticato che il rito, nella sua forma storico-culturale, parla un linguaggio squisitamente umano; e una di tipo contenutistico-teologico, in cui si parla di mistero che si fa e si dona all'uomo. Si tratta, in buona sostanza, di comprendere quest'ultimo mediante il primo.

 

Va da sé che il rito, proprio per il suo particolare linguaggio simbolico, ha bisogno di essere facilitato nel suo accesso grazie ad una attenta regia, che tenga conto di vari elementi: età, livello culturale, ambiente geografico, ecc. che caratterizzano l'assemblea.

 

La celebrazione del rito, quindi, per poter essere compresa ha bisogno di essere adeguatamente preparata, perché il suo accesso sia facilitato a tutti. C'è, dunque, la necessità di puntare su una duplice preparazione: una di tipo contenutistica e, quindi, teologica, in cui si parla di mistero che si compie e si dona; e un'altra di tipo più formale e applicativa o esecutiva, che deve, però, essere tale da lasciar trasparire da sé il contenuto stesso del rito. Quest'ultimo aspetto deve essere preparato scrupolosamente, perché è proprio attraverso il linguaggio della forma che viene veicolata la comprensione del contenuto.

 

Una pastorale comunitaria

 

Come abbiamo visto, una buona pastorale non si limita ad una buona organizzazione e conduzione del rito, ma comprende anche l'iniziazione al mistero, colto nel dispiegarsi del rito, e il suo prolungamento nella vita quotidiana.

 

La necessità, quindi, di poter accedere al rito e al suo mistero costringe ad una pastorale che tenga conto della situazione concreta della comunità che si ha davanti, nel rispetto della lingua, del repertorio dei canti, del calendario locale e delle tradizioni proprie. Si tratta, quindi, di una pastorale che deve coinvolgere una comunità intera nel suo concreto collocarsi storico-culturale e sociale.

 

 

ASSEMBLEA  LITURGICA

 

 

 

Identità

 

Le azioni liturgiche non sono mai azioni private, ma esse esprimono l'agire del popolo di Dio, convocato attorno alla Parola e al Pane, e in tale agire si manifesta e si compie l'agire della Chiesa intera. In altre termini, la liturgia è il compiersi di un evento che coinvolge sempre l'intera comunità celebrante e, in essa, tutta la Chiesa.

 

E quando si parla di assemblea non si intende mai un semplice insieme di persone, sia pur unite da un unico intento, ma si parla sempre di un insieme di persone convenute attorno alla Parola e al Pane. E' la Parola proclamata e celebrata che costituisce l'assemblea liturgica. Infatti, è proprio attraverso la proclamazione della Parola, effusa sull'assemblea, e la celebrazione del Mistero, che Cristo si rende presente in mezzo all'assemblea e offre se stesso al Padre per mezzo di quell'assemblea in cui si è incarnato. Ogni assemblea, pertanto, non è mai frutto di un buon impegno e organizzazione dei partecipanti, ma è opera di Cristo stesso, che la attua attraverso la potenza del suo Spirito.

 

Non va mai dimenticato che il soggetto primo della celebrazione liturgica, sia essa arricchita di vari ministeri e compiti propri dei singoli ministri, è e rimane sempre l'assemblea. Pertanto, l'attenzione in una celebrazione liturgica non va incentrata sul presidente dell'assemblea, ma spostata sull'assemblea, poiché è proprio questa assemblea presieduta che celebra e non il sacerdote celebrante. In buona sostanza, la celebrazione di una liturgia è sempre e comunque una concelebrazione.

 

Ogni partecipante dell'assemblea, infatti, è insignito dell'ufficio sacerdotale proprio, che è chiamato ad esercitare proprio nel culto liturgico.

 

L'assemblea celebrante nella storia

 

Vediamo come la Chiesa, già fin dal suo nascere nel giorno della Pentecoste, si qualifica come una comunità che, ben radicata nel suo contesto storico-culturale e sociale, è comunità celebrante e come tale si presenta agli occhi del mondo pagano. La lettera di Plinio il giovane, procuratore della Bitinia, scritta a Traiano nel 112 d.C. descrive la piccola comunità dei cristiani come una comunità che si raduna "in un dato giorno, prima dell'aurora, e insieme innalzano un inno a Cristo, come ad un Dio".

 

E' una Chiesa, dunque, che vive in mezzo al mondo, ne condivide le sorti, ma non manca mai di radunarsi per celebrare. E' proprio questo suo radunarsi che li qualifica agli occhi del mondo e garantisce la sua identità e la sua coesione.

 

Assemblea di cristiani e assemblea celebrante, dunque, si identificano e quest'ultima qualifica la prima. Ed è proprio qui che questa assemblea assume lo steso volto di Cristo.

 

Soltanto con il mutare delle condizioni e della posizione della Chiesa all'interno dell'Impero romano, muta anche il suo aspetto: il suo radunarsi diventa sempre più una ritualità cultuale. E' l'epoca questa (IV sec.) in cui la Chiesa si istituzionalizza sempre più, creando al suo interno una dicotomia tra Clero e Laici, i quali scivolano sempre più nell'oblio e vengono ghettizzati ai margini della vita della Chiesa che, invece, si identifica sempre più con l'Istituzione: il Clero.

 

Questa situazione, che si protrae fino ai nostri giorni, porta ad una scristianizzazione e secolarizzazione dei laici cristiani, fino al punto di perdere la loro identità e il loro ruolo sociale.

 

L'assemblea liturgica, pertanto, ridiventa il luogo del ritrovo e del riconoscimento della propria identità e del proprio ruolo credente in seno ad una società ridiventata pagana.

 

Oggi

 

Sparsa, ormai, in mezzo ad una società laica e che tende sempre più a difendere il suo stato di laicità, inteso non solo come elemento di distinzione e di separazione da tutto ciò che è ecclesiale o ecclesiastico, ma anche come negazione del mondo del divino e del sacro, tutta orientata in una dimensione squisitamente orizzontale, la Chiesa si trova in situazioni molto disparate di indifferentismo, di persecuzione, di minoranza, di istituzione privata e quant'altro. Tutto ciò provoca un inevitabile riflesso sui suoi componenti percorsi dalle più svariate condizioni e posizioni all'interno di questa Chiesa e che vanno dal fervente credente, portatore di valori religiosi e cristiani, a chi è totalmente indifferente a tali valori e vive ai margini della Chiesa, in modo larvale, a motivo di una fede che si è spenta totalmente o è semplicemente divenuta un lontano ricordo d'infanzia.

 

Il peso, comunque, di una cultura sempre più laica, cioè pagana, si fa sempre più sentire soprattutto tra chi, vivendo di semplice tradizione cristiana, non ha più la forza di alimentarsi spiritualmente, preso dalle vicende terrene e materialistiche, verso cui è sospinto dalla prevalente cultura atea dominante. Viene così intaccato da quella forma di ateismo che, personalmente giudico la peggiore: Dio? Non mi interessa!

 

Operare pastoralmente in tale situazione diventa sempre più difficile per l'eccessiva eterogeneità delle comunità cristiane, in cui si fonde e si confonde una promiscuità di modi di intendere e di vivere la propria fede e i valori cristiani. Come dunque operare proficuamente in seno a tali comunità eterogenee senza offendere il più debole e senza annoiare chi è saldamente fermo o formato nei valori cristiani?

 

Va rilevato, come primo punto di riflessione, che l'assemblea credente si raduna sempre nel nome di Cristo, a cui ha sempre bisogno di convertirsi e verso cui riorientarsi. C'è sempre una fede da affermare. Ma all'interno di questa necessità di una continua conversione, si pone la questione del rapporto tra fede e sacramenti: sacramenti che sono ancora abbastanza frequentati, ma che non trovano un corrispondente livello di fede, alquanto debole e, spesso, sostituita da una semplice osservanza dettata dalla sola tradizione. Su tale punto non si è ancora giunti ad una presa di posizione, ma si lasciano andare le cose per il loro verso. In tal modo, però, si rischia di svendere il cristianesimo, facendolo andare alla deriva. In attesa di una decisione, l'unica arma non è certo quella della discriminazione, ma della catechizzazione.

 

Un secondo punto di riflessione è che la Chiesa, pur salvaguardando la sua santità ontologica, non è una società di perfetti e di santi, ma una comunità di peccatori, bisognosi di conversione continua. All'interno di tale situazione bisogna sollecitare e puntare sui carismi che lo Spirito non fa mai mancare alla sua Chiesa; ma occorre anche una loro maggiore attenzione e ascolto da parte dell'Istituzione. La Chiesa, comunque, deve vivere in questa sua consapevolezza di essere popolo di santi e peccatori, bisognosi di un continuo perdono e una continua conversione.

 

Un terzo punto, ancora, viene dato dalla natura stessa della Chiesa, che pur divisa e internamente variegata da numerose sfumature e modi di intendere e vivere la fede, tuttavia essa è profondamente unita, in quanto lo è ontologicamente. L'assemblea, radunata intorno all'unico Cristo, Parola e Pane, proclama proprio questa unità e la realizza. Proprio per questo, sul piano storico essa deve impegnarsi perché questa unità ontologica, già in atto e che lei vive come dono, traspaia anche visibilmente su di un piano storico. Ciò che crea la divisione, comunque, non è la diversità, che in sé e per sé, è sinonimo di ricchezza e arricchimento, ma l'inconciliabilità nella diversità, la contrapposizione.

 

Da ultimo, infine, non va mai dimenticato che questa comunità e, di conseguenza, ogni assemblea è sempre gerarchicamente costituita e in essa vivono parimenti ministeri e carismi, che non hanno da contrapporsi, creando divisioni, ma devono integrarsi, poiché ministeri e carismi sono dati dallo Spirito per il bene stesso della Chiesa. La vitalità della Chiesa, pertanto, si mostra proprio nell'esprimersi plurimo dei carismi, coordinati dal ministero.

 

Un agire simbolico

 

L'agire simbolico è proprio dell'assemblea cristiana, liturgicamente radunata, per la celebrazione del mistero. Tale celebrazione si esprime con un linguaggio squisitamente rituale.

 

Tutto il rinnovamento liturgico postconciliare si è giocato sul termine "partecipazione", inteso fino ad allora (periodo preconciliare) come un "assistere" alla celebrazione, i cui titolare era il presbitero. I più volonterosi seguivano sul messalino il sacerdote celebrante. Una celebrazione, comunque, che non competeva all'assemblea.

 

Il periodo postconciliare, riscoperta la natura del cristiano e del valore teologico dell'assemblea liturgicamente radunata, attribuisce al termine "partecipare" un senso attivo di "condividere" o, meglio, di "concelebrare". Nell'ambito della celebrazione l'attenzione si sposta dal sacerdote celebrante all'assemblea: è lei che celebra insieme al sacerdote. E' significativo come, dal Vaticano II in poi, all'interno delle chiese siano sparite le balaustre, che formavano una barriera di divisione tra il presbiterio, luogo riservato ai presbiteri e al cui interno si svolgevano le celebrazioni, e il resto dei fedeli. Ora, tutta la chiesa è un grande presbiterio che abbraccia l'intera assemblea dei fedeli celebranti.

 

Stabilito che è tutta l'assemblea, liturgicamente costituita, a celebrare, è necessario che essa impari a celebrare. Innanzitutto prendendo coscienza della propria dignità sacerdotale e del proprio essere assemblea celebrante. Un secondo passo, è quello di comprendere tutta la simbologia e la ritualità che questa assemblea è chiamata a compiere. Infine, deve prendere coscienza del mistero che lì si compie e che viene celebrato. Deve comprendere e prendere coscienza che la liturgia è lo spazio sacro in cui l'uomo si incontra con Dio e ne rimane totalmente coinvolto.

 

Tutti possono e devono celebrare, ma tutti, però, devono anche imparare a celebrare la liturgia.

 

La religiosità popolare

 

Stabilito che la liturgia è "fons et culmen" della vita della Chiesa, verso cui tutto termina e da cui tutto si diparte; considerato che la liturgia è il luogo della massima espressione della religiosità e spiritualità del popolo di Dio, va anche detto che la liturgia non esaurisce tutta la vita spirituale e il sentimento religioso da cui è animato la comunità credente.

 

Quale rapporto, dunque, esiste tra la celebrazione liturgica, che si esprime nella sua ufficialità di un'assemblea convocata, e altre e diverse forme di espressione della religiosità e della spiritualità?

 

Liturgia ufficiale e forme diverse di espressione religiosa, proprie del popolo e attraverso le quali il popolo esprimeva il proprio sentire religioso e spirituale, si sono nel tempo separate sia per una clericalizzazione del rito e della sua celebrazione, sia per un decadere della cultura religiosa nel popolo, che sconfinava spesso nella superstizione se non nella magia.

 

E' necessario, pertanto, ricondurre queste forme di religiosità popolare all'interno della liturgia, affinché trovino in essa la loro fonte; è necessario che queste si radichino nelle Scritture e da queste siano sostenute. E' necessario, infine, comprendere che queste forme di religiosità celebrano e sono espressione, in ultima analisi, sempre l'identico mistero di Cristo. E così dicasi pure per le devozioni popolari.

 

I mass-media

 

La celebrazione del Mistero e le diverse forme di espressione della religiosità vengono a trovarsi, oggi, in un contesto culturale e sociale segnato profondamente dai mezzi tecnici di comunicazione. Questo comporta un nuovo porsi della celebrazione che, pur muovendosi sempre nell'ambito del chiuso di una chiesa e, quindi, di un luogo sacro, grazie al mezzo tecnico di comunicazione, è proiettata nettamente al di fuori verso un ignoto mondo di destinatari.

 

La celebrazione, pertanto, viene a trovarsi al centro di un'attenzione finora mai conosciuta: da celebrazione sacra passa ad essere anche spettacolo o rappresentazione sacra. Ciò significa che gli attori della celebrazione si trasformano anche, loro malgrado, in attori di uno spettacolo sacro e ciò può portare ad una più o meno conscia modificazione dell'atteggiamento interiore ed esteriore. Il rischio concreto è che la sacralità della celebrazione venga svuotata a favore della spettacolarità e del protagonismo.

 

Essa, infine, è data "in pasto" ad una platea di spettatori totalmente sconosciuti, credenti o atei che siano, di ogni condizione e stato, senza alcuna discrezionalità; e ciò costituisce una comunicazione ambigua, i cui effetti non sono controllabili: si possono avere reazioni positive di fede, ma anche repulsioni blasfeme. Si tratta, infatti, di mettere in piazza, in modo incontrollato e indiscriminato degli atti rituali e, per loro natura, di una sublime sacralità.

 

Ministeri e Servizi

 

La liturgia rispecchia la vita intima della Chiesa e, pertanto, ne rispecchia anche la struttura e le funzioni. Fondamento della Chiesa è Cristo stesso che si esprime in essa per mezzo della ministerialità, mentre lo Spirito la arricchisce e la vitalizza con i carismi.

 

Così pure una celebrazione liturgica esprime la sua vitalità e il suo dinamismo attraverso persone deputate a compiere determinate funzioni proprie all'interno della celebrazione. Senza l'attivazione dei ruoli richiesti dalla dinamismo della celebrazione, questa rimane inerte e l'assemblea si traduce in un gruppo di persone cristianamente poco significativo.

 

Solo con l'attivazione della ministerialità richiesta dalla celebrazione, l'assemblea è liturgicamente costituita e capace, a sua volta, di celebrare. Allora tutto il suo agire e il suo muoversi, il suo ascolto accogliente, i suoi silenzi, il suo canto e la sua preghiera si riempiono di significati sacri e si fanno celebrazione del Mistero. Solo così il Mistero si attua in mezzo all'assemblea e questa ne rimane totalmente avvolta e configurata.

 

Quali, dunque, i ruoli propri della celebrazione?

 

Il Presidente funge da polo catalizzatore dell'intera assemblea e scandisce i tempi e ritmi del mistero. Più di ogni altra figura, egli incarna la figura di Cristo capo della sua Chiesa ed è segno della continuità apostolica.

 

Il Servizio alla Parola prevede che questa sia proclamata in mezzo all'assemblea, effusa in mezzo ad essa. Se accolta essa si incarna in mezzo all'assemblea stessa: è Cristo che viene in mezzo ai suoi e dimora presso di loro, costituendoli assemblea celebrante.

 

Chi proclama, poi, deve possedere le capacità tecniche proprie della proclamazione liturgica ed avere la coscienza del suo ruolo profetico in mezzo all'assemblea. Egli è colui che rende presente in mezzo al suo popolo Cristo stesso.

 

Vi è, poi, il Servizio all'altare o dell'accolitato (da akolouqew: vado dietro, seguo, assisto, servo) che riguarda il portare i doni, il distribuire la comunione, l'assistere nel suo agire il sacerdote celebrante, ecc.

 

Il Servizio vario, come il raccogliere le offerte, il portare la croce, i ceri, il turibolo ed altri oggetti utili alla celebrazione.

 

Il Servizio del canto e musica: il canto fa parte dell'azione rituale, l'accompagna e la commenta. E' un autentico servizio liturgico. La sua funzione è quella di sostenere il canto nell'assemblea, il dirigere il coro, l'introdurre nuovi canti, l'accompagnare con la musica determinati momenti liturgici, lo scegliere i canti appropriati per quella celebrazione.

 

Servizio di cura dell'ambiente della celebrazione: è un servizio importante per rendere accogliente ed efficiente il luogo della celebrazione: pulizia, disposizione delle candele e loro manutenzione, fiori, impianti elettrici, disposizione dei banchi e delle sedie, ecc.

 

Sul piano dei ministeri, essi si suddividono in ordinati (episcopato, presbiterato e diaconato), istituiti (accolitato e lettorato) e di fatto (ministri della comunione e tutti coloro che di fatto esercitano una funzione propria liturgica).

 

Il servizio liturgico, al di là delle competenze proprie, è meglio che sia affidato ai componenti dell'assemblea e non a degli specialisti. Se così fosse, il rischio è che la celebrazione diventi perfetta e impeccabile, ma l'assemblea, soggetto primo della celebrazione, ne verrebbe tagliata fuori.

 

Ogni ministero, poi, ha un suo luogo preciso: la sede centrale per chi presiede, l'ambone per i lettori, il coro per i cantori, ecc.

 

Ruolo e vestito

 

Ogni ministero liturgico ha un suo ruolo che viene riconosciuto anche dal vestito che ricopre la persona. Il vestito, dunque, ha un suo significato e comunica qualcosa. Esso indica un incarico di cui è ricoperta una persona in mezzo all'assemblea e ne esprime il ruolo.

 

L'animazione

 

Il primo attore dell'animazione liturgica è lo Spirito Santo che si esprime attraverso la simbologia della gestualità e del rito. Non si tratta, quindi, di instaurare una nuova figura liturgica che commenti le azioni celebrative, ma gli attori stessi, coscienti del proprio ruolo e animati dalla profonda convinzione di ciò che compiono, diventano i migliori animatori e commentatori dell'azione liturgica e sollecitano l'intera assemblea, coinvolgendola nella celebrazione. Ognun, dunque, deve conoscere bene la prpria parte, viverla profondamente nel suo spirito; solo così egli la potrà esprimere al meglio e comunicarla agli altri.

 

Assemblee domenicali presiedute da laici

 

Una comunità credente che non si ritrova periodicamente insieme per celebrare le lodi e il ringraziamento al suo Signore, è una comunità destinata ad avvizzire e a scomparire.

 

Il fulcro di questo radunarsi è la celebrazione eucaristica domenicale. Ma, purtroppo, non sempre è possibile la presenza del sacerdote. Ecco, pertanto, nascere la figura del laico che presiede l'assemblea domenicale, in genere per una celebrazione della Parola di Dio, che prevede la sua proclamazione, un'omelia, dei canti, salmi, preghiere dei fedeli e la distribuzione della comunione. A ciò, talvolta, si collega la celebrazione della liturgia delle Ore.

 

In tal caso, è meglio affidare la gestione, più che ad una persona, ad un gruppo di persone, magari designate dal vescovo con l'appoggio della comunità. Ovviamente, tale gruppo, fa fronte anche alle esigenze che sorgono nel corso della settimana sia pastorali che liturgiche.

 

La gestione non è mai autocefala, ma si fa sempre riferimento ad un sacerdote con cui tenere i contatti.

 

Una situazione questa che fa scoprire il valore dell'assemblea e dei carismi propri dei credenti.