LE APPARIZIONI NEL VANGELO DI LUCA

un cammino di comprensione del Risorto


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In una mia precedente riflessione, commentando Gv 20,1-10, si era affrontato il tema di come la chiesa primitiva era giunta alla fede nella risurrezione di Gesù. Il titolo significativo della riflessione era “Ma Gesù è veramente risorto? Il racconto di una corsa convulsa alla ricerca di una fede nel Risorto. Come è nata la fede nella risurrezione1. Ora, con questo articolo, si intende completare quello precedente, accentrando la nostra attenzione sul cap.24 di Luca, dove l'autore espone la sua comprensione circa le modalità di presenza del Risorto e sulla sua nuova consistenza corporea. Del resto Giovanni e Luca nei loro racconti di resurrezione, così come nei loro vangeli, hanno molti punti di contatto, benché gli stili siano completamente diversi: narrativo quello lucano, contemplativo e meditativo quello giovanneo.

Il contesto culturale del cap.24

Per poter comprendere il senso del cap.24 è necessario capire la platea dei destinatari a cui Luca rivolge il suo racconto. Si tratta di etnocristiani, convertiti che provenivano dal paganesimo, ma in senso più generale la sua opera era indirizzata al mondo ellenistico, la cui cultura aveva notevoli difficoltà nell'accogliere il concetto di risurrezione. Nel suo “Fedone” Platone evidenzia come il corpo sia d'impedimento nell'avvicinarsi alla verità, una sorta di peso morto, corrotto e corruttore, che ci distoglie da tutto ciò che è sublime e spirituale; mentre vede nella morte l'evento che separa l'anima dal corpo, liberandola in piena purezza verso la verità prima ed ultima. Compito del filosofo e dell'uomo saggio, che vogliono raggiungere la verità è, pertanto, cercare di liberarsi sempre più dalle esigenze, dalle pretese e dalla schiavitù del corpo. Viene nel contempo affrontato anche il problema dell'anima, che secondo la maggior parte degli uomini, al momento della morte del corpo, si dissolve nel nulla: “gli uomini restano alquanto scettici, perché pensano che, una volta separatasi dal corpo, essa non abbia più esistenza alcuna, che anzi si dissolva e perisca nell'istante in cui l'uomo muore(Fed. XIV). Per contro, Platone sostiene che essa non solo era preesistente al corpo, ma proprio per questa sua preesistenza essa è anche immortale e al momento della morte, se non è stata corrotta dal corpo, ponendosi al suo servizio anziché dominarlo e, in qualche modo, respingerlo, essa se ne andrà “verso l'invisibile, verso il divino, l'immortale, l'intelligibile, dove, una volta giunta, sarà felice, libera dall'errore, dalla malvagità, dalla paura, dalle selvagge passioni, da tutti gli altri mali dell'uomo e dove potrà trascorrere tutto il tempo a venire, come si dice a proposito degli iniziati, veramente in compagnia degli dei(Fed. XXIX). Questo, dunque, in buona sostanza, il clima che dominava la cultura della società ellenistica: da un lato, il corpo, destinato a perire, è fonte di appesantimento spirituale e di corruzione tale da poter perdere l'uomo. Saggio, quindi, è colui che lo domina e lo rifugge; dall'altro, l'anima, che per i più è mortale e destinata a svanire con il corpo, mentre per altri essa continua a vivere nell'immortalità divina. Luca con il cap. 24 dovrà dare risposta a questo complesso quadro culturale, che esclude la risurrezione o, se la ammette, la vede soltanto come una mera sopravvivenza dell'anima; mentre per il giudaismo essa è considerata una sorta di riviviscenza, che consente all'uomo di ritornare a vivere sostanzialmente nel modo identico di prima. In questa prospettiva si colloca la diatriba tra Gesù e i Sadducei circa la risurrezione dei morti (Mt 22,23-33; Mc 12,18-27; Lc 20,27-38). Nel mondo ellenistico manca, pertanto il concetto di risurrezione, così che quando Paolo cercherà di parlarne si troverà di fronte alla dura e, nel contempo, buffa situazione dei filosofi epicurei e stoici, che non riescono a capire cosa Paolo stia dicendo, credendo che Gesù e risurrezione fossero due nuove divinità: “Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: <<Che cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano?>>. E altri: <<Sembra essere un annunciatore di divinità straniere>>; poiché annunciava Gesù e la risurrezione>>(At 17,18). Ma allorché spiegò più chiaramente di cosa si trattasse, Paolo venne deriso e lasciato alle sue fantasticherie: “Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: << Ti sentiremo su questo un'altra volta>>(At 17,32). Questo era il quadro culturale in cui Luca si venne a trovare. Come dunque introdurre nel mondo greco il nuovo ed assurdo concetto di risurrezione, cercando di far capire come essa non sia una risuscitazione, una ripresa della vita precedente, ma una nuova realtà in cui l'uomo nella sua interezza è introdotto e fa parte di un nuovo mondo, che proprio la risurrezione di Gesù ha inaugurato; una realtà in cui il corpo non è più come quello di prima, ma trasformato, spiritualizzato; in un certo qual senso assorbito nella dimensione propria dello spirito. Dimostrare tutto ciò sarà compito del cap.24.

Come Luca introduce il nuovo concetto di risurrezione2

Il cap. 24 si presenta come un capolavoro narrativo di Luca che si snoda su quattro quadri delimitati da altrettante inclusioni, dal cambio dei diversi personaggi che li animano, del contesto spaziale, mentre quello temporale rimane immutato, svolgendosi tutto nello stesso giorno. Vi è un crescendo qualitativo dei testimoni: si va dalle donne, ritenute giuridicamente incapaci di testimonianza, ma comunque in grado di riferire quanto è avvenuto; ai due discepoli di Emmaus, in quanto tali, capaci di testimonianza, sia per numero che per sesso; per giungere, infine, al gruppo degli Undici, i testimoni ufficiali su cui fonda l'autenticità e la certezza della fede. Vi è poi un crescendo di tangibilità corporea: si va dalla scoperta della tomba vuota, che denuncia l'assenza del corpo, un'assenza che, tuttavia, ha lasciato dietro di sé delle tracce visibili, ma tutte da interpretare: la pietra rimossa e le bende; si passa poi ad un Gesù straniero e inconoscibile nella sua corporeità fisica, che cammina, dialoga, riprende e rimprovera i due discepoli di Emmaus, ma svanisce nel nulla proprio nel momento in cui sembra fisicamente agguantato. Ciò che rimane di lui sono soltanto delle parole, che infiammano il cuore, e un gesto di condivisione, che rimanda al racconto dell'ultima cena. Una presenza fisica, dunque, ma inafferrabile. Ed infine, una presenza fisica che, invece, si lascia raggiungere ed è esaltata da verbi come “palpare, vedere”, da espressioni grossolane, ma efficaci come “carne ed ossa”; una corporeità dimostrata dal gesto più naturale e fondamentale del suo nutrirsi. Una corporeità che esclude qualsiasi forma di spirito. Vi è, da ultimo, un crescendo dottrinale, che caratterizza l'intero impianto del cap.24, resosi necessario per far comprendere che la risurrezione trova il suo fondamento, al di là dell'evento, di per sé storicamente irraggiungibile, nella stessa Scrittura. Si rende, quindi, necessario un salto qualitativo, non soltanto culturale, ma anche razionale. Nel primo quadro Luca non cerca di spiegare la risurrezione, ma dà un monito ai credenti: “Ricordate come vi parlò quando era ancora in Galilea” (v.6), rimandando in tal modo il discepolo alle parole stesse del Maestro, che devono essere, al di là di ogni sua pretesa, fondative della sua fede. In altri termini la risurrezione non va dimostrata, ma creduta sulla sua parola; nel secondo quadro viene fornita la chiave di lettura della risurrezione: le Scritture, che vanno rilette e ricomprese in chiave cristologica; nel terzo quadro, vi è una ripresa e una sintetizzazione dei temi scritturistici riguardanti la passione, morte e risurrezione di Gesù. In tutti tre i quadri si fa ricorso ad un persistente annuncio kerigmatico, che è fondativo per la fede perché ha per principale contenuto eventi storici ricompresi in chiave teologica e cristologica: dicendo che bisognava che il Figlio dell'uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno(v7); “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso” (vv.19b-20); “Non bisognava che il Cristo soffrisse queste cose ed entrasse nella sua gloria?(v.26); “<<bisogna che siano compiute tutte le cose scritte nella Legge di Mosè e nei profeti e nei salmi su di me>>. Allora aprì la loro mente per comprendere le Scritture. E disse loro che: <<Così è scritto: il Cristo avrebbe sofferto e sarebbe risorto dai morti al terzo giorno; e che sarebbe stato annunciato nel suo nome il pentimento per la remissione dei peccati a tutti i popoli, incominciando da Gerusalemme(vv.44b-47). Annunci kerigmatici con i quali Luca sta già pensando ai suoi Atti degli Apostoli, dove essi risuoneranno in At 2,22-36; 3,13-15.18-26; 4,10-12; 5,30-32; 10,36-43; 13,17-41. Con questi annunci e con la costituzione degli Undici a testimoni (v.48) Luca chiude il suo vangelo, ma nel contempo apre al proseguo di un racconto della storia della salvezza che non termina con Gesù, ma riprende e continua nei suoi discepoli, garantendo la continuità dell'opera salvifica iniziata da Gesù, che ora, in qualità di Risorto, vive ed opera nei suoi e in mezzo ai suoi nella Parola e nel Pane.

Le risposte di Luca agli interrogativi sulla risurrezione

Il rifiuto della corporeità, percepita come elemento di corruzione e di inciampo all'evoluzione spirituale, nonché i dubbi sulla sopravvivenza dell'anima costituiscono dei notevoli ostacoli alla risurrezione, che invece è affermazione della pienezza della corporeità dell'uomo, colto nella sua integrità di anima e corpo, e collocato in una novità di vita fin qui sconosciuta.

Il primo racconto, quello della tomba vuota, inizia con un forte richiamo alla creazione. Si è infatti nel primo giorno della settimana, ai primi albori (v.1a) non solo di un nuovo giorno, ma di una nuova settimana creativa, che inizia con la scoperta di una tomba vuota: il corpo del vecchio Adamo, quello corrotto dal peccato, non c'è più. Con la tomba vuota si chiude il ciclo della prima creazione e se ne inaugura una nuova. Alla pari degli angeli, che riprendono le donne smarrite, Isaia sollecita il popolo, oppresso dall'esilio babilonese, a guardare avanti: “Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa” (Is 43,19); mentre Giovanni dalla sua Apocalisse gli fa il verso: “E Colui che sedeva sul trono disse: <<Ecco, io faccio nuove tutte le cose>>(Ap 21,5a). Il primo segnale che Luca lancia ai suoi lettori è, pertanto, questo: non si tratta di un ritorno in vita del vecchio corpo corrotto, che appesantisce lo spirito, poiché quello non c'è più. Sarà tutta un'altra cosa, una cosa completamente nuova, una cosa che non avete mai visto prima. Certo, sarà sempre un corpo, ma che non riuscirete più a riconoscere nella sua precedente identità. Si tratta di una nuova presenza, di una nuova realtà.

Ed è qui che si inserisce il secondo racconto, quello dei due discepoli di Emmaus. Anch'essi, come le donne, smarriti e delusi perché il loro eroe, quello su cui avevano scommesso tutto, è morto e con lui tutte le loro speranze: “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute(v.21). La loro comprensione di Gesù era squisitamente terrena, per questo quando egli si avvicina a loro nella sua nuova veste di risorto, non lo riconoscono. Essi sono ancora legati ai vecchi schemi ed alle antiche speranze della costituzione di un nuovo regno d'Israele, sovrano e potente, avvolto da un nuovo splendore come ai tempi di Salomone e verso il quale tutte le altre nazioni avrebbero guardato. Una speranza ed un'attesa che troverà ancora una volta la sua eco in At 1,6: “Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: <<Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?>>”. Una speranza ed un'attesa dure a morire e che porteranno Israele a due disastrose guerre di liberazione, la prima del 66-73 e quella successiva del 132-135. Ancora non si era capita la novità di quanto era successo. Essi continuavano a guardare il nuovo evento Gesù da una prospettiva umana, politica e militare, secondo i loro vecchi schemi mentali e non capivano l'esortazione del profeta: “Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”. Da qui il rimprovero di Gesù a ritornare alle Scritture, le uniche in grado a rigenerare la loro mente ed aprirla al mistero divino che stava davanti a loro, ma che non riuscivano a cogliere: “O stolti e tardi di cuore nel credere in tutte le cose che dissero i profeti(v.25). Ma tutto ciò non è ancora sufficiente per i due smarriti discepoli per capire chi avevano di fronte e con chi stavano parlando. Serviva ancora un gesto, un pane spezzato attorno ad un tavolo. Ed ecco, “furono aperti i loro occhi e lo riconobbero ed egli divenne invisibile a loro” (v.31). Fu una folgorazione. Ma ecco, quel corpo scompare, diviene irraggiungibile. Ciò che è rimasto loro di quel corpo furono soltanto le sue parole di vita eterna e un pane spezzato, perché questa vita si trasfondesse nei suoi. Ecco il nuovo corpo di Gesù, la sua nuova presenza, il suo nuovo modo di essere ancora in mezzo ai suoi: Parola e Pane, in cui egli si lascia storicamente raggiungere da ogni credente. Una Parola che rigenera a vita nuova (1Pt 1,23); un Pane che trasfonde l'eternità di Dio nei suoi discepoli (Gv 6,48-51). Ed è questo il secondo messaggio che Luca trasmette agli etnocristiani, così diffidenti verso il Risorto. Si tratta, dunque, di una nuova presenza, di una nuova realtà. Sono questi gli effetti della risurrezione. Non un ritorno all'antico, decaduto e corrotto dal peccato, ma un'evoluzione verso il nuovo, una rigenerazione del credente alla vita eterna, quella che non muore, poiché è la vita stessa di Dio. Il Risorto, dunque, lo si può ancora trovare nella sua novità di vita nella Parola e nel Pane. Grazie a ciò egli è e rimane ancora in mezzo ai suoi.

Ed è a tal punto che Luca inserisce il terzo quadro, il più difficile, perché Luca deve far capire e far accettare agli ellenisti la nuova corporeità del Risorto. Se è vero che Gesù sta in mezzo ai suoi con la Parola e il Pane (v.36b); se è vero che lì si trova la potenza del Risorto, vero è anche che Parola e Pane non sono tutto il Risorto, tutto ciò che è rimasto di lui, una sorta di semplice ricordo. Egli ha anche una sua individualità, una sua nuova identità, non eterea o impercepibile come se fosse uno spirito o un fantasma (v.37), ma concreta, reale, vera. Concetti questi, che Luca esprime con espressioni colorite: “Palpatemi e vedete”, “carne ed ossa”, “mangiare”. Un corpo, quindi, a tutti gli effetti, anzi, non un corpo qualsiasi, ma quello che egli aveva precedentemente. Mostra loro, infatti, le mani e i piedi lacerati dalla crocifissione (v.40). Questo importante particolare, che si ritrova anche in Giovanni, crea una continuità tra il prima e il dopo. Non si tratta, quindi, di un altro corpo, ma proprio quello che essi avevano precedentemente conosciuto. Dove sta, dunque, la novità tra il prima e il dopo? Fin qui Luca, infatti, ha detto che non si tratta di uno spirito, ma che è un corpo reale, concreto, tangibile, capace di nutrirsi come tutti i corpi; anzi è lo stesso corpo di prima. Per dire la novità di questo corpo divinizzato e spiritualizzato, ma non reso spirito, bensì lasciato in tutta la sua consistenza corporea, Luca usa due escamotage che creano una netta frattura tra il presente e il passato di Gesù. Mentre tutti sono intenti ad ascoltare la testimonianza dei due discepoli di Emmaus, Gesù si rende improvvisamente e corporalmente presente in mezzo a loro. La reazione dei discepoli, spaventati ed atterriti, dice tutta la loro sorpresa di quella inaspettata presenza, che si è collocata di prepotenza in mezzo a loro. Erano certamente chiusi in una casa, ma non hanno sentito bussare o chiamare; Gesù non si è fatto largo tra di loro per porsi in mezzo a loro, ma si è imposto a loro, senza che nessuno se ne accorgesse. Come ci è riuscito? Qui Luca lancia un primo messaggio ai suoi: la corporeità di Gesù non obbedisce più alle leggi della storia. Può passare i muri e le porte chiuse; può imporsi davanti a te, all'improvviso, senza preannunciarsi, nel momento che meno ti aspetti. Egli è lì con te e tu non puoi farci nulla. Una presenza che vince ogni resistenza e che non ha più vincoli storici e contro la quale ogni potenza umana è inefficace. Ma non è tutto. Ora Luca fa un ulteriore passo in avanti, poiché “Avvenne che, mentre egli li benediva, si distaccò da loro ed era portato su nel cielo(v.51). Anche qui ci si trova di fronte ad un corpo che vince le forze della terra, che lo vorrebbero vincolato a loro per sempre, lì in una tomba a marcire come tutti; e, invece, ancora una volta, questo corpo vince ogni legge della natura e ogni ragione della fisica: si stacca dalla terra, che non riesce più a trattenerlo perché non le appartiene più. È una sorta di apoteosi divina per la corporeità di quel Gesù morto, ma ora ritornato in vita. Una vita che ha vinto la morte e vince ogni logica propria della storia, a cui non è più vincolata. È sempre lo stesso corpo, ma si è venuta a creare una insanabile frattura tra il prima e il dopo. Luca lascia trasparire che in tutto ciò c'è la potenza di Dio, che ha operato e sta operando in quel corpo. Lo lascia intendere nello spavento provato dai discepoli nel vedere quel corpo (v.37); uno spavento ed un terrore che caratterizzano le teofanie, allorché il divino irrompe nel mondo degli uomini; lo lascia capire in quel passivo teologico “era portato” in cielo, dove si intravvede l'intervento dell'azione di Dio su quell'uomo di nome Gesù, che ora, nella sua interezza e pienezza umana, si trova nel cielo, nella pienezza di Dio. Per questo riconosciuto dai discepoli, prostrati davanti a lui, Dio lui stesso (52a). Il suo corpo, dunque, è reale, vivo e vero e continuerà ad esserlo per sempre perché egli, ora, è il Vivente (v.5b).

Giovanni Lonardi

Note

1L'articolo si può liberamente prelevare al seguente indirizzo: http://digilander.libero.it/longi48/Pasqua%202014.html

2Cfr. G. Rossé, Il Vangelo di Luca, commento esegetico e teologico, ed. Città Nuova Editrice, Roma 1992, III edizione gennaio 2001.