Ma Gesù è veramente risorto?

Il racconto di una corsa convulsa
alla ricerca di una fede nel Risorto.

Come è nata la fede nella risurrezione



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Premessa

La risurrezione costituisce il fondamento imprescindibile non solo della nostra fede, ma anche del nostro essere cristiani. La predicazione di un Gesù non risorto perderebbe ogni valenza salvifica e il suo pensiero posto alla stregua di una qualsiasi ideologia per il riscatto sociale dell'uomo (1Cor 15,14.17). La stessa morte di Gesù sarebbe stata soltanto il sigillo definitivo del suo fallimento storico. Paolo, il grande teologo del Cristo risorto, ne ha compresa l'importanza e cerca di spiegare alla sua comunità di Corinto in che cosa consista la risurrezione e in quale modo gli uomini, malgrado loro, ne siano coinvolti, quali siano i suoi effetti cosmici e il suo ruolo fondamentale nel piano della salvezza (1Cor 15). Noi, in quanto credenti, abbiamo ereditato la plurimillenaria fede nel Risorto, ne comprendiamo l'importanza e nessuno la mette in discussione. Ma chi ci dice che Gesù sia veramente risorto? Nessuno lo ha visto risorgere e nessuna testimonianza ci è pervenuta in tal senso. Anzi, secondo il racconto di Matteo, già fin da allora si era insinuata tra la gente una diceria, che l'evangelista dice ordita dalle autorità giudaiche, secondo la quale sarebbero stati i discepoli a trafugare il corpo di Gesù; una diceria che non si era spenta con il tempo, ma continuava persistente (Mt 28,15b). Una diceria che, comunque, si radicava nello stesso timore espresso dalle autorità giudaiche a Pilato (Mt 27,62-66). Gli stessi discepoli, poi, di fronte al Risorto hanno manifestato tutte le loro perplessità e i loro dubbi su di lui (Mt 28,17; Lc 24,25.36-38; Gv 20,25). Chi ha detto poi che Gesù è risorto? Soltanto degli angeli, che cercavano di spiegare a delle donne terrorizzate, prive di ogni capacità giuridica di testimonianza, come il Gesù che loro cercavano fosse risorto. Quanto è credibile una cosa simile? Gli stessi discepoli, aggiornati nel merito dalle donne, le ritennero deliranti e fuori di testa (Lc 24,11). E forse proprio per questo le donne del racconto marciano, sconvolte, se ne fuggirono via senza dir niente a nessuno (Mc 16,8). Ma allora chi si è inventata la storiella del Gesù risorto, quando gli stessi suoi discepoli non ci hanno creduto? Come è nata dunque la fede nel Risorto?

Nel vangelo giovanneo il racconto della scoperta della tomba vuota (20,1-10) differisce notevolmente dai racconti sinottici, i quali, per attestare la risurrezione di Gesù, fanno intervenire il numinoso. In Giovanni non vi è nulla di simile, ma l'intera vicenda si svolge all'interno di un quadro squisitamente umano e, quindi, legato strettamente alla storia. Non a caso Giovanni è considerato tra gli evangelisti lo storico del gruppo; colui che ha vissuto in prima persona gli eventi (1Gv 1,1-3) e ne dà testimonianza (Gv 21,24). Il suo vangelo, infatti, è da lui stesso definito come una contemplazione del Verbo Incarnato nel suo dispiegarsi storico (1,14). Prenderemo, pertanto, in esame questo racconto, limitandoci a quegli elementi fondamentali che hanno portato la comunità giovannea a credere nel Risorto su basi oggettive e storiche, anche se la risurrezione in se stessa non è storicamente raggiungibile in quanto evento metastorico. Tuttavia dietro di sé ha lasciato delle tracce storiche. Non si tratterà dunque di una esegesi biblica in senso tecnico, ma soltanto di una focalizzazione su alcuni elementi che personalmente ritengo interessanti e importanti, per comprendere in quale modo le prime comunità credenti sono giunte alla fede nel Risorto.

Cinque saranno i passaggi fondamentali del nostro piccolo studio: a) Il quadro storico; b) la scoperta della tomba vuota (20,1-2); c) la ricerca e la riflessione (20,3-7); d) le conclusioni (20,8-10); e) una valutazione di chiusura.

Il quadro storico

Quando Gesù morì in quel modo tragico, i suoi numerosi discepoli1 dovevano essere sconvolti e smarriti, molti anche delusi. Al momento del suo arresto, infatti, i suoi intimi lo abbandonarono, Pietro lo rinnegò più volte, mentre nei pressi della sua croce vi erano soltanto alcune donne; altri, infine, abbandonato il sogno del Regno di Dio, allontanandosi da Gerusalemme, se ne tornarono alle loro case completamente delusi, accompagnati da un senso di frustrazione (Lc 24,13-21); altri ancora, timorosi e sconcertati, se ne stavano rinchiusi in casa (Gv 20,9). Confusione e smarrimento, questi dovevano essere stati i sentimenti prevalenti nei discepoli dopo la morte di Gesù. Matteo e Marco ricorreranno a Zc 13,7b per descrivere la situazione traumatica del dopo Gesù: “Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse” (Mt 26,31; Mc 14,27). Ed è con questo primo segnale che Giovanni apre il suo racconto sulla scoperta della tomba vuota: “Ora, il primo giorno della settimana, Maria Maddalena va alla tomba di mattino, quando c'era ancora buio”. La Maddalena è il simbolo della comunità giovannea2, che di fronte alla morte di Gesù si muove ancora nel buio, non sa darsene ancora una ragione, ancora non capisce cosa sia successo. Ed ecco il secondo segnale: l'intero racconto è disseminato di verbi di movimento, che indicano l'agitazione in cui tale comunità era caduta. Il loro rapido susseguirsi denuncia l'ansioso, inquieto e frenetico dinamismo della chiesa nascente che, disorientata, cerca affannosamente di trovare un punto di appiglio per capire qualcosa di quanto le è successo (passione e morte di Gesù) e le sta succedendo (la lenta, graduale e difficile scoperta della risurrezione). Si inizia con un significativo verbo di moto: "Uscì", poi, "si recarono", "correvano assieme", "corse più veloce", "giunse per primo", "non entrò", "giunse anche Pietro", "lo seguiva", "entrò", “se ne tornarono”. Indicano un dinamismo convulso, confuso e incerto, che ben rispecchia il sentire delle prime comunità credenti. La corsa convulsa mette a confronto Pietro e il Discepolo Prediletto, che certo non dice rivalità, poiché essi "correvano assieme tutti e due". È, dunque, una corsa fatta in comunione e non in rivalità. Essa esprime la corsa verso la comprensione del Mistero che li sta turbando e li ha gettati in una profonda angoscia (era, infatti, ancora buio). Qui viene messa a confronto soltanto la capacità di comprensione da parte della chiesa primitiva: il Discepolo Prediletto, con il suo giungere per primo, diviene la metafora dell'intuizione di ciò che può essere accaduto; egli si ferma però di fronte al mistero della tomba vuota, non entra, poiché l'intuizione non è comprensione, per cui egli "vide le bende per terra", ma non va oltre, si ferma e non entra nel mistero. Il suo vedere è ancora imperfetto e quel "blepei" (= vedere in modo fisico) lo denuncia. Pietro, per contro, con la sua corsa più lenta, arriva più tardi dell'intuitivo Discepolo Prediletto. Egli è figura della capacità ragionativa, indagatrice, più lenta, ma più penetrante che gli consente di entrare nel mistero della tomba vuota. La loro collaborazione, che li univa (correvano insieme), li aiuta nel mettere insieme i pezzi di un quadro ancora confuso e incerto. C'era infatti ancora buio. Questo dunque il quadro storico, del resto facilmente immaginabile, ma comunque qui testimoniato, del tempo immediatamente successivo alla morte di Gesù: smarrimento, confusione, timore, delusione, ricerca di una qualche luce in mezzo al pieno buio della inintelligenza di un Mistero, che stava lì davanti a loro, ma che ancora non riuscivano a cogliere.

La scoperta della tomba vuota (20,1-2)

La scoperta della tomba vuota è riportata da tutti gli evangelisti e gli esegeti ritengono l'episodio storico. Ma cosa pensare di fronte a questo evento inaspettato? I Sinottici mettono la risposta sulle labbra autorevoli, ma anche poco credibili, degli angeli che spiegano come la tomba sia vuota perché Gesù è risorto. Giovanni percorre una strada completamente diversa, quella più realistica e più concreta della storia che vede una comunità credente impegnata in un processo di ricerca storica. Ed ecco la Maddalena, come già detto figura della comunità giovannea, che di fronte all'evento inatteso della tomba vuota dà la sua prima risposta: “Hanno portato via il Signore dalla tomba”. È la cosa più logica, non avendo ancora compenetrato il vero significato di quel posto vuoto: “non sappiamo dove lo hanno posto”. Quel “oÙk o‡damen” (uk oídamen, non sappiamo), che in Giovanni, sia nella sua forma negativa, come in questo caso, che in quella assertiva, ricorre 18 volte, ha a che vedere con la conoscenza del Mistero da parte della comunità giovannea3, che si contrappone al presunto sapere delle autorità giudaiche4. Qui è espresso al negativo, per questo essa ancora non è riuscita a comprendere il senso di quel vuoto. Lo denuncia anche quel suo modo di “vedere” la pietra tolta dalla tomba. Il verbo greco qui usato è “blšpei” (blépei) che indica un vedere fisico; un vedere che non sa andare oltre a ciò che si vede. Vi è quindi una iniziale incapacità di leggere i segni storici lasciati dalla risurrezione. Serve dunque un diverso cammino per penetrare l'evento.

La ricerca e la riflessione (20,3-7)

La pericope 20,3-7 vede la presenza di due autorità: Pietro, a cui fanno riferimento le chiese palestinesi ormai istituzionalizzate; e il Discepolo Prediletto, capo della ancora carismatica comunità giovannea, la quale vede in lui e non in Pietro l'erede naturale di Gesù. È lui infatti l'ultimo degli apostoli e dei testimoni, colui che aveva avuto un particolare legame di affetto con Gesù (Gv 13,23-25) e che dal Crocifisso ricevette la sua eredità spirituale (Gv 19,25-27). Ma qui, come già detto, non c'è rivalità: i due corrono insieme nella ricerca di una risposta alla tomba vuota, che sta coinvolgendo tutti. Cosa è successo? Tutto si gioca su tre elementi fondamentali: i due diversi modi di vedere del Discepolo Prediletto e quello di Pietro. Con il primo compare ancora il verbo “blépei”, il verbo della inintelligenza degli eventi: infatti il Discepolo Prediletto non entra nel Mistero di quel vuoto, si ferma sulla sua soglia; con Pietro, appare un nuovo verbo “qewre‹” (tzeoreî), che significa sempre vedere, ma implica un particolare modo di vedere cioè osservare, esaminare, investigare, valutare, meditare, riflettere. Vi è quindi tra il “blépei” della Maddalena e del Discepolo Prediletto e lo “tzeoreî” di Pietro un salto qualitativo sostanziale. Qui Giovanni dice come la chiesa primitiva abbia cambiato passo e abbia incominciato a sviluppare una ricerca, un'indagine e una riflessione sull'evento della tomba vuota. Oggetto di tali attenzioni sono da un lato “le bende che stavano per terra”, dall'altro il sudario riavvolto in un luogo a parte. Sono proprio questi due oggetti che sono decisivi e che dicono perché la tomba è vuota. Le bende con cui il cadavere era avvolto, ora, sono per terra. Se ci fosse stato un furto di cadavere, come creduto inizialmente dalla Maddalena, perché sciogliere le complicate bende che avvolgevano il cadavere di Gesù con il rischio concreto di essere scoperti; se poi è vero il racconto matteano delle guardie poste a custodia della tomba (Mt 27,62-66), chi mai si sarebbe azzardato ad avvicinarsi ad essa? Perché poi portare via un cadavere nudo, contaminandosi gravemente e rendendosi in tal modo cultualmente impuri? Infine, se ci fosse stato furto di cadavere, che senso avrebbe avuto ripiegare accuratamente il sudario, mettendolo ordinatamente in un luogo in disparte? Tutto questo non quadra con la logica di un furto. Cosa dunque può essere successo? A chi poteva interessare un cadavere, seppur di un controverso ed ambiguo sedicente Rabbi? E perché sottrarlo a quel modo? Qui si fermano le logiche umane della ricerca, che seppur vicina alla verità del Mistero racchiuso in quel vuoto, tuttavia non riesce ancora a trascenderlo. Serve un qualcosa di diverso; serve ora una diversa ricerca.

La conclusione (20,8-10)

Ed ecco, ora, anche il Discepolo Prediletto, preceduto dal “tzeoreî” di Pietro, entra nel Mistero di quel vuoto e, qui, superando Pietro, lasciato al suo “tzeoreî”, “vide e credette”. Un'altra volta torna il verbo vedere, ma questa volta è espresso con “Ðr£w” (oráo), che in Giovanni è il verbo della fede compiuta e finalmente raggiunta. Non a caso questo nuovo ed ultimo vedere è associato al verbo credere. Ma la sua fede, benché ora convinta, ma ancora fondata sulle logiche di una ricerca umana, non ha ancora il carisma della certezza. Serve, dunque, un'ulteriore ricerca perché ciò che è umanamente logico diventi anche divinamente certo. I due discepoli, dunque, se ne tornano a casa in silenzio, senza alcun proclama. Il cammino della fede, lungo e travagliato, è solo agli inizi; esso non è ancora arrivato al punto tale da trasformare questi disorientati testimoni in araldi della fede. Ecco perché i due discepoli, silenziosi, se ne tornano di nuovo a casa. Manca loro ancora un tassello importante: la comprensione delle Scritture (“Non avevano, infatti, ancora compreso le Scritture”), che avrebbe dato loro una definitiva intelligenza del Mistero, di cui furono inconsapevoli testimoni. Ma per questo si dovrà attendere il dono dello Spirito, di quello Spirito che li condurrà alla pienezza della Verità (Gv 16,13) e farà loro esclamare: Si, Cristo è veramente risorto!

Valutazione conclusiva

Dall'insieme fin qui valutato, sia pur necessariamente in modo sintetico, possiamo concludere quanto segue:

  1. La risurrezione, per sua natura, non è un fenomeno storicamente raggiungibile; tuttavia, essa ha lasciato delle tracce storicamente valutabili: una tomba vuota, bende e sudario per terra.

  2. Mentre i Sinottici inseriscono l'annuncio della risurrezione in un contesto teofanico, che dice molto da un punto di vista teologico, ma del tutto irrilevante da un punto di vista umano e storico, per contro, Giovanni perviene alla risurrezione attraverso un processo squisitamente storico e fondato sulla ricerca umana, confortata da quella scritturistica; esso quindi è decisamente più realistico e affidabile di un processo di conoscenza di tipo teofanico; Dio, infatti, parla all'uomo con il suo linguaggio, quello della storia; lo dimostra la stessa incarnazione di suo Figlio.

  3. Questo percorso di conoscenza storico-umano è sintetizzato in tre momenti, significati ciascuno da un verbo che qualifica questo naturale processo di conoscenza: dapprima c'è “blšpw” (blépo), che definisce un vedere che constata, da un punto di vista meramente fisico, l'evento della tomba vuota e che spinge a propendere di primo acchito per il furto di cadavere. Ma la tomba vuota, le bende per terra e il sudario accuratamente ripiegato e posto ordinatamente da parte spinge a porsi degli interrogativi, che fanno scattare la ricerca e una accurata indagine su cui si sviluppano delle riflessioni. Tutto ciò è significato dal verbo “qeworšw” (tzeoréo), che parla di un vedere che va oltre la mera fisicità delle cose. È un vedere che si interroga, riflette e spinge a indagare e a ricercare e che apre, infine, alla chiarezza della comprensione di quanto è successo, espresso, in questa ultima fase di ricerca, dal verbo “Ðr£w” (oráo), che per Giovanni è il verbo della fede e della pienezza della luce.

  4. Questo percorso umano di conoscenza, tuttavia, non è sufficiente per affermare l'evento della risurrezione, che per sua natura, come si è detto sopra, sfugge all'indagine storica. Serve quindi una sorta di imprimatur della stessa natura, che in questo caso viene impresso dalla ricerca scritturistica.

L'insieme di queste considerazioni portano ragionevolmente a pensare che Gesù sia veramente risorto. Ma, considerata la natura della risurrezione, serve anche un salto di qualità, che solo la fede può far fare. Si tratta, in ultima analisi, di decidere se accettare o meno un evento, che pur non dimostrabile storicamente secondo i parametri umani propri della prova, tuttavia, lascia ragionevolmente intuire, attraverso degli indizi seriamente soppesati, che tale evento sia realmente accaduto. È necessaria, infatti, una profonda onestà intellettuale per accostarsi alla Verità. Tenendo presente, infine, che per chi crede nessuna prova è necessaria; mentre per chi ha deciso di non credere, qualsiasi prova è insufficiente, anzi inutile.

Giovanni Lonardi

Note

1Quando si parla di discepoli di Gesù si è soliti pensare ai Dodici intimi di Gesù, i maggiori protagonisti dei racconti evangelici. Tuttavia vi sono dei segnali che lasciano intendere come i discepoli fossero in numero ben superiore a quello simbolico di Dodici. Lc 10,1.17 parla di 72 discepoli scelti e inviati da Gesù a compiere una missione; Paolo, scrivendo alla sua comunità di Corinto, ne ricorda un numero di oltre 500 a cui è apparso il Risorto (1Cor 15,6); Giovanni dal canto suo racconta come in quel giorno “molti tra i suoi discepoli” non solo criticarono i duri quanto incomprensibili discorsi di Gesù, ma lo abbandonarono (Gv 6,60.66). Non vanno poi trascurate le numerose folle che fanno da sfondo al lungo peregrinare di Gesù per la Palestina e con le quali Gesù intrattiene spesso un dialogo. Molte di queste i vangeli le dipingono con la caratteristica propria del discepolato. Mt 4,25 ricorda come “Molte folle lo seguirono dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da Oltre il Giordano”. Il verbo qui usato per indicare il seguire Gesù di queste folle è “ºkoloÚqhsan” (ekolútzesan) con cui nei vangeli si indica la sequela dei discepoli. Il verbo infatti non significa soltanto seguire, ma anche mettersi a disposizione, servire. È, infine, lo stesso Gesù matteano che, al sopraggiungere di sua madre e dei suoi fratelli, indica come vera madre e veri fratelli le folle che lo stavano ascoltando (Mt 12,46-50). Le autorità religiose, infatti, temevano proprio queste folle, che con la loro sequela determinavano il successo di Gesù e per questo ne decretano la morte (Gv 11,47-48.53).

2Mentre i Sinottici fanno confluire alla tomba alcune donne, Giovanni si limita alla sola Maddalena alla quale fa dire “non sappiamo”; un verbo questo che in questa sua forma (pres. ind. 1^ pers. pl.) è caratteristico di Giovanni che lo riferisce sovente al sapere o non sapere della sua comunità ed ha sempre attinenza con la conoscenza del Mistero. Per questo, la scelta di una sola donna a cui lega questo caratteristico verbo, fa pensare che la Maddalena sia la raffigurazione simbolica della comunità giovannea. Del resto non è realisticamente pensabile che, all'epoca, una donna si avvii da sola quando ancora c'è buio.

3Cfr. Gv 3,11; 4,42; 9,31; 14,5; 20,.2; 21,24

4Cfr. Gv 3,2; 7,27; 8,52; 9,24.29;