E il Verbo divenne carne e si attendò tra noi,

e contemplammo la sua gloria (Gv 1,14ab)




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Premessa

Alla domanda “Chi è Gesù Cristo?”, il catechismo di S.Pio X rispondeva: “Gesù Cristo è la seconda Persona della santissima Trinità, cioè il Figlio di Dio fatto uomo”. Tutto qui il Mistero dell'incarnazione: la seconda Persona della santissima Trinità che si è fatta carne. Questo è il Natale, che convenzionalmente celebriamo il 25 dicembre di ogni anno. Ma una simile attestazione porta con sé diverse implicazioni. Abbiamo infatti parlato di Figlio di Dio, uno dei tre componenti la Trinità; si è parlato della sua incarnazione; si è accennato al Mistero. Tutto ciò fa sorgere degli interrogativi. Che cosa ha significato per Dio incarnarsi? Quali ripercussioni ha avuto l'incarnazione del Figlio all'interno della Comunità Trinitaria? È tutto come prima oppure in Essa si è prodotta una qualche modificazione sostanziale, a livello ontologico? Dio dunque può mutare? C'è un divenire in Dio? Perché Dio ha deciso di incarnarsi? Era necessaria la sua incarnazione? Che cosa lo ha spinto a farlo? E questa incarnazione come va intesa, in senso statico o dinamico? In altri termini, circoscrivere l'incarnazione del Figlio di Dio a Gesù, avvenuta in un determinato tempo storico, è corretto oppure questa incarnazione ha origini ben più lontane? In quale modo noi ne siamo coinvolti? E quali pretese essa ha verso di noi? Con l'incarnazione del Figlio di Dio la storia dell'uomo ha subito una qualche mutazione, un qualche diverso orientamento, oppure tutto è come prima?

Si è parlato anche di Mistero, la quale cosa sposta subito la nostra attenzione su un qualche progetto divino a noi sconosciuto e per la cui conoscenza si rende necessaria una rivelazione, che soltanto chi viene da Dio e ne conosce le profondità ci può svelare (Gv 3,12-13; 8,42). L'autore della lettera agli Efesini parlando proprio di questo Mistero-Progetto divino dice che Dio “ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto, nella sua benevolenza, aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1,9-10). Vi è dunque un progetto divino che si sta attuando: ricapitolare l'intera creazione in Cristo (1Cor 15,23-28), umanità compresa, per un principio di solidarietà che ci lega ad essa (Gen 6,7.11-13; Rm 8,19-23). In questo Mistero siamo dunque coinvolti anche noi. Ma cosa significa ricapitolare in Cristo? In quale modo questo si attua? Perché si rende necessaria questa ricapitolazione?

Cercheremo di rispondere a questi interrogativi, che ci aiuteranno ad affacciarci sul Mistero attraverso un breve percorso: Natale ed Epifania, aspetti storici; implicazioni trinitarie dell'incarnazione; perché l'incarnazione; che cosa è avvenuto nell'incarnazione.

Natale ed Epifania, aspetti storici

L'incarnazione è l'irrompere del divino nell'umano, perché l'umano diventi divino. Questo processo a livello storico si riscontra nell'inculturazione della fede. Ed è ciò che la Chiesa ha fatto e che dovrebbe fare anche in questa epoca di decadenza. Di fronte ad un paganesimo profondamente radicato nella cultura dell'epoca, la Chiesa non lo ha respinto, ma ha riletto la sua cultura in chiave cristologica. È ciò che è avvenuto per il Natale. Al nascere del Natale hanno contribuito diverse cause. Il 25 dicembre non è certamente la data storica della nascita di Gesù, ma è stata scelta dalla Chiesa di Roma nel tentativo di soppiantare il culto pagano del “Natalis solis invicti”, all'epoca molto diffuso e celebrato con grandi feste nel giorno del solstizio d'inverno. La festa venne così riletta in chiave cristiana considerando la nascita di Gesù come il vero sole nascente che illumina con la sua luce gli uomini (Gv 1,9). Ma un altro evento favorì il diffondersi di questa festa: le grandi eresie cristologiche sulla natura umano-divina di Cristo, sanzionate dai concili di Efeso (431) e Calcedonia (451), soprattutto per opera di s.Leone Magno (440-461), che vide nel Natale l'occasione per celebrare l'umanità di Cristo, affermando così l'autentica dottrina sull'incarnazione.

Le prime notizie sulla festa di Natale si hanno intorno all'anno 336 a Roma dove veniva celebrata il 25 dicembre. Da s.Agostino veniamo a sapere che anche in Africa, sempre all'incirca nella stessa epoca, veniva celebrata la festa del Natale il 25 dicembre. Verso la fine del IV sec. la festa era ormai ben consolidata nel nord Italia e in Spagna. Sempre nello stesso periodo e alla stessa data, come si apprende da un discorso di s.Giovanni Crisostomo, essa veniva celebrata anche ad Antiochia, come festa venuta da Roma.

Similmente l'Epifania, sorta sostanzialmente per le stesse motivazione per cui si affermò il Natale, fa la sua comparsa già nel II sec. come festa cristiana celebrata il 6 febbraio dalle sette gnostiche, con la quale si commemorava il battesimo di Gesù. Ma è soltanto intorno alla seconda metà del IV sec. che si hanno notizie certe sulla festa ortodossa dell'Epifania, che celebrava la venuta del Signore, ossia la sua nascita umana e la sua perfetta incarnazione. Già al tempo di s.Giovanni Crisostomo (circa 350-407) la festa si celebrava ad Antiochia e in Egitto come festa della nascita e del battesimo di Gesù. Quando la festa è entrata in Occidente ha cambiato di significato diventando la festa della manifestazione di Cristo ai popoli pagani.

Il termine Epifania nel mondo greco indicava la venuta del re o dell'imperatore, ma nel contempo essa designava l'apparizione di qualche divinità o il suo manifestarsi in qualche evento portentoso. Per questo in Oriente la nascita di Gesù viene chiamata epifania, cioè l'apparizione di Dio nella carne. Benché sostanzialmente Natale ed Epifania dicano la stessa cosa, tuttavia queste due feste vedono lo stesso evento da due prospettive diverse, che denunciano due tipi di mentalità completamente diversi, benché non contrapposti, ma che comunque hanno creato nel passato, e non solo, notevoli problemi di comprensione tra la Chiesa d'Oriente e quella d'Occidente. Il Natale, da una prospettiva pragmatica caratteristica dell'Occidente, parla dell'entrata di Dio nella storia attraverso l'utero di una donna (Gal 4,4-5) sottolineando con durezza ed asprezza la carnalità del Dio fattosi uomo, benché addolcita dal dogma della verginità, incentrando l'attenzione sulla corporeità del Figlio di Dio. L'Epifania, per contro, da una prospettiva contemplativa più confacente al mondo orientale, medita il disvelarsi di Dio nella storia dell'uomo. Essa contempla il Mistero di Dio che si fa uomo. Non è un caso se il Vangelo di Giovanni, scritto ad Efeso, sottolinea proprio questo aspetto dell'incarnazione del Logos: “E la Parola divenne carne e si attendò tra noi, e contemplammo la sua gloria, gloria come unigenito da Padre, piena di grazia e di verità” (Gv 1, b14). Il vangelo giovanneo dunque è una contemplazione di questo Logos nel suo disvelarsi storico, per cui i miracoli perdono la valenza di potenza divina che irrompe nella storia, concetto questo proprio dei Sinottici, per assumere quella di “Segni”, che diventano simboli del disvelarsi della gloria divina in mezzo agli uomini (Gv 2,11).

Implicazioni trinitarie dell'incarnazione

La Trinità, formata da Padre, Figlio e Spirito Santo, definisce una Comunità divina, che pur nella sua pluralità convive nell'unica divinità. Un profondo legame, a livello ontologico, delinea l'identità dei Tre, che pur distinti, coabitano in una inscindibile e interdipendente comunione di vita. Filippo, che sollecita Gesù a mostrargli il Padre, si sente rispondere “Sono con voi da tanto tempo e non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre; come tu dici: “mostraci il Padre”? Non credi che io (sono) nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico non (le) dico da me stesso, ma il Padre che rimane in me compie le sue opere. Credetemi che io (sono) nel Padre e il Padre (è) in me; se no, credete(lo) per le stesse opere” (Gv 14,9-11). Vi è dunque una profonda comunione che si fa reciproca compenetrazione, in cui il vivere e l'operare dell'uno si riflette e si attua nello stesso vivere e operare dell'altro, così da formare una cosa sola pur nella diversità (Gv 10,30; 17,11.21.22). Questa comunione e questa compresenza trinitaria in Gesù trova la sua testimonianza nel racconto del battesimo in cui la voce del Padre indica in Gesù il suo Figlio prediletto su cui scende lo Spirito Santo (Mt 3,16-17). La missione di Gesù è dunque una missione trinitaria, il suo operare e il suo annunciare sono trinitari, così come il suo incarnarsi assume nel racconto lucano netti profili trinitari: “Le rispose l'angelo: <<Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio>>” (Lc 1,35). La profonda intercompenetrante comunione che lega i Tre così da farne una cosa sola fa sì che l'incarnazione del Figlio incida profondamente sulla stessa struttura trinitaria. Non c'è più il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma ad un certo punto, definito dalla storia, vi fu il Padre, il Figlio corporeizzato Gesù e lo Spirito Santo. L'esperienza umana del Figlio-Gesù diviene esperienza dell'intera Trinità, che vive l'umanità corrotta e degradata dal peccato nell'assunzione di questa da parte del Figlio; così come ora vive e per sempre vivrà la corporeità redenta e riscattata del Figlio. Ma non è tutto. Il Gesù giovanneo, rispondendo alle folle lì presenti, dice loro: “e io, quando sarò elevato da terra, trarrò tutti a me stesso” (Gv 12,32). Sulla stessa linea si muove l'autore della lettera ai Colossesi: “Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!” (Col 3,3). Del resto è lo stesso disegno del Padre che prevede la ricapitolazione dell'intera creazione in Cristo, in cui ci ha collocati ancor prima della creazione del mondo, realizzando questo suo progetto attraverso il sangue di suo Figlio (Ef 1,4-7.9-10). Nel Gesù morto e risorto dunque vi è presente l'intera umanità e con lei l'intera creazione, per un principio di solidarietà che le lega inscindibilmente. In tal modo la struttura della Trinità ora si presenta come Padre, Figlio corporeizzato Gesù, in cui siamo assunti in lui già fin d'ora anche noi, e lo Spirito Santo. In tal modo noi viviamo fin d'ora inseriti nel ciclo vitale di amore della stessa Trinità, per Cristo, in Cristo e con Cristo, grazie al quale noi condividiamo la sua stessa paternità divina (Gv 20,17b), essendo stati resi figli nel Figlio (Gal 4,4-7). Del resto che qualcosa fosse cambiato all'interno della Trinità lo ha lasciato intuire lo stesso Giovanni nel suo prologo, dove, dopo aver presentato la coeternità divina del Logos con il Padre e quindi la loro consustanzialità (Gv 1,1-2), al v.1,14a attesta come quel Logos là “s¦rx ™gšneto” (sàrx eghéneto, divenne carne). Si è dunque prodotto un divenire in Dio, un mutamento, che lo ha cambiato per sempre. La Trinità è diventata ciò che prima non era. Il Motore Immobile di aristotelica memoria viene qui frantumato per farsi il Dio con noi e per noi.

Perché l'incarnazione?

Si è visto come l'incarnazione del Figlio ha prodotto un mutamento nel ciclo relazionale trinitario, che nel Figlio divenuto carne (Gv 1,14a), ricomprende ora anche l'umanità credente e l'intera creazione (Ef 1,4.9-10; 1Cor 15,28). È da chiedersi che cosa ha spinto Dio a tanto, così da mettere in discussione il suo stesso sistema di vita. La causa fu la colpa originale. Per poter capire che cosa è realmente successo si rende necessario interpretare il linguaggio mitico con cui è stato scritto il racconto della creazione dell'uomo e il dramma che ne è conseguito1 (Gen 2,7-9; 3,1-24). Non si tratta quindi di un'esegesi biblica in senso tradizionale, ma di interpretazione di un mito, inteso come il linguaggio primitivo dell'umanità con cui questa raccontava la sua storia.

Gen 2,7 racconta che “il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente”. L'uomo dunque è tratto dalla polvere per indicare come egli non provenga dal mondo dei puri spiriti, pur essendo stato fatto di poco inferiore agli angeli (Sal 8,6). Su questa materia inerte, la creta, Dio soffiò il suo Spirito, trasformando l'uomo in carne spiritualizzata, rivestita cioè della vita stessa di Dio e a lui appartenente. L'uomo, tuttavia, violando il comando divino, mangiò dell'albero che stava in mezzo al giardino, simbolo della vita stessa di Dio (Ap 2,7; 22,2.14.19). Il mangiare è simbolo dell'aggredire, dell'appropriarsi. In questo infatti è consistita la tentazione del serpente (Gen 3,1-5). L'uomo vistosi simile a Dio tentò di appropriarsi della sua stessa vita. Vi fu dunque una sorta di colpo di stato finito male. Fu così che si accorsero di essere nudi (Gen 3,7a), cioè spogliati della stessa vita di Dio così che da carne spiritualizzata divennero carne despiritualizzata e pertanto soggetta alla sofferenza, al dolore, alla corruzione e alla morte. Un nuovo stato di vita fino ad allora sconosciuto, ma che Dio prospettò loro fin da subito (Gen 3,16-19), non come punizione, ma come conseguenza. Un nuovo stato di vita che venne sottolineato dal rivestimento dell'uomo non più con lo Spirito divino, ma con pelli di animali (Gen 3,21), per dire come il destino dell'uomo sarebbe stato in qualche modo associato a quello degli animali e non più a Dio. Caduto in questa sua drammatica situazione l'uomo non poteva più rimanere nel Paradiso terrestre, simbolo e metafora della vita divina, per cui ne venne cacciato fuori e posto in una diversa dimensione, quella spazio-temporale.

Ma Dio non abbandona l'uomo al suo triste destino e fin da subito gli preannuncia un suo piano di salvataggio (Gen 3,15). Ha così inizio la storia della salvezza, il cui intento è recuperare l'uomo alla sua dimensione primordiale, da cui proviene. Questo piano prevede tre tappe fondamentali: l'incarnazione, la morte, la risurrezione.

Che cosa è avvenuto nell'incarnazione

Le tre tappe fondamentali della storia della salvezza hanno come presupposto irrinunciabile l'Incarnazione di Dio, attraverso cui Dio raggiunge l'uomo nel suo habitat naturale, la storia, gli tende la mano e tenta di riprendere con lui quel dialogo interrotto nel Paradiso terrestre. Ma non è questo l'importante dell'Incarnazione. Ciò che è avvenuto nell'incarnazione è l'assunzione da parte di Dio di una carne corrotta e degradata dalla colpa originale; una carne di peccato (2Cor 5,21; Eb 4,15), che Paolo definisce “condizione di schiavo” (Fil 2,7); una carne despiritualizzata, che ciascuno di noi ha ereditato dai propri progenitori (Rm 5,12); un'eredità di morte senza speranze, che Davide canta nel Sal 50: “Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre”. Una colpa quindi che viene passata di padre in figlio, poiché questa colpa non è da considerarsi come un peccato inteso in senso morale, ma uno stato di vita degradato e corrotto, in cui l'intera umanità e l'intera creazione sono precipitate loro malgrado (Rm 8,19-21). Ora Dio si è rivestito della carne del vecchio Adamo e l'ha vissuta in pienezza, sottomettendosi ad essa e accettandone tutte le conseguenze di sofferenza, dolore, morte, disperazione. Ma in quanto Dio, in quella carne egli ha assunto su di sé l'intera umanità e l'intera creazione (Gv 12,32), tutte profondamente segnate dal peccato, perché “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Rm 3,23). Questa incarnazione tuttavia non ha da essere intesa soltanto come un preciso momento storico, quello in cui “allorché venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (Gal 4,4). L'incarnazione intesa come l'entrare di Dio nella storia nell'intento di intrecciare la sua con quella degli uomini ha avuto origini lontane, già a partire dalla creazione del mondo: “Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità” (Rm 1,20). Poi via via nel tempo la Parola si incarnò nelle promesse ai Patriarchi, nell'elezione di Israele, nel dono della Torah, nella voce dei profeti e infine raggiunse il suo vertice in Gesù. Un lungo processo di incarnazione ricordato anche dalla lettera agli Ebrei: “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2a).

Questa carne corrotta e degradata, votata per sua natura alla morte, Gesù l'ha portata sulla croce e lì, con lui e in lui, (mi si passi la sgrammaticatura) l'ha morta. Lo ricorda Paolo alla comunità di Roma: “Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato” (Rm 6,6). Incarnazione dunque in vista della distruzione della vecchia umanità adamitica. Un passaggio essenziale questo per giungere ad una nuova creazione e che anche Paolo ricorda alla sua comunità di Corinto: “Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore” (1Cor 15,36).

Distrutta quindi la vecchia creazione sulla croce, ecco il nascere di una nuova creazione generata dalla potenza dello Spirito (Rm 1,3-4). Nella risurrezione avviene esattamente ciò che è avvenuto nella creazione del primo Adamo, allorché Dio prese della creta e vi insufflò il suo Spirito trasformando quella polvere in un essere vivente, permeato e partecipe della sua stessa vita (Gen 2,7). Nella risurrezione avviene proprio questo passaggio: da carne despiritualizzata a carne spiritualizzata; da carne mortale a carne immortale in cui viene inscritto lo stesso DNA di Dio (1Cor 15,35-45).

Il cammino dell'incarnazione pertanto è il compenetrarsi di Dio nell'umanità decaduta; è un camminare di Dio con l'uomo e per l'uomo con cui Egli dimostra tutta la sua solidarietà rivestendosi come l'uomo di una carne di peccato, ma che porta ora in sé una promessa di vita eterna: “O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,3-9). L'Incarnazione dunque racchiude in se stessa prospettive escatologiche, diventando così l'inizio di un nuovo cammino verso quell'eternità di Dio da cui proveniamo.

                                                                                                                                                                Giovanni Lonardi

Bibliografia

NOTE

1Per una più ampia trattazione e migliore approfondimento cfr. il mio studio “Camminare in Cristo: per una lettura cristiana della vita e delle cose”, scaricabile dal mio sito internet al seguente indirizzo: http://digilander.libero.it/longi48/Per%20un%20cammino%20cristiano.html (pagg.9-15).