La Trasfigurazione

 

(Mc 9, 2-10)

 

 

 

 

 

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Il Testo

 

 

[2]Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro

[3]e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.

[4]E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.

[5]Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: <<Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!>>.

[6]Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.

[7]Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: <<Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!>>.

[8]E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.

[9]Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti.

[10]Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.

 

 

Premessa

 

 

Il vangelo di Marco si presenta come un cammino di fede alla scoperta della vera identità di Gesù, che verrà compreso come Messia (Pietro gli rispose: "Ti sei il Cristo" Mc 8,29) e come Figlio di Dio (Allora il centurione, vistolo spirare in quel modo, disse: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio" Mc 15,39).

 

Il racconto della Trasfigurazione si pone nell'ambito di questo cammino di fede e di comprensione della persona di Gesù.

 

Su richiesta di Gesù chi fosse lui, Pietro e i discepoli lo riconoscono come il Cristo, cioè il Messia, che, secondo l'immaginario e la cultura ebraica del tempo, era l'uomo inviato da Dio per cacciare i nemici di Israele e restaurare gli splendori del glorioso regno di Salomone.

 

Come si vede, un'idea politica e militare di questo messia, un'immagine del tutto umana.

 

Per questo Gesù farà seguire un triplice annuncio della passione (Mc 8,31; 9,30; 10,32), per far comprendere come il progetto di Dio fosse ben diverso, anzi, opposto alle loro attese. Si tratta qui più che di un annuncio, di una vera e propria catechesi sul mistero della sua persona. Marco, infatti, dice: "E incominciò a insegnare come il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire ..." (Mc 8,31). Si noti quel "doveva" che lascia intendere come sotto ci sia un preciso piano di Dio che Gesù è venuto a realizzare proprio nella sofferenza.

 

I discepoli rifiutano decisamente questo concetto di messia, così diverso dalle loro comprensioni e sopratutto dalle loro attese; per questo Gesù li definisce dei "satana", cioè gente che pensa alla maniera umana e non secondo le logiche di Dio (Mc 8,33).

 

Il racconto della Trasfigurazione, quindi, si pone come un particolare momento nell'ambito della catechesi che Gesù rivolge ai suoi discepoli sul mistero della sua persona e sul senso della sua missione.

 

 

Commento

 

 

Dopo sei giorni ... , i sei giorni sono contati dal riconoscimento della messianicità di Gesù da parte di Pietro (Mc 8,29) Si noti che i giorni sono "sei", un numero che sta ad indicare, nella cultura semitica, l'imperfezione; questo per dire che la comprensione dei discepoli sulla vera natura di Gesù, non era ancora giunta a pienezza, perché ancora troppo umana(Mc 8,33).

 

Del resto la comprensione di Gesù doveva essere alquanto difficile per il suo modo sconcertante e inusitato di presentarsi e di porre il proprio messaggio. E se da un lato la gente gli riconosceva un’autorità straordinaria (Mt 7,29; Mc 1,22.27), dall’altro, a partire dai suoi discepoli, molti dubbi e perplessità si agitavano in loro (Mt 28,17; Gv 6, 60.66; 12,37).

 

La trasfigurazione si pone dunque "dopo sei giorni" da quel momento, cioè nel "settimo giorno". Il sette nella cultura semitica indica pienezza. Pertanto la Trasfigurazione diventa per alcuni discepoli il momento di una maggiore, anche se non piena, comprensione del mistero di Gesù. Si è detto "non piena", perché Marco concluderà il suo racconto con l'osservazione sui discepoli che si interrogano su "che cosa volesse dire risuscitare dai morti" (Mc 9,10).

 

Gesù prese con sé ... e li portò sopra un alto monte. "Prendere con sé" significa rendere partecipi, condividere; mentre il "portare sopra un alto monte" indica far comprendere il mistero di Dio. Il monte infatti nell'immaginario degli antichi era la dimora della divinità.

 

In questa prima parte introduttiva del racconto, quindi, Marco mette le carte allo scoperto: quanto segue si tratta di un cammino di fede che renderà partecipi alcuni discepoli alla comprensione del vero mistero di Dio che è Gesù stesso.

 

In un luogo appartato, loro soli; non è, infatti, da tutti comprendere la vera natura di Gesù, ma ciò è dato soltanto a chi sta con lui ed è disposto a lasciarsi portare sul monte da lui. E' lo stare con Gesù e l'affidarsi a lui che consente di comprenderlo nel suo mistero.

 

Si trasfigurò davanti a loro ... Il testo greco dice "fu trasformato". Si tratta di un verbo al passivo che indica l'azione di Dio su Gesù. E' il Padre, quindi, che opera sul Figlio questa trasformazione che, se da un lato rivela chi veramente Gesù è, dall'altro prelude alla sua risurrezione. Le vesti splendenti di un bianco che non ha paragone sulla terra stanno ad indicare la dimensione divina in cui si pone Gesù: egli appartiene al mondo di Dio ed è Dio lui stesso. Le vesti indicano pertanto la natura di chi le porta.

 

E apparve Elia con Mosé ...; Elia e Mosé si pongono di fronte a Gesù come due suoi attributi, che specificano il senso della sua persona. Non ci si deve dimenticare, infatti, che siamo nell'ambito di una rivelazione che consente una particolare comprensione della figura di Gesù. 

 

Elia, come dice il suo stesso nome "El-jhwh" (Jhweh è Dio), è il profeta che tra l' 875-853 a.C. circa, è chiamato ad affermare la signoria di Dio su Israele e in mezzo al suo popolo, sconfiggendo le pretese di Baal e prevalendo su di lui (1Re 18,17-39); mentre Mosè è il capostipite del profetismo ebraico (Dt 34,10), colui che traghetterà Israele dalla schiavitù alla terra promessa; colui che realizzerà, quindi, le promesse che Dio fece ai padri.

 

Gesù, pertanto, è qui rivelato e compreso come colui che è venuto ad affermare il regno di Dio in mezzo agli uomini (Mc 1,15; 11,10; Mt 4,17.23;); come colui che è venuto a creare un movimento escatologico di raccolta degli uomini per condurli verso il Padre (Mt 23,37), cioè l'ultimo tentativo del Padre di raccogliere tutti gli uomini in Gesù per ricondurli nel proprio seno.

 

E come Mosé fu il capostipite del profetismo ebraico, Gesù è visto come la realizzazione piena di questo profetismo: egli è il profeta di cui Mosé parla in Dt 18,15: "Il Signore Dio susciterà per te , in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto". Gesù, dunque, è il profeta escatologico per eccellenza, cioè l'ultimo discorso che Dio fa all'umanità. Pertanto, egli si pone in mezzo all'umanità come elemento di giudizio di fronte al quale l'uomo è chiamato a prendere posizione: "Chi non è con me è contro di me" (Mt 12,30; Lc 11,23). Vie di mezzo o indifferenza non sono ammesse. Infatti, Dio rivolgendosi alla chiesa di Laodicea la riprende duramente: "Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo ... per questo sto per vomitarti dalla mia bocca" (Ap 4,15).

Per questo la voce che esce dalla nube ingiunge a tutti i suoi discepoli di ascoltarlo. Questo "Ascoltatelo!" da un lato definisce Gesù come la Parola del Padre, che si rivela, dall'altro impegna i suoi discepoli a seguire Gesù, che dopo la risurrezione, si fa Parola per noi, l'unico modo che abbiamo per ascoltare ancora la voce del Padre.

 

Facciamo tre tende ... è la proposta di Pietro, che voleva rendere stabile questa situazione di gloria di Gesù. Infatti, per Pietro questo doveva essere il vero messia: un uomo avvolto dallo splendore di Dio che si impone sugli altri. Non ne vuole sapere di una glorificazione che passi attraverso la sconfitta della croce. Ancora, dunque, un'altra volta Pietro sembra non voler capire (non c' peggior sordo di chi non vuol intendere). Ma Gesù lo ha detto chiaro: "Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mc 8,34). Non ci sono altre vie per il cristiano: la gloria della risurrezione sarà sempre segnata dall'ombre della croce.

 

Si formò una nube che li avvolse ... siamo giunti al vertice della rivelazione. La nube sta ad indicare la presenza stessa di Dio (Es 16,10; 19,9; 20,21; 40,34), che avvolge ogni cosa e in cui ogni cosa si muove e vive. Da questa nube esce una voce che indica Gesù come il suo Figlio prediletto. E' la voce del Padre che indica quell'uomo Gesù come suo Figlio, cioè come una persona che fa parte del mondo di Dio, che proviene, per generazione, dallo stesso Padre e che ne conosce, pertanto, i segreti e la volontà (Gv 1,18; 5,19; 8,38). Gesù, quindi, è uno che conosce bene il mondo di Dio e ce ne fa partecipi.

 

Egli è definito come "prediletto", cioè amato. Un amore che nel Padre non esprime un sentimento (in Dio, infatti, non ci sono sentimenti, perché Dio non ha corpo), bensì indica un atteggiamento di totale apertura verso il Figlio, di totale donazione di sé nel Figlio, di totale accoglienza del Figlio nel Padre. Appare, quindi, tra Gesù e il Padre una profonda comunione, una profonda compenetrazione, quasi una osmosi tra i due, di cui Gesù stesso ci dà testimonianza: "Filippo, chi vede me vede il Padre ..." (Gv 14,9-11); "Padre fa che siano una cosa sola come tu sei in me e io in te" (Gc 17,21). Gesù, dunque, è il volto  del Padre nella storia; è lo spazio vitale in cui il Padre non solo si manifesta a noi, ma per mezzo del quale attua il suo piano di salvezza.

 

Non videro più nessuno, se non Gesù: i riflettori e le luci della rivelazione si sono ormai spente e brutalmente i discepoli sono riassorbiti nel duro grigiore della vita quotidiana. Non vedono che l'uomo Gesù, rivestito delle grigie e insignificanti vesti della quotidianità. Ma ora essi sanno chi è veramente lui. Il fulgore travolgente della trasfigurazione è ora sostituito dalla luce della fede, che vede anche le cose che non appaiono.

Essi, ora, scendono dal monte, cioè rientrano nel flusso continuo e tumultuoso della vita dove saranno chiamati, non subito, ma dopo la risurrezione di Gesù, a diventare testimoni della sua gloria e ad annunciare chi veramente è lui.

 

Ordinò loro di non raccontare: torna, qui, il segreto messianico, caratteristico di Marco: la comprensione della figura di Gesù non avviene che dopo un lungo e lento cammino di fede, in cui non c’è niente di miracolistico. La fede è un dono che spinge l'uomo a superare sempre se stesso per porsi sempre dalla parte di Dio e lo aiuta a leggere se stesso, il suo rapporto con gli altri, la storia stessa secondo le prospettive e l'angolatura di Dio. Il resto non conta.

 

Domandandosi che cosa volesse dire ... I discepoli sono reduci da una rivelazione: hanno visto, ma non hanno capito questo gran che. Ci vuole la risurrezione di Gesù perché tutto sia compreso nella sua giusta luce.

 

E', infatti, grazie alla risurrezione che Gesù sarà capito come Messia e come Figlio di Dio; è grazie alla risurrezione se la sua predicazione, la sua opera e la sua figura saranno recuperate e lette come realtà provenienti da Dio e, quindi, normanti per noi; è grazie alla risurrezione se l'uomo è passato dalla dimensione storia allo stesso mondo di Dio.

 

Infatti, dirà Paolo " ... se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede ... e voi siete ancora nei vostri peccati" (1Cor 15, 14.17)