IN PRINCIPIO LA PAROLA

 

Mc 1,1-8

 

Premessa

 

 Scarica PDF

Il vangelo di Marco si apre con un prologo, che comprende i primi tredici versetti e costituisce una sorta di trittico introduttivo al suo racconto:

 

 

·  v. 1: Titolo dell'opera;

 

· vv. 2-8: presentazione della figura di Giovanni Battista, della sua predicazione e attività;

 

·  vv. 9-11: il battesimo di Gesù, che assoggettandosi al rito penitenziale dichiara tutta la sua solidarietà con l'uomo peccatore, condividendone la triste sorte (Fil 2,6-8);

 

·   vv. 12-13: enunciazione delle tentazioni di Gesù.

 

 

Con i vv. 14-15 si apre ufficialmente l'attività missionaria di Gesù, che annuncia il regno di Dio e la necessità di rispondervi con la conversione e con l'adesione di fede, che dice apertura esistenziale a Dio e sua accoglienza nella propria vita, ponendosi in modo incondizionato dalla sua parte, cercando di vedere e di valutare le cose dalla sua prospettiva.

 

 

Il Testo di Marco 1, 1-8

 

 

Il Titolo

 

[1]Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

 

 

La Parola che annuncia ...

 

[2]Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada.

[3]Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri,

 

... e che assume sembianze storiche

 

[4]si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.

 

La risposta alla Parola

 

[5]Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

 

Il confronto tra l’AT e il NT

 

[6]Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico

[7]e predicava: <<Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali.

[8]Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo>>.

 

 

 

Introduzione

 

 

I primi otto versetti formano il primo quadro del trittico e  si suddividono in cinque parti:

 

 

·  v.1 presenta il titolo dell'opera letteraria, che viene definita per la prima volta "vangelo";

 

·   vv.2-3 aprono l'opera con un annuncio scritturistico, tratto, al v.2, dal profeta Malachia (Ml 3,1), che si rifà a sua volta all'Esodo (Es 23,20), e, al v.3, da Isaia (Is 40,3). Vi è qui una sorta di risonanza del vangelo di Giovanni, che si apre con la contemplazione del Verbo (Gv 1,1). Anche per Marco, quindi, all'inizio di tutto ci sta la Parola.

 

·  v.4: ci dà una sintetica presentazione dell'attività e della predicazione del Battista: battesimo e predicazione.

 

·   v.5: ci viene presentata la risposta della gente all'annuncio;

 

·  vv.6-8: ci presentano, da un lato, la figura del Battista; dall'altro pongono un confronto tra lui e Gesù, rilevando una netta superiorità di Gesù su Giovanni. Il confronto delinea anche i due diversi contesti in cui sono posti ed operano i due personaggi, il Battista e Gesù: l'A.T., simboleggiato dall'acqua; e il N.T. qualificato dallo Spirito.

 

 

Questi otto versetti seguono una loro logica narrativa e teologica insieme:

 

 

·         il v.1 annuncia l'oggetto dell'opera, nonché l'attore principale attorno a cui si muoverà l'intero racconto: Gesù, colto nella sua messianicità (Cristo) e nella sua divinità (Figlio di Dio). Si delinea, quindi, fin da subito, un vangelo visto come un cammino alla scoperta della figura storico-umana di Gesù, che ci porterà a cogliere in lui, al di là dell'aspetto umano, la sua vera natura di inviato e di consacrato di Dio, che culminerà nella confessione di Pietro: "Tu sei il Cristo" (Mc 8,29). Il cammino, poi, prosegue, fra difficoltà e incomprensioni, fino a scoprire in Gesù l'altra sua natura nascosta: la sua figliolanza divina, che culminerà nella confessione del centurione: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio" (Mc 15,39).

 

·         I vv. 2-3 agganciano il lettore alle Scritture veterotestamentarie, le uniche allora esistenti; infatti la letteratura neotestamentaria ancora non esisteva ufficialmente e si andava lentamente formando. Si parte, quindi, dalla Parola di Dio, da cui tutto discende e in cui già era contenuto, in qualche modo, l'annuncio dei futuri tempi nuovi, che Marco vede realizzarsi proprio con la venuta di Giovanni, colto come l'annunciato precursore del Messia, l'atteso dalle genti.

 

·         Il v.4 si apre con la presentazione di Giovanni, mentre sta predicando un battesimo di penitenza; quasi a dire che quella Parola scritturistica presentata nei due versetti precedenti, trova in lui la sua attuazione storica. Infatti, il "Giovanni che annuncia" dice proprio questa Parola che ha trovato in lui la sua incarnazione e la sua attuazione storica. La Parola di Dio, sembra dirci Marco, non è una chiacchiera, ma contiene in se stessa un dinamismo salvifico, che interferisce con la storia degli uomini, così che la loro storia viene agganciata a quella di Dio, dando origine ad una comune storia della salvezza.

 

·         Il v.5 diviene, pertanto la logica conseguenza dei versetti precedenti. La Parola di Dio, che diventa evento storico in Giovanni e in Gesù, interpella quanti incontra e li spinge a prendere posizione e a dare una loro risposta esistenziale. E' questo il senso di quel accorrere delle genti verso la Parola annunciata, resasi visibile e, quindi, storicamente coglibile.

 

·         I vv.6-8 chiudono questo primo quadro del trittico presentandoci le modalità con cui questa Parola trova la sua configurazione storica: Giovanni che veste in modo austero e si nutre sobriamente di miele e locuste, quasi ad indicarci, da un lato, le modalità con cui questa Parola si è incarnata (Fil 2,6-8), prendendo dimora in mezzo agli uomini; e dall'altro le modalità con cui essa va accolta. Ma sottolineano anche il salto di qualità che intercorre tra l'AT e il NT. Se nell'AT abbiamo un annuncio di una realtà salvifica futura, qualificandosi in tal modo come un cammino preparatore verso l'Evento culminante, il NT dice l'attuarsi storico di quell'annuncio, così che l'AT trova il suo compimento pieno nel NT (Mt 5,17).

 

 

 

Commento

 

 

Inizio ... si apre così il racconto di Marco su Gesù. L'inizio di cui si parla qui non è soltanto l'inizio di un racconto, ma un "arché", cioè un principio da cui tutto discende. Il termine greco "arché" ci riporta alle origini della creazione: "In principio Dio creò il cielo e la terra" (Gen 1,1) e fu proprio in questo principio, assoluto e unico, che risuonò la parola creatrice: "E Dio disse: <<Sia la luce>>" (Gen 1,3). Da questa Parola tutto discese e tutto fu creato. Non a caso lo stesso vangelo di Giovanni, quasi riprendendo il racconto genesiaco della creazione, si apre nella contemplazione di questa Parola: "In principio era la Parola ... Essa era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lei, e senza di lei niente è stato fatto di tutto ciò che esiste" (Gv 1,1a.2-3).

 

Marco, quindi, vede in Gesù l'inizio di una nuova creazione. Lui è quella Parola eterna del Padre, che possiede in sé un dinamismo capace di rigenerare l'uomo alla stessa vita di Dio (Gv 1,13) e di collocarlo nella sua stessa dimensione (Gv 1,12). Una Parola, che se accolta, inocula nell'uomo lo stesso DNA di Dio, facendolo suo figlio (Gv 1,13).

Si parla qui di una Parola che non è un semplice suono vocale, ma un "Davar", termine ebraico che definisce la Parola di Dio, equiparandola alla azione stessa di Dio. Ebbene, questo Davar Marco lo vede incarnato proprio in Gesù. Lui è l'azione del Padre in mezzo agli uomini; lui è colui che, se accolto, è capace di cambiare l'uomo in Dio; da lui, nella risurrezione, ha origine una nuova creazione; lui è quei cieli nuovi e terra nuova vaticinati da Isaia (Is 65,17; 66,22) e contemplati da Giovanni nell'Apocalisse (Ap 21,1).

Inizio del vangelo, dunque, non di un racconto, ma di una nuova storia, che è stata pensata e progettata dal Padre fin dall'eternità (Ef 1,4) e che trova il suo inizio in Gesù; lui è questo "arché", questo principio unico e assoluto.

... del vangelo: l'inizio di cui si parla è quello di un "vangelo"[1], cioè l'inizio di un annuncio, che Marco definisce "lieto". Quando Marco scrive, tra il 65 e il 70 d.C., il termine "vangelo", così come noi lo intendiamo, ancora non esisteva. Quindi, quando Marco parla di vangelo intende un annuncio, il cui contenuto è Gesù stesso; anzi, Gesù è il vangelo, il lieto annuncio che proviene direttamente dal Padre per dire agli uomini che tra lui e loro è pace fatta proprio in Gesù (Gv 20,19.21.26; Col 1,20.22; Ef 2,14). E' sufficiente che essi credano in lui e lo accolgano nella loro vita (Gv 3,16; Col 1,23). Il Vangelo, quindi, per Marco, così come per Paolo, è soltanto una persona: Gesù, detto il Cristo e creduto Figlio di Dio.

 

... di Gesù Cristo, Figlio di Dio: Marco fin da subito mette in chiaro chi è l'eroe del suo racconto e, quindi, come va letta e compresa la sua figura e, di conseguenza, la sua intera missione. Il suo personaggio è innanzitutto chiamato Gesù, dichiarandone, in tal modo, la dimensione storico-umana: egli è un vero uomo, che si muove ed opera in mezzo agli uomini, intrattenendo con loro reali rapporti umani. Gesù, dunque, non è una realtà metafisica, piovuta dal cielo chissà in quale modo, ma ha profonde radici umane ed è, grazie alla sua umanità, incardinato nella storia, che condivide in ogni suo aspetto con il resto degli altri uomini. In ciò Gesù dimostra tutta la sua solidarietà con il genere umano (Fil 2,7). In tale nome, poi, è racchiuso il senso più vero e profondo della sua missione. In ebraico, infatti, il nome Gesù (Jeshouah) significa "Dio salva"; il lettore, pertanto, è invitato ha cogliere in questo uomo l'azione salvifica di Dio stesso[2].

 

Ed ecco, quindi, che accanto al nome Gesù compare subito l'attributo "Cristo"[3]. Il profeta Natan aveva promesso a Davide (1010-970 a.C.) una discendenza, che avrebbe reso stabile il suo casato e il suo regno (2Sam 7,11-17). Da quel momento il popolo ebreo attendeva questa "discendenza", questo "Unto del Signore", a lui consacrato. Nell'immaginario del popolo le attese erano rivolte ad una sorta di super uomo politico, militare e religioso che avrebbe dato lustro, splendore e stabilità ad Israele sopra tutti gli altri popoli e che avrebbe fondato sulla terra il regno di Dio. Marco vede in Gesù il realizzarsi di questa antica profezia, che supera, però, le ristrette visioni storiche e terrene del popolo. Certo, Gesù è il vero messia atteso dalle genti, ma la sua messianicità non è così come è sempre stata pensata dagli uomini, ma è posta al servizio di Dio e si rivelerà gradualmente nel doloroso cammino verso la croce, che lascerà sbigottiti, increduli e riluttanti tutti i suoi stessi discepoli (Mc 8,29-33). Marco, quindi, vede in Gesù l'Unto di Dio, l'uomo che Dio aveva promesso a Davide e che aveva pensato da sempre per il suo popolo e per l'intera umanità.

 

Capire, quindi, che Gesù è il Cristo atteso è il primo passo per poter accedere all'altra strabiliante e incredibile realtà, presente in lui: egli è anche Figlio di Dio. L'essere "figlio di Dio" era uno dei titoli attribuiti al Messia; era anche un titolo riconosciuto al re, mentre tutti i componenti del popolo dell'alleanza erano chiamati "figli di Dio". Ma Gesù nel corso della sua vita ha saputo dimostrare che il suo essere "Figlio di Dio" aveva radici molto profonde, sconosciute fino ad allora, testimoniando una relazione unica, privilegiata ed esclusiva con Dio, che chiamava "Padre" in senso reale e non metaforico, denunciando, in tal modo la sua vera origine e natura. La gente, infatti, riconoscerà in Gesù un'autorità sconosciuta e decisamente superiore ai loro scribi e farisei ( Mt 7,29; Mc 1,22.27; Lc 4,32.36); si interroga su chi sia mai quel tale, che sa comandare ai venti e alle acque (Mc 4,41). E lo stesso centurione, ai piedi della croce, darà piena testimonianza: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio" (Mc 15,39). Ma sarà soprattutto Dio, che si qualificherà nei confronti di Gesù come suo Padre (Mc 1,11; 9,7).

 

Il vangelo di Marco, quindi, diventa un cammino alla scoperta della vera natura e del vero essere di Gesù. Si parte dalla sua umanità, definita e contenuta nel nome Gesù, per accedere alla sua messianicità, condensata nel titolo di Cristo, per giungere alla scoperta del titolo dei titoli: Figlio di Dio e, quindi, Dio lui stesso.

 

Come sta scritto ... i vv. 2-3 aprono ufficialmente il racconto di Marco. E' significativo come questo vangelo inizi con la citazione di passi scritturistici veterotestamentari. L'evangelista si aggancia all'A.T. e da lì fa ripartire la storia della salvezza. L'A.T., quindi, non è una realtà estranea al credente, un qualcosa che riguarda soltanto gli ebrei, ma dice il tempo di preparazione e di attesa dell'intera umanità credente, che trova il suo compimento in Gesù (Mt 5,17), riconosciuto, qui, come Cristo e Figlio di Dio. Tutta la storia della salvezza, iniziata con la creazione (Gen 1,1ss), è un unico atto salvifico di Dio, che trova il suo vertice e la sua piena realizzazione in Gesù. Alla base di tutto, dunque, ci sta la Scrittura, la Parola creatrice di Dio, che trova nell'Evento Gesù la sua incarnazione e la sua piena manifestazione. Gesù, dunque, è la Parola del Padre che si fa storia, si radica in essa, la condivide e diviene azione redentrice di Dio in mezzo agli uomini.

 

Ecco, io mando ...  benché riferite da Marco ad Isaia, le parole del v.2 sono state prese da Malachia (480-460 a.C.) in 3,1, il cui nome significa "il messaggero". E' significativo come Marco riporti qui le parole di questo profeta che nell'antichità era considerato come il profeta della venuta di Jhwh. Egli richiama duramente lo scetticismo di Israele nei confronti di Dio (Ml 3,13-15) e il lassismo di vita e nel culto, diffuso tra il popolo e gli stessi sacerdoti. Il profeta nel rimproverare il popolo, ne richiama l'attenzione sulla venuta del giorno del Signore, che definisce "rovente come un forno" (Ml 3,19) e come questo giorno sia preceduto dalla venuta del profeta Elia (Ml 3,23).

Con la citazione di questo profeta Marco intende dare una lettura particolare alla persona di Giovanni, associandolo, in qualche modo alla figura e alla profezia di Malacchia. Quindi, per Marco, Giovanni è il messaggero che precede la venuta del Signore, colta come un evento di giudizio, posto sull'uomo peccatore, ed è considerato come il profeta Elia che deve venire (Mt 11,14; Mc 9,13). Per Marco, dunque, siamo giunti agli ultimi tempi, alla resa dei conti[4].

 

Voce di uno che grida ...  qui Marco riporta esattamente le parole del secondo Isaia[5], tratte dal v. 40,3. Israele è in esilio a Babilonia, ha perso il tempio, distrutto dalle armate di Nabucodonosor; ha perso la propria terra, considerata santa e profanata dalla presenza di pagani, stanziatisi in Giudea come coloni. Tutto sembra perduto e le promesse di Dio svanite nel nulla. Ma il profeta alza forte la sua voce e annuncia che vede profilarsi molto vicina la liberazione di Israele, il suo riscatto e la sua redenzione ad opera delle truppe di Ciro, re dei Persiani, cosa che avverrà nel 538 a.C.

Ecco, dunque, l'annuncio: "Nel deserto preparate la via del Signore, appianate nella steppa la strada del nostro Dio" (Is 40,3). E' l'annuncio della liberazione imminente.

 

Ma è proprio in obbedienza a questo versetto che gli Esseni, guidati dal loro Maestro di giustizia, si ritirarono a Qumran intorno al 140 a.C., dove fondarono una sorta di comunità monacale, i cui seguaci si preparavano con rigore di vita a ricevere Dio, che, secondo le loro previsioni, sarebbe venuto entro breve tempo. La comunità aveva assunto toni fortemente escatologici ed apocalittici, tutta protesa verso la venuta del Signore.

 

L'aria che si respira, dunque, in questi versetti citati da Marco, è pregna di attesa e di una forte tensione verso l'imminente venuta di Dio tra il suo popolo, su cui stava per compiersi un giudizio. Da qui la necessità di cambiare vita.

 

Marco, dunque, con queste citazioni introduce il suo lettore in un clima di forte attesa escatologica ed apocalittica, cioè di imminente venuta e manifestazione di Dio, ed offre, inoltre, al suo ascoltatore una chiave di lettura della figura di Giovanni: egli è colui che annuncia la liberazione dell'uomo, il suo riscatto dalla schiavitù del peccato, gli fornisce una nuova identità e lo riconduce nella terra promessa da cui proviene. Una terra che non ha dimensioni storiche o geografiche, ma è il territorio della stessa vita divina, che l'uomo è chiamato a condividere con Dio stesso.

 

Anche Gesù, sull'onda di questa generale attesa messianica ed escatologica, inizierà la sua missione: "..., Gesù si recò nella Galilea, predicando il vangelo di Dio e diceva: <<Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo>>" (Mc 1,14b-15).

 

Si presentò Giovanni ... il verbo greco con cui Marco introduce qui la figura di Giovanni è "eghéneto", che letteralmente significa "ebbe luogo", "si manifestò", "avvenne, accadde". Non si tratta, quindi, di un semplice presentarsi di una persona sulla scena pubblica, ma dell'accadere di un evento che era stato preannunciato dalle Scritture. E' la Parola di Dio che prende forma storica, concreta e visibile e in questa sua concretezza storica convoca attorno a sé gli uomini, li interpella e li spinge a dare la loro risposta con la loro vita. Giovanni, dunque, è l'accadere di questa Parola, ne è la sua attuazione storica. Non a caso Marco, ancor prima di descriverci la persona di Giovanni, cosa che farà soltanto al v. 6, ci presenta un "Giovanni predicante", quasi a dirci che la predicazione di Giovanni è il dispiegarsi storico della Parola dei profeti, cioè di Dio. Marco, infatti, citando Isaia, applica a Giovanni l'appellativo di "Voce", cioè manifestazione della Parola e concretizzazione delle attese. Quindi, per Marco, Giovanni, ancor prima di essere una persona da descrivere, è la Parola che si fa Voce e nella Voce si rivela qui nella storia.

 

La predicazione di Giovanni, tuttavia, non va intesa come "la solita predica moraleggiante", ma è un annuncio che qualifica Giovanni come il precursore dell'atteso Messia. Il verbo greco, infatti, che definisce il "predicare" di Giovanni è "kérisso", che è un verbo tecnico, riferito all'azione propria del banditore, che precede il re, annunciandone la venuta in mezzo al popolo e dichiarandone le volontà. In questa prospettiva va letta la predicazione del Battista.

 

La sua persona, dunque,  è un evento salvifico, che introduce l'umanità nei tempi nuovi, qualificati dalla presenza dello Spirito; traghettandola dal tempo delle attese al tempo escatologico ed apocalittico, cioè nel tempo ultimo, in cui Dio si manifesta nel suo Cristo.

 

Accorreva a lui ...  se Giovanni è il precursore del Cristo e se è l'attuarsi, l'accadere della Parola in mezzo agli uomini, questi non possono ignorarla, poiché questa Parola li interpella e pretende da loro una risposta esistenziale e li invita perentoriamente a prendere posizione. Ecco, quindi, che questo v.5 diventa la risposta e la conclusione logica dei precedenti. Il verbo greco, qui tradotto con "accorreva a lui" è "exeporeùeto pros", un termine composto da due parole "ex" + "poreùeto", che letteralmente significa "usciva fuori", evidenziando, in tal modo, il movimento proprio della conversione: uscire fuori da se stessi per andare verso Dio. Essa trova il suo inizio nella "confessione dei peccati", cioè nel riconoscere la propria fragilità e, quindi, la necessità di cambiamento e di salvezza. Senza questo uscire da se stessi, dai propri egoismi e dalla propria pochezza e senza riconoscersi bisognosi di redenzione, non potrà mai esserci conversione, perché ci mancherebbe la coscienza della nostra povertà.

La conversione, dunque, è la risposta utile, matura e corretta all'apparire della Parola. Abbiamo visto, infatti, come Gesù inizierà la sua missione con un annuncio: "Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo", in cui l'annuncio del Regno è l'evento di salvezza, che viene presentato agli uomini; mentre il convertirsi e il credere al Vangelo è la risposta esistenzialmente corretta a questo ultimo appello, poiché con la venuta di Gesù è incominciato anche il tempo del giudizio di Dio posto sull'uomo.

 

Giovanni era vestito ...  il v.6 introduce la presentazione fisica della persona di Giovanni: vestiva con peli di cammello, portava una cintura ai fianchi e mangiava locuste e miele selvatico. Un modo di portarsi che lascia intravedere uno stile di vita severo, sobrio ed essenziale. Questo è il modo di porsi della Parola in mezzo agli uomini, ma dice anche il modo con cui essa va accolta. Questa sobrietà ed essenzialità richiama gli antichi profeti, a cui Giovanni è qui associato, anzi per la verità, è l'ultimo dei profeti, colui che traghetta l'umanità verso i cieli nuovi e la terra nuova. In modo significativo, infatti, Giovanni, mentre sta con i suoi discepoli, vedendo passare Gesù, lo indica loro come l'Agnello di Dio, invitandoli a seguirlo (Gv 1,35-37). Giovanni, dunque, diventa il ponte tra l'umanità in attesa e l'attuazione storica di queste attese: Gesù.

 

... e predicava:<<Dopo di me ... il v. 6 introduce un confronto tra Gesù e il Battista. Tre sono gli elementi che qualificano questo confronto:

 

·         dopo di me, questa espressione dice come Giovanni sia rimasto legato al suo tempo veterotestamentario, il tempo delle attese non ancora realizzate; un tempo in attesa della sua compiutezza e, quindi, intrinsecamente imperfetto, incapace di dare la salvezza (Rm 7,1-25), che doveva, invece, cercarla e attenderla altrove (Rm 8,1; Gal 5,1). Giovanni, dunque, appartiene a questo mondo imperfetto, ad una religiosità incapace di stabilire un vero e profondo rapporto con Dio e, pertanto, incapace di riscattare il credente (Gal 3,23-25). Mentre Gesù è colui che viene dopo, inaugurando un nuovo e diverso tempo, che dà compimento a quello precedente: quello di Dio, in cui l'uomo è già, in qualche modo, collocato.

·         più forte di me: l'espressione comparativa introduce il confronto tra il Battista e Gesù. L'aggettivo "più forte" è reso con la parola greca "iskiròs" che, riferita al corpo, significa "forte, vigoroso, robusto"; e in senso metaforico va inteso come "potente, autorevole, forte, grande"; tutte definizioni queste attribuibili a Dio. Non a caso, infatti, nell'AT il termine "iskiròs" viene riferito a Dio numerose volte, quale attributo proprio della sua dimensione divina; mentre altre volte l'aggettivo sostituisce il nome stesso di Dio, divenendone sinonimo. E' evidente, dunque, che qui Marco, riferendo il termine "più forte" a Gesù, attribuisce indirettamente a lui caratteristiche divine. Ecco perché Gesù è più forte di Giovanni: perché non c'è paragone che possa reggere tra Dio e l'uomo. Non a caso, infatti, Marco pone questo termine di paragone al centro del v.6.

·          non sono degno: è la logica conseguenza di quanto sopra. Questa espressione denuncia tutta la distanza che intercorre tra il Battista e Gesù, che è la stessa che intercorre tra Dio e l'uomo e rivela l'indegnità dell'uomo nei confronti della santità divina.

 

Io vi ho battezzati ... la profonda distanza che intercorre tra il Battista e Gesù e il significato delle loro persone e delle loro missioni, si riflette ora anche sul diverso significato dei due battesimi.

Il termine "battesimo" deriva dal verbo greco "baptizo", che significa "immergere". Marco, pertanto, qui parla di due "immersioni", l'una nell'acqua e l'altra nello Spirito. La prima è legata a Giovanni (io vi ho battezzati), la seconda è riferita a Gesù (egli vi battezzerà).

L'acqua rappresenta in qualche modo il mondo dell'A.T., a cui Giovanni appartiene. Egli segna il confine e il limite invalicabile di questo mondo, caratterizzato dall'acqua della Legge e delle prescrizioni, in cui il rapporto tra uomo e Dio era fondato su delle regole scritte, sancite dall'Alleanza sinaitica.

Lo Spirito, invece, introduce l'uomo nei tempi nuovi e in uno spazio nuovo, quello di Dio, che si è materializzato in Cristo. Attraverso lo Spirito l'uomo è ricondotto nel mondo di Dio ed è chiamato a parteciparvi fin da subito; anzi, proprio attraverso il battesimo-cresima-eucaristia siamo configurati a Cristo, facciamo già parte di questo mondo e siamo chiamati fin d'ora a conformare il nostro vivere a queste nuove realtà in cui siamo battezzati, cioè immersi.

 

Il confronto, dunque, tra Giovanni e Gesù, tra il suo battesimo e quello di Gesù ci richiama, in qualche modo, Ap 21,1: "E vidi un cielo nuovo e una  terra nuova. Poiché il primo cielo e la prima terra se ne andarono e il mare non c'è più".

 

Si chiude, pertanto, un tempo e se ne apre uno completamente nuovo, che proietta l'uomo e il suo mondo in una nuova e diversa dimensione, qualificata dall'azione dello Spirito, che darà un senso nuovo a tutte le cose e che aiuterà gli uomini a leggerle e a coglierle dalla prospettiva di Dio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]Sul termine "Vangelo" cfr la nota n.4  del commento alla I domenica di avvento.

[2]In tal senso, il Gesù giovanneo porrà una sorta di identità tra lui il Padre, così che le cose che lui dice e compie sono operate direttamente dal Padre per mezzo suo, poiché il Padre e lui sono una cosa sola (Gv 10,38; 12,45.49-50; 14,9-11).

[3]La parola "Cristo" deriva dal greco "kristòs", che significa "unto" ed è la traduzione letterale del termine ebraico "mashiah", da cui il nostro "messia". Quindi, Cristo e Messia sono due parole equivalenti, con l'identico significato.

[4]Si tenga presente che quando Marco scrive il suo vangelo, tra il 65-70 d.C., siamo in piena guerra giudaica e in piena persecuzione contro gli ebrei e i cristiani. Inoltre, è molto vicina, da poco terminata, la dura e crudele persecuzione di Nerone contro i cristiani di Roma (64-66 d.C.), in cui vive la comunità di Marco.

[5]Secondo gli studiosi il libro di Isaia, che comprende 66 capitoli, raccoglie in sé tre autori diversi. Dal cap. 1-39 è il primo e autentico Isaia (740-700 a.C.); il secondo Isaia (550-539 a.C.) è un autore sconosciuto e gli vengono attribuiti i capp. 40-55. Qui siamo in pieno esilio babilonese (597-538 a.C.). Al terzo Isaia (537-520 a.C.), profeta del tutto sconosciuto, sono assegnati i rimanenti capp. 56-66. Qui siamo in epoca postesilica, dal 537 a.C.  in poi.