SECONDA DOMENICA DI AVVENTO 2006

 

Luca 3,1-6

 

Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio

 

 

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Premessa

 

La liturgia della seconda e terza domenica di Avvento dedica la sua attenzione alla figura di Giovanni Battista, che nel racconto lucano occupa i vv. 3,1-20.

 

La struttura narrativa è scandita in cinque parti:

 

  1. I vv. 1-6  presentano la figura di Giovanni incorniciata in un preciso e dettagliato contesto storico politico (v.1) e religioso (v.2a). A differenza di Matteo e di Marco che mettono in rilievo anche il suo aspetto esteriore, che richiama da vicino il portamento proprio dei profeti veterotestamentari[1], dei quali il Battista raccoglie l’eredità, Luca incentra la sua attenzione sul significato teologico della figura di Giovanni.

 

  1. I vv. 7-14 si soffermano a lungo sulla predicazione di Giovanni (vv. 7-9) e sulla risonanza che essa ebbe in mezzo al popolo (vv. 10-14).

 

  1. I vv. 15-17 sono dedicati al confronto delle due figure: quella di Giovanni e quella di Gesù. In tale confronto viene messo in evidenza il significato della missione dei due personaggi e la sostanziale e abissale differenza che li separa. Giovanni è l’ultimo dei profeti veterotestamentari e nella sua persona in qualche modo li riassume e li chiude tutti definitivamente. La figura del Battista funge da  spartiacque tra i due testamenti ed è il punto di convergenza e di chiusura dell’A.T., la cui funzione fu preparatoria alla venuta di Gesù. Non a caso Giovanni viene definito da Luca come colui che camminerà davanti al Signore “con lo spirito e la forza di Elia ... e preparare al Signore un popolo ben disposto” (Lc 1,17.76). Gesù invece sarà colui che raccoglierà l’eredità del Battista e ne darà pieno compimento (Mt 5,17), inaugurando i tempi dello Spirito (Lc 3,16b; 4,1.18-21) e ponendo fine con la sua venuta al tempo dell’attesa. Con Gesù iniziano gli ultimi tempi, quelli escatologici ed apocalittici[2]. Egli infatti è l’ultimo discorso, quello definitivo, che il Padre rivolge all’intera umanità, di fronte al quale ognuno è chiamato a decidersi esistenzialmente: “o con me o contro di me” (Mt 12,20; Lc 11,23). Con la venuta di Gesù dunque è stato posto sull’umanità il giudizio di Dio.

 

  1. Il v. 18 è un sommario dell’attività predicatoria di Giovanni e ne chiude la missione.

 

  1. I vv. 19-20, con l’imprigionamento di Giovanni da parte di Erode, tolgono dalla scena l’ingombrante figura del Battista, che creava delle perplessità nella gente (Lc 3,15), lasciando il palcoscenico completamente libero per Gesù, l'attore principale del racconto lucano.

 

 

LUCA 3, 1-6

 

 

 

Il testo

 

 

[1]Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène,
[2]sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
[3]Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati,
[4]com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
[5]Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati.
[6]Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

 

 

Introduzione

 

Questa pericope, costituita da sei versetti, è a forma concentrica[3]:

 

A)    vv. 1-2a: viene presentato il contesto storico-politico e religioso in cui Luca colloca l’attività di Giovanni;

 

B)    vv. 2b-3: investitura profetica di Giovanni su cui scende la Parola e sintetica presentazione della sua attività predicatoria;

 

A’) vv. 4-6: viene presentato il contesto storico-teologico che offre una lettura squisitamente     

       teologica della figura del Battista.

 

Questo intreccio letterario tra A) e A’) al cui centro si colloca B) ha una sua profonda valenza teologica che ci fornisce la chiave di lettura non solo della figura di Giovanni, ma ci suggerisce anche una teologia della storia. Non va dimenticato, infatti, che Luca si pone quale teologo della storia della salvezza, cioè come colui che sa leggere negli eventi della storia il compiersi del disegno salvifico di Dio[4].

 

L’intrecciarsi di A) con A’) dice l’intrecciarsi della storia umana con quella divina, l’incarnarsi dell’una nell’altra, così da farne un’unica grande storia della salvezza, costruita sull’incontro e sul  dialogo tra l’uomo e Dio. Giovanni si pone al centro di questo intreccio ed è il punto di convergenza e di dialogo delle due storie, la loro concreta attuazione. Non a caso Luca vede in Giovanni l’incarnarsi della Parola: “la Parola di Dio scese su Giovanni” (Lc 3,2b), una sorta di investitura profetica, che richiama in qualche modo quella di Geremia[5] (Ger 1,2).

 

 

 

Il commento a Luca 3, 1-6

 

 

 

 

Nell’anno decimoquinto dell’impero ...   Luca apre il suo racconto evangelico alla maniera degli storici greci utilizzando una formula allora comune, che riscontriamo anche in Flavio Giuseppe[6] in apertura della sua opera “Guerra Giudaica” (BJ I, 1-4), qualificandosi quindi come uno storico che desidera raccontare in modo ordinato i fatti che riguardano la nostra salvezza: “Poiché molti hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, [...] così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti possa render conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto” (Lc 1,1.3-4). La sua fonte primaria circa gli eventi narrati sono i testimoni diretti della missione di Gesù ai quali egli rimane fedele, agganciandosi e rientrando in tal modo nella Tradizione cristiana : “... come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, ...” (Lc 1,2).

Coerente con questi suoi intenti storici Luca apre il cap. 3 con un’ampia e circostanziata cornice storica entro cui collocare gli eventi della salvezza.

 

L’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio[7] è una datazione importante, poiché è l’unica certa che ci consente di datare l’inizio dell’attività pubblica di Gesù. Essa ci colloca come epoca tra il 1° ottobre 27 e il 30 settembre 28 d.C. Entro questo tempo, probabilmente tra ottobre-novembre del 27 Luca pone l’attività predicatoria di Giovanni e l’inizio di quella di Gesù.

 

Il secondo personaggio, appartenente all’Impero romano, è Ponzio Pilato, che fu governatore della Giudea e della Samaria tra il 26 e il 36 d.C. con il titolo di prefetto della Giudea e risiedeva a Cesarea Marittima.

 

Seguono altri tre personaggi appartenenti al mondo politico palestinese: Erode, tetrarca della Galilea, Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide[8], e Lisania, tetrarca dell’Abilene[9].

 

Ed infine Luca cita “i sommi sacerdoti Anna e Caifa”, rappresentanti del mondo religioso giudaico[10].

 

Nel citare questa serie di personaggi Luca compie dei cerchi concentrici: passa dal vasto impero romano, qui rappresentato da Tiberio e Pilato, al più ristretto regno palestinese degli Erode a quello del più piccolo mondo religioso giudaico entro il quale colloca l’evento Giovanni. L’accadere della Parola su Giovanni pertanto viene posta da Luca al centro degli eventi storico-religiosi del suo tempo. In tal modo viene concentrata l’attenzione del lettore su di un evento storico, inizialmente quasi impercettibile, ma che avrà dimensioni universali, che già in qualche modo si preannunciano in quel suo essere posto al centro di un contesto storico universalistico quale fu l’impero romano. Infatti, nella sua seconda opera, gli Atti degli Apostoli, Luca rovescerà questo movimento concentrico, dal grande al piccolo, trasformandolo in eccentrico, dal piccolo al grande, quasi ad indicare l’esplodere improvviso, invasivo e universalmente coinvolgente della salvezza in mezzo agli uomini: “avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Si crea quindi un movimento uguale contrario, dal più al meno e dal meno al più, che da un lato lega gli eventi salvifici ad un contesto storico universale; dall’altro, da un punto di vista teologico, richiama la dinamica dell’azione salvifica di Dio, il quale, spogliatosi della sua gloria e facendosi obbediente fino alla morte di croce, si rivestirà nuovamente della sua onnipotenza e della sua gloria nel momento della risurrezione (Fil 2,6-11). Questa porrà il Gesù della storia al di là dello spazio e del tempo, costituendolo Signore della storia stessa, abbracciando in sé il cosmo e l’intera umanità di ogni tempo (Mt 28,18-20; 1Cor 15,27-28). In tal modo la salvezza assumerà un’azione che va ben al di là dell’universalità, acquisendo una dimensione tutta cosmica (Ef 1,10).

 

La Parola di Dio scese su Giovanni ... il discendere della Parola su Giovanni ne decreta l’investitura profetica. Il profeta infatti è colui che parla a nome e per conto di Dio, ne è la voce in mezzo al suo popolo. Il testo greco dice “eghéneto réma tu tzeù epì Ioànnen”, che letteralmente significa: “la parola di Dio avvenne (accadde) su Giovanni”. Quel verbo “eghéneto” dice l’irrompere e l’accadere di un evento salvifico che trova la sua localizzazione e la sua realizzazione in Giovanni, investendolo di un’autorità divina che gli proviene dal portare in sé la Parola, ma che prelude in qualche modo anche all’irrompere di un’altra Parola, non più affidata agli uomini per un servizio profetico, ma quella diretta di un Dio incarnato (Gv 1,14a). Giovanni quindi è l’ultimo profeta e con lui si chiudono i tempi veterotestamentari per lasciar posto alla stessa voce del Padre nel Figlio: “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola”  (Eb 1,1-3a).

 

Figlio di Zaccaria Giovanni è definito ”figlio di Zaccaria. L’inciso assume un duplice significato: da un lato Luca si aggancia alla tradizione profetica[11], a cui il Battista appartiene, dall’altro si richiama alla sua nascita prodigiosa che lo colloca in qualche modo vicino al profeta Geremia[12], il profeta che denunciò le infedeltà del popolo e l’imminente castigo di Dio, che si attuerà con la distruzione del Regno di Giuda da parte dei Babilonesi e le ripetute deportazioni (597; 587; 582 a.C.), togliendo ai deportati ogni illusione di un rapido ritorno in patria (Ger 29).

Significativo, infine, è l’aver definito Giovanni come “figlio di Zaccaria”. Il nome “Zaccaria” infatti significa “Dio si è ricordato”. Giovanni dunque è il segno concreto di questo “ricordarsi di Dio”. L’espressione “Dio si è ricordato” ci riporta alle origini del popolo ebraico, vessato dalla schiavitù egiziana. In quell’occasione l’autore sacro commenta: “Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe” (Es 2,24; 6,7). Giovanni è pertanto il nuovo e ripetuto ricordarsi salvifico e liberatorio di Dio nei confronti del suo popolo, celebrato dallo stesso Zaccaria nel canto del “Benedictus” (Lc 1,68-79), proprio in occasione della nascita di Giovanni.

 

Nel deserto: Luca ricorda come questa Parola avvenne, accadde (eghéneto) e si attuò su Giovanni nel deserto. L’immagine del deserto ci rimanda al v. 1,80, in cui Luca conclude la sezione dedicata alla nascita e infanzia di Giovanni: “Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.” Questa immagine di Giovanni che cresce nel deserto, fortificandosi nello spirito, se da un lato ha suggerito ad alcuni studiosi l’appartenenza del Battista alla setta degli Esseni, dall’altro ci rimanda all’esperienza di Israele nel deserto. Fu un tempo questo che dai profeti era visto come la giovinezza di Israele, che ai piedi del Sinai si fidanzò con Dio e cresceva e si fortificava nel suo rapporto di amore con il Signore: “ <<Va' e grida agli orecchi di Gerusalemme: Così dice il Signore: Mi ricordo di te, dell'affetto della tua giovinezza, dell'amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata.” (Ger 2,2). Fu proprio durante questo tempo di deserto che la Parola di Jhwh scese per la prima volta sul popolo ai piedi del Sinai, dove Dio stabilì la sua Alleanza. La figura di Giovanni che cresce nel deserto e su cui scende la Parola è dunque un po’ l’immagine dell’antico Israele che trova nel Battista la conclusione della vecchia Alleanza sinaitica, ma che nel contempo predispone il nuovo Israele credente ad una nuova Alleanza che verrà celebrata sulla croce: “Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: <<Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi>>” (Lc 22,20).

 

Ed egli percorse tutta la regione del Giordano se da un lato questo movimento di Giovanni dice tutto il dinamismo della Parola di Dio, che per sua natura non è statica, ma è “Dabar[13], cioè azione di Dio, che si compie efficacemente in mezzo agli uomini, dall’altro prelude sia alla missione di Gesù, che alla stregua dei predicatori itineranti girava l’intera Palestina annunciando la Parola di Dio (Mc 1,14-15; Mt 4,23-25), sia alla missione stessa della Chiesa (At 6,7; 12,24; 13,49).

È una Parola quindi che possiede intrinsecamente un dinamismo suo proprio, che ha le caratteristiche della stessa potenza di Dio ed è attrattiva del suo piano di salvezza.

 

Predicando un battesimo di conversione ... il verbo “predicando” è reso in greco con “kerìsson”, un termine tecnico che si riferisce al proclamare proprio del banditore, che anticamente girava per il regno del proprio sovrano annunciandone le volontà, alle quali tutto il popolo doveva conformarsi. Questo “predicare” di Giovanni lo qualifica pertanto come il banditore di Dio che convoca attorno a sé il suo popolo per comunicargli la sua volontà di riscatto, di perdono e di riconciliazione.

Il contenuto di tale predicazione è costituito da un “battesimo di conversione”.  L’annuncio quindi è finalizzato al battesimo, colto come risposta esistenziale alla Parola, che chiede una conversione, cioè un riorientamento della propria vita verso Dio, conformando la propria esistenza alle sue esigenze. L’immergersi nelle acque del Giordano in risposta all’annuncio del profeta richiama da vicino il racconto di Naam il Siro, capo dell’esercito del re Aram, colpito dalla lebbra, la quale lo aveva condannato ad una fine umiliante e ingloriosa. Egli si reca dal profeta Eliseo che gli comanda di bagnarsi sette volte nel Giordano: “Eliseo gli mandò un messaggero per dirgli: <<Và, bagnati sette volte nel Giordano: la tua carne tornerà sana e tu sarai guarito>>. [...] Egli, allora, scese e si lavò nel Giordano sette volte, secondo la parola dell'uomo di Dio, e la sua carne ridivenne come la carne di un giovinetto; egli era guarito.” (2Re 5,10.15). Tale gesto comporterà non soltanto un guarigione fisica, ma anche la conversione al Dio di Israele, di cui la guarigione fisica era figura.

 

Per il perdono dei peccati: la preposizione “per” è resa in greco con “eis” che indica un moto a luogo. Il battesimo di Giovanni dunque non è assolutore dei peccati, ma è preparatore e in funzione di quest’azione che è propria del potere divino, che verrà riconosciuto in Gesù e che Gesù stesso si attribuirà: “Veduta la loro fede, disse: <<Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi>>. Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: <<Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?>> [...] Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: io ti dico, esclamò rivolto al paralitico alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua>>” (Lc 5, 20-21.24).   

La particella greca (eis), proprio per il suo intrinseco dinamismo, richiama anche da vicino un cammino di conversione che muove l’uomo verso Dio e lo apre alle sue esigenze; solo a queste condizioni la conversione diventerà riconciliazione, cioè pace fatta tra Dio e l’uomo, che troverà la sua massima espressione nel dono dello Spirito che rinnova l’uomo, rendendolo nuovamente immagine e somiglianza di Dio, ricollocandolo nella stessa dimensione divina da cui proviene (Gv 20,19.21.26).

 

Come era scritto ...: questa espressione dice come l’agire di Giovanni non solo sia conforme alla Parola di Dio, ma ne sia la sua piena attuazione. L’agire di Giovanni, su cui si è in qualche modo manifestata e incarnata la Parola (eghéneto[14]), diventa l’agire stesso di Dio in mezzo agli uomini, un agire quindi salvifico, che preannuncia il suo intervento diretto in Gesù, in cui si avrà la pienezza della rivelazione e dell’agire del Padre per mezzo dello Spirito. Luca vede dunque nella missione del Battista l’attuarsi e l’operare di un antico piano salvifico le cui tracce già si trovano nello stesso profeta Isaia. C’è quindi in atto un disegno di salvezza pensato da Dio nell’antichità e che si sta attuando nell’oggi di ogni uomo.

 

Voce di uno che grida nel deserto ...: i vv. 3, 4-6 sono stati interamente mutuati da Luca dal libro del profeta Isaia al cap. 40,3-5[15]. Il contesto storico entro cui il secondo Isaia[16] si colloca è quello dell’esilio di Babilonia (597-538). È quindi per il popolo d’Israele un tempo di sofferenza e di buio, lontano dalla sua terra santa, calpestata dai pagani; lontano dal Tempio ormai distrutto; privato del culto a Dio e della consolazione della sua Parola. In mezzo a queste difficoltà Dio fa sentire, per mezzo del suo profeta, la sua voce di speranza: “]<<Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati>>. Una voce grida: <<Nel deserto preparate la via al Signore[17], appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato>>.” (Is 40, 1-5).

La via nel deserto, di cui questo oracolo di Isaia parla, è la strada del ritorno all’amata Terra, una sorta di secondo esodo, che già era stato preannunciato da Geremia ed Ezechiele.

Luca nel riportare le parole del secondo Isaia richiama qui, in qualche modo, il contesto storico dell’antico Israele e vede il profilarsi per il popolo un nuovo esodo[18] che lo riporterà definitivamente a Dio, la vera Terra Promessa, di cui quella della Palestina era soltanto figura. La via che si profila all’orizzonte, quella che conduce al Padre è Gesù stesso (Gv 14,6). Giovanni è venuto a preparare questa via, ma per percorrerla bisogna raddrizzare le nostre vie per conformarle alla Via del Signore, abbassare i monti e i colli del nostro orgoglio e della nostra autosufficienza, riempire i burroni della nostra indifferenza, della nostra povertà che ci conducono verso una vita priva di speranza. Solo allora i nostri occhi si apriranno, la nostra speranza si ravviverà e noi diventeremo annunciatori e testimoni di speranza. Solo così ogni uomo vedrà la salvezza di Dio vivere in noi.

 

Verona 4 dicembre 2006                   

 

                                                                                             

                                                                                                       Giovanni Lonardi

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Sia Marco che Matteo rilevano che “Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico” (Mt 3,4; Mc 1,6). Il suo abbigliamento richiama da vicino quello dei profeti Elia, alla cui la figura di Giovanni è associato (Lc 1,17), e di Zaccaria (2Re 1,8; Zc 13,4).

[2] Il termine apocalisse significa rivelazione. Gesù è per definizione l’apocalisse del Padre, cioè la sua piena rivelazione (Gv 14,5-11) e ne attua la volontà (Gv 4,34; 6,38;).

[3] Talvolta gli autori neotestamentari, seguendo tecniche narrative proprie del loro tempo, dispongono il loro racconto ricorrendo a dei parallelismi secondo lo schema A-A’; B-B’; C per cui alcune espressione che si trovano in A) hanno il loro corrispondente in A’) e così, parimenti,  alcune che si trovano in B) hanno il loro corrispondente in B’) e così di seguito. In tal modo al centro di questi parallelismi viene a trovarsi un’espressione, chiamata con una lettera diversa e unica che non ha corrispondenti. Questa espressione centrale costituisce il punto convergente e focale di tutti i parallelismi, sul quale l’autore vuole richiamare la sua attenzione. Nel nostro caso abbiamo in A) L’esposizione del contesto storico civile e religioso; in A’) viene descritto il contesto storico-profetico; in C) si colloca la figura di Giovanni, punto centrale e convergente dei due contesti storici entro cui va letta e ricompresa la figura di Giovanni.

[4] Al riguardo il Rossé afferma: “Luca vede di buon occhio la storia degli uomini, le dà valore come campo dove si attua il progetto di Dio. L’impero romano viene così a far parte della storia della salvezza, in quanto la salvezza promessa da Dio a Israele si compie nella venuta e nell’annuncio di Gesù e si diffonde nella Parola proclamata dagli apostoli e dagli evangelizzatori attraverso l’impero romano” – Cfr Gérard Rossé, Il Vangelo di Luca, Editrice Città Nuova, Roma 2001.

[5] L’attività profetica di Geremia, nato intorno all’anno 650 a.C. ad Anatot, piccola borgata situata a nord-est di Gerusalemme, da cui dista circa 6 Km, si svolge tra il 626 e il 582 a.C., epoca della terza deportazione di Israele a Babilonia. Geremia sarà costretto alla fuga e si rifugerà in Egitto dove si perdono le sue tracce e dove morirà.

[6] Giuseppe è uno storico ebreo, che dopo aver assunto la cittadinanza romana, divenne Flavio Giuseppe. Egli nacque a Gerusalemme tra il 13 settembre 37 e il 17 marzo 38 d.C. Appartenne ad una tra le più nobili famiglie ebree del tempo e per parte di padre alla classe sacerdotale più nobile, mentre per  parte di madre egli si gloriava di essere un discendente della famiglia reale degli Asmonei. Partecipò alla guerra giudaica contro l’occupante romano e organizzò le difese nel settore della Galilea. Sconfitto e fatto prigioniero dai romani ebbe modo di riflettere sulla potenza dell’Impero romano in cui vide il realizzarsi di un disegno salvifico di Dio. Passò quindi al nemico cercando di convincere il suo popolo ad arrendersi a Roma. Egli infatti vide nella serie di sconfitte subite dagli ebrei da parte dell’Impero la conferma delle sue convinzioni: il Dio d’Israele aveva volto la sua attenzione e la sua benevolenza verso Roma. -  Cfr Giovanni Vitucci, Introduzione all’opera “Guerra Giudaica” di Flavio Giuseppe, Ed. Arnoldo Mondadori, Cles (TN) 1995.

[7] Tiberio è il successore di Ottaviano Augusto, morto il 19 agosto del 14. Secondo il calendario siriano, in uso all’epoca anche in Palestina, e il modo di contare gli anni, il primo anno dell’attività imperiale di Tiberio inizia con il 19 agosto 14 e termina il 30 settembre dello stesso anno. Il secondo anno di Tiberio inizia con il 1°ottobre 14 e termina con il 30 settembre 15. In tal modo, contando gli anni dal 1° ottobre al 30 settembre il 15° anno dell’impero di Tiberio, in cui Luca colloca gli eventi del cap.3, cade tra il 1° ottobre 27 e il 30 settembre 28. Questa datazione concorda anche con quanto Giovanni dice al cap. 2,20 del suo vangelo.

[8] Dopo la morte di Erode il Grande, che regnò tra il 37 e il 4 a.C., il suo regno venne diviso tra i suoi tre figli: Archelao ottenne la Giudea, la Samaria e l’Idumea. Regnò dal 4 a.C. al 6 d.C. e venne deposto da Roma per crudeltà ed esiliato a Vienne in Francia. Antipa ereditò la Galilea e la Perea con il titolo di tetrarca. Esercitò il suo potere con saggezza e tolleranza, ma venne deposto anch’egli nel 39 d.C. ed esiliato come il fratello Archelao in Francia. Filippo ereditò l’Iturea e la Traconitide e le governò fino all’anno della sua morte avvenuta nel 34 d.C.

[9] Lisania è un nome poco conosciuto forse perché il territorio da lui amministrato, che si pone a nord-ovest di Damasco (Siria) nel 39 d.C. venne dato dall’imperatore Caligola ad un altro Erode, Agrippa I.

[10] Benché Luca citi al plurale “i sommi sacerdoti” in realtà il Sommo Sacerdote, capo del Sinedrio, organo di governo politico e religioso dei giudei, era unico, Caifa. Questi mantenne il titolo dal 18 al 36 d.C.  Anna era il suocero di Caifa e benché fosse stato sommo sacerdote dal 6 al 15 d.C. tuttavia esercitò sempre un forte influsso sul genero così che Luca nel suo racconto lo cita sempre assieme a Caifa.

[11] Nell’A.T. i Libri profetici si aprivano sovente con la presentazione del profeta definito come “figlio di”. Cfr in proposito Is 1,1; Ger 1,1; Bar 1,1; Ez 1,3; Os 1,1; Gl 1,1; Gio 1,1; Sof 1,1; Ag 1,1; Zc 1,1.

[12] Definendo Giovanni come “figlio di Zaccaria” Luca sottolinea come Giovanni rientra nel progetto salvifico di Dio fin dal suo concepimento (Lc 1,13-17; 1,41; 1,66; 1,76-77), ma nel contempo si aggancia alla missione profetica di Geremia, associando Giovanni ai grandi profeti veterotestamentari: “Mi fu rivolta la parola del Signore: <<Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni>>.” (Ger 1,4-5)

[13] Il termine ebraico “dabar” indica una cosa concreta colta nel suo dinamismo ed è stata applicata tradizionalmente alla Parola di Dio, che non è un semplice “flatus vocis”, ma azione concreta ed efficace, che produce ciò che dice (Eb 4,12); è dunque Parola creatrice (Gen 1,3ss).

[14] Il verbo greco “ghignomai” possiede in sé una pluralità di significati tra cui, oltre che quello di accadere, anche quelli di nascere e manifestarsi.

[15] Mentre Matteo e Marco limitano la citazione di Isaia alle parole “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!” , Luca prolunga la citazione fino a tutto il v.5  (Is 40,3-5) in cui compare l’annuncio di una salvezza universale: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”. In tal modo Luca si aggancia a quanto detto dal vecchio Simeone (anche             queste parole tratte da Is 42,6; 49,6; 52,10: “<<…perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele>>.” (Lc 2, 30-32). Non va dimenticato infatti che Luca è un greco convertito dal paganesimo e i suoi interessi sono rivolti ad una salvezza universale, che supera i ristretti confini di Israele. Egli si pone quindi tra gli evangelisti come il teologo della storia della salvezza, che egli coglie sempre nella sua dimensione universalistica, cioè aperta anche ai popoli pagani.

[16] Il libro del profeta Isaia comprende 66 capitoli che gli studiosi, per la diversità degli argomenti trattati, suddividono in tre parti: i primi 39 capitoli sono assegnati al primo (proto) Isaia, che svolse la sua attività tra il 740 e i 700 a.C.; il secondo gruppo di capp. 40-55 è assegnato al secondo (deutero) Isaia, un profeta che si ispirava ad Isaia, e storicamente ci colloca nel tempo dell’esilio babilonese (597-538 a.C.); il terzo gruppo di capp. 56-66 sono stati composti in epoca postesilica dal 538 a.C. in poi ed è assegnato al terzo (trito) Isaia, un profeta che si ispirava al primo Isaia. Il libro del profeta Isaia quindi è stato composto da più mani e abbraccia un tempo di oltre due secoli.

[17] La setta di Qumran aveva visto proprio in queste parole “Nel deserto preparate la via de Signore” un invito esplicito da parte di Dio a ritirarsi nel deserto per prepararsi alla venuta di Dio.

[18] Nella teologia lucana acquista notevole importanza il tema del viaggio, che si sviluppa dai capp. 9,51-19,28, durante il quale Gesù, quale nuovo Mosé, raccoglie attorno a sé numerose folle per traghettarle verso la Terra Promessa della stessa dimensione divina, passando attraverso la porta della sua morte-risurrezione.