IL FIGLIO PERDUTO E  RITROVATO

 

Luca 15, 11-32

 

 

 

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Premessa

 

 

Una delle volte precedenti (v. la trasfigurazione) si era detto che ben dieci capitoli di Luca (vv. 9,51-19,28) erano dedicati al viaggio di Gesù verso Gerusalemme, dove Gesù doveva morire e risorgere. Quale sia il senso del suo morire e che cosa si compia in esso, Luca ce lo spiega lungo il corso di questo viaggio. Il cap. 15, di cui fa parte il racconto del "Figlio prodigo", si colloca al centro di questo viaggio e nel cuore dello vangelo di Luca. Esso ci dà il senso della missione di Gesù, espressione storica e concreta dell'amore gratuito e incontenibile del Padre per l'uomo peccatore, perduto ma ritrovato in Cristo.

 

La parabola del "Figlio prodigo" fa parte di una triade di parabole, il cui tema è unico: la gioia del Padre per il ritrovamento dell'uomo perduto a causa del peccato. Sotto questo ritrovamento ci sta un preciso progetto di Dio, che si sta attuando nel suo Figlio.

 

Le due parabole, che precedono il capolavoro di Luca, forniscono la chiave di lettura e di comprensione del racconto stesso.

 

La prima ha come soggetto un pastore, la seconda una donna di casa. Essi sono accomunati da una medesima sorte: sono proprietari, l'uno, di una "pecora perduta"; l'altra di "una dracma perduta".

 

Entrambe le parabole, poi, sono percorse da numerosi e identici verbi: "perdere", "cercare insistentemente", "ritrovare", "rallegrarsi", "convocare gli amici e i vicini", che dice la condivisione della gioia per il ritrovamento. Tutti questi verbi costituiscono, da un lato, la struttura stessa delle due parabole, lungo i quali si snodano e si animano; dall'altro, forniscono il tema delle due parabole: l'incontenibile gioia del Padre nell'incontrare gli uomini, generati dal suo amore, che si erano perduti dopo la colpa originale e per i quali non vi era più speranza. Tale incontro si attua nella persona stessa di Gesù e si compie nella sua missione, ... ma non solo.

 

La parabola del Figliol prodigo, pertanto, va letta e compresa entro la cornice fornita dai versetti 15,1-10.

 

La struttura della parabola è molto complessa, ma ci limitiamo a rilevare quella più evidente e più semplice, scandita da tre scene: a) le pretese del figlio, il suo distacco e l'allontanamento dal padre costituiscono il preambolo e forniscono le motivazioni di quanto accade dopo; b) qui lo scenario cambia: la sua vita dispendiosa viene sperperata; il decadimento e degrado fisico e morale in cui è travolto; il ripensamento, la decisione di ritornare e la riconciliazione con il padre. Tutto ciò fornisce la dinamica del peccato, visto come un allontanamento dal padre e che lo porta alla perdita di ogni sua dignità; della conversione, colta come un ripensamento sul proprio comportamento, animata dalla decisione di ritornare e dalla sua attuazione; la definitiva riconciliazione e reintegrazione alla sua perduta dignità, ora ritrovata. c) la terza scena vede il figlio maggiore che, pur fornito da diverse motivazioni di suo fratello, anch'egli, come suo fratello si rifIuta di rimanere con il padre.

 

Questa parabola è un racconto aperto, termina senza alcuna conclusione perché essa continua nelle nostre vite. Vi è posta solo una considerazione di fondo che riprende, in qualche modo, il ritornello con cui si concludono le due parabole precedenti: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta"; "Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduto"; "...bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello ... era perduto ed è stato ritrovato".

 

Vediamo, ora, da vicino la parabola.

 

 

Il Testo

 

 

[11]Disse ancora: <<Un uomo aveva due figli.

[12]Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze.

[13]Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto.

[14]Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.

[15]Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci.

[16]Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava.

[17]Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!

[18]Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te;

[19]non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni.

[20]Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.

[21]Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio.

[22]Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi.

[23]Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa,

[24]perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.

[25]Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze;

[26]chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò.

[27]Il servo gli rispose: E` tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo.

[28]Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo.

[29]Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici.

[30]Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso.

[31]Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo;

[32]ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato>>.

 

 

Il Commento

 

 

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori ...  che Gesù frequentasse i bassi fondi dell'umanità di quel tempo era cosa nota e risaputa. Luca non ne fa mistero e ce lo ricorda più volte nel suo vangelo, delineando così, un po' alla volta il senso della missione di Gesù (Lc 5,29ss; 7,34).

 

In questi primi due versetti vengono tra loro posti a confronto due categorie di persone, tra loro decisamente contrapposte: "pubblicani e peccatori" e "farisei e scribi". I primi si avvicinano a Gesù per ascoltarlo; i secondi, invece, mormorano contro Gesù. Il comportamento dei peccatori è definito da quel "avvicinarsi" motivato dall' "ascoltare". E' la Parola, quindi, che muove alla conversione e spinge verso Dio. I farisei, invece, sono definiti come coloro che "mormorano". Questo verbo, ricorrente nell'Antico Testamento 29 volte, definisce sempre l'atteggiamento di rivolta del popolo contro Dio (Es 15,24ss). I farisei, pertanto, qui sono colti da Luca come coloro che si ribellano al messaggio di Dio offerto a tutti da Gesù. Sono coloro che, in ultima analisi, non capiscono il comportamento di Dio, che se la fa con i bassifondi dell'umanità, mentre loro, invece, osservano scrupolosamente e in modo quasi ossessivo la Legge. Secondo le loro logiche, Dio dovrebbe condannare alla perdizione eterna questa "gentaglia" ed avere, invece, un benevolo occhio di riguardo verso di loro, che da sempre lo servono rigorosamente.

 

Come già si comincia ad intuire, qui Luca presenta lo schema di fondo della parabola del "Figliol prodigo": "peccatori e pubblicani" saranno rappresentati dal figlio più giovane, che si allontana dalla casa del Padre; "farisei e scribi" saranno invece raffigurati nel fratello maggiore che "mormora" contro il padre e a lui si ribella: non vuole entrare in casa, cioè non vuole più condividere la vita del padre.

 

Un uomo aveva due figli  vediamo qui l'intonazione dell'intero racconto: tre sono i personaggi che l'animeranno: un padre e due figli. Il lettore, però, grazie ai vv. 1-2, già conosce le figure dei due figli, in qualche modo è già prevenuti verso di essi.

 

Il giovane disse al padre ...  inizia così la storia dell'uomo peccatore e della sua condizione di peccato. E' un uomo giovane, che richiama l'Adamo dei primi tempi dell'umanità, il quale pretendeva di appropriarsi di Dio: "... se ne mangiaste ... diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male" (Gen 3,5). La tentazione di quella giovane umanità, ma anche dell'umanità di ogni tempo, è quella di rendersi autonoma da Dio e spendere la sua libertà e le proprie risorse, che sono una partecipazione a quelle divine, per conto proprio. L'uomo presenta, quindi, il conto a Dio: "dammi la parte del patrimonio che mi aspetta". E' l'uomo che vuole separarsi da Dio e vivere per conto proprio. Una separazione che viene rimarcata da quel "partì per un paese lontano" per dire come il vivere dell'uomo sia notevolmente lontano dal vivere di Dio. Questo "lontano" però non dice affermazione dell'uomo, ma l'inizio del suo degrado esistenziale: "là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto". Il luogo lontano da Dio, pertanto, viene qui qualificato come luogo di dissipazione e dissolutezza, dove ogni dignità viene perduta.

 

Quando ebbe speso tutto ... avevamo già capito che il "luogo lontano" da Dio porta alla dissipazione, ma qui veniamo a conoscere anche altre due caratteristiche di questo luogo: da un lato ti fa spendere tutto, cioè ti svuota interiormente, non è, quindi, motivo di arricchimento; dall'altro è un luogo segnato da una carestia, cioè è un luogo che non può alimentarti in alcun modo. L'uomo posto, quindi, in questo luogo lontano da Dio è abbandonato a se stesso e privo di ogni speranza. Non c'è futuro per lui.

 

Allora andò e si mise a servizio di uno ... quell'uomo che andava alla ricerca della propria autonomia da Dio, si ritrova ora nuovamente a servizio, ma non di Dio, ma di un altro uomo suo simile. Il servizio che deve rendere a quest'uomo è tra i più immondi e infamanti per un ebreo: "pascolare i porci". Tutto ciò ci dà l'idea del livello di degrado in cui quest'uomo è caduto: è posto lì a servizio dei porci, non più di Dio.

 

Avrebbe voluto saziarsi ... è un uomo che ha ormai perso tutto e si trova in un paese straniero, lontano da casa, in un luogo colpito da carestia e che, quindi, non gli può dare alcun sostentamento e il cibo di quei porci, a cui è posto a servizio, ora vorrebbe che diventasse anche suo cibo. Qui  abbiamo toccato il fondo: è un uomo sostanzialmente equiparato ai porci.

 

Allora rientrò in se stesso ...  recita un vecchio proverbio rabbinico: "Quando gli Israeliti sono costretti a mangiare carrube, si convertono". Ed è ciò che è capitato al giovane. Il ragionamento che sostiene la sua motivazione non è certo tra i più elevati: è soltanto il suo stato di necessità che lo spinge verso il padre. Tuttavia Luca qui ha l'occasione di illustrarci tutta la dinamica della conversione scandita da tre momenti: a) rientrò in se stesso; è il primo passo: rendersi conto della propria situazione. E' necessario per questo fare silenzio dentro di sé e attorno a sé: dal frastuono esteriore alla propria interiorità. b) Bisogna maturare la decisione di un radicale cambiamento: "mi leverò e andrò da mio padre". c) E' necessario che quanto maturato interiormente sia anche attuato: "partì e si incamminò verso suo padre". Quel "partire" dice l'attuazione del piano di conversione; mentre l' "incamminarsi verso" indica un nuovo orientamento di vita che il giovane ha dato a se stesso. Esso è caratterizzato da un nuovo obiettivo che da un nuovo senso al suo vivere: il padre.

 

Era ancora lontano ... il processo di conversione, o meglio di maturazione interiore verso il padre, era ben lungi dall'essere compiuto, infatti, "era ancora lontano". Ma a Dio non interessa che l'uomo sia pienamente convertito, né gli importa sentire parole di conversione. Per Dio è importante cogliere nell'uomo almeno un accenno di pentimento, al resto pensa lui. Non è l'uomo, infatti, che si salva con il suo pentimento, ma Dio compie la sua salvezza. L'importante è che l'uomo si renda disponibile. Basta poco!

 

... lo vide e commosso gli corse incontro ...  quattro verbi e un aggettivo (commosso) definiscono tutta la dinamica del grande amore di questo padre: "lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò". E' l'esplosione di un amore incontenibile che, finalmente, può esprimersi nella sua pienezza. Giovanni nel suo vangelo ci ricorda proprio questo amore: "Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio" (Gv 3,16).

 

Gesù è, dunque, il volto storico di questo amore del Padre che, attraverso suo Figlio, incontra gli uomini, li interpella, li abbraccia e cerca di far loro capire le dimensioni del suo amore per loro, stimolandoli a dare una risposta.

 

Ma il padre disse ai servi ... al padre non interessano le giustificazioni del figlio, come dire che non serve prepararsi grandi discorsi. L'importante è accennare un ritorno. Basta poco e il gioco è fatto! Il figlio viene rivestito con il vestito più bello, con l'anello e con i calzari. Questo breve elenco di oggetti con cui viene rivestito il figlio stanno ad indicare la ricostituzione dell'uomo nella sua primordiale dignità. L'abito bello indica il nuovo stato di vita di cui l'uomo, con la redenzione, viene ricoperto. Paolo ci ricorda questo nella sua lettera ai Galati: "poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo" (Gal 3,27). Il senso di questo vestito appare ancor più chiaro se riflettiamo su quanto la lettera ai Colossesi ci propone: "Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. Ora, invece, deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca ... Vi siete, infatti, spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova ... a immagine del suo Creatore" (Col. 3, 8-10). L'anello, di cui viene adornato, è probabilmente un sigillo, indice di un potere di cui è stato nuovamente insignito; mentre i sandali indicano il suo stato di uomo libero; gli schiavi, infatti, camminavano a piedi nudi.

 

Con questi brevi tocchi Luca ci dice come l'uomo, investito dall'amore del Padre, che si è attuato e concretamente manifestato in Cristo, è stato rigenerato alla stessa vita di Dio, che condivide pienamente.

 

Portate il vitello grasso ...  Luca qui parla di un banchetto di grasse vivande per far festa. Nell'Antico Testamento il banchetto di festa celebra sempre il rapporto tra Dio e l'uomo ed è segno della sua Alleanza: "Il Signore degli eserciti preparerà su questo monte un banchetto di grasse vivande, per tutti i popoli, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati" (Is 25,6). Posto al termine di questo tribolato cammino di conversione, il banchetto celebra la rinnovata alleanza tra Dio e gli uomini stabilita per sempre nel sangue di Cristo. L'uomo, dunque, è definitivamente ristabilito per Cristo in Dio, così che "non c'è più nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù" (Rm 8,1).

 

perché questo mio figlio era morto ... ecco la motivazione di tanta festa: la conversione dell'uomo a Dio, il passaggio da morte a vita. Con la sua conversione, infatti, l'uomo viene associato in qualche modo alla dinamica pasquale e viene investito dalla morte e risurrezione di Gesù. La conversione, pertanto, dice questo passaggio pasquale da morte a vita in cui Cristo ci ha trascinati. Il vivere del credente, pertanto, è un vivere continuamente in uno stato di conversione, cioè in un continuo passare da morte a vita così che la vita del cristiano è una vita squisitamente pasquale.

 

Il figlio maggiore si trovava nei campi ...  entra ora in scena il terzo personaggio, che rappresenta simbolicamente il mondo perbenistico dei farisei, che mal digerivano il comportamento di Gesù, che frequentava e prediligeva i pubblicani e i peccatori e si lasciava avvicinare e toccare dalle prostitute. Sembra, a prima vista un figlio esemplare che riscuote la nostra simpatia e la nostra comprensione. Insomma, parteggiamo tutti per lui. Ma proviamo a vedere un po' più a fondo questa  figura.

 

Entrambi i fratelli tornano alla casa del padre, ma soltanto il fratello minore vi entra, mentre l'altro, di fatto, rifiuta di entrarvi e contesta le logiche del padre. Anche lui, come i farisei "mormora", cioè si ribella al padre e non accetta le sue logiche, non rispetta le sue esigenze.

 

"Ecco ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici". Vediamo come qui il figlio maggiore non si pone nei confronti del padre come un figlio, ma come un servo, ritenendo implicitamente il padre non un padre, ma un padrone a cui va data obbedienza e non amore; infatti afferma: "non ho mai trasgredito un comandamento".  Il rapporto con il padre è regolato da una relazione giuridica e da una mera formalità esecutiva di comandi a fronte del quale il figlio si aspettava un compenso, mai venuto e per questo rinfacciato al padre: "tu non mi hai mai dato un capretto per far festa", quasi a dire: "mi hai sempre trattato da schiavo e sfruttato". Questi erano i rapporti del figlio maggiore con il padre.

 

Il figlio maggiore, inoltre, mostra tutto il suo disprezzo nei confronti del padre: "Ma ora che questo tuo figlio ...". Il fratello maggiore disprezza il fratello minore, respinge e insulta l'amore che il padre ha riversato su questo figlio ritrovato e prende le distanze sia da uno che dall'altro: "questo tuo figlio".

 

Si è sempre parlato del figliol prodigo, perduto e ritrovato, ma ci accorgiamo alla fine che il vero perduto e non ritrovato è proprio il figlio maggiore che, pur vivendo nella casa del padre fin dalla sua nascita, non ha saputo instaurare con lui un vero e sincero rapporto di amore. Al posto dell'amore egli ha sostituito una fredda osservanza dei comandamenti, ha vissuto il suo rapporto da padrone a schiavo, si è sentito frustrato, umiliato e sfruttato, covava un sordo risentimento e odio verso questo padre, di cui non riusciva più a capire le logiche, né lo sapeva più rispettare.

 

Chi è, dunque, il vero "figliol prodigo"? Il peccatore pentito e che pur continua a vivere nella sua fragilità di peccatore; o il fratello maggiore che si ritiene giusto e vive formalmente in modo corretto il suo rapporto con il padre, ma che lo disprezza, di fatto, nella profondità del suo cuore, al punto tale da non rientrare più in casa con il padre?