L’Annunciazione Lc 1, 26-38
Premessa
I vv. 1,26-38, che la liturgia di questa IV domenica di avvento sottopone alla nostra riflessione, sono tratti dal racconto lucano dell'infanzia del Battista e di Gesù, che occupa i capp. 1,5-2,52[1]. Questo racconto è composto da sette quadri, che costituiscono la struttura attorno a cui si snoda la narrazione:
1) vv. 1,5-25: l'annuncio della nascita di Giovanni a Zaccaria, mentre officia nel Tempio;
2) vv. 1,26-38: l'annuncio della nascita di Gesù a Maria; (questo brano forma l'oggetto della nostra meditazione)
3) vv. 1,39-56: incontro tra Elisabetta e Maria, le due madri, e canto di esultanza di Maria: il Magnificat,
4) vv. 1,57-80: nascita e circoncisione di Giovanni, la sua infanzia e giovinezza; canto profetico di esultanza di Zaccaria: Benedictus. 5) vv. 2,1-21: nascita, circoncisione di Gesù;
6) vv. 2,22-40: intermezzo della presentazione di Gesù al Tempio; la profezia del vecchio Simeone, che nell’inno "Nunc dimittis", annuncia il destino universale della figura e della missione di Gesù; mentre la profetessa Anna ne canta le lodi e lo annuncia a quanti attendevano la redenzione di Israele;
7) vv. 2,41-52: ripresa e completamento dei vv. 2,1-21: l'infanzia e la giovinezza di Gesù e aggiunta dell'episodio del ritrovamento di Gesù al Tempio in mezzo ai dottori della Legge, che anticipa, in qualche modo, il rapporto che Gesù terrà nei confronti del Tempio, della Torah e dei dottori.
Il racconto si chiude con il v. 2,52, che riprende il v. 2,40, formando con questo un'inclusione[2]: "E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini"
Come già si è visto, il racconto dell'infanzia di Gesù si muove in modo parallelo a quello di Giovanni: all'annuncio di Zaccaria fa eco quello di Maria; alla nascita e circoncisione del Battista corrispondono quelle di Gesù; all'inno di Zaccaria (Benedictus) risponde quello di Maria (Magnificat); alla crescita di Giovanni fa pendant quella di Gesù. Tuttavia, i due racconti hanno il loro punto di incrocio, da cui poi si distaccano riprendendo la loro corsa parallela, nell'incontro tra Elisabetta e Maria, che prelude a quello tra Giovanni e Gesù. E' l'incontro tra l'AT e il NT, in cui l'AT vede le sue attese gioiosamente compiersi nel NT. Un modo di raccontare questo, che era in uso anche presso la letteratura ellenistica del tempo. Il clima entro cui si snoda il racconto è pervaso da una serena gioia ed esultanza, che caratterizzano le opere di Luca (Vangelo e Atti degli Apostoli), contrariamente al racconto dell'infanzia di Matteo, carico di tensione e inquadrato in una cornice di persecuzione (sospetto, inganno e diffidenza di Erode, che scatena su Gesù la sua furia omicida, che si conclude con la strage degli innocenti e la fuga di Gesù in Egitto. Al suo ritorno in Palestina, Gesù, ancora una volta, deve rifugiarsi a Nazaret per sottrarsi alla crudeltà di Archelao[3], figlio di Erode il Grande).
Quanto alla storicità del racconto il parere degli esperti è contrapposto: c'è chi afferma la sostanziale storicità degli episodi, che avrebbero come fonte Maria; mentre per altri questi sarebbero totale opera creativa di Luca. E' molto probabile che quest'ultima sia la più attendibile. Non si spiegherebbe, infatti, la radicale e totale diversità con il racconto matteano se la fonte fosse unica. Tutt'al più si può pensare che Matteo e Luca abbiano trovato delle fonti autonome proprie presso qualche comunità giudeo-cristiana, che poi hanno elaborato liberamente a modo loro. I racconti sono chiaramente costruiti e non lasciano intravedere, sul loro sfondo, materiale storico.
Di fatto siamo in presenza di un racconto squisitamente teologico costruito ad hoc, che obbedisce più alle leggi letterarie e teologiche che a quelle storiche. Di certo l'unico episodio storico ed accertato è la nascita di Gesù.
Il Testo
[26]Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, [27]a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. [28]Entrando da lei, disse: <<Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te>>. [29]A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. [30]L'angelo le disse: <<Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. [31]Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. [32]Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre [33]e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine>>. [34]Allora Maria disse all'angelo: <<Come è possibile? Non conosco uomo>>. [35]Le rispose l'angelo: <<Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. [36]Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: [37]nulla è impossibile a Dio>>. [38]Allora Maria disse: <<Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto>>. E l'angelo partì da lei.
Introduzione
L'annunciazione e il concepimento verginale di Maria costituiscono il vertice teologico del racconto lucano dell'infanzia di Gesù. In esso vi è un concentrato di riferimenti biblici veterotestamentari, che, riportati in questo contesto, sottolineano come non solo l'AT già conteneva in sé il NT, ma come proprio in esso trova il suo pieno compimento e la sua piena realizzazione. Maria viene presentata avvolta da un alone divino (Lc 1,28), che richiama il cantico del terzo Isaia e in cui vibra l'intonazione del Magnificat (Lc 1,46-47) : "Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come un sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli" (Is 61,10). Maria, dunque, sposa del Signore e rivestita della sua luce.
La figura di Gesù è fin da subito inquadrata in duplice modo: da un lato, egli è definito "Figlio dell'Altissimo", quindi, le sue origini sono divine e nel suo sangue scorre, per così dire, il DNA di Dio. Pertanto egli condivide la stessa natura divina del Padre, di cui è Figlio; generato dal Padre ancor prima che da Maria. Dall'altro, in Gesù Luca legge la realizzazione della profezia di Natan, fatta al re Davide (2Sam 7,8-16). Questo connubio trascendentale e storico, definisce Gesù come uomo-Dio.
Ma l'habitat naturale entro cui tutto ciò si compie e in cui tutto viene avvolto è lo Spirito Santo; è lui il motore di ogni nuova creazione, che inietta nel creato la vita stessa di Dio, accorpando a Lui ogni creatura. Tale azione rigeneratrice dello Spirito ha il suo principio e il suo inizio storico in Gesù e si esprime tramite lui. Gesù, dunque, è l'uomo nuovo, nato dal connubio tra Dio e l'uomo, e da cui discende una nuova umanità rigenerata dallo Spirito Santo. In Gesù-Cristo, cioè in Gesù risorto, Dio e l'uomo hanno fatto pace e si sono riconciliati per mezzo suo. I due, quindi, parafrasando Paolo, sono diventati in Cristo una sola nuova realtà, che troverà la sua piena realizzazione e il suo pieno splendore nella risurrezione.
Luca nel costruire il suo racconto dell'annunciazione si ispira a quelli veterotestamentari delle nascite prodigiose, come quella di Isacco (Gen 18,9-15) o di Sansone (Gdc 13,2-7), molto somiglianti a quelli di vocazione, come per Mosé (Es 3,1-4,17). Lo schema su cui sono strutturati questi racconti è il seguente:
· l'apparizione, in genere di un angelo; · la reazione di paura da parte del candidato alla missione; · il messaggio di un annuncio di nascita o di una missione da compiere; · obiezione del candidato, che in genere chiede un segno; · concessione del segno · accettazione da parte del candidato.
Lo schema non è sempre rigidamente rispettato, ma qualche passaggio può essere saltato o riadattato, a seconda delle esigenze della narrazione.
Nella lettura del racconto dell'annunciazione va tenuto presente che Luca narra alla luce della risurrezione, da cui partono per le prime comunità credenti una rilettura e una ricomprensione della figura di Gesù e degli eventi che lo hanno accompagnato. Tutti i racconti dei vangeli risentono di questo ripensamento post pasquale. I vangeli, infatti, ben lungi dall'essere una biografia o una raccolta di fatti storici e documentati, sono essenzialmente una testimonianza di fede, trasmessaci dai primi credenti, che ci dicono che cosa loro hanno compreso dell'evento Gesù. Su questa loro testimonianza, gelosamente conservata e fedelmente trasmessa, in modo rigoroso, dalla Tradizione cristiana, noi fondiamo, oggi, la nostra fede.
Commento
Nel sesto mese: il racconto dell'annunciazione si apre con una nota temporale, il cui intento è quello di riagganciare il concepimento di Gesù a quello di Giovanni (Lc 1,24), quasi ne fosse una logica conseguenza. C'è, dunque, una sorta di continuità nell'ambito della storia della salvezza, tra l'AT, a cui ci richiama la figura di Giovanni, e il NT, inaugurato da Gesù. AT e NT non sono due tempi diversi o contrapposti l'uno all'altro, ma un unico atto salvifico di Dio, che si compie nella storia, iniziato con la creazione, sgorgata dalla Parola divina, che risuona per nove volte nel racconto della Genesi: "Dio disse" (Gen 1,3-31). L'incarnazione-rivelazione di questa Parola, dunque, non avviene unicamente ed esclusivamente in Gesù, ma la Parola, esplosa e rivelatasi nella creazione (Rm 1,20), come una sorta di Big Bang primordiale, incomincia la sua lenta e progressiva incarnazione negli eventi della storia e nella parola dei profeti e trova il suo vertice unico e irrepetibile nell'incarnazione di Gesù. La nascita di Gesù, pertanto, è il punto di arrivo di questo plurisecolare cammino di incarnazione. Nel sesto mese di gravidanza di Elisabetta, che richiama il sesto giorno della creazione, viene, dunque, concepito il settimo giorno di una nuova creazione: Gesù. In questo settimo giorno Dio portò a termine il lavoro che aveva iniziato con la prima creazione, lo benedisse e lo consacrò (Gen 2,3). Gesù, pertanto, diviene lo spazio storico, che Dio si è riservato per incontrare l'uomo e invitarlo ad entrarvi.
l'angelo Gabriele fu mandato ... lo stesso angelo Gabriele, inviato a Zaccaria, mentre officiava nel Tempio di Gerusalemme, per annunciare il concepimento di Giovanni, viene ora inviato a Maria per annunciare quello di Gesù. Ancora una volta viene sottolineato lo stretto e inscindibile rapporto tra i due personaggi e i due Testamenti, che essi rappresentano e incarnano. Si noti, poi, i diversi luoghi di apparizione dell'angelo: con Zaccaria, Gabriele appare nel Tempio nel momento culminante della liturgia cultuale quotidiana (Lc 1,8-11); mentre con Maria, appare in un'oscura località, Nazareth, sconosciuta nelle Scritture veterotestamentarie e che non godeva, inoltre, di buona fama ai tempi di Gesù (Gv 1,46). Il passaggio dall'ambiente cultuale e religioso per eccellenza, che risplendeva di luci e incensi, ad un luogo storicamente irrilevante e anonimo, dice il trasferirsi di un Dio dai ristretti spazi cultuali a quelli della storia di tutti i giorni. In Gesù, quindi, l'attenzione di Dio si sposta dalla liturgia, che comunque rimane uno spazio privilegiato d'incontro e di celebrazione e di attuazione del divino, alla quotidianità della vita, propria di ogni uomo, dove il Padre lo cerca, lo incontra, lo interpella e lo spinge a decidersi per Lui. La figura di Gabriele, infine, è conosciuta anche nell'AT e precisamente nel libro di Daniele (Dn 8,16-17; 9,21-27). In tale libro Gabriele ha sempre una funzione rivelativa, ma il contesto è di tipo apocalittico ed escatologico e annuncia il compimento della salvezza per Israele. Significativo, quindi, è nel nostro racconto il ritorno di questa figura, dai contorni apocalittici ed escatologici, che nell'annuncio a Maria inaugura e ne definisce i tempi come gli ultimi, in cui viene collocata la figura di Gesù e la sua missione. Gesù, dunque, diviene per l'uomo, da un lato, l'ultimo appello che Dio gli lancia; dall'altro, l'inizio in Gesù del giudizio divino posto sull'umanità (Gv 3,16-20). Per questo c'è l'urgenza di una scelta radicale e immediata (Mc 1,15).
... a una vergine, promessa sposa ... per due volte Luca, nel v.27, attribuisce il termine "parzenos" a Maria, che è stato tradotto con "vergine". In realtà, tale termine, in entrambi i Testamenti, ha assunto il prevalente significato di "giovane, fanciulla, ragazza" in età da marito. Più corretto sarebbe, dunque tradurre "ad una fanciulla ... la fanciulla si chiamava Maria". Teniamo presente che l'età di Maria, qui, doveva aggirarsi intorno ai 15-16 anni circa[4] e, quindi, è da pensare che fosse ancora fisicamente integra. Ma per Luca, come per Matteo, non era importante che Maria fosse fisicamente vergine per poter generare Gesù, né qui vogliono sostenere a spada tratta tale tesi, soprattutto in un contesto culturale, quello ebraico, che mal vedeva la verginità, quanto piuttosto far capire come il frutto di quel concepimento rientrava in un preciso piano divino, finalizzato alla salvezza dell'uomo. Attraverso, quindi, il linguaggio della verginità fisica di Maria, Luca e Matteo ci vogliono dire che Gesù non è il frutto di una semplice decisione umana o di un gioco di irrefrenabili istinti e passioni, ma esso obbedisce ad un preordinato e sapiente piano salvifico di Dio, che si è manifestato proprio in questo concepimento, in cui bisogna leggere l'intervento dello Spirito Santo, che è azione creatrice propria di Dio. Proprio come "In principiò Dio creò il cielo e la terra ... e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque" (Gen 1,1.2c), così anche qui Luca, come Matteo, ci dice che ci troviamo all'inizio di una nuova creazione, che avrà il suo compimento nella risurrezione. La verginità di Maria, dunque, diventa la chiave di lettura e di comprensione della figura stessa di Gesù. A Luca e Matteo non interessavano i tratti anatomici di Maria, poiché qui la prospettiva è chiaramente ed essenzialmente cristologica e non mariologica. In altri termini, Luca sta parlando di Gesù, del significato e del valore della sua persona, del senso della sua missione e non di Maria. Da un punto di vista narrativo Luca, qui, ci prepara alla comprensione sia della perplessità di Maria di fronte alle parole dell'angelo, sia a quanto essa gli chiederà, quasi incredula.
... promessa sposa ad un uomo della casa ...: il matrimonio presso gli ebrei era scandito in due tempi, strettamente legati giuridicamente l'uno all'altro: il fidanzamento e il matrimonio. Il fidanzamento era, sostanzialmente, un accordo legale di matrimonio con cui la ragazza diventava moglie legittima, ma rimaneva ancora in casa dei genitori per circa un anno e, pertanto, non aveva ancora rapporti sessuali con il marito. Gli eventuali figli che, tuttavia, potevano nascere in questo periodo, erano comunque ritenuti figli legittimi ad ogni effetto. Trascorso un anno, la sposa veniva condotta nella casa della famiglia dello sposo, dove il matrimonio veniva consumato.
.Maria si trova in questa situazione di "promessa sposa" ad un uomo della casa di Davide. L'accenno al casato di Davide prepara il lettore all'annuncio dell'angelo: "il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre" (Lc 1,32b). La figura di Giuseppe, quindi, funge da supporto giuridico a Gesù, per cui Gesù sarà legalmente discendente di Davide[5].
Entrando da lei ...: questo entrare dell'angelo e questo rivolgersi a lei nell'intimità della casa di Maria dice l'entrare di Dio nella storia degli uomini, nel loro habitat naturale; il voler condividere solidalmente con loro la loro storia, assumendola su di sé, facendo delle due storie, quella di Dio e quella dell'uomo, un'unica grande storia: quella della salvezza, che dice l'intrecciarsi dialogico e collaborativo tra il cielo e la terra. In altri termini, l'uomo non è più solo, non è più abbandonato al suo triste destino. Ecco, dunque, perché l'angelo si rivolge a Maria invitandola ad esultare. <<Ti saluto, ...: se l'imperativo "caire" consente la traduzione con "salve!", "salute a te!", non va dimenticato il senso del verbo "cairo", che significa "gioire, rallegrarsi, essere lieto, esultare". Quindi, l'invito rivolto a Maria con un imperativo-esortativo è, in senso proprio, quello di esultare, di gioire; una gioia che Maria esprimerà nel canto del Magnificat: "... e il mio spirito esulta in Dio, mi salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1,47-48a). Il saluto rivolto a Maria, inoltre, la aggancia all'esultanza messianica, per l'arrivo dell'inviato di Dio e la collega strettamente alla profezia di Zaccaria, che Luca vede compiersi in lei: "Esulta grandemente, Figlia di Sion; giubila, figlia di Gerusalemme. Ecco a te viene il tuo re" (Zc 9,9a). Maria, dunque, è colta come la nuova Gerusalemme in cui Dio colloca la sua stabile dimora in mezzo agli uomini, ponendo fine alla loro sventurata storia di peccato (Sof 3,14-15), restituendo a loro una nuova speranza. Paolo ricorderà questo aspetto nella sua lettera ai Romani: "Non vi è più, dunque, nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù" (Rm 8,1).
... piena di grazia ... questa espressione traduce un participio passato del verbo greco "caritoo", che significa letteralmente: "riempire di grazia, rendo grazioso". Quindi, si può tradurre con "riempita di grazia, resa graziosa". Va rilevato, inoltre, che questo verbo greco, come tutti quelli che terminano in "- oo", indica anche una trasformazione. Quindi, qui non si tratta più di cogliere Maria come la "piena di grazia", ma come "la trasformata" da questa grazia divina. Ci troviamo di fronte, pertanto, ad una nuova creazione che è avvenuta in Maria. Si noti, infine, come Maria non è chiamata dall'angelo con il suo nome proprio, ma questo è sostituito dall'espressione "riempita di grazia", in greco "checaritomène". Questo è il nuovo nome che viene imposto dall'angelo a Maria. Il cambio di nome per l'ebreo significa la trasformazione che avviene in una persona, che la designa come una nuova creatura, assegnandole una nuova missione e un nuovo senso della sua vita.
il Signore è con te ... è un'espressione molto forte, che ricorre spesso nell'AT nei racconti di vocazione ed è sempre associata all'aiuto che Dio offre alla persona interpellata, rassicurandola che non è lasciata sola. Ma questa espressione, posta nel contesto sopra indicato, dice anche come Maria condivida con Dio la sua stessa vita, diventando, assieme al Padre, cogeneratrice del Figlio qui nella storia, per cui Maria può essere chiamata, a pieno titolo, Madre di Dio.
A queste parole ella rimase turbata ...: è la normale reazione dell'uomo di fronte all'irrompere inaspettato e improvviso di Dio, che cambia radicalmente il senso della propria storia. Il turbamento, nella dinamica dei racconti di annunci o di vocazione, rientra come un normale elemento narrativo.
Non temere, Maria, perché ...: l'angelo inizia il suo annuncio rassicurando Maria, rimasta turbata. Anche questo rientra nella normale economia della narrazione dei racconti di annuncio e di vocazione. Prosegue l'angelo: "... trovasti grazia presso Dio". Il verbo usato è posto in greco all'aoristo, che corrisponde al nostro passato remoto. Questo indica un fatto già avvenuto, che ora trova la sua manifestazione storica in Maria. Tutto ciò lascia pensare che esista un preciso progetto salvifico di Dio, che lentamente e gradualmente si attua nella storia, compare in mezzo agli uomini e chiede loro di affinare la propria sensibilità spirituale per poterlo cogliere. Quel "trovasti", pertanto, si aggancia al saluto iniziale dell'angelo: "piena di grazia", "trasformata dalla grazia". Per questo Maria ha incontrato il favore di Dio: perché Dio, come per il suo Figlio (Lc 3,21-22), si è compiaciuto in lei, cioè in Maria Dio incomincia a realizzare il suo sogno: ricondurre l'umanità nel proprio mondo divino, da cui proviene, per condividere con essa la propria vita, così com'era stato nei primordi della creazione, quando "Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gen 1,31a), tutto risplendeva ed era incandescente della stessa vita di Dio.
Ecco concepirai un figlio ... il versetto 31 costituisce il nerbo centrale dell'annuncio e del dialogo tra Gabriele e Maria. Tre sono i verbi che lo qualificano: "concepirai", "partorirai", "chiamerai". E' questo il ritmo proprio della vita nascente e si richiama, in qualche modo, alla genesiaca creazione dell'uomo: "E Dio disse: <<Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Gen 1,26a). In questo decreto divino si attua il concepimento dell'uomo, che verrà partorito, trovando la sua concretizzazione, in quel "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò" (Gen 1,27), mentre l'imposizione del suo nome è implicita nel modo stesso con cui Dio lo creò: "plasmò l'uomo con polvere del suolo" (Gen 3,7a); da qui "adamah", cioè "tratto dal suolo". Con il v.31ci troviamo di fronte, quindi, ad una nuova creazione, ad un nuovo progetto di Dio per ristabilire e riportare l'umanità nel proprio seno, per restituirle lo splendore divino iniziale.
Sarà grande e chiamato ... se il v.31 con il nome Gesù, Dio salva, definisce la missione di quel bambino, colta come l'azione propria di Dio a favore degli uomini, e che Maria dovrà concepire e partorire, i vv.32-33 definiscono teologicamente, in due momenti, il nome Gesù. In senso metafisico Gesù è chiamato "grande" e "Figlio dell'Altissimo". Giovanni è definito da Luca "grande davanti al Signore" (Lc 1,15), mentre Gesù è "grande" in senso assoluto, cioè senza riferimento alcuno. Un'attribuzione questa che i Salmi riferiscono soltanto a Dio (Sal 86,10; 95,3). La grandezza di questo bambino trova, ora, la sua specificazione nell'espressione "Figlio dell'Altissimo", che indica l'origine stessa di quel bambino. In senso storico Gesù è definito come colui al quale Dio "... darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine". La frase qui riportata da Luca è tratta dalla profezia di Natan al re Davide (2Sam 7,8-16). In tal modo Gesù è strettamente legato a quella profezia, anzi, ne è la sua attuazione. Il progetto di Dio, quindi, che si rivela nascostamente nell'AT, trova ora la sua piena attuazione e comprensione. Si ha, quindi, nei vv. 32-33 la definizione di Gesù: Figlio di Dio e Messia.
... <<Com'è possibile? Non conosco uomo>>: l'obiezione di Maria all'angelo rientra nella normale dinamica del racconto di vocazione o di annunciazione, che, come abbiamo visto sopra, segue un suo schema predefinito. Qui ci troviamo di fronte ad un racconto e non ad un resoconto storico di un dialogo realmente avvenuto. L'intento di Luca, qui, è di preparare e introdurre il v.35. Non conoscere uomo, in senso biblico, significa non aver avuto mai rapporti sessuali, ricollegandosi, così, allo stato di promessa sposa (v.27), in cui era sconveniente, ma non illegale avere rapporti sessuali tra i due promessi sposi. A Luca interessa far capire al suo lettore che il concepimento di Gesù non è frutto di opera umana, ma di un progetto divino. La sottolineatura della verginità di Maria serve proprio a questo.
<<Lo Spirito Santo scenderà su di te ...>>: qui, il richiamo all'atto creativo di Dio, presentatoci dalla Genesi, è molto forte: "allora il Signore Dio plasmò l'uomo ... e soffiò nelle sue nari un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente" (Gen 2,7). Agli inizi dell'umanità vediamo una sorta di creazione verginale della stessa: l'uomo non è concepito e non nasce da un rapporto sessuale, ma direttamente da un atto deliberativo di Dio (Gen 1,26-27); la sua origine, pertanto, è divina e non umana. L'atto della creazione è sancito dall'alito divino, che fa dell'uomo un essere vivente, cioè partecipe della stessa vita di Dio. Questo "alito divino" altro non è che lo Spirito stesso di Dio. Per due volte in tutta la Bibbia troviamo un Dio che "alita": qui, Gen 2,7, e in Giovanni: "Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: <<Ricevete lo Spirito Santo>> (Gv 20,22). L'azione creativa di Dio, pertanto, è sempre lo Spirito. E' Lui che sta all'origine di ogni nuova creazione e di ogni nuova iniziativa divina. Gesù, dunque, quale nuovo Adamo, nasce anche lui, come il vecchio Adamo, da un atto creativo di tipo verginale e ancora una volta sarà lo Spirito, che darà il via, ora, come allora, ad una nuova creazione, ad una nuova umanità, così come Dio l'ha sempre sognata e progettata. Per questo l'angelo avverte "Colui che nascerà sarà dunque santo e Figlio di Dio". La santità di Gesù dice la sua appartenenza al mondo di Dio, mentre la sua figliolanza ne indica l'origine. Gesù, dunque, è Dio, ne è il suo volto storico.
Vedi, anche Elisabetta, tua parente, ...: il v.36 fa parte dell'economia dei racconti di vocazione e annunciazione: dopo l'obiezione, il candidato chiede un segno. Maria, però, non chiede un segno, forse per indicare la sua totale e incondizionata disponibilità al progetto di Dio, che verrà precisata nel successivo v.38; tuttavia l'angelo glielo fornisce ugualmente. Il segno è la prodigiosa gravidanza di Elisabetta, inaspettata per due solidi motivi: perché vecchia e perché sterile. Due condizioni che la rendono del tutto incapace di concepire, secondo le ragionevoli logiche umane. Ma il v.36 va colto anche come preparatore del v.37: "nulla è impossibile a Dio". Ecco la conclusione e l'obiettivo finale di Luca: sottolineare l'onnipotenza divina, che qui è entrata nella storia in Elisabetta e in Maria. Da questo momento in poi, nulla la potrà più fermare. Il progetto "recupero dell'uomo a Dio" è partito e porta in sé tutta la potenza dell'Onnipotente!
<<Ecco la serva del Signore ...: che Maria fosse disponibile all'annuncio già lo si era intuito nel fatto che lei non ha chiesto nessuna prova, nessun segno, né ha chiesto le credenziali a Gabriele. Maria è presentata da Luca come la totalmente accogliente, collaboratrice di Dio nel suo progetto di salvezza; per questo Luca attribuisce a Maria il titolo di "serva", che, si guardi bene, nell'ambito delle Scritture costituisce un titolo onorifico, che viene attribuito a grandi personaggi come Abramo, Mosé, Davide, i profeti e il Servo sofferente di Jhwh. Tale espressione definisce la persona scelta da Dio a collaborare con Lui al suo progetto di salvezza in favore del popolo. Il titolo, quindi, che Luca attribuisce a Maria non ne indica l'umiltà, ma ne dipinge tutta la grandezza, collocandola in un posto d'onore nell'ambito della storia della salvezza.
... avvenga a me secondo quanto hai detto>>: l'espressione è introdotta da un verbo greco posto all'ottativo, che non ha corrispondente in italiano. Esso esprime un augurio, un desiderio che avvenga, accada quanto è stato detto dall'angelo. Luca esprime qui la forte tensione spirituale di Maria nei confronti del realizzarsi del progetto divino, di cui è parte vitale e integrante. Essa desidera conformarsi alla Parola e diventare il luogo storico della sua attuazione. Ed è proprio in questo momento che Maria concepisce in sé il Verbo eterno del Padre, dandogli una dimensione storica, perché possa raggiungere ogni uomo.
[1]I primi quattro versetti, 1,1-4, formano il prologo del vangelo di Luca, con cui l'autore, alla maniera degli storici greci dell'epoca, annuncia l'intento storico della sua opera. Un'introduzione del tutto simile si trova nell'opera, scritta in greco, dello storico ebreo Flavio Giuseppe (37/38-104 d.C. circa) "Guerra Giudaica". Questo tipo di introduzione si trova, in tutta la letteratura neotestamentaria canonica, soltanto qui. [2]L'inclusione è una figura letteraria che consiste nella ripetizione di una parola o di una frase, una posta all'inizio e una alla fine di un testo. Narrativamente serve per delimitare un testo, che includono a mo' di parentesi. [3] A causa della sua crudeltà, l’imperatore Augusto lo depose nel 6 d.C. e lo mandò in esilio a Vienne, in Francia, e il suo territorio (Giudea,Samaria e Idumea) fu affidato ad un prefetto romano alle dipendenze del governatore di Siria. [4]Presso il popolo ebreo l'età maggiore si compiva a 12 anni per le ragazze e a 13 per i ragazzi. A tale età essi diventano rispettivamente "bat mizwah" e "bar mizwah", cioè figlia e figlio del comandamento. Attraverso una particolare cerimonia essi sono introdotti ufficialmente nella comunità e possono leggere la Torah in pubblico e officiare pubblicamente. La loro parola è tenuta in considerazione all'interno della comunità e sono ritenuti capaci di responsabilità nei suoi confronti. Da questo momento sono obbligati ufficialmente e pubblicamente ad osservare e rispettare rigorosamente la Torah. [5]Fino all'anno 70 d.C. si era ebrei per patrilinearità e, quindi, contava il ceppo del padre. Dal 70 d.C. fino ai nostri giorni, è stata introdotta la matrilinearità. Pertanto uno è ebreo solo se ebrea è la madre. Conta, dunque, il ceppo materno. |