IL VANGELO SECONDO MARCO
La scoperta della tomba vuota
Cap. 16
Commento
esegetico e teologico
a cura di
Giovanni Lonardi
“È stato risuscitato non è qui”
Note
generali
Il cap. 16, tra quelli di Marco, è il più curioso, per la sua finale così tronca e bizzarra (v.8), che lascia perplesso il lettore, che si porta con sé molti interrogativi e nessuna risposta; e il più complesso nel contempo, per le profonde manipolazioni che ha subito sia dallo stesso Marco che, più tardivamente, da altri autori sconosciuti.
Il testo attribuibile a Marco è circoscritto soltanto dai primi 8 versetti: il linguaggio e lo stile narrativo sono suoi; i restanti 12 versetti (vv.9-20) sono stati aggiunti successivamente, intorno al II sec. d.C., sia per addolcire una finale così brusca e inattesa che per allinearla agli altri tre evangelisti, i quali, dopo il racconto della scoperta della tomba vuota da parte delle donne e l'annuncio della risurrezione di Gesù, lo fanno seguire da quello delle apparizioni, che la comprova, rendendo così i Dodici e i discepoli in genere (1Cor 15,5-8) partecipi dell'evento e suoi testimoni (At 1.8; 2,32; 3,15; 5,32).
Già si comprende, da questi brevi cenni, come il cap.16 si suddivida in due sezioni, la prima (vv.1-8), che forma da epilogo all'opera marciana, è opera di Marco; la seconda sezione, circoscritta dai vv.9-20 è opera di autori ignoti. Io accentrerò la mia attenzione sulla prima sezione, mentre mi limiterò ad una critica letteraria semplice sulla seconda, di scarso interesse, perché si tratta sostanzialmente di una sintesi, elaborata a modo proprio da ignoti autori, di alcuni passi di Lc 24 e Gv 20; personaggi che gravitavano probabilmente attorno al mondo greco ellenistico, dove questi due vangeli erano diffusi e molto conosciuti.
Vi è raccontata nella prima sezione, 16,1-8, un'antistoria, che cozza contro le logiche storiche dei due precedenti capp. 14.15, dove tutto scorre attraverso quadri narrativi storicamente convincenti, almeno nelle linee fondamentali dei racconti, e questo al di là delle singole prospettive teologiche e cristologiche proprie di ogni evangelista: dopo, l'ultima cena e gli eventi del Getsemani, Gesù è condotto davanti al sommo sacerdote e da qui, sconfessato e ripudiato dalle autorità giudaiche, è condotto davanti a Pilato che, invece, fa di tutto per salvarlo, ma viene sopraffatto dal linciaggio, incentivato e promosso dalle autorità giudaiche, così che Gesù viene condannato a morte, crocifisso, muore e viene sepolto. Fine della storia. Tutto qui ha un suo senso e una sua logica.
Ma il cap.16 riprende le ultime immagini del cap.15 (vv.40-47) e le ripropone rovesciate: le donne sono sempre le stesse di 15,40, dando in tal modo continuità narrativa, ma la pietra rotolata a chiusura del sepolcro, qui è rimossa; il corpo di Gesù, deposto dalla croce nel sepolcro, non c'è più; torna la figura del giovinetto avvolto, là in 14,51-52, da un lenzuolo e fuggitivo, mentre qui è avvolto da una veste bianca, che racconta alle donne come quel Gesù di Nazareth, morto crocifisso non è più lì nella tomba, ma “è stato risuscitato” e che sta aspettando i suoi, nuovamente in Galilea, da dov'era partita la sua missione e il racconto di Marco (1,9.14-15.38). Un cerchio, pertanto, che si chiude e riprende nuovamente.
Tutto questo non ha senso, tutto questo porta a ritroso la storia e la fa ricominciare da capo, tutto questo la rende incomprensibile, poiché ci si trova di fronte ad eventi che trascendono le logiche umane e l'Arcano, il Mistero, inafferrabile dall'uomo, si impone sulle logiche della storia e le frantuma e l'essere umano è scompaginato, non si ritrova più ed è travolto dallo spavento e fugge da quel luogo di morte e di Mistero, che lo avvolge nella paura e lo sconvolge e lo racchiude in un silenzio pieno di interrogativi, di dubbi, di incertezze, sottese da un imprecisabile filo di angoscia e d'inquietudine.
E le donne fuggirono e “non dissero niente a nessuno”. Del resto che cosa c'era da raccontare se non di una tomba vuota, abitata da una loro allucinazione. Non fecero così anche Pietro e Giovanni, dopo aver constatato la tomba vuota: ”I discepoli dunque se ne tornarono di nuovo presso di loro” (Gv 20,10), muti e silenziosi? E il motivo di tanto mutismo lo spiega Gv 20,9: “non avevano ancora compreso la Scrittura che egli deve risorgere dai morti”. Del resto è lo stesso Gesù che impone il silenzio ai suoi dopo l'esperienza della trasfigurazione, che svela il Mistero di Gesù, adombrato dalla sua umanità adamitica, corrotta dal peccato, anticipando là, in qualche modo, questo momento, incomprensibile e irraggiungibile, se non per fede, della risurrezione: “E discendendo quelli dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno quelle cose che videro, se non quando il Figlio dell'uomo sarà risorto dai morti. E tennero la parola presso di loro, discutendo (tra loro) che cosa sia il risorgere dai morti” (9,9-10).
Che cos'è, dunque, la risurrezione? Certo si poteva averne un'idea con la figlia di Giairo, ma qui si parla di tutt'altra cosa, che quella in qualche modo prefigurava. Gli stessi sadducei e gli scribi annasparono attorno ad essa e non capivano la novità di questa risurrezione, che ipotizzavano come un proseguimento di questa vita terrena. Ma qui c'è qualcosa che è sconvolgente, lo lasciano intuire il tremore, l'agitazione e lo spavento che hanno posseduto quelle donne e ciò lascia arguire come queste abbiano fatto in qualche modo l'esperienza del divino in quella tomba vuota, da cui sono fuggite, perché l'uomo, quando fa tale esperienza, tocca i limiti del suo niente e sprofonda nel nulla. Un'esperienza che ti toglie la voglia di parlare. Ma parlare di che cosa, di una realtà sconosciuta, inconsistente per l'esperienza umana e da questa non raggiungibile, ma che comunque la travolge e per la quale non ci sono parole per definirla (2Cor 12,4)? Un'esperienza che ti chiude in te stesso e ti toglie ogni parola, ma che continua a risuonarti dentro e non ti dà tregua finché non l'hai colta con l'unica sensibilità che ti è concessa per poterla coglierla nella sua più vera Verità: la fede, la nuova sensibilità, il nuovo modo di percepire il divino in te stesso e nella storia.
Il
silenzio delle donne è il silenzio della chiesa nascente, chiamata a
riflettere su di un evento sconvolgente, approfondendo con le
Scritture e richiamandosi all'esperienza e alla parola del suo
Maestro e Guida. Quella fuga dalla tomba non dice la fine di tutto,
ma l'inizio di un lungo cammino di sofferenza, fatto di silenzio, di
ricerca, di riflessione. Quel cammino che la giovannea Maria
Maddalena, figura della comunità giovannea, aveva intrapreso “quando
c'era ancora buio”
(Gv 20,1), un buio che dice disorientamento e smarrimento,
incapacità di leggere la morte di Gesù e il vuoto della tomba. Solo
alla fine di questo cammino, aspro e difficile, pervaso da
inquietudini e dubbi e sostenuto dalle Scritture, si arriverà alla
scoperta della Verità. Ed è a questo punto che la tua vita viene
travolta dalla luce divina ed è allora, ma soltanto allora, che
l'evento della risurrezione e del Risorto si fa esperienza di vita e
diventa incontenibile e non lo puoi più tacere. È da qui, e
soltanto da qui, che ha inizio la missione della chiesa, dal buio
angosciante di una tomba vuota illuminata dalla fede nel Risorto.
La
scoperta della tomba vuota (vv.1-8)
Testo
a lettura facilitata
Preambolo
(v.1)
1-
E trascorso il sabato, Maria Maddalena e Maria, la [madre] di Giacomo
e Salome comperarono degli aromi affinché, andate, lo ungessero.
Introduzione (v.2)
2- E di mattina presto, il primo (giorno) della settimana, vanno al sepolcro, mentre sorgeva il sole.
L'interrogativo che prepara all'evento (vv.3-4)
3-
E dicevano tra loro: <<Chi ci farà rotolare via la pietra
dalla porta della tomba?>>.
4-
E alzati gli occhi, osservano che la pietra era stata rotolata via;
era infatti molto grande
L'esperienza della tomba vuota preannuncia la risurrezione (vv.5-6)
5-
Ed entrate nella tomba, videro un giovanetto seduto alla destra,
avvolto in una veste bianca, e restarono attonite.
6-
E dice loro: <<Non stupite! Cercate Gesù, il Nazzareno, il
crocifisso; è stato risuscitato non è qui. Ecco il luogo dove lo
deposero.
Il mandato all'annuncio (v.7)
7- Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che vi precede nella Galilea; là lo vedrete, come vi disse>>.
Non una fuga, ma l'inizio di un cammino verso la scoperta del Risorto (v.8)
8- Ed uscite, fuggirono dalla tomba, poiché un tremore e un'agitazione le possedevano; e non dissero niente a nessuno, perché erano spaventate.
Note
generali
I primi otto versetti del cap.16 si possono considerare
una sorta di epilogo dell'opera marciana. Il racconto marciano,
infatti, termina con la deposizione di Gesù dalla croce e la sua
sepoltura. Tutta la vicenda umana e storica di Gesù, iniziatasi con
1,9, si conclude, quindi, lì e su di lui non c'è più nient'altro
da dire. Tuttavia la successiva riflessione della chiesa e il suo
interrogarsi sulla tragica morte di Gesù e sulla tomba vuota, dato
questo che va considerato storico, ha dovuto darsi una risposta.
Saranno proprio questi primi otto versetti che testimonieranno la
conclusione della prima riflessione della chiesa.
Ci troviamo sempre nell'ambito di un racconto e non di
un reportage cronachistico dell'epoca, per cui è necessario cercar
di capire il linguaggio figurato che Marco usa qui e che cosa egli
intenda dire ai suoi lettori con questo breve, quanto fondamentale e
intenso racconto, che getta una nuova luce sul dopo Gesù e apre
nuovi spazi e parla di nuovi inizi, lasciando intuire come tutto non
è finito con il sepolcro. Saranno proprio questi spazi nuovi e
questi inizi nuovi che formeranno l'oggetto del secondo libro di Luca
(At 1,1), quello degli Atti degli Apostoli, che prende le fila
proprio dalla risurrezione di Gesù (At 1,3).
Pur nella sua brevità, tuttavia, la pericope, vv.1-8, presenta al suo interno delle forzature. Il v.1 è un ritocco successivo, sicuramente attribuibile a Marco, mentre il v.2 apriva originariamente il cap.16. Vi è, infatti, una ripetizione temporale nei vv.1.2. Il v.1 apre il racconto con la nota temporale “Trascorso il sabato”; nota che parimenti viene ripetuta, sia pur con parole diverse, al v.2: “E di mattina presto, il primo (giorno) della settimana”, cioè quello dopo il sabato. Nota quest'ultima con cui tutti gli altri tre vangeli iniziano il loro racconto della risurrezione. È quindi ragionevolmente ipotizzabile che anche l'apertura del cap.16 di Marco avesse originariamente iniziato allo stesso modo:
Mt 28,1 |
Mc 15,2 |
Lc 24,1 |
Gv 20,1 |
Passato il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l'altra Maria andarono a visitare il sepolcro. |
E di mattina presto, il primo (giorno) della settimana, vanno al sepolcro, mentre sorgeva il sole |
Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato.
|
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. |
Tutti gli evangelisti partono, dunque, con la nota temporale di “buon mattino” o “mattino presto” o “all'alba del primo giorno della settimana”. Solo Marco apre il suo cap.16 con le donne che si recano a comperare degli aromi per ungere il corpo di Gesù. Marco, infatti, sembra sentire il bisogno di giustificare la presenza delle donne presso la tomba il giorno dopo il sabato, cioè la domenica, di buon mattino. Egli, infatti, aveva chiuso il cap.15 con una rapida sepoltura di Gesù, avvolto in un lenzuolo e messo in un sepolcro tout-court, perché ormai incombeva il sabato (15,42) e non si aveva il tempo di fare l'inumazione rituale. Il cap.15, poi, si concludeva con la scena delle donne, che stavano osservando attentamente dove Gesù era deposto (15,47), quasi a memorizzarne il posto, lasciando intuire che tutto non finiva lì, ma che esse sarebbero tornate. Luca, che da Marco dipende, probabilmente si è accorto della forzatura marciana, per cui ha anticipato la preparazione degli aromi il giorno stesso della parasceve (Lc 23,56a), per poi aprire il suo cap.24 in modo pulito, con l'annuncio delle donne che si recano al sepolcro “Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino”. Marco e Luca sono gli unici due evangelisti che spiegano il motivo per cui le donne si recano al sepolcro, mentre Matteo e Giovanni dicono semplicemente che le donne (la sola Maddalena per Giovanni – 20,1) si recano al sepolcro senza specificarne il motivo, perché tutta l'attenzione del lettore doveva essere incentrata sulla scoperta della tomba vuota. Tuttavia, la premura di Marco nel sottolineare il recarsi delle donne al sepolcro con degli aromi appositamente acquistati il mattino dopo il sabato (v.1), mettendo l'episodio in apertura del cap.16, lascia intuire l'importanza che egli attribuisce a questo particolare, da cui traspare il nascere di un culto al corpo di Gesù all'interno della chiesa nascente, di cui le donne qui, come in 15,40-41, sono figura.
Una seconda forzatura, a mio avviso, si può rilevare al v.8, dove le donne fuggono dalla tomba perché “un tremore e un'agitazione le possedevano”. Ma poi nella seconda parte del v.8 si dice che le donne non dissero nulla “perché erano spaventate”. La conclusione sarebbe stata narrativamente molto più elegante ed efficace se Marco avesse detto: “Ed uscite, fuggirono dalla tomba, poiché un tremore e un'agitazione le possedevano; e non dissero niente a nessuno”, tralasciando quel “perché erano spaventate”, poiché in tal modo è venuto sovraccaricare una scena già piena di tensione, a meno che quel “perché erano spaventate” non avesse nulla a che vedere con la loro esperienza, ma lo spavento riguardasse solo ciò che avrebbero dovuto raccontare ai Dodici, come aveva esortato il giovane. Ma, se così è, è da chiedersi che cosa le poteva spaventare nel raccontare ciò che esse hanno sperimentato, uno spavento tale da trasgredire il comando dell'angelo. Quindi è da pensare che quel “perché erano spaventate” sia tautologico.
La struttura della pericope è suddivisa in due sezioni, la prima (vv.1-4) riguarda l'introduzione all'esperienza della tomba vuota; la seconda (vv.5-8), delimitata questa da un'inclusione data da due movimenti uguali e contrari, racconta la scoperta della risurrezione di Gesù: le donne al v.5 entrano nella tomba e al v.8 escono dalla tomba.
All'interno di queste due sezioni si sviluppa dinamicamente una struttura narrativa, che può essere suddivisa in sei parti, che ho già anticipato nella sezione del “Testo a lettura facilitata”. Pertanto, propongo la seguente distribuzione del testo:
Prima sezione (vv.1-4)
Un preambolo al racconto, che accentra l'attenzione del lettore sull'acquisto degli aromi per l'inumazione del corpo di Gesù (v.1);
L'introduzione al racconto, che coglie le donne in movimento verso il sepolcro (v.2); viene qui riservato un ampio spazio alle note temporali
L'interrogarsi delle donne lungo la strada prepara la
scoperta, creando una tensione narrativa (vv.3-4);
Seconda sezione (vv.5-8)
La scoperta della tomba vuota e l'angelofania, che annuncia la risurrezione di Gesù (vv.5-6)
Il disatteso mandato dell'angelo alle donne (v.7);
Non una fuga, ma l'inizio di un cammino verso la scoperta del Risorto (v.8)
Commento
ai vv.1-8
Il v.1 funge da preambolo al racconto della scoperta della tomba vuota, in cui risuona l'annuncio della risurrezione. Esso ha una quadruplice funzione: a) fornire la motivazione per cui le donne si recano al sepolcro: ungere il corpo di Gesù, cosa che non si è potata fare al momento della sepoltura per l'incombere del sabato (15,42); b) riprendere le fila interrotte in 15,47, dove Marco ha lasciato le donne ad osservare il luogo della sepoltura di Gesù, preludendo in questo una ripresa della narrazione che sarebbe andata oltre la sepoltura di Gesù; c) riprendere il racconto sospeso per il sabato, dando così continuità narrativa agli eventi, che altrimenti si sarebbero tutti conclusi con la sepoltura di Gesù; d) mettere in rilievo il culto del corpo di Gesù, legato alla sua morte di croce, probabilmente iniziatosi nella chiesa primitiva fin dai primi tempi; culto che poi si è fatto memoria e rito. Una questione questa che Marco aveva già affrontato in 14,8, dove viene riportata una sentenza di Gesù circa il culto del suo corpo, dopo la sua morte: “(Essa) fece ciò che ha potuto: ha preso prima ad ungere il mio corpo per la sepoltura”. Una sentenza che aveva posto fine ad un dibattito interno alla chiesa primitiva: sostenere un culto stabile all'interno della comunità credente, la quale cosa avrebbe comportato un onere per tutti, o elargire più proficuamente i soldi ai poveri, altra questione molto sentita all'interno della chiesa primitiva. Gesù sottolinea l'importanza di questo culto, che deve farsi memoria e rito, così che i benefici della morte di Gesù siano costantemente resi presenti ed elargiti a tutti i credenti di ogni tempo e latitudine. Questo non significa sottrarre l'aiuto ai poveri, ma il culto deve confluire in concreti gesti di carità, solo così esso sarà completo. L'aprire il cap.16 con questa scena dice l'importanza che Marco attribuisce alla questione, riagganciando la presenza di queste donne, che acquistano degli aromi per rendere culto al corpo di Gesù, a quell'altra donna “che aveva un costoso vasetto di alabastro di unguento di puro nardo, rotto l'alabastro, (lo) versò sul suo capo” (14,3b), creando in tal modo un profondo legame tra le due scene, che, proprio per l'interpretazione che Gesù ha dato al gesto della donna in 14,8, si rendono complementari tra loro.
Il v.1 si apre con una significativa nota temporale: “E trascorso il sabato”. Il sabato è lo spazio che separa le vicende terrene di Gesù, la sua morte e sepoltura, da un nuovo inizio, che verrà annunciato al v.2. Il sabato, il giorno sacro per eccellenza, che qualifica il culto giudaico è dunque “trascorso”, cioè è stato superato con la morte di Gesù e con esso è stato sepolto. Ed è proprio in questo tempo, che non c'è più, che le donne continuano ad operare come se nulla fosse accaduto, come se il giorno successivo fosse soltanto il solito giorno dopo il sabato, ed esse si muovono in questa logica di una continuità tra il prima e il dopo (At 2,46a; 3,1.3), non rendendosi conto che la morte di Gesù ha squarciato il velo del tempio (15,38), ponendo fine all'antico culto. Questa continuità tra il prima e il dopo fa si che esse in questo giorno dopo il sabato, non trovino più il Gesù che esse avevano conosciuto e seguito fin dalla Galilea per servirlo (15,41), perché si è giunti ad un giorno nuovo, quello successivo al sabato, che chiude l'epoca veterotestamentaria, per aprirne una nuova. Una continuità impossibile tra il prima e il dopo, che Marco evidenzia richiamando qui i nomi delle tre donne citati in 15,40. Tre donne che rimarranno smarrite di fronte all'evento della tomba vuota, perché non avevano capito che quel giorno lì era quello dopo il sabato, in cui Dio aveva portato a termine la prima creazione (Gen 2,2a); ed ora una nuova se ne sta preparando, quella che annuncerà il v.2: “E di mattina presto, il primo (giorno) della settimana, vanno al sepolcro, mentre sorgeva il sole”.
Il v.2, che introduce il racconto della scoperta del sepolcro vuoto, è caratterizzato quasi totalmente da un susseguirsi di tre note temporali: “Di buon mattino”, “il primo giorno della settimana”, “mentre sorgeva il sole”. La prima nota temporale annuncia l'avvento di un nuovo giorno, che non viene più definito come “quello dopo il sabato”, ma come il “primo giorno della settimana”. Si tratta, dunque di un tempo completamente nuovo, che non ha più nulla a che vedere con il “sabato trascorso”, poiché si tratta di un nuovo inizio, che inaugura una nuova settimana; un giorno che richiama quello del primo giorno della creazione, quello della Luce divina (Gen 1,3), dove l'intera nuova creazione verrà posta; un giorno e un inizio che sono caratterizzati dal sole che sta per sorgere: “mentre sorgeva il sole”. Un giorno, una settimana ed una nuova creazione che vengono posti sotto il segno del “Sole che sorgeva” dall'alto (Lc 1,78). Significativo quel tempo verbale posto all'imperfetto indicativo, tempo durativo, “mentre sorgeva”. Si tratta di un Sole che ha iniziato a sorgere e continuerà a farlo perché ogni uomo ne sia illuminato.
Ed è in questo nuovo inizio, in questo nuovo tempo e in questa nuova creazione che sta per sorgere, illuminata da un nuovo Sole, che le donne si muovono verso un tempo e un luogo, alla ricerca di un Gesù che non c'è più (v.6a). Ed esse non lo trovano più perché sono entrate in un tempo completamente uovo, in una nuova dimensione spazio-temporale, inaugurata da Dio per accogliere la nuova umanità. Per questo esse fuggiranno da quel sepolcro vuoto, smarrite in una novità che le supera, subissandole e della quale non sanno dire una parola. Per questo esse “non dissero niente a nessuno” (v.8b), perché spaventate e smarrite dentro questo nuovo giorno che sta nascendo, illuminato da una nuova Luce divina, quella della sconosciuta e incomprensibile risurrezione (9,10).
Ed è in questo cammino alla ricerca di un Gesù che non c'è più, che esse, ancora avvolte dal buio di un “sabato” che non c'è più, sviluppano dei ragionamenti che non porteranno a niente. E da questo nulla ignoto esse fuggiranno alla ricerca di una nuova luce, avvolte dal silenzio carico di tensione e di paura.
Il v.3 potremmo considerarlo come un versetto, da un lato, di transizione, perché coglie le donne lungo il cammino del loro andare verso il sepolcro; dall'altro, accentrando l'attenzione sulla pietra, prepara il lettore alla scoperta di una pietra già rimossa, suscitando interrogativi e inquietudini.
Ed è lungo questo cammino verso il sepolcro che le donne, figura della comunità credente, s'interrogano sul come rimuovere questa pesante pietra sepolcrale, che è la morte di Gesù, che spegne in loro ogni speranza (Lc 24,21) e che impedisce, ormai, di raggiungerlo: “Chi ci farà rotolare via la pietra dalla porta della tomba?”. In altri termini, chi ci potrà mai restituire Gesù, che la morte s'è portato via per sempre. Come, dunque, rimuovere la morte del Maestro, che come una pietra inamovibile sovrasta su di esse? Come ritrovare il Maestro di un tempo, che ormai non c'è più? Sono questi gli interrogativi che la chiesa primitiva si è posta certamente di fronte alla morte di Gesù. Interrogativi che abbisognano di continue riflessioni, di attente discussioni e approfondimenti, di ricerche nelle Scritture (Lc 24,7; Gv 20,9), per poter scoprire cos'è successo, e ritrovare così il Gesù perduto. Solo in tal modo si scopriranno, proprio nella tomba vuota, i segni della risurrezione, in quel giovane avvolto in una veste bianca, che parla di una chiesa che ha finalmente ritrovato il suo Maestro, rivestito di una uova luce, quella della risurrezione.
Il cammino delle donne verso il sepolcro e il loro interrogarsi sulla morte di Gesù, per trovare un modo per poterlo riavere, per poter rimuovere la pesante pietra della sua morte è, dunque, il cammino della chiesa postpasquale, che s'interroga sulla morte del suo Maestro e Signore. Una ricerca sofferta, introspettiva, tormentata, che dice di una chiesa che si sta muovendo ancora nel buio di un giorno, che sta per essere illuminato da un Sole che sorge, ma che non è ancora sorto nel suo cuore e nella sua mente. Una ricerca fatta di riflessioni, di confronti illuminati dalle Scritture e che darà i sui primi risultati: “E alzati gli occhi, osservano che la pietra era stata rotolata via; era infatti molto grande” (v.4). Il verbo qui usato da Marco in “alzati gli occhi” è “¢nablšyasai” (anablépsasai), che ricorre, oltre che qui, altre cinque volte, due di queste in 6,41 e 7,34, dove si dice l'elevare gli occhi di Gesù “verso il cielo”, cioè verso il Padre; le rimanenti tre volte (8,24; 10,51.52) riguarda la riacquistata vista di due ciechi, metafora della fede ritrovata in Gesù, che li ha resi capaci di una nuova vita, tant'è che entrambi diventeranno, l'uno discepolo di Gesù, “seguendolo sulla via” (10,52b), l'altro rimandato da Gesù “a casa sua”, non come discepolo, ma come partecipe di una nuova vita, indicata nel termine “casa”, che in Marco è metafora della comunità credente, divenuta la nuova casa (“casa sua”) del cieco illuminato ora dalla fede.
Il verbo “¢nablšyasai”, pertanto, in Marco acquista un significato particolare che ha a che vedere, da un lato, con la guarigione di una incredulità che rende ciechi alle cose di Dio, acquisita attraverso la fede che illumina il Mistero, in cui il credente è immerso; dall'altro, dice il rivolgersi a Dio, da cui proviene ogni luce che illumina e consente di accedere a suo Mistero. Non è diverso anche in questo “¢nablšyasai” (“alzati gli occhi”), accompagnato significativamente dal verbo “qewroàsin” (tzeorûsin), che parla di un “vedere” particolarmente denso nel suo significato greco: “contemplare, essere spettatore, osservare, meditare, esaminare, valutare, soppesare”. Si tratta, quindi, di una ricerca di senso sulla morte di Gesù (“qewroàsin” (tzeorûsin)”), illuminata dalla fede e dalle Scritture (“¢nablšyasai), e su quella tomba vuota, che le porterà alla scoperta della risurrezione. Ed è in questo particolare contesto di ricerca illuminata, che le donne, figura della comunità credente, vedono “che la pietra era stata rotolata via”, cioè percepiscono il senso di quella morte che non c'è più (“pietra rotolata via”) per cui ora esse possono accedere nel Mistero di quel sepolcro vuoto. Significativo quel “era stata rotolata via” (“¢pokekÚlistai” apokekílistai), un passivo teologico, che rimanda l'azione della rimozione della pietra-morte all'azione di Dio stesso. Ciò significa che questa loro ricerca illuminata le ha portate a comprendere come quel sepolcro vuoto non è opera dell'uomo, come pensava la Maddalena giovannea (Gv 20,2b), ma di Dio.
Segue ora la seconda sezione della pericope (vv.5-8), circoscritta da un'inclusione data dal un movimento uguale contrario delle donne: al v.5 le donne entrano nella tomba; al v.8 escono dalla tomba. È la parte più importante perché racconta che cosa queste donne, figura della chiesa nascente, hanno scoperto e compreso del Mistero che racchiudeva il vuoto di questa tomba. Racconta, in ultima analisi, l'esperienza del Risorto, di quel Gesù perduto e ora ritrovato.
I vv.3-4 hanno raccontato come la chiesa, raffigurata dalle donne, ha dovuto percorre un cammino fatto di dubbi, interrogativi, incertezze, disorientamento di fronte alla morte di Gesù; e quel loro andare verso il sepolcro interrogandosi sulla pietra sepolcrale, immagine della morte di Gesù, dice il cammino di una chiesa alla ricerca di una risposta che l'aiuti non solo a comprendere il senso della morte di Gesù, ma anche di andare oltre questa. Solamente “alzando gli occhi”, cioè lasciandosi illuminare dalle Scritture, riescono a vedere, attraverso una laboriosa e sofferta riflessione, che la pietra “era stata rimossa” (passivo teologico), cioè riescono finalmente a comprendere che Dio ha rimosso la morte da Gesù. Soltanto, ora, dopo questo lungo cammino di riflessione e di confronto con le Scritture, intuendo in quella “pietra rimossa” un'azione divina, possono ora entrare nel Mistero di quella tomba vuota. Ed è lì che le donne fanno l'esperienza del divino e comprendono che Gesù è veramente risorto, anche se per loro non è ancora chiaro il concetto di risurrezione e quale nuovo rapporto esse sono chiamate a stabilire con il Risorto, questo nuovo Gesù, del tutto sconosciuto, così che la Maddalena giovannea non lo riconoscerà (Gv 20,14); e similmente i due discepoli di Emmaus, poiché essi si muovevano ancora secondo logiche umane (Lc 24,15-26).
Il v.5 si apre con la scena delle donne che entrano nella tomba. Il loro entrare non è stata una cosa immediata, ma è stata preceduta da un lungo cammino fatto di interrogativi (v.3) e di ricerche scritturistiche e riflessioni (v.4), che hanno consentito loro, soltanto ora, di entrare in quel Mistero della tomba vuota. Ed è proprio qui che incontrano “un giovinetto seduto alla destra, avvolto in una veste bianca”. La figura di questo “giovinetto avvolto in una veste bianca” è strettamente legato all'altro “giovinetto avvolto in un lenzuolo sul corpo nudo” (14,51). Le due figure sono strettamente congiunte tra loro dai due termini che, di fatto, non solo le legano tra di loro, ma anche le identificano: “nean…skoj” (neanískos, giovinetto) e “peribeblhmšnoj” (peribebleménos, avvolto). Marco sta parlando dello stesso giovinetto, che ha subito da là (14,51-52) a qui una trasformazione, un passaggio. Se là rappresentava i catecumeni, che non hanno retto alla prova della sequela sulla via della croce di Gesù e, in qualche modo, in essi, la chiesa stessa, ora quest'altro giovinetto raffigura una chiesa che ha ritrovato se stessa proprio in quella tomba vuota. Quella chiesa che prima era fuggita dal cammino della croce, ora ritorna sui suoi passi, riflettendo sugli eventi dai quali era rifuggita e ricomponendoli alla luce delle Scritture e della fede ritrovata, riesce a comprendere che il Gesù della storia è andato oltre e vive in pienezza presso e in Dio.
È un giovinetto, questo, che non è più avvolto da un lenzuolo, come era stato avvolto con lo stesso lenzuolo (14,51; 15,46) il Gesù della croce, che essi hanno seguito, ma poi abbandonato, ma e avvolto in una veste bianca. Non più, dunque, un lenzuolo (“sindÒna”, sindóna), che assume il significato non solo di una fede incipiente e fragile come lo può essere quella di un iniziato, ma anche di sofferenza e di morte, come lo è stato per Gesù; ma qui si parla di una veste (“stol¾n”, stolèn) che si indossa non più sulla nuda pelle come il lenzuolo, ma sopra un altro vestito, di una fede che già era stata acquisita (l'abito esprime lo stato di vita1), ma in qualche modo poi abbandonata, ma ora ritrovata in quella tomba vuota. È una veste che Marco definisce “leuk»n” (leukén), che significa “bianca”, ma anche splendente, luminosa descrivendo in tal modo il nuovo stato di vita di quel giovinetto, che ha ritrovato se stesso in quella tomba vuota. Lo splendore di quella veste, di quella nuova condizione di vita è data dall'aver compreso intimamente, ma chiaramente, che il Gesù della storia, quello avvolto da un lenzuolo di sofferenza e di morte, ora non c'è più, perché ha superato la morte stessa.
Vi è stato, quindi, un passaggio da morte a vita anche per la fede della chiesa nascente, che, dispersa di fronte alla croce e al sepolcro (14,27.50-52), ha saputo ricostituirsi in una nuova fede, non più nel Gesù di Nazareth crocifisso, il Gesù della storia al quale essa era ancora legata e ancora cercava, ma in quello al quale la potenza di Dio ha rotolato via la pietra della morte, lasciando intuire alla chiesa nascente, in quella tomba vuota, che egli è risorto. Una nuova veste splendente, quindi, riveste ora la chiesa, che porta in se stessa un messaggio che risuona in se stessa e in ogni credente: “Non stupite! Cercate Gesù, il Nazzareno, il crocifisso; è stato risuscitato non è qui. Ecco il luogo dove lo deposero”. Il luogo è una tomba vuota ed è proprio riflettendo su questa che la chiesa nascente scoprirà in questo vuoto, sorretta dalle Scritture e da un'attenta riflessione, che Egli è risorto.
Alla scoperta della risurrezione segue ora un mandato e una missione, un mandato che si espleta in una missione: “Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che vi precede nella Galilea; là lo vedrete, come vi disse” (v.7). Una duplice esortazione, quella dell'andare e del dire, quindi un annuncio missionario, che investe l'intera chiesa: i discepoli e Pietro e che si richiama in qualche modo alla natura stessa della chiesa, che affonda le sue radici e trova il suo senso nella costituzione dei Dodici e, con loro, di tutti i discepoli: “E (ne) fece dodici [che denominò anche apostoli] affinché fossero con lui e affinché li inviasse a predicare” (3,14).
Il messaggio, che Gesù aveva già preannunciato in 14,28, è quello di ritornare da Gerusalemme, dove si sono svolti gli eventi pasquali, in Galilea, dove era iniziata la missione stessa di Gesù (1,9.14-15.38). Da lì, dunque, deve riprendere la chiesa nascente, riprendendo quella missione terrena che il Risorto ora continuerà ancora attraverso il suo nuovo corpo, la chiesa (Col 1,24) e, in essa, ogni credente.
Il mandato termina con l'indicazione che “là lo vedrete”, cioè in “Galilea”. Non si tratta di una promessa di apparizione, Marco, infatti, le rifugge tutte, tanto che qualcuno si è sentito in dovere di integrarlo (vv.9-20), ma in quel “vedrete” è inclusa la promessa di una comprensione piena del senso della missione stessa della chiesa del dopo Gesù: quello di continuarne la sua missione terrena. Il verbo “vedrete” qui cambia completamente e passa da “qewroàsai” (tzeorûsai) a “Ôyesqe” (òpseste), che parla non più di un vedere che s'interroga e che va alla ricerca di un senso (“qewroàsai”), ma di un vedere che è giunto alla pienezza della comprensione (“Ôyesqe”): Si, Gesù è risorto e noi ne siamo il suo proseguimento nella storia ed egli vive ed opera ancora in mezzo agli uomini attraverso noi, la sua chiesa. È un vedere che capisce come quel ripartire dalla Galilea significa riprendere in se stessi la sua missione, che egli, ora, continua nella sua chiesa, che non è più la chiesa di Gesù, ma del Risorto.
Il vangelo di Marco termina con il v.8 in modo inatteso, che lascia alquanto perplesso e disorientato il lettore. Ed è proprio questo il senso che l'autore ha voluto infondere nel suo lettore, per trasmettergli in qualche modo la realtà che la chiesa primitiva ha vissuto in quella tomba vuota, dopo lo smarrimento e lo sconforto vissuto sul Golgota: il vuoto del sepolcro, dentro il quale deve aver trovato delle tracce di una realtà incomprensibile e sconvolgente, che tale approfondirà e comprenderà sempre più nel tempo e che la trasformerà completamente. Un dramma, quello della chiesa nascente, che Marco tratteggia qui in modo efficace: tremore, agitazione, spavento, fuga, silenzio. Sono queste le componenti che dominano quest'ultimo quadro del racconto marciano e che parlano di un'esperienza che la chiesa delle origini ha fatto del divino, allorché questo irrompe nella storia e la coinvolge, rendendola depositaria di questa scoperta, che si fa esperienza e che deve diventare annuncio.
Se il tremore, l'agitazione e lo spavento sono le reazione dell'uomo all'irrompere del divino nella storia, il silenzio ne è la conseguenza e dice lo spazio di riflessione che la chiesa ha riservato in se stessa e per se stessa per lasciar risuonare dentro di sé la scoperta e l'esperienza di una realtà che la supera e che la spinge a rivedere, a riconsiderare e a risignificare la sua esperienza con Gesù, il nazareno crocifisso: egli non era solo un rabbi portentoso, ma il Cristo, il Figlio di Dio ed ora il Vivente in loro e in mezzo a loro (Ap 1,18).
Il raggiungimento della fede nel Risorto da parte delle comunità credenti non fu una cosa scontata e semplice, ma un lento e graduale cammino verso la scoperta della Verità che si celava in quella tomba vuota. Se i tre Sinottici affidano la scoperta della risurrezione a contesti teofanici e angelofanici, per indicare come la scoperta e la comprensione della risurrezione di Gesù sia stata il frutto di una rivelazione divina e con Dio avesse a che fare (Rm 1,4), Giovanni, unico tra gli evangelisti, nel passo parallelo della scoperta della tomba vuota (Gv 20,1-10), racconta il cammino che la sua comunità ha dovuto percorrere per raggiungere la fede nel Risorto. Lo fa ricorrendo a tre verbi, che rappresentano i tre stadi di evoluzione intellettiva e spirituale attraverso i quali essa era passata per comprendere come Gesù fosse risorto.
Il racconto giovanneo si apre con la Maddalena, figura della comunità giovannea, che si muove verso il sepolcro “quando c'era ancora buio”. Era il buio della delusione, della sfiducia, del disorientamento e dello smarrimento entro cui si muoveva la comunità, dopo gli eventi del Golgota. Una comunità che, tuttavia, intraprende un agitato cammino2 di comprensione di quanto le era successo in quel suo andare verso la tomba. Ed è in questo cammino che essa “vede la pietra tolta dalla tomba”. Il verbo qui usato da Giovanni è “blšpei” (Blépei) che indica un semplice vedere fisico, che non va oltre a ciò che si vede e non se ne comprende il significato. Infatti, la Maddalena non entra nel mistero della tomba, ma standosene fuori dà la sua la prima interpretazione, la più semplice e la più logica da un punto di vista umano: “Hanno portato via il Signore dalla tomba”. Quindi, un semplice trafugamento di cadavere.
A tal punto si muovono i due capi delle due comunità, quella palestinese, raccolta attorno a Pietro, e quella giovannea, raccolta attorno al suo capo carismatico Giovanni (Gv 20,2-4) e vanno anche loro verso la tomba. Giovanni, come la Maddalena, non entra nel sepolcro, ma standosene fuori “chinatosi vede le bende che stavano a terra, tuttavia non entrò”. Anche qui il verbo è “blšpei” (Blépei) , come quello per la Maddalena. Giovanni, infatti, vede le bende per terra, ma non entrò nel Mistero di quella tomba vuota, ma si limitò a constatare l'evento delle bende senza comprenderne il significato. Anche per lui il suo vedere non andava oltre a ciò che quelle bende per terra significassero. Solo Pietro, per primo, entra nel Mistero di quella tomba vuota e anche lui “osserva le bende che stavano a terra”. E qui il verbo “vedere” cambia: non è più “blšpei” (Blépei), un vedere che non va oltre a ciò che vede, ma è “qewre‹” (tzeoreî), che indica un “vedere” che riflette e s'interroga. Il verbo significa infatti “scorgere, osservare, esaminare, investigare, meditare, riflettere, valutare, soppesare”. Ed è proprio su quella tomba vuota, che conteneva nient'altro che delle bende e un sudario ben ripiegato e posto a parte, che la comunità giovannea, e con essa l'insieme della chiesa nascente, sviluppa la sua riflessione e giunge alla conclusione che il corpo di Gesù non è stato trafugato. Che senso avrebbe avuto, infatti, togliere le lunghe bende in cui era avvolto il corpo di Gesù e togliergli il sudario, prendendosi cura di piegarlo e riporlo da parte per poi trafugarlo, contaminandosi con un cadavere? Una cosa questa molto laboriosa e che richiedeva non poco tempo, con il rischio di essere scoperti. Perché mai, poi, rubare un corpo nudo? Riflessioni certamente semplici, ma efficaci e tali da far intuire a Giovanni ciò che era veramente successo. Per cui egli “vide e credette”. Qui il verbo “vedere” cambia nuovamente. Non è più “blšpei” (Blépei), il vedere cieco, che non va oltre a ciò che vede; non è più neppure “qewre‹” (tzeoreî), il verbo di un vedere che s'interroga e riflette, ma “eiden” (eiden), un verbo che parla di un vedere consapevole, che ha raggiunto finalmente la luce della Verità, per cui la conseguenza è la fede: “e credette”. Ma nonostante questo triplice passaggio di lenta e graduale maturazione interiore, sia Pietro che Giovanni se ne tornano silenziosi a casa loro. Mancava ancora un tassello importante perché quel loro lento cammino di comprensione degli eventi si trasformasse nella certezza della fede: le Scritture: “infatti non avevano ancora compreso la Scrittura che egli deve risorgere dai morti”.
Un
cammino, quindi, lungo e difficile quello della fede nel Risorto,
attorno al quale sorgevano ancora molti dubbi e incertezze, come
racconta Mt 28,17: “E
vedendolo, si prostrarono, ma essi dubitarono”.
Le due finali aggiunte
Il vangelo di Marco termina con il v.8 in modo brusco e inatteso, che lascia il lettore perplesso e disorientato. Le donne, poi, comandate dall'angelo a riferire a Pietro e ai discepoli (v.7) trasgrediscono l'ordine, fuggendosene via spaventate dalla tomba, quasi sbattendo la porta, senza nulla riferire a nessuno.
Un finale, quello di Marco, che deve aver disturbato non poco, se qualcuno ha pensato di completarlo con due aggiunte, una breve, probabilmente la prima, considerato che se prima ci fosse stata quella più lunga, più completa e più elaborata, non ci sarebbe stato bisogno di quella breve, che, comunque, deve essere apparsa del tutto insoddisfacente all'autore della versione più lunga, se si è preso la briga di redarne una sua propria.
Entrambe le versioni, comunque, sono state redatte nel II sec., considerato che Ireneo (140-202 d.C.) nella sua opera “Adversus hereses”, 180 circa, cita direttamente Mc 16,19 (Ad Haer, III, 10,5).
Il
linguaggio e lo stile delle due finali si staccano notevolmente da
quelli di Marco. Va aggiunto a questo che i documenti più antichi e
testualmente più autorevoli, il Codex Vaticanus (325 d.C.) e il
Sinaiticus (370 d.C) non riportano nessuna delle due finali, ma fanno
terminare il vangelo di Marco con 16,8 e le parole “™foboànto
g£r”
(efobûnto
gár).
A questi due si associa un terzo documento del XII sec., il codice
304, un manoscritto conservato presso la Biblioteca Nazionale di
Parigi. Questi tre sono gli unici manoscritti in greco che non
riportano nessun tipo di finale.
La finale breve
Testo
a lettura facilitata
L'annuncio delle donne al primo nucleo ecclesiale (prima parte)
[[Raccontarono3 brevemente a quelli attorno a Pietro tutte le cose (a loro) annunciate.
L'invio in missione (parte seconda)
Ora,
dopo queste cose, anch'egli, Gesù, inviò, dall'oriente fino
all'occidente, per mezzo loro il sacro e incorruttibile annuncio
della salvezza eterna. Amen]]4
Note generali
Questa finale breve è un sommario, maldestramente combinato, in cui la prima parte è in discordanza con Mc 16,8b dove si dice che le donne “non dissero niente a nessuno, perché erano spaventate”, mentre la finale breve dice che le donne “Raccontarono brevemente a quelli attorno a Pietro tutte le cose (a loro) annunciate”. Una evidente forzatura, che sembra voler correggere il racconto marciano o volerlo aprire ad una continuità. La seconda parte riporta, sempre in forma di sommario, il mandato universale che Gesù stesso ha dato ai suoi, perché annunciassero “dall'oriente fino all'occidente, per mezzo loro il sacro e incorruttibile annuncio della salvezza eterna. Amen”, che ricorda vagamente il Sal 112,3: “Dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore”.
Il linguaggio in questa seconda parte è ridondante, enfatico, quasi ampolloso, che sembra risentire di un certo contesto liturgico o celebrativo, e, comunque, si stacca notevolmente dallo stile sobrio, essenziale e vivace di Marco.
La finale lunga
Testo
a lettura facilitata
Prima apparizione e incredulità (vv.9-10)
[[9-
Ora, risorto il mattino, il primo (giorno) della settimana, apparve
dapprima a Maria Maddalena, dalla quale aveva cacciati sette demoni.
10-
Quella, andata, (lo) annunciò a quelli che erano stati con lui, che
sono afflitti e piangono.
11-
E quelli, avendo udito che (egli) vive e fu visto da lei, non
credettero.
Seconda apparizione e incredulità (vv.11-12)
12-
Ma dopo queste cose, si manifestò a due di loro sotto un'altra
forma, mentre andavano in campagna.
13-
E quelli, dopo essersene andati, (lo) annunciarono agli altri; (ma)
non credettero neppure a quelli.
Terza
apparizione agli Undici e rimprovero per la loro incredulità
(v.14)
14- Successivamente si manifestò a loro, gli Undici, mentre erano sdraiati a tavola, e rimproverò la loro incredulità e durezza di cuore, perché non credettero a coloro che lo avevano visto risorto.
Il mandato per la missione e le condizioni per la salvezza (vv.15-16)
15-
E disse loro: <<Andando in tutto quanto il mondo, predicate il
vangelo ad ogni creatura.
16-
Colui che ha creduto ed è stato battezzato, sarà salvato; chi,
invece, non ha creduto, sarà condannato.
I segni che accompagneranno i credenti (vv.17-18)
17-
Ora questi segni accompagneranno quelli che hanno creduto: nel mio
nome scacceranno demoni, parleranno in lingue nuove,
18-
[e nelle mani] prenderanno serpenti e qualora bevessero qualcosa di
mortale non nuocerà loro; imporranno le mani sugli infermi ed
avranno beneficio>>.
Gesù sale al cielo (v.19)
19- Pertanto, il Signore Gesù, dopo aver parlato loro, fu elevato nel cielo e sedette alla destra di Dio.
I
discepoli in missione (v.20)
20- Ora quelli, usciti, predicarono ovunque, assistendo(li) il Signore e confermando la parola con segni che (la) accompagnavano.]]
Note
generali
La versione lunga del finale di Marco, certamente molto più dettagliata, possiede un suo progetto teologico-cristologico ed ecclesiologico finalizzato, da un lato, ad attestare la risurrezione di Gesù attraverso tre apparizioni (vv.9-14), le prime due caratterizzate dall'incredulità, che preparano la terza apparizione, che si apre con il rimprovero di Gesù agli Undici per la loro persistente incredulità. Il v.14 chiude il ciclo delle apparizioni, che sono state mutuate, la prima da Gv 20,1-2 e, per la nota biografica sulla Maddalena, da Lc 8,2b; la seconda da Lc 24,13-16 (i due discepoli di Emmaus); la terza sempre da Lc 24,33-38; dall'altro, nella seconda parte, vv.15-18, l'autore evidenzia l'aspetto ecclesiologico, originandolo dal comando stesso di Gesù in quel “Andando in tutto quanto il mondo, predicate il vangelo ad ogni creatura” (v.15), dettando le regole per l'accesso alla salvezza: fede e battesimo, un binomio inscindibile, che anche Ef 1,13-14 sottolinea, presentando un percorso di accesso alla comunità credente: ascolto della Parola, adesione alla fede, acquisizione del dono dello Spirito Santo per mezzo del battesimo, benché quest'ultimo non venga apertamente menzionato, ma soltanto sottinteso nel “dono dello Spirito Santo”, che viene acquisito attraverso il battesimo.
La seconda parte dell'esposizione ecclesiologica (vv.17-18), fornisce i segni distintivi che operano nei credenti, che nei vangeli sono riservati ai Dodici o alla stretta cerchia dei discepoli (Mc 3,15; 6,7.12-13), mentre qui sono attribuiti a tutti quelli che hanno abbracciato la fede: “Ora questi segni accompagneranno quelli che hanno creduto”, probabilmente riecheggiando in qualche modo la situazione delle prime comunità credenti, dove ognuno aveva una sua specifica funzione o un suo proprio carisma all'interno della comunità stessa. Una testimonianza in tal senso ci viene da 1Cor 12,1-31 e da 1Pt 4,10-11.
Completato il quadro ecclesiologico, l'autore chiude definitivamente il ciclo terreno del rapporto Gesù-discepoli, presentando la scena della sua ascensione, mutuata da Lc 24,51 e il passo parallelo di At 1,9. Particolare l'immagine del “fu elevato nel cielo e sedette alla destra di Dio”, che ritroviamo sostanzialmente identica in Mt 26,64; At 2,33; Rm 8,34; Col 3,1; Eb 10,12; 1Pt 3,22. Passi questi che dicono il pensare comune della chiesa dei primi decenni. Interessante quel passivo teologico “fu elevato nel cielo” (¢nel»mfqh e„j tÕn oÙranÕn, anelémftze eis tòn uranòn), che rimanda l'azione dell'elevare a Dio stesso, quale autore della risurrezione e generatore di Gesù quale Figlio di Dio per mezzo della potenza dello Spirito santo (Rm 1,4).
Da questo momento ha inizio il tempo della chiesa e un diverso modo di rapportarsi a Gesù, che viene ritrovato ora nella sua Parola (Lc 24,25-27.32) e nella frazione del Pane (Lc 24,29-31; At 2,42)
L'autore termina con il v.20 la sua integrazione con una finale aperta, che forma lo spazio in cui è chiamata ad operare la chiesa: “Ora quelli, usciti, predicarono ovunque, assistendo(li) il Signore e confermando la parola con segni che (la) accompagnavano”, dove quel “usciti” dice l'inizio del tempo della chiesa, caratterizzato da un elemento fondamentale: l'annuncio della parola, sostenuto dalla fede nel Signore, in cui la chiesa missionaria trova la sua forza (“assistendoli il Signore”), e rafforzata da segni, che attestavano la veridicità e l'efficacia di tale annuncio. I segni a cui l'anonimo autore fa qui riferimento probabilmente sono quelli citati ai vv.17b-18, che in qualche modo si rifanno a Mc 3,15; 6,7.13; Lc 9,1; 10,19 e a quelli numerosi altri menzionati negli Atti degli Apostoli5.
NOTE
1Cfr. la voce “Abito, Abbigliamento” in M. Lurker, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1990.
2L'intero racconto è disseminato di verbi di movimento, che indicano l'agitazione in cui tale comunità era caduta. Il loro rapido susseguirsi denuncia l'ansioso, inquieto e frenetico dinamismo della chiesa nascente che, disorientata, cerca affannosamente di trovare un punto di appiglio per capire qualcosa di quanto le è successo (passione e morte di Gesù) e le sta succedendo (la lenta, graduale e difficile scoperta della risurrezione). Si inizia con un significativo verbo di moto: "Uscì", poi, "si recarono", "correvano assieme", "corse più veloce", "giunse per primo", "non entrò", "giunse anche Pietro", "lo seguiva", "entrò", “se ne tornarono”. Indicano un dinamismo convulso, confuso e incerto, che ben rispecchia il sentire delle prime comunità credenti
3Il soggetto qui sono le donne di Mc 16,1
4La doppia parentesi quadra “[[...]]” che include il testo della finale breve, come anche quello della finale lunga, è un segno critico testuale che indica come questi testi sono antiche inserzioni nella tradizione del testo.
5Cfr. At 4,30; 5,15.16; 9,34; 19,11-12