IL VANGELO SECONDO LUCA

Preambolo all'attività di Gesù
e contrastanti reazioni alla sua missione

(Lc 4,1-44)


Commento esegetico e teologico

a cura di Giovanni Lonardi





Premessa


Chiuso il ciclo su Giovanni (3,1-20), Luca aveva aperto un nuovo ciclo narrativo riguardante l'attività missionaria di Gesù a partire dal v. 3,21, preceduta da un preambolo (3,21-4,13) scandito in tre momenti: a) l'investitura di Gesù con la potenza dello Spirito Santo e il suo riconoscimento quale Figlio del Padre (3,21-22); b) il riconoscimento, attraverso una fittizia genealogia, della sua reale umanità e della sua appartenenza al popolo della Promessa e dell'Alleanza (3,23-38); c) la necessità per Gesù, prima di iniziare la sua attività, di operare delle scelte sul come intendere la sua missione (4,1-13). Con questo terzo momento del preambolo si apre il presente cap.4, a cui si aggiunge un suo completamento con la pericope 16-30, in cui viene presentato il contenuto della sua missione (vv.16-21) e le prime contrastanti reazioni, che segneranno l'intero suo percorso missionario (vv.22-30).

Con il cap.4, quindi, Luca inaugura la prima parte dell'attività missionaria di Gesù, che costituisce la sezione galilaica, che va da 4,14 a 9,50. Una sezione questa la cui struttura è di difficile individuazione, ma quasi certamente l'autore non ne ha voluta creare alcuna. Tuttavia ciò che dà unità e contenuto all'intera sezione sono sostanzialmente quattro elementi: a) il viaggiare di Gesù1, i cui spostamenti seguono una certa logica credibile e formano un po' il filo conduttore che imbastisce e circoscrive l'intera sezione2; b) una consistente attività taumaturgica. Ben quattordici sono i miracoli operati in questa sezione3 e quattro i sommari di guarigioni4; c) la formazione del primo nucleo dei suoi discepoli (5,10-11.27-28), la costituzione del gruppo dei Dodici (6,13-16) e il loro invio in missione (9,1-2.6.10); d) una contenuta attività predicatoria, che Luca si limita ad enunciare5, ma al cui contenuto riserva soltanto pochi versetti (6,20-49; 8,4-18; 9,23-27). Vedremo come questa tendenza si rovescierà completamente nella seconda sezione dell'attività missionaria di Gesù, quella del viaggio verso Gerusalemme (9,51-19,28), dove l'attività predicatoria, formata prevalentemente da parabole e da detti sapienziali di fonte Q e materiale proprio di Luca, è preponderante, mentre l'attività taumaturgica si riduce soltanto a cinque brevi racconti di guarigione6.

Il cap.4 si struttura su di un movimento geografico che vede Gesù spostarsi dal Giordano (v.1a), dove è avvenuta la sua investitura e il riconoscimento della sua figliolanza divina (3,22), al deserto (v.1b), dove è sottoposto a delle prove (vv,3-13); e da qui in Galilea (v.14a), più precisamente a Nazareth (v.16) da dove ha inizio la sua missione. Da qui Gesù si sposta a Cafarnao (v.31a), attorno alla quale girerà, sia pur con qualche variante, l'intera sezione galilaica. Un capitolo che, proprio perché inaugura l'attività di Gesù, ne fornisce una triplice credenziale: a) il muoversi e l'agire di Gesù sono sotto l'azione dello Spirito Santo (vv.1.14a.18); b) la titolatura di Gesù, con cui l'autore ne definisce fin da subito l'identità, viene presentata in un continuo crescendo: Gesù è riconosciuto come il figlio di Giuseppe (v22), come il nazareno (v.34a), come un profeta paragonato agli antichi e grandi profeti del passato (vv.24-27); come il Santo di Dio (v.34b); come Figlio di Dio (v.41a) e come il Cristo (v.41b); c) il contenuto e il senso della sua missione (vv.17-21).

L'intera attività di Gesù, poi, come in una sorta di coro nelle tragedie greche, è continuamente evidenziata dai commenti della gente, la cui funzione è quella di metterne in rilievo la potenza e la grandezza, ma paventando anche le ombre future, che si addenseranno su di lui: “E uscì per tutta la regione d'intorno una fama su di lui” (v.14b); “Ed egli insegnava nelle loro sinagoghe, glorificato da tutti” (v.15); “nella sinagoga gli occhi di tutti erano tesi verso di lui” (v.20b); “E tutti gli davano testimonianza e si meravigliavano per le parole di grazia, che uscivano dalla sua bocca” (v.22); “E sbalordivano per il suo insegnamento, poiché la sua parola era in autorità” (v.32); “E uno spavento avvenne su tutti e parlavano insieme gli uni gli altri dicendo: <<Che cos' (è) questa parola, poiché comanda in autorità e potenza agli spiriti immondi ed escono?>>. E il mormorio su di lui usciva in ogni luogo dei dintorni” (vv.36-37); “E tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno udendo queste cose e alzatisi lo buttarono fuori dalla città e lo spinsero fino sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, così da precipitarlo” (vv.28-29).

La struttura del cap.4 è scandita sostanzialmente in cinque parti, circoscritte da punti geografici:

  1. un preambolo all'attività pubblica di Gesù, il terzo, situato nel deserto della Giudea (vv.1-13);

  2. Versetti di transizione: dal deserto della Giudea alla Galilea dove la predicazione di Gesù riscuote successo (vv.14-15);

  3. l'inizio dell'attività pubblica di Gesù a Nazareth, dove ne viene presentato il proclama e il senso, scatenando approvazione e avversione (vv.16-30);

  4. Versetti di transizione: da Nazareth a Cafarnao dove la predicazione di Gesù continua a sbalordire (vv.31-32)

  5. due miracoli di guarigione a Cafarnao (vv.33-39);

  6. sommario di guarigioni, da dove viene rilevata l'onnipotenza della sua parola e della sua azione, lasciando trasparire la sua natura di Messia e Figlio di Dio (vv.40-41);

  7. parte conclusiva del cap.4, che proietta l'attività missionaria di Gesù oltre i confini di Cafarnao, lasciando intravvedere in questo una sorta di mandato divino (vv.42-44).

Commento ai vv. 1-44


Il terzo momento del preambolo all'attività di Gesù: le prove e la scelta (vv.1-13)


Testo a lettura facilitata

Preambolo introduttivo al racconto delle tentazioni (vv.1-2)

1 – Ora Gesù, pieno di Spirito Santo, ritornò dal Giordano e si muoveva nello Spirito Santo nel deserto
2 - per quaranta giorni messo alla prova dal diavolo. E non mangiò niente in quei giorni e terminati questi, ebbe fame.

Il miracolo come manifestazione di potenza (vv.3-4)

3 – Gli disse il diavolo: <<Se sei figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane>>.
4 – E rispose Gesù verso di lui: <<È scritto che non di solo pane vivrà l'uomo>>.

Il potere come dominio e asservimento (vv.5-8)

5 – E condottolo in alto gli mostrò tutti i regni della terra abitata in un istante di tempo.
6 – e gli disse il diavolo: <<Ti darò tutto quanto questo potere e la loro gloria, poiché mi sono stati dati e lo do a chi voglio;
7 – pertanto qualora tu ti prostrerai davanti a me, sarà tutto tuo>>.
8 – E rispondendo Gesù gli disse: <<È scritto: adorerai (il) Signore tuo Dio e a lui solo servirai>>.

Il gesto eclatante come strumento di sottomissione e di potere (9-12)

9 – Ora, lo condusse a Gerusalemme e (lo) pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: <<Se sei figlio di Dio butta te stesso da qui al di sotto;
10 – è scritto, infatti, che, quanto a te, è comandato ai suoi angeli di custodirti
11 – e che ti prendano sulle mani affinché non urti il tuo piede contro la pietra>>.
12 – E rispondendo gli disse Gesù: <<Non tenterai il Signore Dio tuo>>.

La conclusione della prima parte della prova, che ne prospetta un'altra (v.13)

13 – E compiuta ogni prova, il diavolo se ne andò da lui fino a tempo (opportuno).

Note generali

Già si è detto sopra come il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto costituisce il terzo momento del preambolo all'attività missionaria di Gesù, in cui Gesù è chiamato a definire i criteri con cui condurrà la sua missione: se con potenza eclatante, che stordisce e annichilisce le folle, imponendosi su di loro in modo inequivocabile e soggiogandole, manifestandosi apertamente come Dio; o proponendosi a loro con l'umiltà del Servo di Jhwh, accettandosi nella sua povertà e limitatezza umana, da una parte; e, dall'altra, accettando e mettendo in conto anche l'incomprensione e la sconfitta della sua stessa missione (Gv 12,37), che si farà rifiuto e persecuzione fino alla croce. La scelta di Gesù cadrà su questa seconda opzione, l'unica che dia spazio al libero arbitrio dell'uomo, rendendolo per ciò stesso responsabile della sua scelta. In questo caso Gesù si porrà di fronte all'uomo come elemento di discriminazione, aprendo in tal modo ai tempi escatologici, che sono per loro natura tempi in cui l'uomo è chiamato a prendere esistenzialmente posizione nei confronti di Dio e in cui è, per questo, sottoposto a giudizio.

L'episodio delle tentazioni è riportato da tutti tre i sinottici: in modo sobrio, essenziale, soltanto accennato in Mc 1,12-13; più ricco e dettagliato in Mt 1,1-11 e Lc 4,1-13, questi ultimi due molto simili tra loro, in quanto provenienti dalla medesima fonte Q, benché Matteo si lasci prendere la mano dal gusto del raccontare; mentre Luca, pur ricalcando Matteo, si mostra più sobrio ed essenziale. Qui di seguito vengono rilevate le differenze più significative tra i due evangelisti, le cui difformità rispecchiano la loro diversa prospettiva teologica:


Matteo 1,1-11

Luca 1,1-13

1) Gesù viene condotto dallo Spirito nel deserto; qui si mette in rilievo l'azione dello Spirito, a cui Gesù è soggetto;

2) Gesù digiuna 40gg e alla fine ha fame; qui l'accento cade sul fatto che Gesù ha fame;

3) Matteo parla di “sassi” da trasformare in pani;

4) La risposta di Gesù comprende l'intero Dt 8,3

5) Tentazioni, seconda e terza, invertite rispetto a Luca; Matteo segue probabilmente in modo fedele la fonte Q;

6) Gesù è portato dal diavolo su di un monte altissimo;

7) Il diavolo mostra tutti i regni del mondo; qui l'accento cade sui regni in quanto patrimonio e ricchezza;

8) Il diavolo promette a Gesù di dargli tutte le cose che ha visto;

9) Il diavolo conduce Gesù a Gerusalemme, che per Matteo è soltanto “la città santa”, come veniva denominata dagli ebrei.


1) Gesù si muove nello Spirito Santo nel deserto; qui si evidenzia l'azione di Gesù, che si muove conformemente allo Spirito

2) Gesù è tentato per 40gg e digiuna; qui l'accento cade sulle prove che Gesù ha dovuto subire nei 40gg e di cui queste ultime tre sono la conclusione;

3) Luca parla di “pietra” da trasformare in pane; un'allusione qui a Gesù, pietra angolare (20,17b) che si fa pane;

4) La risposta di Gesù comprende solo la prima parte di Dt 8,3;

5) Tentazioni, seconda e terza, invertite rispetto a Matteo. Luca si stacca dalla fonte Q per dare spazio alla sua teologia;

6) Gesù è condotto in alto;

7) Il diavolo mostra tutti i regni della terra abitata; qui l'accento cade sul potere politico e di dominio sulle genti; la prospettiva è universale.

8) Il diavolo promette potere e gloria a Gesù, che gli sono stati dati e lui gli dà a chi vuole. Le parole del diavolo qui parafrasano il Sal 2,8;

9) Il diavolo conduce Gesù a Gerusalemme. Luca, a differenza di Mt, cita il nome della città, perché per Luca tutto converge su Gerusalemme, il luogo dove si compiranno i misteri e verso la quale Gesù compirà il suo viaggio (9,51-19,28).


Nella tradizione questo racconto è conosciuto come “le tentazioni di Gesù nel deserto”. Più corretto è, invece, definirle “prove” sia perché i termini “peirazÒmenoj” e “peirasmÕn” (peirazómenos, peirasmòn) significano rispettivamente “mettere alla prova” e “prova”; sia perché cambia concettualmente la posizione di Gesù: la tentazione pone l'accento sulla debolezza e la fragilità della persona che è naturalmente sospinta verso un qualcosa di proibito ed è incline a cedere; la prova, invece, è un test a cui una persona viene sottoposta, per valutarne la capacità di risposta di fronte ad un determinato evento. E qui Gesù, agli inizi della sua missione, è chiamato a scegliere come realizzarla: se in conformità alle logiche umane o a quelle del Padre. Gesù farà questa seconda scelta. Egli, infatti, risponderà al diavolo, respingendone le proposte, citando sempre la Torah, che per l'ebreo è la stessa volontà di Dio. Gesù, dunque, oppone al diavolo la volontà del Padre, a favore della quale egli opera la sua opzione fondamentale. Gesù, pertanto, decide di conformarsi alla volontà del Padre, per compiere la quale è venuto (22,427). In questo contesto di prova a cui Gesù è sottoposto, significativo appare il termine “di£boloj” (diábolos), che letteralmente significa il calunniatore, il maldicente, colui che mette male tra due persone e cerca di dividerle, contrapponendo la volontà di Gesù a quella del Padre. Torna qui lo schema antico e primordiale del Paradiso Terrestre dove il diavolo, il serpente antico, presenta ad Adamo ed Eva Dio come un loro concorrente, che cerca di imbrogliarli per sopraffarli (Gen 3,1-5). Egli si mostra il calunniatore, il maldicente di Dio, mettendo astio tra Lui e le sue creature, creando una insanabile rottura tra i due progenitori e Dio, che li porterà all'esperienza della morte (Gen 3,7a.16-19). Benché questo esuli dalle intenzioni di Luca, va detto che questa prova a cui Gesù è sottoposto, da un punto di vista ontologico, si configura come un vero e proprio attentato all'esistenza stessa di Dio, un tentativo di distruggerlo, poiché Gesù e il Padre sono una cosa sola8 e la contrapposizione insanabile tra i Due avrebbe portato ad una sorta di implosione divina, che avrebbe segnato la fine di Dio9.

Secondo la tradizione sinottica, Marco e Matteo pongono le prove di Gesù immediatamente dopo il battesimo. Luca, invece, inframezza la genealogia, creando una sorta di stacco narrativo, quasi ad indicare come chi viene ora provato è l'uomo Gesù, la cui discendenza, in quanto tale risale a Adamo (3,38b). Una prova che in qualche modo si aggancia a quella di Adamo. Ma là dove il vecchio Adamo ha fallito, trascinando con sé l'intera umanità (Rm 3,23), qui il nuovo Adamo supera la prova mostrandosi fedele alla volontà del Padre e cancellando nella sua obbedienza l'antica disobbedienza (Rm 3,24)10. Tuttavia Luca, fin dall'inizio del suo racconto sulle tentazioni, crea degli agganci diretti con il battesimo di Gesù, richiamandolo sia con il termine “Spirito Santo” che con l'allusione alla filiazione divina di Gesù: “Se sei figlio di Dio”, riallineandosi in tal modo alla tradizione sinottica.

Ma le prove, che qui Gesù supera, non riguardano soltanto il suo rapporto con Adamo e, in solidarietà, con l'intera umanità, ma anche con le infedeltà di Israele, che Dt 32,5 definisce come “[...] figli degeneri, generazione tortuosa e perversa”, che per questo non vedranno mai “il buon paese che ho giurato di dare ai vostri padri” (Dt 1,35). Gesù, infatti, compie qui il percorso inverso di Israele: questo, proveniente da 40 anni di deserto e di infedeltà, giunge al fiume Giordano e lo oltrepassa arrivando a Gerico e da qui alla Terra Promessa. Gesù, invece, “ritornò dal Giordano e si muoveva nello Spirito Santo nel deserto per quaranta giorni messo alla prova dal diavolo” (v.1b-2a). Compie dunque il percorso inverso di Israele per rivivere la sua esperienza del deserto nella piena fedeltà a Jhwh. Gesù diviene il capostipite di un nuovo Israele, quello fedele a Dio, che, in quanto nuovo Adamo, abbraccia l'intera umanità, poiché egli ha distrutto nella sua carne una legge fatta di divieti e di prescrizioni, facendo dei due mondi, quello pagano e quello giudaico, un solo popolo nuovo: “Egli, infatti, è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia” (Ef 2,14-16).

Vi è poi un'inversione di prova rispetto al racconto di Matteo, come già si è rilevato qui sopra, nello specchio illustrativo. Il motivo di questa inversione è prevalentemente teologico: con questa inversione Luca colloca Gerusalemme al terzo ed ultimo posto delle tre prove, richiamandosi alla passione e morte di Gesù. Tutto per Luca inizia a Gerusalemme nel Tempio e tutto si conclude a Gerusalemme nel Tempio. Significativa, infatti, è la menzione che l'autore fa a conclusione delle prove: “E compiuta ogni prova, il diavolo se ne andò da lui fino a tempo (opportuno)” (v.13), agganciando le prove subite da Gesù, ma in particolare a quest'ultima prova con cui si conclude il racconto, alla passione e morte di Gesù, allorché “Satana entrò in Giuda, chiamato Iscariota, che era dal numero dei Dodici”, con cui Luca dà inizio al racconto della passione e morte di Gesù.

Commento ai vv. 1-13


I vv.1-2 fungono da cornice introduttiva, ma nel contempo forniscono la chiave di lettura per comprendere correttamente le tre prove di Gesù. Non certo che Gesù avesse dovuto affrontare soltanto tre prove, ma il tre è un numero simbolico per indicare un cammino completo, compiuto. Il tre, infatti, scandisce sempre un movimento d'inizio, di mezzo e una fine. Fa da sfondo scritturistico a questi primi due versetti e alla prima prova Dt 8,1-3: “Baderete di mettere in pratica tutti i comandi che oggi vi do, perché viviate, diveniate numerosi ed entriate in possesso del paese che il Signore ha giurato di dare ai vostri padri. Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che neppure i tuoi padri avevano mai conosciuto, per farti capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore”. Le prove, dunque, a cui Gesù viene sottoposto, hanno a che vedere in qualche modo con l'esperienza del deserto fatta da Israele. Gesù, infatti, dal Giordano torna indietro e si addentra nel deserto per rivivere in qualche modo quell'esperienza di Israele, che ha messo in evidenza soltanto la sua infedeltà. Ma sostanzialmente diverso è il muoversi di Gesù rispetto a Israele: il popolo si muoveva nel deserto motivato e guidato da una promessa; Gesù, invece, ripieno della potenza dello Spirito Santo, si muove nel deserto non sotto l'azione dello Spirito, ma nello Spirito Santo. In altri termini, Gesù si muove in conformità a quello Spirito, della cui presenza è permeato e che ha inscritto in lui la stessa volontà del Padre, creando una profonda comunione tra lui e il Padre, così da fare dei Due una cosa sola11. In qualche modo si realizza in Gesù la profezia di Ez 36,25-28: “Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio”. Anche Gesù è passato per il lavacro di un'acqua, che preludeva una novità di vita generata dall'alto (Gv 3,3); un'acqua che Gesù coniuga con la potenza di quello Spirito Santo (Gv 3,5), che è sceso su di lui e ha preso dimora in lui (Gv 1,32-33), creando una profonda comunione di vita e di intenti tra lui e il Padre. Quella stessa profonda comunione tra Dio e il suo popolo, che il profeta alludeva in quel “voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio”, benché segnata da continue infedeltà. Si rendeva pertanto necessario che Gesù ripercorresse nella fedeltà al progetto del Padre l'esperienza di Israele e la facesse in qualche modo sua, adempiendo in se stesso le profezie annunciate al popolo, ma solo ora pienamente comprese. Solo in tal modo Gesù diviene il nuovo capostipite, da cui sgorgherà un nuovo Israele fedele al Padre

Gesù, pertanto, si muove nel deserto sottoponendosi alle prove per quaranta giorni, così come l'antico Israele fu provato per quarant'anni e come il popolo non mangiò nient'altro in questi anni (Es 16,35) se non un pane disceso dal cielo (Sal 77,24; Gv 6,31b), così Gesù non mangiò nulla in questi quaranta giorni: “E non mangiò niente in quei giorni”. È evidente che l'affermazione non va intesa in senso letterale, poiché nessuno può sopravvivere senza mangiare e senza bere in un luogo così ostile come il deserto e per un tempo così lungo. Luca, tuttavia, segue qui la fonte Q sia perché gli consente di giustificare narrativamente la fame di Gesù e, quindi, la forza che può avere una prova su di una persona così duramente provata da un simile digiuno; sia perché l'astensione di Gesù dal mangiare un cibo materiale, lascia intuire sullo sfondo che Gesù, come per l'antico Israele, di cui sta rivivendo l'avventura del deserto, si sia nutrito di un altro cibo proveniente dal cielo e che il Gesù giovanneo ricorderà ai suoi discepoli: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34).

I vv.3-4 descrivono la prima prova. Qui Luca, a diversità di Matteo, che racconta come il diavolo si avvicinò a Gesù, colloca subito sulla scena il diavolo. Da un punto di vista narrativo l'impatto del confronto tra il diavolo e Gesù è molto più morbido in Matteo: l'avvicinarsi del diavolo a Gesù dà l'idea di un avvicinarsi attento, quasi per studiare Gesù, per poi poter agire subdolamente su di lui. In Luca l'incontro tra Gesù e il diavolo è diretto e l'impatto immediato e duro, anche perché la presenza del diavolo accompagnerà Gesù per tutto il tempo dei quaranta giorni; diversamente da Matteo che invece il diavolo compare solo alla fine dei quaranta giorni. Ci si trova di fronte ad uno scontro tra due forze soprannaturali. Il diavolo non si avvicina a Gesù, ma s'impone di fronte a lui.

La prova è basata sul fatto che Gesù è “Figlio di Dio”, così come lo ha rivelato il Padre nel racconto del battesimo (3,22b). Egli, ora, deve dare prova di questa sua figliolanza divina. Era nella logica delle attese del Messia, che questi dovesse dare dei segni che lo qualificassero e lo rendessero credibile come tale. Secondo un filone della tradizione giudaica, dal messia atteso ci si aspettava dei segni portentosi e inequivocabili. Ai discepoli del Battista che gli chiedevano se era lui “colui che viene”, cioè il messia, Gesù risponderà citando liberamente Isaia (Mt 11,5; Lc 7,22). Mc 13,22 e Mt 24,24 mettono in guardia dai falsi profeti e dai falsi cristi operatori di prodigi eclatanti; non di rado le autorità giudaiche a fronte dell'operare di Gesù, che poteva richiamare quello messianico, gli chiedono un segno a conferma delle sue pretese12. In Gv 6,15 la gente, visto il segno del pane, accorrono da Gesù per proclamarlo re messianico, mentre in Gv 6,14, altri leggono in lui il Profeta che doveva venire nel mondo, altra formulazione di Messia. Trasformando la pietra in pane Gesù avrebbe dato, pertanto, segno sicuro della sua messianicità e figliolanza divina. È interessante rilevare qui come Luca anziché riportare l'espressione di Matteo, più aderente alla fonte Q, “dì che questi sassi diventino pane”, la modifica in “dì a questa pietra che diventi pane”. Perché lo ha fatto? Certo, da un punto di vista narrativo, le cose non cambiano, ma cambia notevolmente la prospettiva cristologica. A cosa pensava Luca parlando di pietra che si trasforma in pane? A che cosa alludeva? È difficile dirlo, ma l'unica pietra significativa in cui la tradizione sinottica13 riconosce il Cristo è quella angolare, scartata dai costruttori e divenuta testata d'angolo, che supporta un'intera costruzione ed è posta a suo fondamento. L'immagine è tratta da Is 28,16, che gli ebrei avevano compreso come promessa di fondazione di una comunità messianica e che il nascente cristianesimo ha poi riferito a Gesù, colto come il fondatore di un nuovo popolo messianico. Ebbene questa pietra, fondamento della nuova comunità messianica, si fa anche suo nutrimento, trasformandosi in pane (Lc 22,19).

A fronte della proposta del diavolo di manifestare la sua figliolanza divina e il suo messianismo in modo inequivocabile, Gesù risponde “verso di lui”. Quest'ultima espressione è resa in greco con “prÕj aÙtÕn” (pròs autòn), in cui la particella “pròs” assume anche un significato di avversità, di un andare contro qualcuno o qualcosa, anticipando così il senso della risposta di Gesù, che oppone alla proposta del diavolo, la volontà di Dio, espressa nella Torah: “È scritto che non di solo pane vivrà l'uomo”. L'autore qui cita l'ultima parte di Dt 8,3, il cui testo completo suona così: “Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che neppure i tuoi padri avevano mai conosciuto, per farti capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore”. Il contesto, dunque, è sempre il deserto, dove il popolo ha sofferto la fame. Una prova il cui senso era quello di far toccare con mano al popolo l'importanza del fidarsi di Dio, da cui dipende anche il pane che essi cercavano. La vita, pertanto, va vissuta non verso la materialità delle cose a soddisfazione della propria corporeità, ma va orientata verso Dio, da cui tutto dipende, anche la propria corporeità e le sue necessità. Luca riprenderà questo concetto in 12,22-31, sollecitando il suo lettore a cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia, poiché tutto il resto diviene soltanto un'aggiunta irrilevante. Con un concetto simile ma teologicamente più elaborato Col 3,1-2 sollecita la comunità: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra”. Ed è proprio questo il senso che Luca intende dare alla sua citazione, che, rispetto a Mt 4,4, riporta soltanto nella prima parte, tralasciando “l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore” e incentrando la sua attenzione sul fatto che l'uomo non vive di solo pane, ma che le sue prospettive devono trascendere le necessità del presente, poiché oltre a queste esistono realtà superiori a cui è necessario rivolgersi esistenzialmente. La diversità di posizione tra Matteo e Luca è dettata probabilmente dalla diversa platea di lettori: ebrei per Matteo, i quali avevano il culto della Parola, la Torah, come punto di riferimento della propria vita; greci e pagani in genere per Luca, i quali non avevano il culto della Parola e men che meno conoscevano la Torah come regola di vita. Per cui Luca si limita a sollecitare i suoi etnocristiani a sollevare la testa dai loro interessi puramente materiali, poiché esistono realtà superiori a cui farebbero bene guardare.

I vv.5-8 presentano la seconda tentazione, la terza nel racconto di Matteo. A diversità di Mt 4,8a, in cui Gesù è portato su di un monte altissimo, Luca si limita a dire che Gesù è portato in alto. Il monte altissimo è il luogo che gli antichi assegnavano alla dimora di Dio e quindi porre Gesù su questo monte significava attribuirgli ipso facto poteri divini, che il diavolo, invece, si arroga di dare a Gesù, se questi lo avesse riconosciuto al posto di Dio. Ciò che il diavolo matteano poi promette a Gesù sono regni e ricchezze e tutta la gloria che il possesso di questi beni porta con sé. Il centro dell'attenzione in Matteo è la persona resa onnipotente dal possesso di questi beni e adorata come una divinità. La prospettiva lucana è diversa e pone al centro dell'attenzione il supremo potere politico e la gloria che ne deriva. Gesù, infatti, è portato dal diavolo in alto, al punto tale che non solo può vedere ma anche dominare “tutti i regni della terra abitata”. L'interesse qui è spostato dalle cose ai popoli e ciò che il diavolo offre a Gesù, infatti, non sono cose, patrimoni o ricchezze, come in Matteo, bensì “potere e gloria”, che il diavolo, citando il Sal 2,7-8 attribuisce a se stesso, quasi che lui fosse stato il prescelto da Dio per diventarne messia e re: “Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: <<Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra [...]>>”. Il diavolo, dunque, presenta le sue credenziali di onnipotenza, che gli vengono da Dio stesso, e lo scotto che Gesù deve pagare per ottenerne il beneficio: “qualora tu ti prostrerai davanti a me, sarà tutto tuo”. Gesù erede, dunque, del potere del diavolo. Le cose qui non quadrano, poiché Gesù sa che “Tutte le cose mi sono state date dal Padre mio” (10,22a); mentre il Risorto in Mt 28,18 annuncia che “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”; similmente in Gv 16,15a Gesù sa che “Tutto quello che il Padre possiede è mio”, poiché è il Padre che gli ha dato potere sopra ogni essere umano, perché l'uomo abbia la pienezza della vita divina (Gv 17,2). Gesù, dunque, non ha bisogno di poteri per dominare le genti, poiché lui è l'espressione piena del potere divino, che non è speso per dominare ed opprimere le genti, ma per elevarle al rango della vita divina stessa. Un potere posto al servizio dell'uomo e della sua piena affermazione. E lo farà nel modo voluto dal Padre, per salvaguardare la libertà dell'uomo nei suoi confronti. Dio non vuole obbligare nessuno a salvarsi, ma gli propone la salvezza, lasciandogli la facoltà anche di rifiutarla. È questo il dramma della storia della salvezza, che può anche fallire per il rifiuto dell'uomo. S. Agostino esprimerà questo dramma in modo lapidario ed efficace: “Chi dunque ha fatto te senza di te, non ti giustifica senza di te”14 (Sermo 169,11.13). La risposta con cui Gesù controbatte le pretese diaboliche viene parafrasata da Dt 6,16 e qui adattata al contesto della prova, che prevedeva il riconoscimento del diavolo come dio, ponendo la propria vita al suo servizio: “È scritto: adorerai (il) Signore tuo Dio e a lui solo servirai”15. Gesù, pertanto, riafferma la sua fedeltà al Padre e la conformazione di se stesso alla sua volontà, respingendo ogni pretesa diabolica.

I vv.9-13 raccontano la terza prova, corrispondente alla seconda in Matteo, ma che qui Luca, seguendo la sua cristologia, ha preferito invertire. L'intero racconto lucano, infatti, è fortemente orientato a Gerusalemme e al Tempio, come luoghi terminali in cui si compiranno i misteri della salvezza. È significativo, infatti, come i primi due capitoli, girino attorno a Gerusalemme e al Tempio. Il primo capitolo si apre con una celebrazione liturgica nel Tempio di Gerusalemme e il secondo capitolo si chiude a Gerusalemme nel Tempio, creando una sorta di inclusione. Luca, poi, racconta l'attività missionaria di Gesù, organizzandola all'interno di un viaggio fittizio verso Gerusalemme, che occuperà ben dieci capitoli (9,51-19,28), dando, infine, ampio spazio alla sua missione in Gerusalemme presso il Tempio (19,29-21,38). Anche qui, nella terza prova conclusiva, ricompaiono Gerusalemme e il Tempio. Una prova questa che è strettamente legata a quell'altra prova, l'ultima e decisiva, quella della sua passione e morte e che qui viene allusa al v.13b. Vi sono tre elementi, infatti, che fanno pensare alla drammatica prova del Golgota: a) Gesù è condotto a Gerusalemme; b) è posto sul “pinnacolo del tempio”16; c) l'esortazione a buttarsi giù, che costituirebbe la prova della sua figliolanza divina e della sua messianicità. Tutti elementi questi che si ritrovano, quanto al primo (a), nella forte tensione del Gesù lucano verso Gerusalemme, verso la quale si incammina con decisione (9,51) e prosegue il suo cammino verso di essa senza incertezze (9,53; 13,22; 17,11; 19,28), perché lì ha da compiersi il disegno del Padre (13,33; 18,31). Quanto al secondo (b), Gesù, giunto a Gerusalemme, verrà posto sul suo pinnacolo, che richiama da vicino la croce, su cui Gesù è posto e da dove è invitato a buttarsi giù, a scendere per mostrare la sua figliolanza divina, la sua regalità, il suo messianismo (23,35.37.39). Vi è, dunque, un certo parallelismo tra questa ultima tentazione e il racconto del cammino di Gesù verso Gerusalemme, dove si compiranno la sua passione e la sua morte. Un parallelismo rafforzato anche dal v.13 con cui si chiude il racconto delle tre prove di Gesù, ma che proietta Gesù verso la prova finale, quella della sua passione e morte: “E compiuta ogni prova, il diavolo se ne andò da lui fino a tempo (opportuno)”; quel “tempo opportuno” che comparirà in 22,3, allorché “Satana entrò in Giuda, chiamato Iscariota, che era dal numero dei Dodici”, con cui si apre il capitolo del racconto della passione e morte, posto sotto l'azione di satana.

Anche la terza prova, come la prima, gira attorno alla dimostrazione della figliolanza divina di Gesù e della sua messianicità. Tuttavia questa terza prova differisce notevolmente dalla prima poiché mentre questa era incentrata sull'uso personale del potere di Gesù, sfamarsi a buon mercato, questa terza prova assume, per la platealità del gesto, una valenza pubblica ad alto impatto, che certamente avrebbe soggiogato la gente, dimostrando a tutti il suo grande potere. Risuonano qui gli incitamenti e le sfide lanciate a Gesù posto sul pinnacolo della sua croce: “Se sei il Figlio di Dio scendi dalla croce” (Mt 27,40b); “E' il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo” (Mt 27,42b) Una fede, quindi, conquistata a suon di miracoli e di portenti, che può conquistare le masse, ma non il cuore dell'uomo e tantomeno ricondurlo a Dio. In merito a tale fede il Gesù giovanneo esprime il suo giudizio negativo: “[...] Ora, mentre era in Gerusalemme nella pasqua, per la festa, molti credettero nel suo nome, osservando i suoi segni che faceva. Ma egli, Gesù, non si fidava di loro poiché egli conosceva tutti” (Gv 2,23-24).

La sfida qui lanciata dal diavolo si muove questa volta sullo stesso terreno di Gesù: quello scritturistico, chiamando in causa Dio stesso: “è scritto, infatti, che, quanto a te, è comandato ai suoi angeli di custodirti e che ti prendano sulle mani affinché non urti il tuo piede contro la pietra”. Il riferimento qui è al Sal 91,11-12. Il diavolo prende alla lettera il testo del salmo invitando Gesù a sfidare Dio stesso sulla sua parola. Il tentativo qui di satana è quello di opporre Gesù al Padre. Gesù coglie questo tentativo del suo avversario e gli contrappone Dt 6,16. Sembra di assistere alle antiche dispute rabbiniche o dei predicatori medievali che si lanciavano sfide pubbliche sulle Scritture. In realtà Gesù, opponendo Dt 6,16 al Sal 91,11-12, mette in rilievo la visione parziale e manipolatrice delle Scritture da parte di satana. Queste, infatti, vanno colte e comprese nel loro insieme, in una visione unitaria, poiché l'unico vero autore è Dio. Non si può dunque estrapolare dei testi contrapponendoli l'uno all'altro, come talvolta succede ancor oggi tra persone non particolarmente illuminate, manipolando i testi a proprio piacimento per sostenere le proprie tesi. “Non tenterai il Signore Dio tuo”! Questa è la risposta di Gesù, poiché Gesù e il Padre sono una cosa sola (Gv 10,30) e Gesù sa bene che senza il Padre egli da sé non può fare nulla (Gv 5,19.30). In ultima analisi queste prove a cui Gesù è sottoposto hanno come risvolto anche quello di attentare alla vita stessa di Dio.


Stacco narrativo: dal preambolo all'attività missionaria di Gesù (vv.14-15)


Testo a lettura facilitata

I primi successi di Gesù, velati da un tocco di avversità

14 – E ritornò Gesù nella potenza dello Spirito nella Galilea. E uscì per tutta la regione d'intorno una fama su di lui.
15 – Ed egli insegnava nelle loro sinagoghe, glorificato da tutti.


I vv.14-15 segnano il passaggio dal preambolo all'attività missionaria di Gesù al suo ministero, posto insistentemente sotto l'azione dello Spirito (3,22; 4,1.14.18), che diviene il segno della venuta del Regno di Dio in mezzo agli uomini (11,20). Il Passaggio è annotato da un cambiamento geografico verosimile: dal Giordano (4,1), dove Gesù è stato battezzato e ha ricevuto l'unzione dello Spirito e il suo riconoscimento quale Figlio del Padre (3,21-22), entra nel deserto per essere sottoposto alla prova e da qui ritorna in Galilea, da dove partirà la sua missione. Un inizio che verrà ricordato anche nell'atto di accusa contro Gesù davanti a Pilato: “Ma questi insistevano dicendo che solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, e avendo incominciato dalla Galilea fino a qui” (23,517). Un inizio che viene confermato anche dalla presenza di alcune discepole, che lo seguivano nella sua predicazione assieme ai Dodici, servendolo e assistendolo con i loro beni (8,2-3) e richiamate anche in 23,49: “[...] delle donne, che lo avevano seguito assieme dalla Galilea [...]”. Una missione quella di Gesù che andava sempre più affermandosi con successo tra la gente e la cui eco si diffondeva ovunque provocando stupore e riscuotendo plauso. Ma non si trattava, come sembrano dire questi due versetti, di una sorta di marcia trionfale, poiché Luca lascia trasparire qui una velata nota di avversità: “Ed egli insegnava nelle loro sinagoghe, glorificato da tutti”. Ed è proprio quel aggettivo possessivo “loro”, che denota il distacco di Gesù dal mondo della sinagoga e, quindi, dal Giudaismo. In realtà, quel “loro” lascia trasparire la distanza che intercorreva tra il Giudaismo e il giudeocristianesimo, divenuto ormai estraneo alla sinagoga e a quanto essa rappresentava per il giudeo. Un passaggio questo che verrà rilevato anche narrativamente al v.38a, dove Gesù “alzatosi dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone”. Gesù esce, dunque, dalla sinagoga per entrare nella casa di Simone, metafora della prima comunità credente.

Una nota di attenzione va riservata al verbo “doxazÒmenoj” (doxazómenos, glorificato) del v.15b, che ricorre in Luca nove volte ed è sempre usato in riferimento a Dio. Soltanto qui è posto in riferimento a Gesù, lasciando così trasparire implicitamente il riconoscimento della divinità di Gesù, attribuendo in tal modo alla sua predicazione un carattere divino. Diversamente vanno invece le cose a riguardo della sua predicazione nella sinagoga di Nazareth, dove, a fronte della sua annuncio tutti stupiscono, ma riconoscono in lui soltanto il figlio di Giuseppe (v.22). Questo scostamento tra la reazione dei Giudei in genere (v.15b) e quelli di Nazareth punta a stigmatizzare questi ultimi, la quale cosa porterà Gesù a concludere che nessun profeta è accetto nella sua patria (v.23b).

L'inizio del ministero pubblico di Gesù e il suo proclama (vv.16-30)


Testo a lettura facilitata

Cornice introduttiva all'inizio del suo ministero a Nazareth (v.16)

16 – E andò a Nazareth, dove era allevato, ed entrò, secondo la sua usanza, nel giorno di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere.

Il proclama, in cui è prefigurato il contenuto della sua missione (vv.17-20)

17 – E gli fu consegnato (il) libro del profeta Isaia e, aperto il libro, trovò il posto dove era scritto:
18 - “Lo Spirito del Signore su di me; a motivo di questo mi unse perché fosse annunciata la buona novella ai poveri; mi inviò per proclamare ai prigionieri (la) liberazione e ai ciechi il recupero della vista, per mandare in libertà gli oppressi,
19 – per proclamare un gradito anno del Signore”.
20 – E ripiegato il libro, consegnato(lo) al servitore, si sedette; e nella sinagoga gli occhi di tutti erano tesi verso di lui.

Gesù dichiara il compimento della Scrittura in lui (vv.21-22)

21 – Incominciò a dire verso di loro che oggi questa scrittura si è compiuta nei vostri orecchi.
22 – E tutti gli davano testimonianza e si meravigliavano per le parole di grazia, che uscivano dalla sua bocca e dicevano: <<Non è costui il figlio di Giuseppe?>>.

Atto di accusa contro l'incredulità del Giudaismo (vv.23-30)

23 – E disse verso di loro: <<Certamente mi dite questo proverbio: “Medico, cura te stesso”; quanto udimmo che è accadute per Cafarnao, fai anche qui nella tua patria>>.
24 – Ma disse: <<In verità vi dico che nessun profeta è accetto nella sua patria.
25 – In verità vi dico: molte vedove vi erano nei giorni di Elia in Israele, quando fu chiuso il cielo per tre anni e sei mesi, sicché avvenne una grande fame su tutta la terra,
26 – e a nessuna di loro fu mandato Elia se non a Serepta di Sidone ad una donna vedova.
27 – E molti lebbrosi vi erano (al tempo) del profeta Eliseo, e nessuno di loro fu purificato se non Naam il Siro>>.
28 – E tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno udendo queste cose
29 – e alzatisi lo buttarono fuori dalla città e lo spinsero fino sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, così da precipitarlo;
30 – ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andava.

Note generali

Benché con i vv.14b.15.23b Luca lasci intendere come il ministero di Gesù fosse di fatto già incominciato ed abbia già avuto i suoi successi (vv.14b.15b), velati da una certa tensione (v.15a), tuttavia con questo racconto, come in una sorta di flashback, sembra fare un passo indietro per raccontare gli inizi dell'attività missionaria di Gesù a partire da Nazareth; e lo fa con un racconto che potremmo definire paradigmatico, poiché in modo sintetico, direi quasi compresso, ricapitola i tratti essenziali della sua missione: il contenuto del suo annuncio (vv.17-21), le contrastanti reazioni della gente (vv.22-28) fino al tentativo del suo linciaggio fisico (vv.29), che prelude alla sua morte violenta, ma nel contempo, in qualche modo, anche alla sua risurrezione (v.30). Insomma, a ben guardare, un piccolo racconto evangelico in miniatura, completo nelle sue linee principali.

Il movimento missionario di Gesù viene qui presentato da Luca in termini espansivi, poiché parte da Nazareth e, a seguito del rifiuto dei suoi abitanti, si amplia a Cafarnao (v.31) e da qui ad altre città (v.44), seguendo una teologia, che riscontriamo anche in Paolo: quella dell'annuncio rifiutato dai destinatari e per questo offerto ad altri (Rm 11,11b-12.15a), e presente in qualche modo anche in Mt 21,43.

La struttura del racconto si snoda in quattro parti, già enunciate nella sezione introduttiva del “Testo a lettura facilitata”:

    1. Cornice introduttiva all'inizio del ministero di Gesù a Nazareth (v.16);

    2. Il proclama, in cui è prefigurato il contenuto della sua missione (vv.17-20);

    3. Gesù dichiara il compimento della Scrittura in lui (vv.21-22);

    4. Atto di accusa contro l'incredulità del Giudaismo (vv.23-30)


Commento ai vv.16-30

Cornice introduttiva all'inizio del ministero di Gesù a Nazareth (v.16)

Questo versetto potremmo definirlo biografico, perché crea una successione di tempi e un concatenamento di eventi che sono caratteristici di una biografia: si dice che a Nazareth Gesù “era un allevato”18, cioè che qui, alla pari dei suoi concittadini, ha passato la sua vita fin dalla nascita, ricevendone la stessa educazione (2,40.52); qui egli frequentava regolarmente la sinagoga, “secondo l'usanza”. Un'espressione questa che va riferita non soltanto all'usanza giudaica, ma anche a quella di Gesù, che qui era cresciuto anche dopo il suo bar mitzvah (2,41-42); qui a Nazareth era ritornato dopo la sua esperienza nel gruppo dei Battisti19 (v.14) e da qui inizia la sua attività missionaria. I racconti di Marco (6,1-6) e Matteo (13,54-58) in merito si limiteranno a dire, in forma episodica, che Gesù “andò nella sua patria”, dove insegnava nella sinagoga, suscitando stupore e incomprensione tra i suoi concittadini. Luca, invece, che qui segue Marco, svilupperà l'espressione “sua patria” in questa breve sintesi biografica, mentre farà dell'attività di Gesù a Nazareth non un episodio all'interno della suo ministero, ma l'inizio programmatico e paradigmatico dell'intera sua missione. Questo servirà a Luca anche per giustificare l'apertura della predicazione di Gesù verso altre popolazioni, essendo stato rifiutato in casa sua, dalla sua gente, seguendo in questo la teologia paolina, come sopra accennato.

Il proclama, in cui è prefigurato il contenuto della missione di Gesù (vv.17-20)

La pericope è circoscritta dal doppio movimento uguale contrario sia del servitore, che consegna e ritira il rotolo; sia di Gesù, che prende, apre il rotolo e poi lo chiude riconsegnandolo al servitore (vv.17.20). All'interno di questo doppio movimento è incluso il testo di Is 61,1-2a e 58,6b. Luca descrive qui soltanto una parte del rito sinagogale del sabato20, che prevedeva una lettura della Torah, parafrasata in aramaico, poiché il testo ebraico ormai non era più compreso e serviva chi ne facesse una traduzione sunteggiata, chiamato mĕturgĕmān mentre le traduzioni erano definite targum, da targēm, che significa tradurre, interpretare. Non era, infatti, possibile farne una traduzione letterale, poiché il testo della Torah doveva essere rigorosamente scritto e letto in ebraico; similmente avveniva per la seconda lettura, tratta da un testo profetico. La lettura era in genere accompagnata da un breve commento e la funzione si concludeva con una benedizione finale da parte di un sacerdote, qualora questi fosse presente. Il capo sinagoga, che aveva funzioni di ordine pubblico e di gestione delle attività e delle funzioni sinagogali, assegnava i testi a persone da lui prescelte, non necessariamente titolate o ricoprenti incarichi speciali21. Questo, invece, avverrà soltanto successivamente agli anni settanta, quando, dopo la guerra giudaica (66-73 d.C.) e la distruzione di Gerusalemme e del Tempio (70 d.C.), si impose a Jamnia o Yavne il rabbinismo.

L'episodio qui riportato in questa pericope riguarda la seconda lettura, quella tratta dai profeti. La consegna del rotolo del profeta Isaia a Gesù viene eseguita probabilmente dal servitore della sinagoga, che aveva funzioni di servizio generale, ma anche di catechesi per i bambini o di esecuzione di punizioni corporali, che avvenivano all'interno della stessa sinagoga, che fungeva anche da tribunale o da scuola o da luogo di assemblea in genere, dove si discuteva o dove si insegnava o si catechizzava22. Era in buona sostanza un centro vitale della comunità e venirne espulsi significava di fatto una sorta di morte civile e religiosa (Gv 9,22; 12,42; 16,2). La scelta del passo da leggere non era lasciato all'iniziativa del lettore, ma doveva seguire una sorta di calendario liturgico delle letture e, comunque, era il capo sinagoga che assegnava la lettura da compiersi in quel giorno e il lettore eseguiva la lettura stando ritto in piedi davanti all'assemblea. A Gesù, pertanto, secondo il racconto lucano, viene assegnato l'incarico di leggere un passo tratto dal profeta Isaia, accuratamente scelto e adattato da Luca secondo i propri intenti teologici e cristologici e che qui riportiamo di seguito in un confronto:


Testo originale di Isaia 61,1-323

Testo selezionato e adattato da Luca 4,18-19

1Lo Spirito del Signore su di me, a motivo di ciò mi unse; mi inviò ad annunciare cose liete ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore spezzato,

2ad annunciare liberazione ai prigionieri e (il) recupero della vista ai ciechi,24 ad invocare un gradito anno del Signore e un giorno di ricompensa, a confortare tutti gli afflitti, 3a donare gloria agli afflitti di Sion anziché cenere, un unguento di gioia agli afflitti, un abito di gloria anziché uno spirito di indolenza; e saranno chiamati generazione di giustizia, pianta del Signore per (la sua) gloria.

18- “Lo Spirito del Signore su di me; a motivo di questo mi unse perché fosse annunciata la buona novella ai poveri; mi inviò per proclamare ai prigionieri (la) liberazione e ai ciechi il recupero della vista, per mandare in libertà gli oppressi,25

19– per proclamare un gradito anno del Signore”


Dal confronto tra ciò che il Terzo Isaia26 ha detto e ciò che, invece, Luca ha selezionato dal testo isaiano emergono gli interessi di Luca, evidenziando in tal modo la sua comprensione circa il ministero di Gesù. Il contesto in cui il Terzo Isaia scrive è quello del ritorno degli esiliati da Babilonia in patria, dove trovano una deprimente situazione di degrado: le mura di Gerusalemme abbattute, il Tempio distrutto, il culto di Jhwh inquinato da religioni e culti pagani, matrimoni misti tra ebrei e pagani, la Terra della Promessa calpestata e profanata dalla presenza di pagani, a cui si aggiunge l'ostilità dei residenti nei confronti di questo resto di Israele, ritornato dalla prigionia babilonese, durata circa sessant'anni (597-538 a.C.). In questa situazione di grave desolazione e di smarrimento si alza la voce confortante del profeta, che si presenta quale inviato speciale di Jhwh per sostenere i ritornati e quelli che attendevano la restaurazione delle glorie di Israele, il ritorno alla purezza dell'antico culto a Jhwh e la conferma che le Promesse fatte ai Padri continuavano ad esserci nonostante le colpe del suo popolo, aprendolo così alla speranza che tutto gli era stato ampiamente perdonato (Is 40,1-2) e che ora si stava per dischiudere una nuova era di pace e di prosperità (Lc 1,79). Il popolo viene così introdotto nel tempo della misericordia divina, in cui sarebbe stato rigenerato nel perdono e reso disponibile ad un nuovo culto ad Jhwh sotto l'insegna del suo Spirito, come già aveva prospettato Ezechiele (Ez 36,24-27; 37,12-1427). Questa prospettiva profetica Luca la vede ora realizzata nella venuta di Gesù: è lui colui che è stato unto dallo Spirito Santo nel battesimo così che l'intero suo ministero è posto sotto l'egida dello Spirito. Gli spiritualmente poveri, prigionieri e ciechi sono l'oggetto delle sue attenzioni e il loro riscatto, la loro rigenerazione ad un mondo spiritualmente nuovo, che li ponga in un rapporto e in una comunione piena con Dio, rendendoli fin da subito partecipi della sua vita (Gv 3,16) è l'obiettivo della sua missione, che abbraccia non soltanto Israele, ma chiunque rientri in questa categoria di persone, dando così al suo ministero un tocco di universalità. Un'eco di questa sua missione troverà conferma in 7,21-23, dove i discepoli di Giovanni chiedono se sia lui il messia. La risposta di Gesù sarà quella di indicare a loro come tutti gli oppressi da infermità fisiche, metafora di quelle spirituali, siano guariti e rigenerati ad una nuova vita. Una missione questa che già era stata preannunciata nel canto di Zaccaria e delineata nei sui tratti essenziali: “per dare al suo popolo conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati, per mezzo (delle) viscere di misericordia del nostro Dio, nella quale ci visiterà un sorgere di sole dall'alto, per mostrarsi a quelli che siedono nella tenebra e nell'ombra di morte, per guidare i nostri piedi in una via di pace” (1,77-79).

Un'annotazione va posta sul cambio di verbo che Luca opera rispetto al testo isaiano. Questo al v.61,2b parla di “invocare un gradito anno del Signore”, Luca lo sostituisce con “proclamare un gradito anno del Signore”28. L'invocare pone sul gradito anno del Signore un tempo di attesa; il proclamare annuncia, invece, l'attuazione di tale anno e l'annuncio diviene il momento della sua inaugurazione. L'annuncio del gradito anno del Signore non va inteso in senso cronologico, ma come l'inizio di uno spazio temporale in cui si compie la misericordia di Dio, che è salvezza per l'uomo e assume la forma concreta dell'incarnazione, con cui Dio entra nella storia e la assume interamente su di sé; della morte, con cui Gesù porta sulla croce l'intera umanità e con lei, per un principio di solidarietà, l'intera creazione (Gv 12,32) e qui pone fine al dominio del vecchio Adamo, corrotto dal peccato (Rm 6,6); e, infine, della risurrezione, con cui il Risorto compie una nuova creazione, rigenerando nuovamente l'uomo all'eternità di Dio (2Cor 5,17), da dove era drammaticamente uscito, conoscendo così sofferenza, dolore, corruzione e morte (Gen 3,16-19). Gesù, dunque, è passato tra gli uomini beneficandoli (At 10,28) e annunciando loro che questo anno di grazia è il tempo del loro ritorno a Dio, il tempo del perdono e della sua misericordia (Is 55,7), dichiarandosi ancora disponibile a condividere con gli uomini e con l'intera creazione la sua vita eterna, che è vita divina (Gv 3,16-17).

Il v.20 potremmo definirlo di transizione perché traghetta il lettore dal contesto dell'annuncio messianico della missione di Gesù alla sua manifesta dichiarazione. Il versetto è scandito in due parti: nella prima Gesù chiude significativamente il libro del profeta Isaia e lo restituisce all'inserviente della sinagoga. Un gesto semplice e scontato, che va a completare narrativamente il v.17, ma che nel contempo dice anche come in quel “chiudere e restituire” ogni profezia si sia compiuta con lui e null'altro c'è da attendere. Per questo Gesù chiude la profezia e la restituisce al suo mondo di origine, quello veterotestamentario, poiché con lui ha inizio una nuova era, un nuovo testamento, non più legato alla Legge e ai Profeti, ma alla sua parola e allo Spirito che in lei opera. Nella seconda parte del versetto Luca crea una forte tensione narrativa, predisponendo il suo lettore ad accogliere l'annuncio di Gesù: tutti sono rivolti verso di lui, quasi con il fiato sospeso, in un silenzio carico di tensione. Si viene così a creare narrativamente una forte suspense.

Gesù dichiara il compimento della Scrittura in lui (vv.21-22)

Testo a lettura facilitata

L'annuncio del compimento

21 – Incominciò a dire verso di loro che oggi questa scrittura si è compiuta nei vostri orecchi.

La reazione della gente

22 – E tutti gli davano testimonianza e si meravigliavano per le parole di grazia, che uscivano dalla sua bocca e dicevano: <<Non è costui il figlio di Giuseppe?>>.

Il v.21 dà ufficialmente conferma come l'annuncio di Isaia ha avuto compimento nel momento in cui Gesù lo ha proclamato. Il tempo del suo compimento è “oggi”, mentre essi l'ascoltavano. Anzi è proprio l'ascolto accogliente dell'annuncio, che fa sì che questo si compia in loro. Non si tratta di un compimento istantaneo, ma che ha inizio con questo annuncio e che lascia presagire un lungo cammino, fatto di accoglienza e di rifiuto, di fallimenti e di successi, ma un cammino, che una volta iniziato, non si interromperà più se non nell'eternità di Dio, che ha il suo inizio qui, nell'oggi dell'uomo, divenuto anche spazio di Dio: “Incominciò a dire”. Per Luca, dunque, tutto ha inizio nell'oggi dell'uomo, che è anche l'oggi di Dio. È l'incontro tra questi due tempi che produce l'incontro salvifico tra Dio e l'uomo (19,1-10). L'oggi, dunque, non è più soltanto lo spazio dell'uomo, ma anche quello di Dio; ed è in questo oggi che si compie la salvezza. L'oggi dice che il tempo dell'attesa è finito e che tutto si è ormai compiuto. Per questo Gesù chiude il libro di Isaia, poiché con lui tale annuncio ha trovato nell'oggi di Gesù e dell'uomo che lo accoglie il suo compimento (Mt 5,17).

Il v.22 racconta la reazione degli ascoltatori, che solo apparentemente è positiva, ma lascia trasparire una incomprensione di fondo. Di fronte a tale annuncio essi l'accolgono, provocando in loro stupore e meraviglia, poiché riconoscono in questo annuncio l'impronta di Dio. Sono, infatti, “parole di grazia”. Ma nel contempo vedono in Gesù soltanto “il figlio di Giuseppe”. È la loro incapacità di andare oltre a ciò che vedono e toccano, che impedirà loro di cogliere il messaggio di salvezza proposto in quelle parole di grazia. La meraviglia nasce, dunque, non dall'aver colto il manifestarsi di Dio in quel annuncio, ma dal fatto che un simile annuncio sia proclamato da un uomo qualsiasi, che non rispondeva ai loro schemi messianici e alle loro attese. È questo contrasto, per loro insolubile, che genera in loro la meraviglia e lo stupore, che nascono dalla loro incredulità e che diventerà nel racconto seguente (vv.23-30) rifiuto aperto e violento, che prelude alla morte di Gesù.


Atto di accusa contro l'incredulità del Giudaismo (vv.23-30)

Testo a lettura facilitata

Gesù accusa di incredulità i suoi concittadini

23 – E disse verso di loro: <<Certamente mi dite questo proverbio: “Medico, cura te stesso”; quanto udimmo che è accadute per Cafarnao, fai anche qui nella tua patria>>.
24 – Ma disse: <<In verità vi dico che nessun profeta è accetto nella sua patria.
25 – In verità vi dico: molte vedove vi erano nei giorni di Elia in Israele, quando fu chiuso il cielo per tre anni e sei mesi, sicché avvenne una grande fame su tutta la terra,
26 – e a nessuna di loro fu mandato Elia se non a Serepta di Sidone ad una donna vedova.
27 – E molti lebbrosi vi erano (al tempo) del profeta Eliseo, e nessuno di loro fu purificato se non Naam il Siro>>.

La reazione di sdegno dei suoi concittadini prefigura la morte di Gesù

28 – E tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno udendo queste cose
29 – e alzatisi lo buttarono fuori dalla città e lo spinsero fino sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, così da precipitarlo;

. e la sua risurrezione

30 – ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andava.

Note generali

Questa pericope è sempre ambientata all'interno della sinagoga di Nazareth e sembra essere in continuità con i vv.17-22, ma vi è in realtà uno stacco netto da questi. Il v.23, infatti, allude all'attività taumaturgica di Gesù a Cafarnao, cosa che avverrà, invece, subito dopo questo racconto (vv.31-41). Come leggere questa incongruenza? Forse una prolessi. Luca anticipa qui il racconto di miracoli che avvengono, invece, immediatamente dopo l'esperienza di Nazareth. In questo caso non si comprende il senso di questa prolessi, che viola una logica di successione storica. Oppure, Luca aveva dato originariamente una diversa disposizione al suo racconto, che doveva avere questo schema narrativo: a) inaugurazione della sua attività missionaria a Nazareth dove Gesù non trova comprensione da parte dei suoi concittadini; b) Gesù, pertanto, li lascia e se ne va a Cafarnao, dove compie numerosi miracoli; c) Gesù ritorna nuovamente a Nazareth e qui i suoi concittadini, che avevano nel frattempo udito dell'attività taumaturgica di Gesù, gli rimproverano di non aver compiuto gli stessi miracoli che ha compiuto a Cafarnao. Probabilmente, successivamente, nella redazione finale, Luca, per semplificare un complicato andirivieni di Gesù Nazareth-Cafarnao-Nazareth, contestualizzando nuovamente la pericope in esame nella sinagoga, ha pensato di inglobare i due racconti della sinagoga a Nazareth in un unico racconto. L'operazione di ricongiunzione, tuttavia, non è riuscita bene, creando quello stacco che disturba il lettore attento.

L'intera pericope gira attorno a due proverbi (vv.23a.24); con il primo Luca crea il contesto della protesta dei nazareni nei confronti di Gesù, lasciando tuttavia l'iniziativa soltanto a Gesù, poiché qui la presenza e la protesta dei suoi concittadini è solo supposta e percepita dalle sue parole. Con il secondo proverbio Gesù innesca la controversia con i nazareni, stigmatizzando la loro incredulità e facendola emergere in modo polemico, contrapponendo alle loro pretese di popolo eletto, l'attenzione di Dio nei confronti del mondo pagano a motivo dell'incredulità dei nazareni, in cui Luca vede raffigurato l'intero Israele. Tema quest'ultimo molto caro a Luca e a Paolo, missionari dei Gentili.

Se nella precedente pericope, in cui Gesù inaugura la sua attività missionaria con la lettura e il commento del Libro di Isaia, attribuendolo a se stesso (vv.17-21), Luca lascia intravedere l'incomprensione di Israele nei confronti di Gesù e della sua vera natura (v.22); qui, in questa seconda pericope (vv.23-30), Luca lascia tralucere, da un lato, il destino di persecuzione e di morte riservato a Gesù (v.28-29); dall'altro, anche la sua risurrezione (v.30).

La struttura di questa pericope, già anticipata, qui sopra, nella sezione della “lettura facilitata” è scandita in tre parti: a) Gesù muove l'accusa di incredulità ai suoi concittadini (vv.23-27); b) la reazione di sdegno dei suoi concittadini in cui Luca prefigura la morte di Gesù (vv.28-29); c) Gesù passa indenne attraverso questo linciaggio, in cui viene prefigurata in qualche modo la sua risurrezione (v.30).

Commento ai vv. 23-30

Con il v.23 Luca introduce il contesto di protesta da parte dei concittadini di Gesù, che darà così modo a Gesù di replicare con il v.24, citando un altro proverbio, che aprirà la controversia: “Medico, cura te stesso”. Un proverbio questo che soltanto Luca cita, forse riflettendo in questo la sua attività di medico29, e il cui senso viene dato dal v.23b. In altri termini, il medico prima di curare gli altri è meglio che presti le sue attenzioni a quelli di casa e ai più vicini a lui; e invocano, con una certa pretesa arrogante, che adesso Gesù replichi la sua attività taumaturgica anche a Nazareth, luogo in cui egli era stato allevato ed era conosciuto da tutti (v.16a). A loro, quindi, i benefici dell'attività taumaturgica del loro concittadino, in un certo qual senso, erano dovuti e vengono di diritto. Si noti come qui Luca, sia pur in modo soft, lasci intravvedere l'atteggiamento pretenzioso non tanto dei nazaretani, ma dell'intero Israele. Un'estensione questa che l'autore lascia percepire dall'uso del termine “patria” al posto di “città”, come aveva invece usato in 1,26; 2,4.39 e userà anche in 4,29, riferendosi a Nazareth.

Se il v.23 introduce un clima di tensione, il v.24 certamente non lo sopisce, ma apre, per così dire, le danze, portando allo scoperto non solo l'incredulità dei nazaretani con un altro proverbio, ma anche la loro avversità nei confronti di Gesù, che giunge fino al linciaggio (v.29): “In verità vi dico che nessun profeta è accetto nella sua patria”. Il proverbio viene introdotto con solennità da un “Amen”30, un'espressione che ricorre 75 volte nei vangeli nella formula “'Am¾n lšgw Øm‹n” (Amèn légo imîn, In verità vi dico), una sorta di giuramento che attesta la veridicità di quanto segue e che intende richiamare l'attenzione del lettore su questo proverbio. Il proverbio qui citato, pertanto, ha per Luca una particolare importanza. Un proverbio che gira attorno al termine “profeta” ed è posto in contrapposizione alla patria del profeta stesso, innescando in tal modo non solo un confronto, ma anche un forte contrasto. Esso accentra in sé tre significati: a) Gesù attribuisce a se stesso il titolo di profeta, che gli verrà riconosciuto anche dai due discepoli di Emmaus, che lo legano alla sua passione e morte (24,19); b) prepara il riferimento ai due racconti che vedono come protagonista il profeta Eliseo, aprendo in tal modo un parallelismo tra l'attività taumaturgica di Eliseo e quella di Gesù, rivolta per entrambi al di fuori di Israele; c) in un contesto di forte tensione, il termine “profeta” richiama e anticipa in qualche modo qui l'altro proverbio: “non è possibile che un profeta perisca fuori Gerusalemme” (13,33b). In prima battuta il proverbio allude al rifiuto dei nazaretani, per cui tutto ciò che verrà detto fino al v.30 è posto sotto il segno di tale rifiuto, che diventerà aggressione, anticipando qui in modo paradigmatico il clima di persecuzione, di avversità fino alla soppressione fisica di Gesù, in cui si svolgerà il suo ministero. Il termine profeta è, quindi, legato in qualche modo all'attività missionaria di Gesù e alla sua passione e morte.

I vv.25-27 si richiamano a due episodi tratti dal 1Re 17,8-16, il primo; 2Re 5,1-27, il secondo. Entrambi gli episodi hanno come comune denominatore il coinvolgimento del mondo pagano nelle attenzioni e negli interessi del Dio di Israele, lasciando intendere come per Dio non ci sono limiti insuperabili, tanto più se questi sono posti dalle ristrette comprensioni dell'uomo; e come Dio non appartenga a nessuno, ma tutto gli appartiene. Ma ciò che più interessa, al di là di questa affermazione di principio, che rompe gli schemi mentali di Israele, per il quale il mondo era rigorosamente diviso in due parti: i Giudei, prediletti da Dio, e i Gentili, destinati alla perdizione, sono i due contesti entro i quali si collocano i due episodi, che rispecchiano la situazione in atto del mondo giudaico, mentre Luca scriveva: il racconto della vedova di Zarepta di Sidone si colloca all'interno del rifiuto di Jhwh da parte del re Acab, che apre al mondo idolatrico, così che Dio manda il suo profeta presso il mondo pagano, dove trova quella ospitalità che gli era negata dal re. In questo Luca vede in qualche modo raffigurato Gesù, rifiutato dai suoi concittadini e, in senso lato, dallo stesso Israele, così che egli apre al mondo dei pagani (v.43). Il secondo episodio narra la guarigione di un pagano, che resosi conto della gravità della sua situazione, non ricorre alle divinità pagane, ma al Dio d'Israele e, da lui guarito, a lui si converte. Luca sottolinea in questo episodio l'apertura del mondo dei Gentili, a cui egli stesso appartiene, al messaggio di salvezza che Gesù rivolge a tutti indistintamente, senza alcun privilegio di sorta, perché, come ricorda Paolo, “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Rm 3,23) e tutti, quindi, sono bisognosi di salvezza.

La posizione di apertura di Gesù al mondo dei pagani, verso il quale Dio mostra la sua predilezione anche per questa parte di umanità, cozza contro le pretese e le radicate convinzioni del Giudaismo, qui raffigurato dai concittadini di Gesù, provocando la loro dura reazione, drammatizzata nei vv.28-29. Se il motivo dello sdegno annunciato dal v.28 è ben comprensibile, per le ragioni fin qui addotte, non altrettanto chiara risulta la descrizione della reazione dei nazaretani, che “alzatisi lo buttarono fuori dalla città e lo spinsero fino sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, così da precipitarlo” (v.29). Poiché la descrizione storico-geografica qui raffigurata da Luca non trova pacifico riscontro nella realtà, è da pensare che l'autore qui, non conoscendo bene la geografia palestinese, ma sapendo, tuttavia, che Nazareth si trova in zona montagnosa, immagini che Nazareth sia posta su qualche monte e che questo presenti dei dirupi, in uno dei quali si tenta di far cadere Gesù; o, più verosimilmente, alluda a qualcos'altro. Nel quale caso il v.29 diventa una metafora. Personalmente propendo per questa seconda soluzione. Si parla, infatti, di “buttar fuori dalla città”, di “spingerlo sul ciglio del monte dov'era costruita la loro città” e “di precipitarlo”. Qui ci si trova, quindi, di fronte ad una città che è costruita su di un monte sul quale viene condotto Gesù e da dove lo si vuole precipitare. Il tutto avviene al di fuori della città. Connotati questi che richiamano la passione e morte di Gesù, crocifisso fuori dalle mura di Gerusalemme, città costruita sul monte Sion, da dove Gesù viene “precipitato”, cioè ucciso sulla croce. Questo “precipitato”, poi, richiama in qualche modo il “pinnacolo del Tempio”, terza prova, da cui Gesù è sospinto dal diavolo a buttarsi di sotto per dar prova della sua divinità (4,9). Quest'ultima soluzione di tipo metaforico apre la strada alla comprensione anche del v.30 in cui Gesù, in modo incredibile e fuori da ogni logica della realtà, “passando in mezzo a loro, se ne andava”. In altri termini riesce a sottrarsi al linciaggio e non vi soccombe, nonostante che tutti siano concordi nell'eliminarlo e riescano a sospingerlo fin sul ciglio del precipizio. Gesù vince gli intenti di morte orditi su di lui. Un'allusione, questa, alla risurrezione che fa seguito alla passione e morte di Gesù.

Attività taumaturgica di Gesù a Cafarnao in giorno di sabato (vv.31-44)

Testo a lettura facilitata

Cornice introduttiva (vv.31-32)

31 – E discese a Cafarnao, città della Galilea. Ed era (qui) che ammaestrava loro nel (giorno di) sabato.
32 – E sbalordivano per il suo insegnamento, poiché la sua parola era in autorità.

Attività esorcistica di Gesù (vv.33-41)

33 – E vi era nella sinagoga un uomo che aveva uno spirito di demonio immondo e gridò con grande voce:
34 – <<Ahimè! Che cosa c'è tra noi e te, Gesù Nazareno? Venisti a distruggerci? So chi sei tu, il Santo di Dio>>.
35 – E Gesù lo rimproverò dicendo: <<Taci ed esci da lui>>. E il demonio, gettatolo nel mezzo, uscì da lui, in nessun modo colpitolo.
36 – E uno spavento avvenne su tutti e parlavano insieme gli uni gli altri dicendo: <<Che cos' (è) questa parola, poiché comanda in autorità e potenza agli spiriti immondi ed escono?>>.
37 – E il mormorio su di lui usciva in ogni luogo dei dintorni.
38 – Ora, alzatosi dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. Ora, la suocera di Simone era oppressa da una grande febbre e lo pregarono riguardo a lei.
39 – E stando sopra di lei, rimproverò la febbre e (questa) la lasciò; ora, all'istante, levatasi, li serviva.
40 – Ora sul tramontar del sole, tutti quanti quelli che avevano degli infermi per malattie varie, li portarono da lui; egli, imponendo le mani a ciascuno di loro, li guariva.
41 – Ora, uscivano anche demoni da molti, gridando e dicendo che tu sei il Figlio di Dio. E rimproverando, non permetteva di dire quelle cose, poiché sapevano che egli era il Cristo.

Prospettiva universalistica del ministero di Gesù (vv.42-44)

42 – Ora, quando divenne giorno, uscendo, andò in un luogo deserto; e le folle lo cercavano e andarono fino a lui e lo trattenevano affinché non se ne andasse da loro.
43 – Egli disse verso loro: <<Bisogna che io annunci il regno di Dio anche alle altre città, poiché per questo fui mandato>>.
44 – E predicava nelle sinagoghe della Giudea.

Note generali

Dopo il proclama dei contenuti della missione di Gesù (vv17-20) e la prefigurazione paradigmatica delle reazioni al suo ministero da parte del mondo giudaico (vv.22-30), Luca presenta, ora, in modo significativo l'attività salvifica di Gesù. Lo fa raccontando tre guarigioni (vv.33-37; 38-39; 40-41), la cui natura è squisitamente esorcistica, a significare come la sua venuta sia finalizzata a porre fine al regno di satana e a instaurare nuovamente in mezzo agli uomini il regno di Dio, associando al suo Figlio morto-risorto, per mezzo della fede, l'intera umanità credente (Gv 3,16; Rm 5,16; 6,4-5). Lo farà capire chiaramente con il v.34 in cui il demonio si lamenta con Gesù poiché la sua venuta pone fine al suo strapotere: “Ahimè! Che cosa c'è tra noi e te, Gesù Nazareno? Venisti a distruggerci? So chi sei tu, il Santo di Dio”; e ancor più chiaramente in 11,20, in cui è Gesù stesso che dà il senso della sua missione: “Ma se per mezzo del dito di Dio [io] scaccio i demoni, allora giunse in mezzo a voi il regno di Dio”. Ristabilire, dunque, il potere e la sovranità di Dio in mezzo agli uomini. Dio è venuto, pertanto, a riprendersi ciò che era suo fin dai primordi della creazione e che satana, il serpente antico, che seduce tutta la terra (Ap 12,9), in modo infido e ingannevole gli aveva sottratto. In quest'ottica va letta la venuta di Gesù, la sua incarnazione, il suo ministero, la sua passione, morte e risurrezione. Con la sua incarnazione, infatti, egli assume su di sé e in se stesso l'intera umanità, rivivendola nella fedeltà al Padre, così come era prima della sua caduta (Gen 1,31); la porta, poi, sulla croce (Gv 12,32) e qui distruggerà la carne decaduta e corrotta del vecchio Adamo (Rm 6,6) per poi ricostituirne uno nuovo e definitivamente fedele nella risurrezione (Rm 1,4; 5,14; 1Cor 15,22.45), chiudendo in tal modo il ciclo salvifico, iniziato con una chiamata e una promessa (Gen 12,1-3).

Lo strumento potente della sua azione salvifica è la sua stessa parola, più volte richiamata, direttamente o indirettamente, nel corso dei racconti come un parola che era in autorità (v.32b), su cui tutti si interrogano per la sua potenza, che scaccia i demoni, che gli sono asserviti (v.36). Il motivo della potenza di questa parola autorevole e il potere che essa esercita sono radicati nella stessa natura di Gesù, la cui identità qui Luca non manca di evidenziare ancora una volta attraverso un crescendo di titolatura: dapprima Gesù è riconosciuto come figlio di Giuseppe (v.22b), poi come Santo di Dio (v.34) e infine come Figlio di Dio (v.41a) e Cristo (v.41b). Due titoli, il secondo e il terzo, che vengono mutuati da 1,35, dove l'angelo annuncia a Maria che “ciò che nascerà santo sarà chiamato Figlio di Dio

L'attività di Gesù si svolge prevalentemente nelle sinagoghe: dapprima a Nazareth (v.15a), poi a Cafarnao (v.31a) e infine nelle sinagoghe della Giudea (v.44). Essa sarà il luogo consueto della predicazione di Gesù fino al cap. 9,50, con cui si conclude il ciclo dell'attività galilaica di Gesù, rispecchiando in questo la metodologia della predicazione dei primi missionari che, a partire da Paolo, proclamavano il loro annuncio dapprima nella sinagoga e poi ai pagani. L'attività di predicazione di Gesù e le sue guarigioni avvengono molto spesso in giorno di sabato (v.16b.31b), giorno che gli ebrei riservano a Dio. Ed è in questo giorno che Gesù entra di prepotenza e non senza polemiche per riappropriarsi anche di questo spazio temporale, consacrato a Dio, riconsegnandolo alla sua signoria (6,5). Un tempo che gli uomini avevano svilito, riducendolo soltanto ad uno spazio di rispetto legalistico della volontà di Dio. Il sabato, pertanto, torna ad essere lo spazio di Dio in cui Dio chiama a sé l'uomo per renderlo partecipe della sua eternità, di cui il sabato è una sorta di sua prefigurazione.

L'intera attività che Gesù svolge a Cafarnao avviene nell'arco di un solo giorno (vv.40.42), quello di sabato (v.31b), che torna ad essere uno spazio di salvezza per l'uomo, luogo di incontro con il suo Dio.

La struttura di questa seconda parte del cap.4 (vv.31-44), già stata anticipata nella sezione del “Testo a lettura facilitata”, è la seguente:

  1. una cornice introduttiva (vv.31-32) con cui si inquadrano i racconti successivi in giorno di sabato, anticipando fin da subito le reazioni positive all'attività d Gesù;

  2. l'attività esorcistica di Gesù (vv.33-41), che raccoglie qui tre episodi, due individuali (indemoniato e suocera di Pietro) e un sommario di guarigioni. Ho preferito raggrupparli sotto un unico titolo per la loro identica natura di racconti che narrano la liberazione dell'uomo dal potere di satana e da tutto ciò che questo comporta di corruzione e decadenza della natura umana. Si tratta, quindi, di racconti di guarigione colta come rigenerazione dell'uomo, che in tal modo viene introdotto nel mondo di Dio, qui prefigurato dal giorno di sabato (v.31) e che in qualche modo anticipano gli effetti della risurrezione;

  3. prospettiva universalistica del ministero di Gesù (vv.42-44) che in quel “Bisogna che io annunci …. per questo fui mandato” lascia trasparire un preciso progetto del Padre, che Gesù sta attuando ed assume una dimensione universalistica in quanto aperto “anche alle altre città” e alle sinagoghe della Giudea.

Commento ai vv. 31-44

Cornice introduttiva (vv.31-32)

Tre sono i quadri rappresentati da questi due versetti:

  1. un movimento geografico (v.31a), che narrativamente indica il cambio di scena, avvertendo il lettore che sta per iniziare un nuovo racconto: Gesù scende da Nazareth a Cafarnao. Al v.29 Luca aveva detto che la loro città, Nazareth, si trovava su di un monte, dal quale i nazaretani volevano precipitare Gesù. Ora Cafarnao, prospera località portuale, che dista circa 40 Km da Nazareth, si trova sulle rive del lago di Genesaret, lungo circa 21 Km e largo 13, il cui punto più profondo è di circa 50 mt. Il lago è posto a circa 213 mt sotto il livello del mare, da dove esce il fiume Giordano, confluitovi da nord, e che, percorrendo l'intera depressione, la più profonda dell'intera superficie terrestre, sfocia nel mar Morto, a 390 mt sotto il livello del mare. Il dislivello tra le due località è di circa 650 mt31. Qui sulle sponde del lago di Genesaret, a Cafarnao, ritroveremo in 5,1 Gesù, che continuerà la sua attività predicatoria non più in sinagoga e in giorno di sabato, come di consueto, ma su di una barca e dove costituirà il primo nucleo dei suoi discepoli.

  2. Il secondo quadro (v.31b), raffigura Gesù alle prese con la sua attività predicatoria a Cafarnao: “Ed era (qui) che ammaestrava loro nel (giorno di) sabato”. L'uso dell'imperfetto indicativo dice come era consuetudine di Gesù l'insegnare in giorno di sabato. Un insegnamento che veniva impartito nella sinagoga, come si può desumere sia dal racconto del primo esorcismo (v.33), sia dalla precisazione, che qui si era in giorno di sabato, il giorno dedicato al culto e in cui maggiore era la frequenza nella sinagoga.

  3. Il terzo quadro (v.32) presenta la reazione della gente all'attività predicatoria di Gesù: “E sbalordivano per il suo insegnamento, poiché la sua parola era in autorità”. Una risposta decisamente positiva rispetto a quella di Nazareth, dove incredulità e avversità avevano caratterizzato la reazione alla predicazione di Gesù. Un successo quello di Gesù a Cafarnao, che Luca attribuisce all'autorità di cui era rivestita la sua parola, che definisce in modo singolare come posta “in autorità”. Un termine quest'ultimo espresso in greco con “™xous…v” (exusía), che significa non soltanto una parola autorevole, ma che possiede in se stessa anche un potere efficace, che verrà illustrato nei due racconti di esorcismo immediatamente seguenti. Il lettore, pertanto, viene qui preavvertito della potenza di questa parola, che ha le sue radici nell'uomo Gesù, a più riprese definito con una serie di titoli che lo collocano inequivocabilmente nell'alea divina: “Santo di Dio” (v.34b), “Figlio di Dio” (v.41a), “Cristo” (v.41b).

L'attività esorcistica di Gesù (vv.33-41)

Il racconto di questo primo esorcismo viene mutuato integralmente da Mc 1,23-28, fatto salvo qualche piccolo ritocco da parte di Luca per renderlo più consono al proprio stile, alla propria teologia e più accessibile al pubblico ellenista, come nel caso di “spirito immondo”, che Luca qui corregge in “spirito di demonio immondo”, poiché per un greco diventa difficile comprendere come uno spirito possa essere immondo, mentre è più comprensibile come una divinità, un demone o un essere soprannaturale possa essere tale, soprattutto in un mondo, quello pagano, dove gli uomini proiettavano sugli dei le loro stesse virtù e i loro stessi vizi. Aggiunge poi, rispetto a Marco, “con grande voce” al gridare dell'indemoniato, che enfatizza l'effetto del gridare, accentuando la forza di questo demone che possiede lo sventurato. Viene ancora aggiunto, rispetto a Marco, l'espressione “Ahimè”, con cui si apre il discorso del demonio verso Gesù, sottolineando lo stato di grande sofferenza, di dolore, che proviene dal suo confronto-scontro con Gesù, poiché vede il suo potere ormai finito. Ed ancora, la scena dell'uscita del demonio dall'uomo, secondo lo stile ellenista, viene addolcita in Luca rispetto a Marco, che descrive la scena in modo drammatico: straziandolo e gridando con voce forte; mentre Luca quel “straziandolo” lo sostituisce con “gettandolo in mezzo”, mentre quel “gridare con gran voce” Luca lo estrapola da questa scena e lo anticipa al momento dell'incontro tra Gesù e il demonio. Il senso di dolore e di sofferenza è identico, ma l'effetto e l'impatto scenografico è di molto attenuato, poiché quest'ultima espressione viene scollegata dall'uscita violenta del demonio dall'uomo, che in Marco invece l'accresce, creando un contesto pauroso e impressionante, che avrebbe urtato la sensibilità dell'ellenista. Ed infine, di fronte alla cacciata del demonio dall'uomo, la gente si interroga sull'evento prodigioso attribuendolo ad un nuovo insegnamento espresso con autorità, in Marco. Luca, al contrario, pone l'accento sulla potenza della parola di Gesù, che comanda con autorità agli spiriti immondi. La diversa scelta dei termini tra i due evangelisti è di tipo didattico: il vangelo di Marco è una sorta di cammino catecumenale in cui l'operare e il dire di Gesù è concepito come dottrina o insegnamento somministrato ai catecumeni; mentre per Luca il suo vangelo è un racconto di fatti ed eventi su cui il credente deve fondare la sua fede (1,1-4). Per Luca, pertanto, similmente a Giovanni (Gv 1,1-2.14), Gesù è parola-evento, che si manifesta qui nella storia con potenza.

Il v.32 termina rilevando come “la sua parola era in autorità”. Che cosa significhi questo sarà compito delle due pericopi 33-37 e 38-39 dimostrarlo. Il contesto dove opera la parola di Gesù è la sinagoga di Cafarnao e il giorno quello di sabato (v.31), che, non va mai dimenticato, è lo spazio che Dio si è riservato dopo aver compiuto la prima creazione (Gen 2,2-3). Ora, qui, si sta compiendo una seconda nuova creazione: la rigenerazione dell'uomo alla vita stessa di Dio attraverso la potenza della sua parola, quella stessa parola che nei primordi lo aveva chiamato alla vita, quella divina (Gen 1,26-28); e se a Nazareth la parola si era fatta proclama, annuncio, qui si fa azione. È sempre la stessa parola che nel mentre annuncia anche si compie, si fa, diviene ed opera, genera e rigenera (Eb 4,12; 1Pt 1,23). La potenza di questa parola viene qui dimostrata attraverso un'azione liberante e rigenerante di un uomo schiavizzato dal demonio, la cui forza viene rilevata dal suo gridare “con grande voce”. Si tratta di un incontro-confronto-scontro tra due parole: quella del demonio e quella di Gesù, la parola per antonomasia.

La parola del demonio, per sua natura spirito impuro, si apre con un forte lamento “Ahimè!” che sintetizza tutto il dolore e tutta la sofferenza della sua insanabile e radicata contrapposizione a Dio, il cui significato viene ora spiegato dalle parole che seguono, poste sotto questo segno di dolore. Il v.34 è scandito in tre parti: la prima e la terza sono tra loro parallele e complementari, mentre la seconda, centrale, dice il senso della missione di Gesù: “Che cosa c'è tra noi e te, Gesù Nazareno? Venisti a distruggerci? So chi sei tu, il Santo di Dio”. La prima parte pone a confronto il mondo del diavolo e Gesù. In quel “noi” infatti vengono raffigurati tutti gli Inferi., a cui il demonio, che qui dialoga con Gesù, appartiene. Lo scontro pertanto non è tra un diavolo e Gesù, ma tra gli Inferi e Gesù. Due realtà che non solo non hanno nulla in comune, ma sono tra loro irrimediabilmente contrapposte e inconciliabili: “Che cosa c'è tra noi e te”. La terza parte del versetto riporta la motivazione di questa insanabile contrapposizione: “So chi sei tu, il Santo di Dio”, che dice tutta la distanza che separa le due realtà, quella di Dio e quella di satana. Un'espressione questa che va ben al di là di un titolo messianico, anche se tuttavia non raggiunge la pienezza del successivo “Figlio di Dio” (v.41). La santità nella Bibbia è uno stato, una condizione di vita e del vivere proprio di Dio, che dice la totale diversità che separa l'uomo da Dio e ne misura tutta la distanza (Nm 23,11; Os 11,9). Essa nell'A.T. viene usata per indicare lo stato di consacrazione e di appartenenza a Dio, che rende il suo servo sua speciale proprietà e sul quale posa la sua potenza, che si manifesta in lui32. La stessa titolatura viene riportata da Gv 6,69, nel cui contesto diviene una sorta di formula di fede confessata dalla comunità giovannea: “noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. L'espressione, pertanto, non dice ancora la natura divina di Gesù, ma soltanto la sua speciale appartenenza a Dio. Ed infine la seconda parte, quella centrale del v.34 e per questo, secondo gli schemi della retorica ebraica, la più importante: “Venisti a distruggerci?”. Gli Inferi non si limitano a svelare la vera identità di Gesù, quale Santo di Dio, ma rivelano anche il senso della sua missione: distruggere il potere di satana sugli uomini e sul mondo e ripristinare la sovranità di Dio in mezzo a loro, così come lo era nei primordi dell'umanità. In altri termini, con Gesù Dio torna tra gli uomini per riprendersi quello che è sempre stato suo fin da principio, ricostituendo in Gesù l'uomo a sua immagine e sua somiglianza (Gen 1,26-27), costituendolo figlio nel Figlio. Riecheggiano qui le stesse parole del Gesù giovanneo: “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori” (Gv 12,31) e similmente “quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato” (Gv 16,11). Un principe, precisa Giovanni, che non ha alcun potere su Gesù (Gv 14,30).

Il v.35 riporta il comando di Gesù e gli effetti che produce: “E Gesù lo rimproverò dicendo: <<Taci ed esci da lui>>. E il demonio, gettatolo nel mezzo, uscì da lui, in nessun modo colpitolo”. L'ingiunzione di Gesù è secca e inequivocabile, una sorta di staffilata che trova la sua eco nel grido di dolore degli Inferi: “Ahimè!”. Il verbo “™pet…mhsen” (epetímesen) con cui viene introdotto l'ordine di Gesù, infatti, significa oltre che rimproverare anche infliggere, ingiungere, ordinare. Non si tratta quindi di un semplice rimprovero, ma di un'imposizione autoritaria, carica di potenza e che produce immediatamente i suoi effetti: “il demonio, gettatolo nel mezzo, uscì da lui, in nessun modo colpitolo”. Questa successione di comando-esecuzione dice tutta l'efficacia di questa parola, che produce ciò che dice e che richiama da vicino l'atto creativo di Dio: “Dio disse: "Sia la luce!". E la luce fu” (Gen 1,3). Una parola che domina e signoreggia incontrastata sugli Inferi, così che il diavolo se ne esce direi quasi in modo educato, senza sbattere la porta, senza urlare e straziare il poveretto, come avviene in Mc 1,26, ma lo getta in mezzo, cioè lo restituisce alla sua vita e al consorzio umano, da dove era stato sequestrato, senza colpirlo ulteriormente. Ed è proprio questa sobrietà di azione-esecuzione che mette in rilievo la potente efficacia di questa parola, che risana e rigenera ad una nuova vita l'uomo, che incontra Gesù.

Il v.36 ha una duplice funzione: da un lato riporta la reazione della gente, dall'altro pone un interrogativo il cui intento è invitare il lettore a riflettere sulla potente efficacia di questa parola: “E uno spavento avvenne su tutti e parlavano insieme gli uni gli altri dicendo: <<Che cos' (è) questa parola, poiché comanda in autorità e potenza agli spiriti immondi ed escono?>>”. Una reazione questa che richiama da vicino le teofanie, l'irrompere del mondo del divino in quello umano, scuotendolo e annichilendolo. Se questo è l'effetto, “uno spavento avvenne su tutti”, significa che Luca legge in questo intervento di Gesù l'agire stesso di Dio, il suo manifestarsi in mezzo agli uomini e che spinge l'uomo ad interrogarsi e a prendere esistenzialmente posizione su questa parola, che viene definita potente e autoritaria e che domina sugli Inferi.

Con il v.37 si chiude il racconto su questo primo miracolo di liberazione-rigenerazione con un mormorio che dalla sinagoga, l'epicentro di questo sisma che si è scatenato, si diffonde rimbalzando ovunque nei dintorni, quasi come un'eco, un'onda sismica che non sembra volersi arrestare e il cui movimento di diffusione Luca ricorderà anche in At 6,7; 12,24 e 13,49.

Con i vv. 38-39 Luca presenta il secondo racconto di guarigione-liberazione, la cui natura è di tipo esorcistico. Anche se non si parla esplicitamente di demonio, come nel racconto precedente, tuttavia, diversi elementi inducono a pensare che si tratti di un esorcismo: la donna è oppressa da una grande febbre, termine generico per indicare una malattia oscura; Gesù si rivolge alla febbre come se fosse una persona, rimproverandola. Il verbo che qui compare, “™pet…mhsen” (epetímesen, rimproverò) è lo stesso che l'autore ha usato sopra (v.35a) rivolgendosi al demonio; è la febbre che lascia la donna e non la donna che guarisce dalla febbre. E, infine, va detto che comunemente la febbre come la malattia in genere erano considerate di origine demoniaca. Significativo è infatti come si conclude questa giornata a Cafarnao, con Gesù che guarisce ammalati da cui uscivano molti demoni (vv.40-41). La malattia, dunque, viene quasi sempre associata ad un'azione demoniaca33.

Luca qui mutua l'episodio della guarigione della suocera di Pietro da Mc 1,29-31, ma si trova costretto ad apportare delle sostanziali modifiche al racconto, poiché, rispetto a Marco, posticipa la chiamata dei discepoli al cap.5, dopo la sua attività a Cafarnao in giorno di sabato, di cui fa parte anche questo racconto di guarigione. Toglie, quindi, necessariamente la presenza dei discepoli, ma incorre in una incongruenza, poiché dice che Gesù entra nella casa di Simone e ne guarisce la suocera, quando ancora il lettore non sa chi sia questo Simone, la cui identità si scoprirà soltanto al successivo cap.5. Avviene, quindi, qui una sorta di prolessi, che costringe l'autore a modificare anche la prospettiva teologica del racconto, complicando non poco le cose. Perché, dunque, Luca ha voluto qui conservare integro il racconto di Marco, quando bastava togliere il riferimento a Simone, come ha tolto la presenza degli altri discepoli, richiamati invece da Marco? Perché il racconto è la metafora di quanto stava succedendo all'interno del giudaismo: i primi seguaci di Gesù lasciano la sinagoga per entrare nella casa di Simone, cioè l'abbandono del giudaismo da parte dei giudeocristiani per entrare nella nuova comunità credente, qui raffigurato da Gesù che esce dalla sinagoga per entrare nella casa di Simone, quasi ad indicare la strada che i suoi discepoli dovevano seguire. Ed è qui che le cose si complicano notevolmente, lasciando intravvedere una situazione storica difficile. Luca, infatti, sta rivolgendosi alle comunità credenti di provenienza pagana, quelle comunità che Paolo aveva fondato, probabilmente coadiuvato da Luca, suo fedele compagno di viaggi e missionario come lui. Comunità queste, che sappiamo dalle stesse lettere di Paolo, erano, dopo la loro conversione, ripercorse da gruppi di giudeocristiani giudaizzanti34, cioè ancora fedeli ai dettami del giudaismo, che predicavano circa la necessità di doversi convertire al giudaismo, circoncidendosi, per poter ottenere in modo efficace la salvezza da Gesù. Questo provocò non pochi problemi all'interno delle comunità etnocristiane e causò il primo concilio di Gerusalemme (At 15,1-41; Gal 2,1-14), avvenuto nel 49 d.C., in cui si chiarì che la circoncisione e, quindi, la conversione al giudaismo, non era necessaria, sancendo in tal modo l'assoluta novità del cristianesimo rispetto al giudaismo, quale nuova via di salvezza, indipendente dal giudaismo. Luca lascia intravvedere tutta questa problematica scostandosi nettamente da Marco, usando al posto del verbo “™xšrcomai” (exércomai, uscire da), che compare nel racconto marciano, uno strano verbo che dice tutto fuorché che Gesù uscì dalla sinagoga: “'Anast¦j” (anastàs, alzatosi, levatosi). Un verbo che qui Luca usa giocando sull'ambiguità, attribuendogli un doppio senso, che, da un lato, lascia trasparire sullo sfondo una certa conflittualità con la sinagoga. Esso infatti, tra i vari significati, ha anche quello di “far alzare, mandare via, allontanare, scacciare ”. E questo significato concorderebbe con lo spavento che aveva preso tutti e con il sommesso mormorio che percorse l'intera regione nei dintorni (vv.36a.37). In questo senso l'alzarsi di Gesù va compreso come un essere allontanato e scacciato dalla sinagoga. Dall'altro, il verbo “'Anast¦j”si presenta anche come un verbo tecnico, che indicava all'interno delle primitive comunità credenti la risurrezione di Gesù. Un verbo che ritroviamo, subito dopo, anche all'interno del racconto della guarigione della suocera di Simone, per indicare il suo stato di rigenerazione ad uno nuova vita a seguito dell'intervento di Gesù. In questo caso il verbo “'Anast¦j” allude alla risurrezione di Gesù. Per cui si avrà, a seconda dell'interpretazione che si intende dare ad “'Anast¦j”, le seguenti due soluzioni, comunque, entrambe sottintese e volutamente equivocate da Luca: “Allontanato dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone” oppure “Dopo essere risorto, dalla sinagoga entrò nella casa di Simone”, alludendo all'esodo dei giudei, fattisi suoi discepoli, dalla sinagoga verso le nuove comunità credenti, che si riconoscevano in Pietro. In questo caso Luca indica agli etnocristiani, istigati dai giudeocristiani giudaizzanti, il comportamento di quelli che hanno fatto la loro definitiva scelta per le comunità credenti dove si ritrova il Risorto.

Altro verbo che Luca sostituisce a quello di Marco è la modalità dell'informazione che viene data a Gesù circa lo stato di salute della donna. Marco usa il verbo “lšgw” (légo, dire): “E subito gli dicono su di lei”; Luca, invece, usa il verbo “rwt£w” (erotáo), che significa domandare, domandare pregando o pregare: “e lo pregarono riguardo a lei”. Cambia radicalmente l'atteggiamento nei confronti di Gesù: un semplice informare Gesù in Marco; la coscienza della sua signoria sulle forze del male in Luca; a Gesù ci si rivolge, dunque, supplicandolo, riconoscendolo come Signore.

Il v.39 racconta la dinamica della guarigione della suocera di Simone ed è scandito in tre parti: a) “stando sopra di lei” che dice la superiorità sovrana di Gesù sulle forze del male, dalle quali è oppressa la donna; b) Gesù si rivolge alla febbre come ad un essere demoniaco, rimproverandola, così come è avvenuto per il demonio nel racconto precedente. Il verbo è identico (“™pet…mhsen”, epetímesen, rimproverò). L'effetto è immediato: “e (questa) la lasciò”. Luca fa seguire, senza lasso di tempo, il comando dai suoi effetti, rilevando in tal modo la potenza e l'efficacia della sua parola, così come avvenne nel parallelo racconto dell'indemoniato; c) il terzo momento narra l'effetto che questa guarigione-liberazione ha operato sulla suocera di Simone: “ora, all'istante, levatasi, li serviva”. Luca sottolinea la potenza della parola di Gesù non soltanto nel togliere la febbre dalla donna, questo male oscuro che l'opprimeva, ma anche nel rilevare che questa “all'istante” viene rigenerata ad una nuova vita, la cui prerogativa è quella del porsi al servizio degli altri. Un atteggiamento quest'ultimo che qualificava la vita dei credenti all'interno delle loro comunità e tale da diventarne una istituzione (At 6,1-6): la diaconia, ossia il servizio verso i membri della stessa comunità, secondo il carisma proprio e secondo le necessità delle stesse comunità (1Pt 4,10-11; 1Cor 12,4-11; 16,15), sull'esempio di Gesù che era venuto per servire e non per essere servito (Mt 20,28; Mc 10,45). L'uso dell'imperfetto indicativo, “serviva”, dice come questo comportamento sia divenuto una costante nella persona risanata dal suo incontro con Gesù. Chiunque, dunque, entri nella nuova comunità credente, dove vive il Risorto, viene da lui rigenerato ad una nuova vita per mezzo della sua potente parola (1Pt 1,23). Il mettersi al servizio degli altri per la loro crescita e dell'intera comunità credente, ne diviene un segno distintivo.

I vv.40-41 si aprono con una nota temporale: “sul tramontar del sole”, chiudendo così la giornata tipo dell'attività missionaria di Gesù, iniziata a Cafarnao con la predicazione e la guarigione di un posseduto nella sinagoga (vv.31.33-35) e proseguita poi con la guarigione-liberazione della suocera di Simone. Due prototipi di guarigione-liberazione significativi, operati dalla parola di Gesù, che trovano qui la loro eco profonda negli ammalati risanati, prospettando come l'attività di Gesù abbracci l'intera umanità decaduta e corrotta, di cui gli infermi sono una metafora. Si noti come non sono gli ammalati a correre da Gesù, ma questi sono presentati a lui da altri. Forse una nota, presente anche nei passi paralleli di Mc 1,32-34 e Mt 8,16-17, che richiama la consuetudine delle comunità credenti, in cui i discepoli presentavano ai responsabili della comunità gli aspiranti, candidati al battesimo, per un cammino catecumenale verso la piena illuminazione, rendendosene garanti. L'imposizione delle mani, gesto comune a tutti i guaritori, ma non solo, attraverso cui si trasmetteva o un potere o una forza guaritrice, lascia in qualche modo trasparire questa prassi. Sono, dunque, i credenti che fanno opera di proselitismo e che accompagnano il mondo pagano e giudaico da Gesù, incarnato nella stessa comunità con il suo spirito di Risorto, che continua la sua attività guaritrice e liberatrice in loro. Benché numerosi siano i malati presentati a Gesù, questi non erano guariti in modo anonimo, quasi si fosse in una produzione industriale della salute, ma le mani venivano imposte su ciascuno di loro, ad indicare, da un lato, il particolare interesse di Dio per ogni singola persona; dall'altro, per far comprendere come, al di là della presentazione da parte della comunità credente e del suo inserimento in essa, il rapporto salvifico con Gesù sia individuale. La salvezza, quindi, pur essendo universale e proposta a tutti, non è mai massificazione, dove l'individuo perde la sua identità, ma egli, pur sostenuto dalla comunità credente, di cui è parte integrante, figura sempre come elemento unico ed esclusivo in questo gioco di salvezza, che dipende sempre dalla sua personale disponibilità a Gesù, che non è acquisita una volta per tutte, ma si consolida in un continuo cammino di evoluzione spirituale.

Similmente a quanto era avvenuto con l'indemoniato della sinagoga di Cafarnao, anche qui, i demoni indicano Gesù come “Figlio di Dio”. Ma la nota successiva, di marca redazionale, “poiché sapevano che egli era il Cristo”, lascia intendere come quel titolo non indichi ancora la figliolanza divina di Gesù, la sua vera natura divina, ma abbia prevalentemente un significato messianico. Il titolo “Cristo”, riferito a Figlio di Dio, sembra dunque ridimensionarlo, riportandolo nell'alveo del messianismo. In Luca il titolo “Figlio di Dio” attribuito a Gesù ricorre sei volte35, ma in nessun caso sembra indicarne in modo specifico la natura divina.

Oltre i confini: l'universalità della missione di Gesù (vv.42-44)

Testo

42 – Ora, quando divenne giorno, uscendo, andò in un luogo deserto; e le folle lo cercavano e andarono fino a lui e lo trattenevano affinché non se ne andasse da loro.
43 – Egli disse verso loro: <<Bisogna che io annunci il regno di Dio anche alle altre città, poiché per questo fui mandato>>.
44 – E predicava nelle sinagoghe della Giudea.


Anche in questi ultimi versetti Luca riprende Mc 1,35-38, apportando tuttavia le opportune modifiche che rispettano sia il suo piano narrativo che la sua teologia. Ne esce un racconto più semplificato e più incisivo, già a partire dalla segnalazione del cambio temporale, molto elaborata in Mc 1,35: “E di mattino, (quand'era ancora) notte fonda, levatosi, uscì e se ne andò in un luogo deserto e là pregava”. Un versetto questo con cui Marco allude in qualche modo alla risurrezione di Gesù, significata nei due avverbi “prwˆ l…an”, che si ritrovano anche in 16,1 dove ha inizio il racconto sul ritrovamento della tomba vuota; e nei verbi “¢nast¦j” (anstàs, levatosi, alzatosi), un verbo tecnico, che nelle prime comunità credenti indicava la risurrezione di Gesù; e in “™xÁlqen” (exêltzen, uscì da), che richiama la sua uscita dalla tomba. Luca, invece, toglie ogni riferimento alla risurrezione di Gesù: “Ora, quando divenne giorno, uscendo, andò in un luogo deserto”. Un'espressione questa che lascia perplessi sia per la sua eccessiva semplificazione che per quel “uscendo”, che non dice da dove; sia per per quel ritirarsi di Gesù in un luogo deserto, da cui viene tolto il pregare, che invece è presente in Marco. Un tema, quello della preghiera molto caro a Luca, ma qui stranamente eliso. È difficile spiegare questa elaborazione lucana, se non pensando che l'autore qui abbia soltanto voluto creare uno stacco narrativo, scevro da contenuti teologici o cristologici, incentrando invece l'attenzione del suo lettore sulla seconda parte del v.42: “e le folle lo cercavano e andarono fino a lui e lo trattenevano affinché non se ne andasse da loro”, in cui Luca, sostituendo i discepoli, presenti nel racconto marciano, con le folle, per evitare un'incongruenza in quanto che nel racconto lucano questi appariranno per la prima volta soltanto nel successivo cap.5, abbia voluto mettere in evidenza i tre movimenti delle folle, che definiscono l'atteggiamento che il vero credente deve assumere nei confronti di Gesù: “lo cercavano”, “andarono da lui” e “lo trattenevano affinché non se ne andasse da loro”, in cui il cercare e il trattenere sono posti all'imperfetto indicativo, per dire come costante e persistente debba essere l'atteggiamento di ricerca di Gesù e, una volta trovatolo, come esso debba essere sempre trattenuto presso di sé, perché questi non se ne vada e venga in qualche modo perduto. L'espressione finale “affinché non se ne andasse da loro” assume, tuttavia, nel contesto narrativo anche il motivo che spingerà Gesù ad annunciare la sua missione universale.

Il v.43 è il cuore di questa pericope, denso di riferimenti teologici e cristologici e molto più complesso di quello marciano, che si limita a dire: “Andiamo altrove, verso i villaggi vicini, affinché anche là annunci; per questo infatti sono uscito”. Marco qui riferisce solo che la predicazione di Gesù è rivolta anche ad altri villaggi. Questo costituisce il motivo del suo uscire da Cafarnao, con riferimento all'uscire di cui al v.1,35. Luca arricchisce notevolmente il versetto marciano nel seguente modo: “Bisogna che io annunci il regno di Dio anche alle altre città, poiché per questo fui mandato”. L'annunciare del Gesù lucano è fatto dipendere dal quel “Bisogna” (de‹, deî), che lascia intendere come esso dipenda da un progetto del Padre, che Gesù sta attuando con questa sua missione, finalizzata all'annuncio. Egli, infatti, opera su specifico mandato del Padre, essendo egli il suo inviato: “per questo fui mandato”. L'annunciare di Gesù, che in Marco è reso con “khrÚssw” (kerísso), verbo che risente della primitiva predicazione, la quale si limitava ad annunciare gli eventi storici a cui si attribuiva una valenza salvifica, in Luca diventa “eÙaggel…sasqa…” (euanghelísastai), che evoca un annuncio più elaborato, con consistenti contenuti teologici e cristologici, affermatosi verso la fine del I sec. Ma che nel contempo si richiama al proclama isaiano, avvenuto nella sinagoga di Nazareth (vv.18-19), dove il verbo “euanghelísastai” ricompare. Gesù, dunque, sta attuando ora quel annuncio. Appare qui per la prima volta l'espressione il “Regno di Dio”, oggetto dell'annuncio, che risuonerà nel vangelo di Luca per altre 31 volte. Come Gesù annunci questo Regno già è stato illustrato nei tre racconti di esorcismo, che hanno dimostrato non solo la potente efficacia della sua parola, ma anche come questa parola, fondativa del Regno, dica che Dio è ritornato in mezzo agli uomini, aprendo loro, attraverso questa parola rigenerante, il loro ritorno in seno al Padre, da cui erano drammaticamente usciti (Gen 3,23-24).

Se con il v.43 il Gesù lucano ha manifestato come la sua missione abbia un'impronta universale, non per suo volere, ma per volere dello stesso Padre, che lo ha mandato e di cui egli è plenipotenziario36,

il v.44 dà attuazione a questa universalità. Il versetto, infatti, si apre con un “kaˆ” (kaì, e), che lo lega al precedente v.43 e ne fa la sua logica conseguenza: “E predicava nelle sinagoghe della Giudea”. L'uso dell'imperfetto indicativo dice la persistenza e la continuità della predicazione di Gesù, che si compie, secondo la metodologia dei primissimi missionari, che qui si riflette: dapprima nelle sinagoghe per poi estendersi al resto del mondo. Sia Mt 4,23a che Mc 1,39 attestano che la predicazione di Gesù avveniva nelle sinagoghe della Galilea, regione posta a nord della Palestina, Luca, invece, cambia il nome “Galilea” con “Giudea”, regione posta a sud della Palestina. Non si tratta di una svista di Luca, ma del suo modo di comprendere la geografia palestinese, di cui ben poco se non quasi nulla conosceva. Con il nome Giudea, infatti, Luca non intende la specifica regione palestinese, ma l'intera Palestina. In tal modo l'autore assegna alla predicazione di Gesù una più ampia universalità che non quella attribuita da Matteo e Marco, che invece la limitano alla sola Galilea.


NOTE

1Sul tema del viaggiare di Gesù cfr. la Parte Introduttiva della presente opera: la geografia lucana, pag.36; e la missione in Galilea, pagg. 24-25

2Gesù inizia la sua attività a Nazareth, da dove parte il suo primo annuncio (4,16-30); per poi proseguire a Cafarnao (4,31) e da qui sulle sponde del lago di Genesaret (5,1); rientro di Gesù a Cafarnao (7,1) e da qui va a Nain (7,11); attraversa il lago di Genesaret e giunge nella regione dei Geraseni, che si trova sul lato orientale del lago. Da qui torna indietro (8,40a), probabilmente ancora a Cafarnao; si ritira privatamente con i suoi a Betsaida, una cittadina vicina a Cafarnao (9,10).

3Guarigione dell'indemoniato (4,33-35); guarigione della suocera di Pietro (4,4,38-39); Pesca miracolosa (5,3-8); guarigione del lebbroso (5,12-14); guarigione del paralitico (5,18-25); guarigione di un uomo con la mano arida (6,6-11); guarigione del servo del centurione (7,2-10); risuscitazione del figlio della vedova di Nain (7,11-15); la tempesta sedata (8,22-25); guarigione di un indemoniato (8,27-33); risuscitazione della figlia di Giairo (8,41-42.49-56); guarigione dell'emorroissa (8,43-48); moltiplicazione dei pani e dei pesci (9,12-17); guarigione di un figlio indemoniato (9,37-43).

4Cfr. Lc 4,40-41; 6,18-19; 7,21; 9,11c.

5Cfr. Lc 4,15.31.44; 5,3.17a; 6,6a; 8,1-2; 9,11b

6Cfr. Guarigione di un indemoniato (11,14); guarigione di una donna inferma da 18 anni (13,11-13); guarigione di un idropico (14,1-4); guarigione di 10 lebbrosi (17,11-19); guarigione di un cieco (18,35-43).

7 Cfr. anche Gv 4,34; 5,30; 6,38

8 Cfr. Gv 10,30; 14,9-11; 17,11b.21.22

9Sul tema della Trinità e dei rapporti intercorrenti tra Padre, Figlio e Spirito Santo cfr. il mio studio dal titolo “L'architettura di Dio” al sito http://digilander.libero.it/longi48/Trinita.html

10Cfr. Rm 5,14; 1Cor 15,22.45

11Cfr. nota 8 del presente studio.

12 Cfr. Mt 12,38; 16,1; Mc 8,11; Lc 11,16; Gv 2,18; 6,30; 10,41

13Cfr. Mt 21,42-44; Mc 12,10-11; Lc 20,17-18

14Testo latino originale: “Qui ergo fecit te sine te, non te iustificat sine te” (Sermo 169,11.13)

15Il testo della LXX dice: “Temerai il Signore Dio tuo e lo servirai e starai unito a lui e giurerai nel suo nome” (Dt 6,13).

16Da un punto di vista architettonico il pinnacolo indica un'ala delle mura o il punto d'incrocio tra due mura, rafforzato, talvolta, dalla presenza di una torretta o una sporgenza che usciva dalle mura. Nel nostro caso, probabilmente la parte est-sud-est delle mura del tempio, che dava su di uno strapiombo impressionante sulla vallata del Cedron, da cui venivano precipitati i bestemmiatori. Quanto al terminepterÚgion(pteríghion, pinnacolo), questo è un diminutivo di “Ú” (pteríx), che tra i vari e tra loro diversi significati vuol anche dire "ala, riparo, bastione"; mentre pterÚgion può anche significare “escrescenza, rialzo, sporgenza (cfr L.Rocci, Vocabolario Greco ... op. cit.).

17Cfr. anche At 10,37; 13,31

18Normalmente si traduce questa espressione con “dove era stato allevato”. Il testo greco, tuttavia, dice “oá Ãn teqrammšnoj” (û ên tetzramménos), che letteralmente significa “dove era un allevato”. Benché il senso sembri sostanzialmente lo stesso, in realtà cambia la prospettiva, poiché, mentre come normalmente si traduce significa che Nazareth era il luogo della crescita fisica, psicologica e morale di Gesù, la traduzione da me proposta, rigorosamente letterale, dice che a Nazareth Gesù ha ricevuto un'educazione ed ha avuto una crescita psico-fisica come tutti gli altri suoi compaesani. Il riferimento qui non è più Gesù in rapporto a se stesso, ma Gesù in rapporto con gli altri, sottolineando la sua integrazione storica con il contesto culturale del suo tempo e tale da far esclamare a Natanaele: Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46a).

19Sulla questione degli inizi di Gesù e della sua partecipazione al gruppo dei Battisti cfr. pag. 9 del commento al cap.3.

20Lo schema di una normale liturgia sinagogale, in base a quanto si è potuto ricostruire su fonti storiche, era costituito dai seguenti momenti: recitazione dei dieci comandamenti e dello “Shema Israel” (Dt 6,4-9), recita delle Diciotto benedizioni, lettura della Torah e dei Profeti, recita di salmi, omelia e benedizione pronunciata da un sacerdote, qualora questi fosse presente. (Questa nota è stata tratta dalla voce “Sinagoga” in Nuovo Dizionario Enciclopedico Illustrato della Bibbia, edizioni PIEMME, Casale Monferrato, I edizione 1997 e nuova versione rivista e ristampata 2005)

21I testi di Lc 4,17-21; 13,14 e At 13,14-15.27 danno un'idea di come si svolgevano le funzioni liturgiche nella sinagoga nel giorno di sabato, di cui Luca sembra essere bene informato. Per una comprensione più completa si cfr. la voce “Sinagoga” in Nuovo Dizionario Enciclopedico Illustrato della Bibbia, edizioni PIEMME, Casale Monferrato, I edizione 1997 e nuova versione rivista e ristampata 2005.

22Sull'uso della sinagoga nel I sec. d.C. Si cfr. Mt 4,23; 9,35; 10,17; 23,34; Mc 1,39; 13,19; Lc 4,15.44; 12,11; 21,12; Gv 18,20; At 13,5; 17,17; 18,4; 22,19; 26,11;

23Il testo di Is 61,1-3 è stato da me tradotto dal testo greco della LXX, usata dallo stesso Luca, attenendomi rigorosamente al testo greco. Le parti in grassetto e sottolineate sono quelle selezionate da Luca per comporre il suo testo da attribuire a Gesù.

24A questo punto Luca inserisce il testo di Is 58,6b, la parte finale del versetto.

25Il testo in corsivo e sottolineato è stato da Luca desunto da Is 58,6b, la parte finale del versetto.

26Il Libro di Isaia è suddiviso normalmente in base ai contesti storici in esso contenuti o a cui esso si riferisce. Si sono in tal modo evidenziate tre macrosezioni così delimitate e denominate come di seguito: Primo o Proto Isaia comprende i capp.1-39 e inerisce al testo originale del vero Isaia e della sua attività profetica (740-700 a.C. Circa); il Secondo o Deutero Isaia comprende i capp. 40-55 ed abbraccia l'attività di un profeta sconosciuto riguardante il periodo dell'esilio del popolo ebreo a Babilonia (597-538 a.C.); il Terzo o Trito Isaia che comprende i capp.56-66, che riguardano il periodo postesilico e in particolare dei ritornati da Babilonia.

27Ezechiele è il profeta dell'esilio Babilonese, la sua vocazione sorge nel quarto anno della deportazione del popolo in esilio (593 a.C.) e disilludendolo da una rapida soluzione della loro prigionia, lo invita a prepararsi ad una lunga attesa e a riflettere sulla sua condotta perversa e infedele, prospettandogli un profondo rinnovamento interiore e una rigenerazione spirituale e un nuovo culto a Jhwh fondato sulla sincerità della vita e del cuore.

28I due verbi corrispondenti in greco sono rispettivamente: “kalšsai” (kalésai) per Is 61,2b; mentre per Lc 4,19 il “kalésai” isaiano diventa “khrÚxai” (keríxai), un termine tecnico che riguarda l'annuncio del banditore e che nella chiesa primitiva indicava la proclamazione del primissimo annuncio, che riguardava gli eventi salvifici come la passione, morte e risurrezione di Gesù e il suo operare a favore dell'uomo.

29Sulla questione cfr. la Parte Introduttiva della presente opera, pag.12.

30Il termine “Amen” ha la sua radice in “ 'mn” che significa certamente, veramente, sicuramente ed esprime un senso di solidità, di fermezza e di sicurezza; per cui pronunciare “Amen” su di una determinata cosa o un certo evento significa dare garanzia di veridicità a ciò su cui l'Amen è pronunciato. - In tal senso cfr. la voce “Amen” in Nuovo Dizionario Enciclopedico Illustrato della Bibbia, edizioni PIEMME, Casale Monferrato, I edizione 1997 e nuova versione rivista e ristampata 2005.

31Per la descrizione geografica cfr. la voce “Giordano” in Nuovo Dizionario Enciclopedico Illustrato della Bibbia, edizioni PIEMME, Casale Monferrato, I edizione 1997 e nuova versione rivista e ristampata 2005.

32Cfr. Gdc 13,7; 16,17; 2Re 4,9; 1Cr 22,19; Sal 105,16;

33Cfr. Gb 2,7; Sap 2,24; Lc 13,16; At 10,38;

34L'intera lettera ai Galati rispecchia questa situazione: dopo aver evangelizzato le comunità della Galazia, altri predicatori giudeocristini giudaizzanti le ripercorrono annunciando che la salvezza passa attraverso l'adesione alla legge mosaica a cui si aderisce con la circoncisione. In particolare cfr. Gal 1,6-9; 2,4; 3,1-3; 4,17; 5,1-7. Lo stesso problema si rileva nella seconda lettera ai Corinti. Cfr. 11,5.12-13.22-23; Cfr. anche At 15,1.

35Cfr. Lc 1,35; 3,38; 4,3.9.41; 22,70

36Cfr. Lc 5,24; 9,1; 10,19.22; Gv 3,35; 17,2.10; Mt 28,18