LA TESTIMONIANZA DI GIOVANNI

 

 

Gv  1,6-8.19-28

 

 

 

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Premessa

 

 

I vv. 6-8.19-28, che ci vengono proposti in questa terza domenica di avvento, sono stati ritagliati dal cap.1 di Giovanni e ricomposti, poi, insieme, così da formare un'unica lettura. I vv. 6-8 appartengono al prologo innico o poetico, mentre i vv. 19-28 a quello in prosa.

 

Già da queste prime battute cominciamo ad intuire come l'intero cap.1, composto da 51 versetti, forma un lungo ed ampio prologo al vangelo di Giovanni, diviso in due parti, distinte tra loro da una diversa forma letteraria: una poetica (vv. 1,1-18), che anticipa in sè alcune tematiche del vangelo ed è permeata da una forte tensione riflessiva e contemplativa; e una di tipo narrativo (1,19-51), che introduce gradualmente l'ascoltatore all'attività pubblica di Gesù, che inizierà con il primo miracolo[1] di Gesù: le nozze di Cana (Gv 2,1-11).

 

Il prologo narrativo (Gv 1,19-51) è scandito in quattro giornate, che confluiscono naturalmente nel racconto delle nozze di Cana, che incomincia con un'annotazione di tempo: "Tre giorni dopo ...". Per cui si avrà:

 

 

·  1° giornata: testimonianza del Battista su se stesso e sulla sua identità (Gv 1,19-28). Questo passo forma l'oggetto della nostra riflessione.

 

·   2° giornata: testimonianza del Battista su Gesù, che viene indicato come l"Agnello di Dio e ne definisce la missione (Gv 1,29-34);

 

·   3° giornata: il Battista indica ai suoi discepoli Gesù e questi lo seguono (Gv 1,35-42);

 

·  4° giornata: sulla base della testimonianza, altri discepoli seguono Gesù, così che attorno a lui si va costituendo la prima comunità credente (Gv 1,43-51);

 

·   ... "Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio in Cana ..." (Gv 2,1). Quindi, quattro giorni + tre giorni, si arriva alla settima giornata, in cui si collocano le nozze di Cana.

 

·   7° giornata: le nozze di Cana di Galilea (Gv 2,1-11), che costituiscono il culmine di un cammino di testimonianza-rivelazione.

 

 

L'inizio del vangelo di Giovanni, dunque, è distribuito su sette giorni, che richiamano, in qualche modo, la settimana della creazione, con cui è iniziata l'autorivelazione di Dio. In tal senso Paolo ricorderà nella sua lettera ai Romani proprio questo aspetto: "... dalla creazione del mondo in poi le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità" (Rm 1,20).

E come la creazione, anche queste sette giornate sono tutte caratterizzate dalla "testimonianza" di una realtà divina che ha incominciato a dispiegarsi nella storia, cioè a rivelarsi in mezzo agli uomini. Non a caso la settima giornata si concluderà con la considerazione dell'evangelista: "... in Cana di Galilea Gesù manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui" (Gv 1,11). Da questa manifestazione nasce, dunque, la fede.

 

Ebbene, il racconto che ci propone questa terza domenica di avvento e che forma l'oggetto della nostra riflessione, si colloca nella prima giornata, che significativamente si aggancia alla prima giornata della creazione, in cui Dio creò la luce divina (Gen 1,3) entro cui viene posta, poi, l'intera creazione del mondo. Infatti, sarà proprio questa luce divina che aiuterà l'uomo a ricomprendere la propria vita, il senso del suo essere nel mondo e il significato delle cose, ponendolo nella stessa prospettiva di Dio. La testimonianza è proprio questa luce, destinata a fornire una chiave di lettura dell’evento fondamentale del vangelo: Gesù.

 

 

IL TESTO :  Gv 1, 6-8.19-28

 

 

[6]Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.

[7]Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.

[8]Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.

 

[19]E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: <<Chi sei tu?>>.

[20]Egli confessò e non negò, e confessò: <<Io non sono il Cristo>>.

[21]Allora gli chiesero: <<Che cosa dunque? Sei Elia?>>. Rispose: <<Non lo sono>>. <<Sei tu il profeta?>>. Rispose: <<No>>.

[22]Gli dissero dunque: <<Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?>>.

[23]Rispose: <<Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia>>.

[24]Essi erano stati mandati da parte dei farisei.

[25]Lo interrogarono e gli dissero: <<Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?>>.

[26]Giovanni rispose loro: <<Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete,

[27]uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo>>.

[28]Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

 

 

Introduzione

 

 

La struttura dei vv. 19-28 è scandita in due momenti, preceduta dall'introduzione del tema; per cui si avrà:

 

· v.19a: introduzione al tema: "E questa è la testimonianza di Giovanni". Il tema, dunque, di 1,19-28 è la "testimonianza di Giovanni", che verterà su due argomenti: l'identità di Giovanni ("Chi sei tu?); e il significato del suo operare ("perché battezzi?"). Questi formano i due temi che dividono in due momenti i vv. 19-28.

 

·  v.19b: il primo momento è introdotto dall'invio dei sacerdoti e leviti da parte dei Giudei. Esso comprende i vv. 19b-23 e a sua volta si suddivide in due parti introdotte dall'interrogativo "Chi sei tu?" la prima; e da "Chi sei?" la seconda. Nella prima parte alla domanda "Chi sei tu?" Giovanni dirà chi "non è lui", con un chiaro riferimento a quello che pensavano i Giudei. La risposta, dunque, è al negativo. Come dire: "Io non sono quello che voi pensate e vi aspettate". Nella seconda parte alla domanda "Chi sei?" Giovanni dirà chi effettivamente "è lui", con un chiaro riferimento alla sua reale posizione e natura. La risposta qui è, pertanto, positiva. Come dire: "Ecco chi sono veramente". Si chiude qui la prima parte dell'interrogatorio, che ha come oggetto l'identità reale di Giovanni, la sua vera natura.

 

·  Il secondo momento è a sua volta sempre introdotto da un invio, che riprende in qualche modo il precedente, specificando, questa volta, chi sono questi "Giudei": sono dei farisei. Questo momento comprende i vv. 24-27 ed ha come tema la natura del battesimo di Giovanni.

 

 

Come si è già capito, ciò che caratterizza questi tredici versetti è il tema della testimonianza. Per ben quattro volte, infatti, ricorre il termine greco "martiria, martireo"[2], che significa "rendere testimonianza, attestare, assicurare". 

 

Esso ricorre tre volte nei vv. 7-8 e una volta nel v.19.

 

Nei vv. 6-8 esso indica esclusivamente il senso della missione di Giovanni, la sua finalità e il significato della sua persona; mentre nel v.19 esprime l'oggetto di questa testimonianza: la figura stessa di Giovanni, la sua identità e la figura di Gesù e il senso della sua missione.

Quest'ultima testimonianza (dal v.19 in poi) si snoda con un ritmo incalzante proprio di un interrogatorio, che ha il suo perno centrale nella questione: "Chi sei tu?", ripetuto due volte (v.19 e v.22). Con il primo interrogativo (v.19) si cerca di capire se Giovanni sia una di quelle figure che gli ebrei, secondo le loro tradizioni, attendevano per la fine dei tempi: Elia, Cristo, il profeta (vv.20-21). Sgombrato il campo da ogni dubbio e accertato che Giovanni non appartiene alle attese della Tradizione, con il secondo interrogativo  (v.22) si arriva alla questione di fondo: conoscere la reale natura di questo personaggio inquietante e il senso del suo operare.

 

Proprio attraverso questo interrogatorio si arriva a definire la verità che grava su Giovanni e che egli porta in sé.

 

E' un interrogatorio che ne richiama da vicino un altro e si pone, in qualche modo, in parallelo a questo: quello di Gesù di fronte a Pilato (Gv 19,33-38). Da questo faccia a faccia scaturirà la vera natura di Gesù e il senso più nascosto e più vero della sua persona e della sua missione. Anche qui tutto gira attorno a due domande fondamentali e significative: "Sei dunque re?" (Gv 18,37) e "Di dove sei?" (Gv 19,9).

 

E' da queste domande che scaturisce la testimonianza, che si fa rivelazione di verità trascendenti e proprio per questo non raggiungibili dagli uomini. In questa prospettiva il testimone diventa lo strumento necessario della rivelazione, mentre la sua testimonianza si qualifica come un servizio alla Verità, che proviene dal Padre per gli uomini. La testimonianza, dunque, diventa luce e viene posta nel primo dei sette giorni, che scandiscono il prologo giovanneo, come nel primo dei sette giorni della creazione è posta la nascita della luce (Gen 1,3).

 

Il commento di Gv 1,6-8.19-28

 

 

Venne un uomo ... il verbo greco, con cui si apre questo v.6, è "eghéneto", che letteralmente significa "ebbe luogo", "si manifestò", "avvenne, accadde". Non si tratta, quindi, di una semplice venuta di un uomo, ma dell'accadere di un evento, le cui dimensioni sono subito precisate da due elementi importanti: quest'uomo "è mandato da Dio"; "il suo nome è Giovanni".  Quel "è mandato da Dio" è espresso in greco con un verbo all'aoristo, che corrisponde al nostro passato remoto, e indica un evento che già si è compiuto, gia si è realizzato e, quindi, è già qui presente. Quel "da Dio", poi, in greco è espresso dalla particella "parà" che indica il luogo di provenienza.

Da tutto ciò possiamo concludere che quell'uomo "mandato da Dio" è un evento salvifico, che si manifesta sul palcoscenico della storia e che ha la sua origine in Dio stesso. In altre parole, Giovanni è l'azione di Dio che entra nella storia. E questa azione divina non è anonima, ma è qualificata da un nome: "Giovanni". Per gli ebrei il nome indicava l'essenza stessa della persona e conoscere il nome significava cogliere l'intimità di quella persona. Questo nome, in ebraico, significa "Dio è amore, grazia, misericordia". Quell'evento, dunque, che proviene direttamente da Dio dice l'attuarsi in mezzo agli uomini dell'amore, della grazia e della misericordia divine.

 

Egli venne come un testimone ... il versetto precedente (v.6) annunciava che qui nella storia ha avuto inizio un evento salvifico, che proviene da Dio, il cui nome, significativo, era "Giovanni". Ora il v.7 indica le finalità del comparire e dell'attuarsi di questo evento. In altre parole, perché questo evento, di nome Giovanni, si è compiuto? La traduzione letterale del v.7, non bella in italiano, ma fedele al testo greco, dice: "costui venne per la testimonianza, affinché testimoniasse sulla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui". Le motivazioni, dunque, che stanno alla radice del comparire di questo evento qui nella storia è essenzialmente la testimonianza, che ha come oggetto fondamentale la Luce del Verbo, che avvolgeva l'intera creazione e che è risuonata nella Parola divina: "Sia la Luce" (Gen 1,3). L'evento Giovanni, dunque, è apparso per dare testimonianza dell'inizio di una nuova creazione, che stava per compiersi attraverso il "Verbo di Luce", cioè la testimonianza, così come è avvenuto nei primordi del creato. Non a caso, infatti, Giovanni si definirà al v.23 con l'appellativo di "Voce", cioè colui che testimonia annunciando. E infine, la finalità di questa testimonianza è di provocare una risposta universale di fede. Quel "tutti ", infatti, dice come la testimonianza è rivolta all'intera umanità, che è chiamata a prendere posizione di fronte all'annuncio di salvezza.

 

Egli non era la luce, ma ... il v.8 contiene in sé una velata polemica contro i discepoli del Battista. Questi, infatti, ritenevano che, avendo il loro maestro battezzato Gesù, fosse, per questo, superiore a lui. Questa loro convinzione li opponeva, non sempre pacificamente, al gruppo dei discepoli di Gesù (Mt 9,14; Mc 2,18). Vi era, sotto sotto, una rivalità nata ancora al tempo in cui Gesù si era unito, inizialmente, al gruppo di Giovanni (Gv 3,26), così che Gesù si vide costretto ad abbandonare il gruppo battista e ritirarsi per proprio conto con i suoi discepoli (Gv 4,1-3). Questa rivalità si riscontrerà un po' in tutti i vangeli. Gruppi battisti, che si rifacevano a Giovanni, dovevano essere ancora presenti e operanti fin verso la fine del primo secolo (At 19,1-7).

Pertanto, l'evangelista Giovanni ci tiene a precisare che il Battista non era lui la luce, ma solo un suo precursore. La polemica viene rincarata al v.9: "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo". Quel "vera" è chiaramente contrapposto a Giovanni Battista, ritenuto dai suoi discepoli, la vera luce. In realtà, sottolinea l'evangelista, non è lui la vera luce.

 

Questa è la testimonianza di Giovanni: i vv. 6-7 ci avevano presentato Giovanni come l'uomo, che proveniva da Dio, la cui venuta era finalizzata alla testimonianza della luce, cioè della verità, perché gli uomini, illuminati da questa luce, potessero aderire esistenzialmente ad essa. Ora, il v.19 si apre con il precisare che quanto segue riguarda questa testimonianza e che, quindi, ha inizio la missione propria di Giovanni.

Essa è triplice e nel racconto evangelico si svolge su tre giorni:

 

·   i vv. 19-28, primo giorno, riguardano la figura di Giovanni e, quindi, si tratta di un'autotestimonianza, che ci viene offerta nel primo giorno; ed è il passo che stiamo meditando.

 

·  I vv. 29-34, secondo giorno, riguardano la testimonianza data dal Battista su Gesù, indicatoci come l'Agnello di Dio, la cui missione è togliere il peccato dal mondo. Essa è rivolta indistintamente alla gente.

 

·   Nei vv. 35-42, terzo giorno, Giovanni, riprendendo la testimonianza del giorno precedente, indica a due suoi discepoli Gesù come l'Agnello di Dio. E i due, lasciato il loro maestro, seguirono Gesù. A sua volta, uno dei due discepoli, Andrea, fratello di Pietro, dà la sua testimonianza al fratello, provocando in lui una nuova sequela. Vediamo, dunque, come la testimonianza, se adeguatamente accolta, genera altra testimonianza e questa produce la sequela. Inizia, così, il cammino della fede in mezzo agli uomini. Potremmo dire, quindi, che la testimonianza di Giovanni è il motore che genera il primo movimento dell'azione divina nella storia.

 

 

... quando i Giudei gli inviarono ...: la testimonianza di Giovanni assume qui un tono di ufficialità, in quanto prodotta davanti ad una delegazione di sacerdoti e leviti. Sono posti qui a confronto due tipi di inviati e  due tipi di mandanti: da un lato, Giovanni, che è mandato, cioè proviene, da Dio e appartiene, quindi, al suo mondo (1,6); dall'altro, persone consacrate al culto di Jhwh ed esperte in rituali di purificazione, venute ad indagare sul senso del battesimo di Giovanni. Esse, proprio per la loro qualifica, dovrebbero essere dalla parte di Dio e riconoscere i segni della sua presenza, ma, invece, sono mandate dai Giudei, che nel linguaggio giovanneo sono i nemici di Gesù; coloro che, per la durezza di cuore, per la loro incredulità non sapranno riconoscere ed accogliere l'inviato di Dio, così che l'evangelista sottolineerà che "(Gesù) venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1,11)

L'autore del vangelo, dunque, pone subito a confronto i due schieramenti, che si confronteranno per tutto lo svolgersi del racconto evangelico.

 

... Chi sei tu? ... è la prima domanda e verte a stabilire la natura e la provenienza di Giovanni; importante questo per stabilire il senso del suo battesimo e il valore della sua predicazione. Infatti, al tempo di Gesù c'era una generale attesa della venuta del Messia e Giovanni, nel suo modo di vestire, di atteggiarsi, lo richiamava, così pure la sua predicazione di tipo escatologico.

 

Egli confessò e non negò, e confessò ... un'espressione questa piuttosto curiosa, una sorta di tautologia, cioè di ripetizione, che sembrerebbe, a prima vista, quasi inutile. Essa, tuttavia, racchiude in sé il profondo senso della testimonianza, che pervade l'intero vangelo di Giovanni[3]. E' importante qui il contesto in cui essa è posta, che è quello proprio di un interrogatorio, una sorta di tribunale: da una parte i giudici, provenienti da Gerusalemme, dove si svolgerà, al termine del racconto evangelico (Gv 18-19), un altro interrogatorio, parallelo a questo, per accertare la verità sulla persona di Gesù; dall'altra l'imputato, il Battista, in cui Gesù vede raffigurato se stesso e in lui preannunciato il suo triste destino[4]. Ecco, allora, i tre verbi "confessò, non negò, e confessò", che apparentemente sono uguali e ripetitivi, ma in realtà fanno riferimento a situazioni storiche diverse. Il primo "confessò" allude alla testimonianza propria di Giovanni, che riguarda la sua natura e il senso della sua missione, ponendosi, qui, implicitamente in parallelo e a confronto con Gesù. "Non negò" richiama la triplice negazione di Pietro, il quale spergiurò pubblicamente e sconfessò Gesù davanti a tutti (Gv 18,15-18.25-27); il secondo "confessò" richiama la testimonianza che Gesù ha dato di se stesso e del senso della sua missione davanti a Pilato (Gv 18,33-38; 19,8-11).

Ecco, dunque, che con questa premessa, l'evangelista inserisce Giovanni tra i grandi testimoni della storia della salvezza, dando un tono di solennità a quanto segue.

 

<<Io non sono il Cristo>> ... da questo momento si apre un incalzante interrogatorio da cui esce che cosa Giovanni "non è", sgombrando subito il campo da tutte le credenze e le attese proprie della Tradizione giudaica. Tre sono i "no" che Giovanni pone su altrettante figure specifiche del giudaismo: il Cristo, cioè il Messia; Elia e il profeta[5]. I tre personaggi, appartenenti all'immaginario escatologico e messianico di Israele, che sarebbero dovuti venire negli ultimi tempi, sono il frutto di lunghe, complesse e non sempre ben chiare elucubrazioni della cultura religiosa giudaica. Frutto, dunque, del pensiero umano, ma non rientrano nel disegno di Dio. Per questo Giovanni si estranea totalmente dalla linea della Tradizione giudaica. Ciò lascia intravedere che un qualcosa di nuovo è accaduto e sta davanti a loro, un qualcosa che non rientra negli schemi e nei ragionamenti umani, un qualcosa che li supera enormemente.

 

Chi sei ... Che cosa dici di te stesso?  Percorse inutilmente le ben note vie della Tradizione; considerato che chi sta davanti a loro non è un evento previsto dalle Scritture e inquadrabile in qualche loro schema culturale e religioso, sacerdoti e leviti rimangono sconcertati e rimandano a Giovanni l'onere di definire se stesso.

 

Dio non è un essere prevedibile (Ger 15,18b), che si può facilmente imprigionare in qualche tranquilla teologia o chiudere dentro in qualche tabernacolo. Di Dio non ci si può fare nessuna idea, perché Dio nessuno l'ha mai visto (1Gv 4,12) e qualora noi avessimo idee precise su di lui, è molto probabile che queste siano un nostro idolo, una nostra costruzione, che le vicende della vita si incaricheranno di abbattere. Il giusto atteggiamento da tenere nei confronti di Dio è quello della costante ricerca, poiché soltanto in questa scopriremo continuamente la novità di Dio, di un Dio dai mille volti. I Giudei, che per Giovanni sono sinonimo di incredulità, non sono riusciti ad accogliere Dio e a riconoscerlo in Gesù, perché questi non rientrava nelle loro attese e nelle loro teologie. L'unico modo per conoscere Dio, dunque, è interpellarlo nella sua Parola e lasciare che questa liberamente risuoni dentro di noi, senza avere la pretesa di ottenere risposte definitive e certe. Lasciare, dunque, a Dio la parola rivelatrice, poiché le nostre sicurezze gli impediscono di lavorare in noi e di dialogare con noi.

 

<<Io, voce di uno che grida ... >> Con questa sua autodefinizione, tratta da Is 40,3, Giovanni si aggancia agli antichi profeti e si mette sulla loro linea. Per questa egli si autodefinisce "Voce". La voce, infatti, è un suono attraverso cui la parola si articola, prende corpo e si rende storicamente raggiungibile agli uomini. Ma proprio perché Giovanni proviene da Dio (Gv 1,6a) in questa voce prende consistenza la Parola di Dio.

Questa voce risuona nel deserto, richiamando la forte esperienza di Dio, che Israele ha fatto proprio nel deserto. Questa voce che risuona nel deserto diventa una sorta di memoriale per Israele, un invito a ritornare sui suoi passi e riprendere con Dio quell'antico e autentico rapporto.

Giovanni, tuttavia, è soltanto una voce, la cui funzione è quella di "preparare la via al Signore". Egli, dunque, (ma questo già lo ha detto ai suoi interlocutori) non è il Cristo. Non a caso, infatti, l'evangelista fa incominciare la risposta a Giovanni con l'espressione "egò foné", cioè "Io voce" evitando di mettere il verbo essere, come è stato tradotto in italiano "io sono voce", perché l'espressione "egò eìmi", cioè "Io sono" l'autore del quarto vangelo lo riserva soltanto a Dio, e Giovanni non è tale. Il Battista, dunque, si presenta come un profeta che si pone a servizio di Dio, dandogli voce, così che essa possa risuonare nella storia.

 

<<Perché dunque battezzi se tu non sei ...>> la questione qui si sposta dall'identità di Giovanni, "chi sei tu?", al significato del suo battesimo, "perché". Giovanni, infatti, non rientra in nessuno schema della Tradizione giudaica, non essendo egli il Cristo, né Elia, né il profeta, non poteva, quindi, compiere un'azione considerata escatologica e, quindi, riservata soltanto al previsto precursore che sarebbe venuto negli ultimi tempi. Giovanni, quindi, secondo i sacerdoti e leviti, stava creando soltanto confusione nella gente.

 

<<Io battezzo con acqua, ma ...>> Giovanni sembra smorzare i toni di un interrogatorio che stava per sfociare in una polemica e in un atto formale di accusa. Con questa espressione Giovanni sembra quasi voler declassare il suo battesimo da "azione escatologica", quale realmente era, a semplice azione purificatrice. La motivazione di questo declassamento sta nel fatto che "in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete". E' un atto di accusa che Giovanni muove ai suoi interlocutori, esperti nelle cose di Dio, ma ciechi sul compiersi del disegno di Dio nella storia, perché chiusi nelle loro sicurezze e nelle loro certezze teologiche. Tutto ciò impedisce loro di cogliere il compiersi della novità di Dio nella storia. L'evangelista sottolineerà questa cecità, questa incredulità che contraddistingueva le autorità giudaiche: "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto". Gesù, infatti, sarà soltanto motivo di scandalo presso il suo popolo. Luca lo ricorderà nel suo vangelo. "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori" (Lc 2,34-35).

 

... uno che viene dopo di me, al quale ... l'espressione greca è "o ercomenos", un semplice participio presente, che significa "colui che viene", ma che costituiva un titolo messianico, cioè attribuibile all'inviato di Dio. Quindi, questo personaggio sconosciuto alle autorità giudaiche in realtà è "o ercomenos", cioè il messia atteso, ma non riconosciuto per la durezza di cuore, che chiudeva ogni spazio di comprensione sul disegno di Dio, che stava compiendosi davanti ai loro occhi, incapaci di vedere per la loro incredulità.

L'uso, qui, del participio presente, "colui che viene", evidenzia come l'azione di Dio, il suo realizzarsi nella storia è un costante attuarsi nell'oggi. Dio non è uno che è venuto, un ricordo del passato; non è uno che verrà, chissà quando, in un futuro che non appartiene all'uomo; ma Egli è "colui che viene", cioè che si colloca nel quotidiano presente dell'uomo e lo interpella, qui, oggi, nella sua storia, invitandolo ad aprirsi a Lui nella vita.

A questo sconosciuto, che viene, Giovanni dichiara di non essere degno di sciogliere i legacci del sandalo. Un'operazione questa che era riservata agli schiavi. Giovanni, quindi, nei confronti di questo "veniente" non può reggere neppure il ruolo di schiavo, tanta è la distanza che lo separa da lui.

Vediamo, dunque, come un po' alla volta viene a delinearsi la grandezza di questo sconosciuto, che sta assumendo contorni sempre più escatologici, sempre più divini.

 

Questo avvenne in Betania, ...  l'annotazione ha un carattere protocollare, di tipo notarile, che dà un tono di ufficialità alla testimonianza del Battista. Infatti, il racconto si apre in modo solenne: "Questa è la testimonianza di Giovanni ..." (Gv 1,19) e si chiude qui con la sottoscrizione della località in cui ciò è avvenuto.

 

Questa espressione, inoltre, acquista una valenza tutta particolare se agganciata con quanto l'evangelista dice in 10,40-42: "(Gesù) Ritornò, quindi, al di là del Giordano, dove prima Giovanni battezzava, e qui si fermò. Molti andarono da lui e dicevano: <<Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero>>. E in quel luogo molti credettero in lui."

In Gv 10,40-42 siamo giunti ormai quasi al termine della vita pubblica di Gesù e Gesù, qui, ritorna al punto di partenza, dove Giovanni aveva dato la sua testimonianza su di lui e la gente constata come la sua testimonianza fosse stata veritiera.

Si chiude, in tal modo, il cerchio, così che l'intera missione di Gesù, che viene collocata tra la testimonianza iniziale di Giovanni (Gv 1,19) e la constatazione della sua credibilità (Gv 10,40-42),  forma con questa un unico blocco, diventando, da un lato, l'attuazione di quanto Giovanni ha testimoniato; dall'altro un'attestazione della sua veridicità. Ciò significa che Giovanni è un testimone attendibile.

 

 


 

[1]Nel vangelo di Giovanni i miracoli sono definiti "semeia", cioè "segni", e invitano l'ascoltatore ad andare oltre le apparenze del segno, per cogliere in esso la realtà nascosta, che il segno vuol significare e testimoniare. Diversamente, i Sinottici definiscono i miracoli con il termine "dinameis", che significa potenza, perché vedono in essi il manifestarsi e il compiersi della potenza creatrice e rigeneratrice di Dio.

In Giovanni "i segni" sono sette e ognuno è fatto precedere e seguire da lunghi discorsi di Gesù, che sono poi riflessioni dello stesso evangelista, e finalizzati a mettere in rilievo il significato più vero e profondo della realtà, che si nasconde dietro ogni segno. Questi segni sono: 1) Le nozze di Cana (2,1-11); 2) Guarigione del figlio del funzionario regio (4,46-54); 3) Guarigione del paralitico da 38 anni (5,1-18); 4) Guarigione del cieco nato (9,1-41); 5) La moltiplicazione dei pani (6,1-13); 6) Gesù cammina sulle acque (6,16-21); 7) La risurrezione di Lazzaro (11,-41).

[2]Da questi termini deriva la nostra parola "martire", cioè colui che, con la propria vita, dà la sua testimonianza. Quindi, in senso stretto, martire non è soltanto colui che sacrifica la propria vita per la fede, ma ogni credente, per sua natura, è chiamato ad essere "martire", cioè testimone, con la propria vita di fronte al mondo, delle realtà spirituali di cui fa parte e che possiede in virtù della propria configurazione a Cristo, avvenuta in lui per mezzo del battesimo-cresima-eucaristia.

[3]Il termine "testimonianza, testimoniare" ricorre nel vangelo giovanneo ben 35 volte e verte quasi sempre sulla natura di Gesù e sul senso, sul contenuto della sua predicazione, sulla sua provenienza.

[4]Seguendo le tracce dei vangeli, notiamo come Gesù vede nella figura di Giovanni se stesso (Mt 17,10-13). Infatti, come Giovanni si scontra con il potere politico e ne paga le conseguenze con la vita (Mt 14,3-10), così è anche per Gesù (Mt 26,3-5; Mc 3,6; Lc 22,1-6). Gesù, inoltre, definisce Giovanni come l'Elia che doveva venire negli ultimi tempi, assegnando in tal modo al Battista una dimensione escatologica, in cui Gesù stesso si riconosce e si associa (Mt 17,10-13). Giovanni e Gesù, dunque, sembrano essere accomunati tra loro da uno stesso destino, così che il Battista diviene il preludio di Gesù e ne prefigura, in qualche modo, la missione. Egli, infatti, era definito come l'inviato dal cielo e tale era considerato dalla gente: un profeta, che diventa motivo di imbarazzo e di contraddizione per il potere politico  e religioso (Mt 21,25-27), come lo è stato Gesù (Lc 2,34-35a). Per Gesù, inoltre, Giovanni diventa l'elemento di discriminazione in mezzo alla gente, creando una netta demarcazione tra chi crede e chi non crede (Mt 21,32), proprio come è accaduto a Gesù (Mt 12,30; Gv 3,18).

Spesse volte Gesù parla di Giovanni, ma è chiaro che sta parlando di se stesso, riferendolo in qualche modo alla sua persona e alla sua missione. Non a caso, infatti, la figura del Battista percorre numerose volte l'intero NT (il nome di Giovanni Battista o comunque la sua figura ricorre ben 89 volte in tutto il NT), diventando un fondamentale punto di riferimento non solo per la gente, ma soprattutto per Gesù, che vede in lui non soltanto colui che lo precede, ma anche colui che lo prefigura.

[5]La profezia di Natan al re Davide (2Sam 7,8-17) aveva alimentato le attese circa la venuta di un suo discendente, che avrebbe garantito il regno di Davide, la gloria di Israele e dato inizio al regno di Dio sulla terra. L'attesa di questo Unto del Signore (Mashiah in ebraico; Cristòs in greco) era molto viva in Israele al tempo di Gesù e aveva spesso provocato dei disordini scatenati da falsi messia e repressi nel sangue. Tutto ciò aveva reso molto sospettose le autorità giudaiche.

Quanto ad Elia, un profeta vissuto intorno all' 875-850 a.C., si racconta che non morì, ma fu rapito in cielo da un carro di fuoco (2Re 2,11) e di là sarebbe ricomparso sulla terra prima del giorno del Signore (Ml 3,23-24; Sir 48,8-10). Questa credenza e aspettativa si era andata diffondendo da dopo l'esilio babilonese (dal 538 a.C. in poi).

Quanto alla domanda sul profeta, questa credenza ed attesa si rifaceva al libro del Deuteronomio, 18,15-18, dove Mosè aveva promesso che Dio avrebbe suscitato tra il suo popolo un profeta, che nella tradizione popolare era considerato come il Messia.