SESSIONE I (8 dicembre 1869)
Decreto di apertura del concilio.
Pio vescovo, servo dei servi di Dio, con l’approvazione del sacro concilio, a perpetua memoria.
Reverendissimi padri, vi sembra opportuno che, a lode e gloria della santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, ad incremento ed esaltazione della fede e della religione cattolica, per la estirpazione degli errori che vanno serpeggiando, per la riforma del clero e del popolo cristiano, per la comune pace e concordia di tutti, abbia inizio il sacrosanto concilio ecumenico vaticano? [Risposero: sì].
Indizione della futura sessione.
Pio vescovo, servo dei servi di Dio, con l’approvazione del sacro concilio, a perpetua memoria.
Reverendissimi padri, credete opportuno che la prossima sessione del sacrosanto concilio ecumenico vaticano abbia luogo nella festa dell’epifania del Signore, che sarà il 6 del mese di gennaio, nell’anno del Signore 1870? [Risposero: sì].
SESSIONE II (6 gennaio 1870)
Professione di fede.
Io Pio, vescovo della chiesa cattolica, credo fermamente e professo ogni singola verità contenuta nel simbolo di fede, in uso presso la chiesa romana.
E cioè: credo in un solo Dio, padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di ciò che si vede e di ciò che non si vede. E in un solo signore, Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, nato dal padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero. Generato non fatto; consostanziale al Padre; per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese dal cielo; si incarnò per opera dello Spirito santo dalla vergine Maria, e si fece uomo, crocifisso per noi, soffrì sotto Ponzio Pilato e fu sepolto. Risuscitò il terzo giorno, secondo le scritture; salì al cielo, siede alla destra del Padre. Verrà di nuovo, con gloria, a giudicare i vivi e i morti.
Credo anche nello Spirito santo, signore e datore di vita. Egli procede dal Padre e dal Figlio. Col Padre e col Figlio, Egli e adorato e glorificato ed ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo nella chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica.
Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati; aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo futuro. Amen.
Con fermezza di fede ammetto ed abbraccio le tradizioni
apostoliche ed ecclesiastiche e le altre pratiche e costituzioni della stessa chiesa. Così pure accetto la sacra scrittura nel senso che ha ritenuto e ritiene la santa madre chiesa, cui è riservato giudicare del senso vero e dell’interpretazione delle sacre scritture; e non l’accetterò ed interpreterò mai se non secondo l’unanime consenso dei padri. Confesso pure che sette sono i sacramenti veri e propri della nuova legge, istituiti da nostro signore Gesù Cristo, e necessari alla salvezza del genere umano, anche se non tutti sono necessari a ciascuno. Essi sono: il battesimo, la confermazione, l’eucarestia, la penitenza, l’estrema unzione, l’ordine e il matrimonio; e conferiscono la grazia. Di essi, il battesimo, la confermazione e l’ordine non possono essere ripetuti senza sacrilegio; ammetto anche ed accetto i riti tradizionali, approvati dalla chiesa cattolica nell’amministrazione solenne di questi sacramenti. Tutto ciò che, sia in genere che in particolare, è stato definito e dichiarato sul peccato originale e sulla giustificazione nel sacrosanto concilio Tridentino, lo accetto e lo ritengo vero. Confesso anche che nella messa si offre a Dio un vero e proprio sacrificio propiziatorio per i vivi e per i defunti; e che nel santissimo sacramento dell’eucarestia vi è veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue insieme con l’anima e la divinità del signore nostro Gesù Cristo, e che si opera la trasformazione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue; trasformazione che la chiesa cattolica chiama "transustanziazione".
Confesso anche che sotto una sola specie si riceve Cristo completo ed intero e il vero sacramento. Credo fermamente all’esistenza del purgatorio, e che le anime che sono in esso siano aiutate dalle preghiere dei fedeli.
E così pure, che i santi, i quali regnano con Cristo, devono venerarsi ed invocarsi; che offrono a Dio per noi le loro preghiere e le cui reliquie si devono venerare.
Affermo energicamente che le immagini di Cristo e della Vergine madre di Dio, e così pure quelle dei santi devono conservarsi e tenersi; e che ad esse si deve onore e venerazione.
Affermo anche che la potestà delle indulgenze è stata lasciata da Cristo nella sua chiesa, e che il loro uso è utilissimo al popolo cristiano.
Riconosco nella santa, cattolica, apostolica chiesa romana, la madre e la maestra di tutte le chiese.
Allo stesso modo, accetto e professo, senza esitazione, tutte le altre dottrine trasmesse, definite, dichiarate dai sacri canoni e dai concili ecumenici, specie dal sacrosanto concilio di Trento. E condanno anch’io, nello stesso tempo, rigetto ed anatematizzo tutto ciò che è contrario ad esse, e qualsiasi eresia che la chiesa abbia condannato, rigettato, anatematizzato.
Io, Pio, prometto solennemente e giuro di ritenere fermissimamente, con l’aiuto di Dio, questa vera fede cattolica, - fuori della quale nessuno potrà esser salvo, e che ora spontaneamente professo e ritengo veramente - integra e senza macchia fino all’ultimo respiro della mia vita, e di cercare (che essa sia ritenuta) da tutti, per quanto è in me. Così mi aiuti Dio, e questi santi evangeli di Dio.
SESSIONE III (24 aprile 1870)
Costituzione dogmatica sulla fede cattolica.
Pio vescovo, servo dei servi di Dio, con l’approvazione del sacro concilio, a perpetua memoria.
Il Figlio di Dio e redentore del genere umano, Gesù Cristo, nostro signore, prima di tornare al Padre celeste, promise (1) di essere per sempre con la sua chiesa militante in terra, fino alla fine del mondo. E non cessò mai di aiutare la sua sposa diletta, di assisterla quando insegna, di benedirla quando opera, di aiutarla nei pericoli, in ogni tempo.
Questa sua provvidenza salutare è sempre apparsa palese sia dagli altri innumerevoli benefici, sia, in modo chiarissimo, dai frutti, numerosissimi, scaturiti al popolo cristiano dai concili ecumenici e soprattutto da quello Tridentino, anche se celebrato in tempi sfavorevoli. Da essi infatti, sono stati definiti più esattamente ed esposti abbondante mente i santissimi dogmi della religione, gli errori sono stati condannati e repressi, la disciplina ecclesiastica è stata fatta rifiorire, ed è stata più energicamente sancita; è stato promosso nel clero l’amore per la scienza e per la pietà; sono nati collegi per la preparazione dei giovani al sacerdozio; finalmente, sono stati riformati i costumi del popolo cristiano, con una più accurata istruzione dei fedeli e con l’uso più frequente dei sacramenti. Da qui, inoltre, è venuta una più stretta comunione delle membra col capo visibile ed un accresciuto vigore a tutto il corpo mistico del Cristo. Di qui il moltiplicarsi delle famiglie religiose. e di altre istituzioni della pietà cristiana; e quell’assiduo zelo, perseverante fino all’effusione del sangue, per propagare il regno di Cristo in tutto il mondo.
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Mentre, però, noi ricordiamo con animo grato, com’è doveroso, questi ed altri meravigliosi vantaggi, che la divina clemenza si è degnata concedere alla sua chiesa, specie con l’ultimo concilio ecumenico, non possiamo nascondere, tuttavia, il nostro acerbo dolore per i mali gravissimi, nati proprio dal fatto che da moltissimi l’autorità dello stesso sacrosanto concilio è stata disprezzata e i suoi sapientissimi decreti sono stati trascurati.
Infatti, nessuno ignora che le eresie condannate dai padri tridentini, rifiutato il divino magistero della chiesa e rimesse le cose della religione al giudizio privato di ciascuno, si sono risolte a poco a poco in molteplici sette; e mentre esse dissentono e si accapigliano fra loro, presso molti ogni fede in Cristo si è quasi spenta. E la sacra bibbia, ritenuta prima come l’unica fonte e l’unico arbitro della dottrina cristiana, ha cominciato ad essere considerata non più come divina, ma come un mitico racconto.
È nata poi, e si è sparsa largamente nel mondo la dottrina del razionalismo o naturalismo. Essa, contraria in ogni cosa alla dottrina cristiana, perché è soprannaturale, cerca con ogni sforzo di stabilire il regno della pura ragione o natura - come lo chiamano - escludendo Cristo, unico nostro signore e salvatore, dalle menti umane e dalla vita e dai costumi dei popoli. E una volta abbandonata e rigettata la religione cristiana, negato il vero Dio e il suo Cristo, la mente di molti è scivolata infine nel baratro del panteismo, del materialismo e dell’ateismo di modo che, negando la stessa natura razionale ed ogni norma del giusto e del retto, fanno ogni sforzo per sconvolgere i fondamenti stessi della umana società.
Mentre queste empie dottrine si diffondevano dovunque, sfortunatamente è avvenuto che molti, anche tra i figli della chiesa cattolica, si sono allontanati dalla via della vera pietà, e che in essi, venendo insensibilmente meno la verità, il senso cattolico si è attenuato. Si deve infatti costatare che essi, attratti da dottrine vane e peregrine (2), confondendo falsamente la natura e la grazia, la scienza umana e la fede divina, deformano il senso genuino dei dogmi - quello che ritiene ed insegna la santa madre chiesa, - e mettono in pencolo l’integrità e la purezza della fede.
Di fronte a queste cose, come non può commuoversi il cuore della chiesa, nella sua intimità? Come, infatti, Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi, e pervengano alla conoscenza della verità (3); come Cristo venne a salvare ciò che era perito (4) e a radunare insieme i figli di Dio, che erano dispersi (5), così la chiesa, costituita da Dio madre e maestra dei popoli, si riconosce debitrice verso tutti ed è sempre pronta ed intenta a sollevare i caduti, a sostenere i vacillanti, ad accogliere chi torna, a confermare i buoni e ad avviarli alla perfezione.
Essa, quindi, non può mai astenersi dall’affermare e predicare la verità di Dio, che sana ogni cosa (6), ben sapendo che ad essa è stato detto: Il mio Spirito è in te e le mie parole, che ho posto sulla tua bocca, non si allontaneranno mai, ora e in eterno, dalle tue labbra (7).
Noi, perciò, seguendo le orme dei nostri predecessori, conforme al nostro supremo ufficio apostolico, non abbiamo mai mancato di insegnare e di difendere la verità cattolica, come pure di riprovare le perverse dottrine. Ed ora, insieme con i vescovi di tutto il mondo che siedono e giudicano con noi, riuniti per nostra autorità nello Spirito santo, in questo concilio ecumenico, Noi, basandoci sulla parola di Dio scritta e trasmessa (oralmente), così come l’abbiamo ricevuta, santamente custodita e sinceramente esposta dalla chiesa cattolica, abbiamo pensato di professare e dichiarare, da questa cattedra di Pietro, al cospetto di tutti, la salutare dottrina di Cristo, proscrivendo e condannando, con il potere che Dio ci ha dato, gli errori contrari.
Capitolo I.
Dio, creatore di tutte le cose.
La santa chiesa cattolica apostolica romana crede e confessa che vi è un solo Dio, vero e vivo, creatore e signore del cielo e della terra, onnipotente, eterno, immenso, incomprensibile, infinito nel suo intelletto, nella sua volontà, ed in ogni perfezione. Essendo Egli un’unica e singola sostanza spirituale, del tutto semplice ed immutabile, dev’essere concepito nella sua realtà e nella sua essenza come distinto dal mondo, in sé e per sé beatissimo ed ineffabilmente al di sopra di tutto ciò che esiste al di fuori di Lui e che può essere concepito.
Questo solo vero Dio, liberissimamente, all’inizio dei tempi, creò dal nulla l’una e l’altra creatura, la spirituale e la materiale, e cioè gli angeli e il mondo, e poi l’umana, come partecipe di entrambe, costituita di anima e di corpo (8), per pura bontà e con la sua onnipotente virtù e non per aumentare la sua beatitudine né per acquistare perfezione, ma per manifestarla attraverso i beni che dà alle creature.
Dio, con la sua provvidenza protegge e governa tutto ciò che ha creato, guidando da un confine all’altro con forza, e disponendo tutto soavemente (9). Tutto, infatti, è nudo e aperto dinanzi ai suoi occhi (10), anche quello che sarà fatto dalla libera azione delle creature.
Capitolo II.
La rivelazione.
La stessa santa madre chiesa ritiene ed insegna che Dio, principio e fine di ogni cosa, può esser conosciuto con certezza con la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create: Le sue invisibili perfezioni, infatti, si fanno palesi all’intelletto fin dalla creazione del mondo attraverso le sue opere (11); ma che è piaciuto alla sua sapienza e bontà rivelare se stesso e gli eterni decreti della sua volontà per altra via - soprannaturale -, dal momento che l’apostolo afferma: In molte maniere ed in molti modi un tempo Dio parlò ai padri per mezzo dei profeti. Ora, in questi nostri tempi, ci ha parlato per mezzo del Figlio suo (12).
Si deve a questa divina rivelazione, se le verità che per loro natura non sono inaccessibili alla ragione umana nell’ordine divino, nella presente condizione del genere umano, possono esser conosciute da tutti facilmente, con assoluta certezza e senza alcun errore. Non è, tuttavia, per questo motivo che la rivelazione, assolutamente parlando, è necessaria; ma perché Dio, nella sua infinita bontà, ha ordinato l’uomo ad un fine soprannaturale, a partecipare, cioè, i beni divini, che superano del tutto le possibilità dell’umana intelligenza. Occhio, infatti, non vide, orecchio non intese e cuore umano non poté mai desiderare quello che Dio ha preparato per quelli che lo amano (13).
Questa rivelazione soprannaturale, secondo la fede di tutta la chiesa, illustrata dal santo concilio di Trento, è contenuta nei libri scritti e nella tradizione non scritta, che, ascoltata dalla bocca dello stesso Cristo dagli apostoli, o quasi trasmessa di mano in mano dagli stessi apostoli per ispirazione dello Spirito santo è giunta fino a noi (14). Questi libri dell’antico e del nuovo Testamento, presi integralmente con tutte le loro parti - così come sono elencati nel decreto dello stesso concilio e come sono contenuti nell’antica edizione della Volgata -, devono esser accettati come sacri e canonici.
La chiesa non li considera tali perché, composti per iniziativa umana, siano stati poi approvati dalla sua autorità, e neppure solo perché contengono la rivelazione senza errore, ma perché, scritti sotto l’ispirazione dello Spirito santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla chiesa.
E poiché quanto il santo concilio di Trento ha salutarmente stabilito sulla interpretazione della divina scrittura per frenare gli insolenti, viene esposto da alcuni in modo perverso, noi, rinnovando tale decreto, dichiariamo che la sua intenzione era che in ciò che riguarda la fede e i costumi, che appartengono all’edificio della dottrina cristiana, deve considerarsi il vero senso della sacra scrittura, quello ritenuto e che ritiene la santa madre chiesa, cui solo appartiene giudicare quale sia il vero senso e l’interpretazione autentica delle sacre scritture, e che, perciò, non è lecito a nessuno interpretare la sacra scrittura contro questo senso e contro l’unanime consenso dei padri.
Capitolo III.
La fede.
Poiché l’uomo dipende totalmente da Dio, suo creatore e signore, e la ragione creata è sottomessa completamente alla verità increata, quando Dio si rivela, dobbiamo prestargli, con la fede, la piena soggezione dell’intelletto e della volontà. Quanto a questa fede - inizio dell’umana salvezza - la chiesa cattolica professa che essa è una virtù soprannaturale, per cui, sotto l’ispirazione di Dio e con l’aiuto della grazia, crediamo vere le cose da lui rivelate, non per la intrinseca verità delle cose, chiara alla luce naturale della ragione, ma per l’autorità dello stesso Dio, che le rivela, che non può né ingannarsi né ingannare. La fede, infatti, secondo dell’apostolo, è sostanza delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono (15).
Nondimeno, perché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Iddio volle che agli interiori aiuti dello Spirito santo si aggiungessero anche gli argomenti esterni della sua rivelazione: fatti divini, cioè; e in primo luogo i miracoli e le profezie, che manifestando in modo chiarissimo l’onnipotenza di Dio e la sua scienza infinita, sono argomenti certissimi della divina rivelazione, adatti ad ogni intelligenza. Perciò sia Mosè ed i profeti, sia in modo particolare Cristo stesso signore, fecero molti chiarissimi miracoli e profezie. Così degli apostoli leggiamo: Essi partirono e predicarono ovunque; il Signore cooperava con loro e confermava il loro parlare, mentre avvenivano dei miracoli (16). E di nuovo sta scritto: Abbiamo il linguaggio più certo dei profeti. E farete bene se presterete ad esso la vostra attenzione, come ad una lucerna che splende in luogo caliginoso (17).
Quantunque, inoltre, l’assenso della fede non sia affatto un moto cieco dell’anima, nessuno, tuttavia, può prestare il suo consenso alla predicazione del vangelo, com’è necessario al conseguimento dell’eterna salute, senza l’illuminazione e l’ispirazione dello Spirito santo, che rende soave ad ognuno l’accettare e il credere la verità. La fede, quindi, in se stessa, anche se non opera per mezzo della carità, è un dono di Dio, e l’atto suo proprio è opera riguardante la salvezza, per cui l’uomo presta a Dio stesso la sua libera obbedienza, acconsentendo e cooperando alla sua grazia, cui potrebbe resistere.
Con fede divina e cattolica deve credersi tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che è proposto dalla chiesa come divinamente rivelato sia con giudizio solenne, sia nel suo magistero ordinario universale.
Poiché senza la fede è impossibile piacere a Dio (18) e fare parte dei suoi figli, senza di essa nessuno può essere mai giustificato, come nessuno conseguirà la vita eterna, se non persevererà in essa fino alla fine. Perché poi potessimo soddisfare al dovere di abbracciare la vera fede e di perseverare costantemente in essa, per mezzo del figlio suo Dio istituì la chiesa, provvedendola delle note di una istituzione divina, perché potesse essere conosciuta da tutti come la custode e la maestra della parola rivelata. nella sola chiesa cattolica, infatti, si riscontrano tutti quegli elementi, che così abbondantemente e meravigliosamente sono stati disposti da Dio per rendere credibile con maggior evidenza la fede cristiana.
La stessa chiesa, anzi, con la sua ammirabile propagazione, con la sua eminente santità, con la sua inesausta fecondità in ogni bene, con lo spettacolo della sua unità e della sua incrollabile stabilità, è un grande, perenne motivo di credibilità ed una irrefragabile testimonianza della sua missione divina.
Sicché essa, come bandiera levata tra le nazioni (19), invita a sé quelli che ancora non credono e rende più certi i suoi figli che la fede che professano poggia su un solidissimo fondamento. A questa testimonianza si aggiunge un aiuto efficace da parte della potenza divina. Il benignissimo Signore, infatti, con la sua grazia eccita e aiuta gli erranti, perché possano giungere alla conoscenza della verità (20) e conferma con essa quelli che ha condotto dalle tenebre alla sua luce meravigliosa (21), perché rimangano in questa luce, non abbandonando alcuno, se non è abbandonato.
Per cui, non è affatto uguale la condizione di quelli che attraverso il celeste dono della fede hanno aderito alla verità cattolica e di quelli che, mossi da considerazioni umane, seguono una falsa religione. Quelli, infatti, che hanno ricevuto la fede sotto il magistero della chiesa non possono mai avere giustificato motivo di mutare o di dubitare della propria fede. Stando così le cose, rendiamo grazie a Dio padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei suoi santi nella luce (22) e non trascuriamo una così abbondante salvezza (23); ma, guardando all’autore della fede e al suo perfezionatore, Gesù (24), teniamo forte la confessione della nostra speranza (25).
Capitolo IV.
Fede e ragione.
Il consenso della chiesa cattolica ha sempre ritenuto e ritiene anche che esistono due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto. Per il loro principio, perché nell’uno conosciamo con la ragione naturale, nell’altro con la fede divina; per l’oggetto, perché oltre quello che la ragione naturale può attingere, ci si propongono a credere dei misteri nascosti in Dio, che, qualora non fossero rivelati da Dio, non potrebbero conoscersi. È questo il motivo per cui l’apostolo, che pure afferma che Dio era stato conosciuto dai pagani attraverso le creature (26), parlando tuttavia della grazia e della verità guadagnataci da Cristo (27), dice solennemente: Parliamo della sapienza di Dio nel mistero: essa è nascosta e Dio l’ha predestinata a gloria nostra prima dei secoli e nessuno tra i principi di questo mondo l’ha conosciuta. Ma a noi Dio l’ha rivelata per mezzo del suo Spirito. Lo Spirito, infatti, scruta ogni cosa, anche i misteri più profondi di Dio (28). E lo stesso Unigenito loda il Padre, perché ha nascosto queste cose ai sapienti e ai prudenti e le ha rivelate ai piccoli (29).
Certo quando la ragione, illuminata dalla fede cerca assiduamente, piamente e nei limiti dovuti, con l’aiuto di Dio consegue una certa conoscenza molto feconda dei misteri, sia per analogia con ciò che conosce naturalmente, sia per il nesso degli stessi misteri fra loro e col fine ultimo dell’uomo. Mai, però, essa è resa capace di poterli comprendere come le verità che formano il suo oggetto proprio. I misteri divini, infatti, per loro intrinseca natura, sorpassano talmente l’intelletto creato, che anche dopo ricevuta la divina rivelazione e la grazia, rimangono avvolte nel velo della fede e circondate come da una caligine. Ciò, fino a quando, in questa vita mortale, siamo dei pellegrini lontani da Dio. Camminiamo infatti nella fede e non nella visione (30).
Ma anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione: lo stesso Dio, infatti, che rivela i misteri e infonde la fede, ha anche deposto il lume della ragione nell’animo umano. E Dio non potrebbe negare se stesso, come il vero non potrebbe mai contraddire il vero. Questa inconsistente apparenza di contraddizione, quindi, sorge specialmente da ciò che i dogmi della fede non sono stati compresi ed esposti secondo il pensiero della chiesa, o che opinioni fantastiche sono scambiate per conclusioni della ragione. Ogni asserzione, quindi, contraria alla verità di una fede illuminata, la definiamo senz’altro falsa.
La chiesa, inoltre, che, assieme con l’ufficio apostolico di insegnare, ha ricevuto il mandato di custodire il deposito della fede, ha anche da Dio il diritto e il dovere di proscrivere la falsa scienza, perché nessuno venga ingannato dalla filosofia e da vane apparenze (31). Per questo, i fedeli cristiani non solo non hanno il diritto di difendere opinioni contrarie alla dottrina della fede, specie se condannate dalla chiesa, come legittime conclusioni della scienza, ma sono tenuti assolutamente a considerarle come errori, che hanno solo una ingannevole apparenza di verità.
E non solo la fede e la ragione non possono mai essere in contrasto fra loro, ma possono darsi un aiuto scambievole: la retta ragione, infatti, dimostra i fondamenti della fede, illuminata dalla sua luce può coltivare la scienza delle cose divine; la fede libera e protegge la ragione dagli errori e l’arricchisce di molteplici cognizioni. Perciò la chiesa è tanto lontana dall’opporsi allo studio delle arti e delle discipline umane, da favorirlo, anzi, e da promuoverlo in ogni maniera.
Essa, infatti, non ignora e non disprezza i vantaggi che da esse derivano per la vita degli uomini. Anzi confessa che esse, venute da Dio, signore delle scienze, con la grazia possono condurre a Lui, se trattate rettamente. Né essa proibisce che tali materie, ciascuna nel proprio ambito, abbiano propri principi ed usino un proprio metodo. Ma, pur riconoscendo questa giusta libertà, essa cerca di evitare che, in contrasto con la dottrina divina, accolgano in sé degli errori, o, sorpassando i propri limiti, invadano i confini della fede e li sconvolgano. La dottrina della fede, infatti, che Dio ha rivelato, non è stata offerta all’intelligenza umana come un sistema filosofico perché la perfezionasse, ma è stata affidata alla chiesa, sposa di Cristo, come un divino deposito, perché la custodisse fedelmente e la dichiarasse infallibile.
Dei sacri dogmi, quindi è da ritenersi sempre quel significato che ha determinato una volta la santa madre chiesa e non bisogna mai allontanarsi da esso, a causa e in nome di una conoscenza più alta.
Cresca pure, quindi, e progredisca abbondantissimamente, per le età della storia, l’intelligenza, la scienza, la sapienza, sia dei singoli che di tutti, di ogni uomo e di tutta la chiesa, ma solo nel suo ordine, nello stesso dogma, nello stesso senso e nello stesso modo di intendere (32).
CANONI
I. Dio, creatore di tutte le cose.
1. Se qualcuno nega un solo, vero Dio, creatore e signore delle cose visibili e invisibili, sia anatema.
2. Se qualcuno non si vergogna di affermare che, oltre alla materia, non vi è più nulla, sia anatema.
3. Se qualcuno dice che Dio e le altre cose hanno un’unica e identica sostanza o essenza, sia anatema.
4. Se qualcuno afferma che le cose finite, sia materiali che spirituali, o almeno le spirituali, sono una emanazione della sostanza divina;
o che l’essenza divina manifestandosi o evolvendo diventa ogni cosa;
o, infine, che Dio è l’ente universale o indefinito, che determinandosi produce l’universo, distinto in generi, specie e individui, sia anatema.
5. Chi non confessa che il mondo e tutte le cose che esso contiene, spirituali e materiali, secondo tutto il loro essere, sono state create dal nulla da Dio;
o che Dio le ha create non con una volontà libera da ogni necessità, ma tanto necessariamente, quanto necessariamente ama se stesso;
o nega che il mondo sia stato creato a gloria di Dio, sia
anatema.
II. La rivelazione.
1. Se qualcuno dice che Dio, uno e vero, creatore e signore nostro, non può esser conosciuto con certezza, col lume dell’umana ragione, attraverso le cose create, sia anatema.
2. Se qualcuno dice che è impossibile o non è conveniente che l’uomo possa essere informato da una rivelazione divina su Dio e sul culto che gli si deve rendere, sia anatema.
3. Se qualcuno dice che l’uomo non può essere divinamente innalzato ad una conoscenza e perfezione, che superi quella naturale, ma che da se stesso può e deve, con continuo progresso, giungere al possesso di ogni verità e di ogni bene, sia anatema.
4. Se qualcuno non riconosce come sacri e canonici i libri della sacra scrittura completi e con tutte le loro parti, come sono stati elencati dal santo concilio di Trento o dice che essi non sono divinamente ispirati, sia anatema.
III. La fede.
1. Se qualcuno afferma che la ragione umana è così indipendente, che Dio non può comandarle la fede, sia anatema.
2. Se qualcuno dice che la fede divina non si distingue dalla conoscenza naturale di Dio e della morale e che, quindi, non è necessario per la fede divina che si creda la verità rivelata per l’autorità di Dio che la rivela, sia anatema.
3. Se qualcuno dice che la rivelazione divina non può essere resa credibile con segni esterni, e che, perciò, gli uomini devono essere mossi alla fede solo dalla esperienza interiore di ciascuno e dalla ispirazione privata, sia anatema.
4. Se qualcuno dice che i miracoli sono impossibili e che, quindi, tutte le narrazioni che si fanno di essi, anche quelle contenute nella sacra scrittura, devono essere relegate tra le favole o tra i miti o che i miracoli non possono essere conosciuti con certezza e che con essi non può essere regolarmente provata l’origine divina della religione cristiana, sia anatema.
5. Se qualcuno dice che l’assenso alla fede cristiana non è libero, ma che è prodotto necessariamente dalle argomentazioni dell’umana ragione o che alla sola fede viva - che opera per mezzo della carità - è necessaria la grazia di Dio, sia anatema.
6. Se qualcuno dice che è uguale la condizione dei fedeli e di quelli che non sono ancora giunti all’unica vera fede, così che i cattolici potrebbero avere giusto motivo di mettere in dubbio, sospendendo il loro assenso, quella fede che hanno abbracciato sotto il magistero ecclesiastico, fino a che non abbiano completato la dimostrazione scientifica della credibilità e della verità della loro fede, sia anatema.
IV. Fede e ragione.
1. Se qualcuno dice che nella rivelazione divina non vi sono veri e propri misteri, ma che tutti i dogmi della fede possono essere compresi e dimostrati con la ragione rettamente istruita, attraverso i principi naturali, sia anatema.
2. Se qualcuno dice che le scienze umane devono essere trattate con quella libertà, per cui le loro asserzioni, anche se contrarie alla dottrina rivelata, possono essere ritenute come vere e non essere proscritte dalla chiesa, sia anatema.
3. Se qualcuno dice che è possibile che ai dogmi proposti dalla chiesa, con il progredire della scienza debba essere dato, talvolta, altro senso, diverso da quello che intese esprimere ed intende la chiesa, sia anatema.
Conforme, quindi, al dovere del nostro supremo ufficio pastorale, per amore di Cristo noi scongiuriamo tutti i fedeli cristiani, e specialmente quelli che hanno autorità o l’ufficio di insegnanti, - e con l’autorità dello stesso Dio e salvatore nostro lo comandiamo - perché col loro studio e con la loro opera vogliano contribuire ad allontanare ed eliminare questi errori dalla santa chiesa e a fare meglio conoscere la purissima luce della fede.
E poiché non è sufficiente evitare la trista eresia, se non si fuggono, nello stesso tempo, quegli errori che più o meno ad essa si collegano, ricordiamo a tutti il loro dovere di osservare anche le costituzioni e i decreti, con cui queste false opinioni - che non vengono qui espressamente elencate - sono state proibite e proscritte da questa sede apostolica.
SESSIONE IV (18 luglio 1870)
Prima costituzione dogmatica sulla chiesa di Cristo.
Pio vescovo, servo dei servi di Dio, con l’approvazione del sacro concilio, a perpetua memoria.
L’eterno pastore e vescovo delle nostre anime (33) per rendere perenne l’opera salutare della redenzione, decise di costituire la santa chiesa, nella quale, come nella casa del Dio vivente, tutti i fedeli fossero raccolti dal vincolo della stessa fede e della medesima carità. Perciò, prima di essere glorificato, egli pregò il Padre non solo per gli apostoli, ma anche per quelli che avrebbero creduto in lui attraverso la loro parola, affinché tutti fossero uno, come il Figlio stesso e il Padre sono uno (34). Così dunque egli mandò gli apostoli, che si era scelto dal mondo (35), allo stesso modo che era stato mandato dal Padre (36), così volle che nella sua chiesa vi fossero dottori e pastori fino alla fine del mondo (37).
Perché, poi, l’episcopato stesso fosse uno ed indiviso e la moltitudine di tutti i credenti fosse conservata nell’unità della fede e della comunione attraverso la coesione dei sacerdoti, prepose il beato Pietro agli altri apostoli, e costituì in lui il principio perpetuo e il fondamento visibile di questa duplice unità. Sulla sua fermezza si sarebbe costruito il tempio eterno e sulla saldezza della sua fede si sarebbe elevata la chiesa la cui altezza deve toccare il cielo (38).
E poiché le porte dell’inferno, con odio ogni giorno sempre maggiore, da ogni parte insorgono contro il fondamento divinamente posto della chiesa, per rovesciarla, se fosse possibile; noi, con l’approvazione del sacro concilio, crediamo necessario, per la custodia, la salvaguardia e l’aumento del gregge cattolico, proporre a tutti i fedeli, secondo l’antica e ininterrotta fede della chiesa universale, perché la credano e la professino, la dottrina della istituzione, perpetuità e natura del sacro primato apostolico, su cui poggia la forza e la solidità di tutta la chiesa, e condannare e proscrivere gli errori contrari, tanto pericolosi per il gregge del Signore.
Capitolo I.
L’istituzione del primato apostolico nel beato Pietro.
Insegniamo, dunque, e dichiariamo che, secondo le testimonianze dell’evangelo, il primato di giurisdizione su tutta la chiesa di Dio fu promesso e conferito immediatamente e direttamente al beato apostolo Pietro da Cristo signore. Infatti al solo Simone - cui aveva già detto: Tu sarai chiamato Cefa (39) - dopo che egli ebbe professato la sua confessione con le parole: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, si rivolse il Signore con queste solenni parole: Sei beato, Simone, figlio di Giovanni, poiché non la carne o il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Io, quindi, ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli. Qualsiasi cosa tu legherai sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa scioglierai sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli (40).
Al solo Simone Pietro, inoltre, dopo la resurrezione, Gesù conferì la giurisdizione di sommo pastore e rettore su tutto il suo ovile, dicendo: Pasci i miei agnelli; pasci le mie pecore (41). A questa dottrina così chiara delle sacre scritture, com’è stata sempre intesa dalla chiesa cattolica, si oppongono apertamente le false opinioni di coloro che, fraintendendo la forma di governo istituita da Cristo signore nella sua chiesa, negano che il solo Pietro, rispetto agli altri apostoli, sia presi singolarmente che tutti insieme, abbia ricevuto un vero e proprio primato di giurisdizione da Cristo; o quanti affermano che questo primato immediatamente e direttamente sarebbe stato conferito non allo stesso beato Pietro, ma alla chiesa e, per mezzo di essa, a lui, come a suo ministro.
Perciò se qualcuno dirà che il beato apostolo Pietro non è stato costituito da Cristo signore, principe di tutti gli apostoli e capo visibile di tutta la chiesa militante; ovvero che egli direttamente ed immediatamente abbia ricevuto dal signore nostro Gesù Cristo solo un primato d’onore e non di vera e propria giurisdizione: sia anatema.
Capitolo II.
La perpetuità del primato di Pietro nei romani pontefici.
Ma ciò che il principe dei pastori e pastore supremo del gregge, il signore Gesù Cristo, ha istituito nel beato apostolo Pietro a perpetua salvezza e perenne bene della chiesa, deve per volontà dello stesso Cristo, durare per sempre nella chiesa, che, fondata sulla pietra, resterà incrollabile fino alla fine dei secoli (42).
Nessuno, a questo proposito, ignora, anzi è noto da secoli a tutti, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli apostoli, colonna della fede e fondamento della chiesa cattolica, ha ricevuto le chiavi del regno da nostro signore Gesù Cristo, salvatore e redentore del genere umano: Pietro vive, presiede ed esercita il suo giudizio fino al presente e per sempre nei suoi successori, ossia nei vescovi della santa sede di Roma, da lui fondata e consacrata dal suo sangue (43). Sicché chiunque gli succede in questa cattedra, per disposizione dello stesso Cristo, ha il primato di Pietro su tutta la chiesa. Rimane, allora, ciò che ha disposto la verità, e il beato Pietro, perseverando nella solidità di pietra, che ha ricevuto, non ha lasciato la guida della chiesa che gli fu affidata (44). Per questo motivo ogni chiesa - cioè tutti i fedeli di ogni luogo - dovette sempre concordare con la chiesa Romana in forza della sua origine superiore, affinché in quella sede, da cui emanano su tutti le norme della veneranda comunione, come membra unite nel capo, esse si unissero nella compagine di un solo corpo (45).
Se, quindi, qualcuno dirà che non è per istituzione dello stesso Cristo signore, cioè per diritto divino, che il beato Pietro ha sempre dei successori nel primato su tutta la chiesa; o che il Romano pontefice non è successore del beato Pietro in questo primato: sia anatema.
Capitolo III.
Valore e natura del primato del Romano pontefice.
Basandoci, perciò, sulle chiare testimonianze delle sacre scritture, e seguendo gli espliciti decreti sia dei nostri predecessori Romani pontefici, che dei concili generali, rinnoviamo la definizione del concilio ecumenico di Firenze (46), secondo la quale tutti i cristiani devono credere che "la santa sede apostolica e il Romano pontefice hanno il primato su tutta la terra; e che lo stesso pontefice Romano è successore del beato Pietro, principe degli apostoli, e vero vicario di Cristo, capo di tutta la chiesa, padre e maestro di tutti i cristiani. Che al beato Pietro, inoltre, è stato dato dal signore nostro Gesù Cristo il pieno potere di pascere, reggere e governare la chiesa universale, come si legge negli atti dei concili ecumenici e nei sacri canoni".
Insegniamo, perciò, e dichiariamo che la chiesa Romana, per disposizione del Signore, ha un primato di potere ordinario su tutte le altre; e che questa potestà di giurisdizione del Romano pontefice, essendo veramente episcopale, è immediata: quindi i pastori e i fedeli, di qualsiasi rito e dignità, sia considerati singolarmente che nel loro insieme, sono tenuti al dovere della subordinazione gerarchica e della vera obbedienza verso di essa, non solo in ciò che riguarda la fede e i costumi, ma anche in ciò che riguarda la disciplina e il governo della chiesa sparsa su tutta la terra. Di modo che, conservando l’unità della comunione e della professione della stessa fede col Romano pontefice, la chiesa di Cristo sia un solo gregge sotto un solo sommo pastore (47). Questa è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi senza mettere in pericolo la fede e la salvezza.
Questa potestà del sommo pontefice è lontana dal recare pregiudizio alla potestà ordinaria ed immediata della giurisdizione episcopale - in virtù della quale i vescovi, che per disposizione dello Spirito santo successero agli apostoli, in qualità di veri pastori, pascono e governano ciascuno il gregge a lui affidato -. Anzi tale potere è asserito, rafforzato e rivendicato dal pastore supremo ed universale, secondo il detto di S. Gregorio Magno: "il mio onore è l’onore della chiesa universale. Mio onore è il solido vigore dei miei fratelli. Allora io mi sento veramente onorato, quando ad ognuno di essi non si nega l’onore dovuto" (48).
Da questa potestà suprema del Romano pontefice di governare tutta la chiesa consegue che egli ha il diritto di comunicare liberamente, nell’esercizio del suo ufficio, coi pastori e con i fedeli di tutta la chiesa, per poterli istruire e governare nella via della salvezza. Condanniamo, quindi, e riproviamo le opinioni di quanti affermano che si possa lecitamente impedire questa comunicazione del capo supremo con i pastori e con i fedeli, o che essa debba sottostare al potere secolare; pretendendo che quello che viene stabilito dalla sede apostolica o per sua autorità per il governo della chiesa, non ha efficacia e valore, se non è confermato dal "placet" della potestà secolare.
E poiché, secondo il diritto divino del primato apostolico, il Romano pontefice è preposto a tutta la chiesa, insegniamo anche e dichiariamo che egli è il giudice supremo dei fedeli (49), e che in qualsiasi causa riguardante la giurisdizione ecclesiastica, si può ricorrere al suo giudizio (50). Nessuno, invece, potrà riesaminare un giudizio pronunziato dalla sede apostolica - di cui non vi è autorità maggiore -, come a nessuno è lecito giudicare di un giudizio dato da essa (51). Quindi, quelli che affermano essere lecito appellare dalle sentenze dei Romani pontefici al concilio ecumenico, come ad una autorità superiore al Romano pontefice, sono lontani dal retto sentiero della verità.
Perciò se qualcuno dirà che il Romano pontefice ha solo un potere di vigilanza o di direzione, e non, invece, la piena e suprema potestà di giurisdizione su tutta la chiesa, non solo in materia di fede e di costumi, ma anche in ciò che riguarda la disciplina e il governo della chiesa universale; o che egli ha solo una parte principale, e non, invece, la completa pienezza di questa potestà; o che essa non è ordinaria ed immediata, sia su tutte le singole chiese, che su tutti i singoli pastori: sia anatema.
Capitolo IV.
Il magistero infallibile del Romano pontefice.
Il primato apostolico, che il Romano pontefice ha su tutta la chiesa come successore di Pietro, principe degli apostoli, comprende pure la suprema potestà di magistero: questa santa sede l’ha sempre ritenuto, l’uso perpetuo della chiesa lo comprova e lo dichiararono gli stessi concili ecumenici, specialmente quelli in cui l’Oriente conveniva con l’Occidente nell’unione della fede e della carità.
Infatti i padri del concilio Costantinopolitano IV, seguendo le orme dei predecessori, emisero questa solenne professione: "Prima condizione per la salvezza è quella di custodire la norma della retta fede. E poiché non si può trascurare la espressione del signore nostro Gesù Cristo, che dice: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa (52), questa affermazione si verifica nei fatti, perché nella sede apostolica la religione cattolica è stata sempre conservata pura e la dottrina santa tenuta in onore. Non volendo separarci affatto, perciò, da questa fede e dottrina, speriamo di essere nell’unica comunione che la sede apostolica predica, nella quale è la intera e vera solidità della religione cristiana" (53).
Con l’approvazione del concilio II di Lione, inoltre, i Greci professarono: "La santa chiesa Romana ha il sommo e pieno primato e principato su tutta la chiesa cattolica. Essa riconosce veramente ed umilmente di averlo ricevuto, con la pienezza del potere, dallo stesso Signore nel beato Pietro, principe e capo degli apostoli, di cui il Romano pontefice è successore. E come più degli altri ha il dovere di difendere la verità della fede, così, se sorgessero dispute sulla fede, devono essere decise secondo il suo giudizio" (54). Finalmente il concilio di Firenze ha definito che "il pontefice Romano è vero vicario di Cristo, capo di tutta la chiesa, padre e maestro di tutti i cristiani; a lui, nel beato Pietro, è stato dato dal signore nostro Gesù Cristo il pieno potere di reggere e governare la chiesa universale" (55).
I nostri predecessori hanno sempre lavorato indefessamente per soddisfare a questo loro dovere pastorale, affinché la salutare dottrina di Cristo fosse propagata presso tutti i popoli della terra. E con uguale sollecitudine vigilarono perché, una volta ricevuta, fosse conservata incontaminata e pura.
Perciò, i vescovi di tutto il mondo, o singolarmente, o raccolti in concili, seguendo la lunga consuetudine delle chiese e la forma dell’antica regola, riferirono a questa sede apostolica i pericoli che si manifestavano specialmente nelle cose della fede, perché si corresse al riparo dei danni per la fede, particolarmente là dove la fede non può soffrire alcun danno (56).
E i Romani pontefici, da parte loro, come consigliava la condizione dei tempi e delle circostanze, ora convocando concili ecumenici o cercando di conoscere il parere della chiesa sparsa nel mondo, ora con sinodi particolari, ora servendosi di altri mezzi che la divina provvidenza offriva, definirono quei punti di dottrina che si dovessero ritenere e che, con l’assistenza divina, avevano giudicato conformi alle sacre scritture e alle tradizioni apostoliche.
Infatti ai successori di Pietro è stato promesso lo Spirito santo non perché per sua rivelazione manifestassero una nuova dottrina, ma perché con la sua assistenza custodissero santamente ed esponessero fedelmente la rivelazione trasmessa dagli apostoli, cioè il deposito della fede. La loro dottrina apostolica è stata accolta da tutti i venerati padri, rispettata e seguita dai santi dottori ortodossi: perché essi sapevano benissimo che questa sede di Pietro rimane sempre immune da ogni errore, conforme alla promessa divina del Signore, nostro salvatore, fatta al principe dei suoi apostoli: Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno. Tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli (57).
Perciò questo carisma di verità e di fede - che non verrà mai meno - è stato dato divinamente a Pietro e ai suoi successori che siedono su questa cattedra, perché esercitassero questo loro altissimo ufficio per la salvezza di tutti; perché l’intero gregge di Cristo, allontanato da essi dall’esca avvelenata dell’errore, fosse nutrito col cibo della dottrina celeste, e, eliminata ogni occasione di scisma, tutta la chiesa fosse conservata una, e poggiando sul suo fondamento, si ergesse, incrollabile, contro le porte dell’inferno.
Ma poiché in una età in cui questa salutare efficacia dell’ufficio apostolico è più che mai necessaria, vi sono non pochi che disprezzano la sua autorità, crediamo assolutamente necessario affermare solennemente la prerogativa, che l’unigenito Figlio di Dio si è degnato congiungere col supremo ufficio pastorale.
Noi, quindi, aderendo fedelmente ad una tradizione accolta fin dall’inizio della fede cristiana, a gloria di Dio, nostro salvatore, per l’esaltazione della religione cattolica e la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del santo concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato che il Romano pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica definisce che una dottrina riguardante la fede o i costumi dev’essere ritenuta da tutta la chiesa, per quell’assistenza divina che gli è stata promessa nel beato Pietro, gode di quella infallibilità, di cui il divino Redentore ha voluto dotata la sua chiesa, allorché definisce la dottrina riguardante la fede o i costumi. Quindi queste definizioni sono irreformabili per virtù propria, e non per il consenso della chiesa.
Se poi qualcuno - Dio non voglia! - osasse contraddire questa nostra definizione: sia anatema.
NOTE
1. Cfr. Mt 28, 20.
2. Cfr. Eb 13, 9.
3. I Tm 2, 4.
4. Lc 19, 10.
5. Gv 11. 52.
6. Cfr. Sap 16, 12.
7. Is 59, 21.
8. Concilio Lateranense IV, c. 1 (v. sopra).
9. Sap 8, 1.
10. Eb 4, 13.
11. Rm 1. 20.
12. Eb 1. 1-2.
13. I Cor 2, 9.
14. Concilio di Trento sessione IV. decr. I.
16. Mc 16, 20.
17. II Pt 1, 19.
18. Eb 11, 6.
19. Cfr. Is 11, 12.
20. Cfr. I Tm 2, 4.
21. Cfr. I Pt 2, 9; Col 1, 13.
22. Col 1, 12.
23. Cfr. Eb 2, 3.
24. Eb 12, 2.
25. Eb 10, 23.
26. Cfr. Rm 1, 20.
27. Cfr. Gv 1, 17.
28. I Cor 2, 7-8, 10.
29. Cfr. Mt 11, 25.
30. II Cor 5, 6-7.
31. Cfr. Col 2, 8.
32. VINCENZO DI LERINS, Commonitorium 28 (PL 50, 668).
33. Cfr. I Pt 2, 25.
34. Gv 17, 20-21.
35. Cfr. Gv 15, 19.
36. Cfr. Gv 20, 21.
37. Cfr. Mt 20, 28.
38. LEONE I, Sermone IV (al. III), c. 2 (PL 54, 150).
39. Gv 1, 42.
40. Mt 16, 16-19.
41. Gv 21, 15-17.
42. Cfr. Mt 7, 25; Lc 6, 48.
43. Dall’orazione di Filippo legato romano alla III sessione del
Concilio di Efeso (D 112).
44. LEONE I, Sermone III (al. II), c. 3 (PL 54, 146).
45. IRENEO. Adversus haereses, III, 3 (PG 7, 849); Concilio di
Aquileia (381) in AMBROGIO, Ep. XI (PL 16, 946).
46. Concilio di Firenze, sessione VI (v. sopra).
47. Cfr. Gv 10, 16.
48. Ep. ad Eulogium, 8, 30 (PL 77, 933).
49. Pio VI, Breve Super soliditate, 28 nov. 1786.
50. Dalla professione di fede di Michele Paleologo letta al concilio II
di Lione (D 466).
51. NICOLA I, Ep. all’imp. Michele (PL 119, 954).
52. Mt 16, 18.
53. Dalla formula di papa Ormisda del 517 (D 171).
54. Dalla professione di Micheie Paleologo letta al concilio (D 466).
55. Concilio di Firenze, sessione VI (v. sopra).
56. BERNARDO. Ep. 190 (PL 182, 1053).
57. Lc 22, 32.