COMMENTO ALL'ENCICLICA

Laudato si'”

a cura di Giovanni Lonardi

Scarica PDF


Premessa

Un'enciclica “sui generis”, strana per il modo di porsi. Solitamente l'enciclica si apre sempre elencando i destinatari: ai Vescovi, ai presbiteri, ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici; fatti seguire subito dal tema dell'enciclica stessa. Questa è la formula di rito. Una lettera, quindi, che viene indirizzata strettamente ai credenti, elencati per ordine di posizione e impegno ecclesiale. Ma questa enciclica, almeno in apparenza, sembra non presentare alcun destinatario specifico, assumendo proprio per questo suo anonimato una valenza ed un significato sovraecclesiali, destinata ad abbracciare l'intera umanità ed ogni suo singolo componente, a partire dai più poveri, dagli indifesi, dai deboli e dagli oppressi. Un tema quest'ultimo che percorrerà trasversalmente e quasi in modo ossessivo l'intera enciclica, tradendo l'ansia pastorale e paterna di questo Papa, che va oltre i confini della Chiesa, aprendola all'universalità e dando un nuovo significato al suo essere cattolica. Non va, infatti, dimenticato che questo è il Papa del cuore, che ha indetto un giubileo della misericordia e della compassione, preoccupato per la sorte di ogni singolo uomo, credente o meno, poiché non esistono poveri di destra o di sinistra, credenti o atei, ma solo uomini la cui dignità è stata calpestata e gravemente offesa. È questo un Papa che proviene dall'America Latina, dove ha toccato con mano i disastri sociali e il degrado morale provocato da un liberismo sfrenato e sfrontato, che cerca solo i propri interessi, ignorando ogni dignità umana. Forse mai, come con questo Papa e con questa enciclica, la Chiesa ha saputo esprimere al meglio la sua cattolicità, intesa non più come confessionalità contrapposta ad altri credo, ma come universalità, che sa abbracciare l'intera umanità come un'unica famiglia, a cui il Papa parla della cura che ognuno deve avere per la casa comune. Già in questa espressione “casa comune” c'è una nota di universalità in cui la Chiesa si mette insieme agli altri, percorrendo con loro un comune cammino storico e condividendo un comune destino. Una Chiesa, quindi, che non si mette sopra agli altri, ma cammina al loro fianco. Significativo in tal senso è come si apre la Costituzione Pastorale “Gaudium et spes”, che vede una Chiesa aperta e abbracciante l'intera umanità: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. […] Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia” (GS, 1). E fin da subito il Papa esprime le sue intenzioni: “Adesso, di fronte al deterioramento globale dell'ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta [...] In questa enciclica mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune” (3).

La natura di questa enciclica fa parte del Magistero sociale della Chiesa e potremmo considerarla come il terzo pilastro dopo la Rerum novarum di Leone XIII (1891), che poneva la questione operaia nei primi decenni della rivoluzione industriale e la Populorum progressio di Paolo VI (1967), che poneva la questione del sottosviluppo, definendo il progresso sociale dei popoli come il vero nome della pace. Con questa enciclica, Laudato si, si va a colmare un vuoto: quello dell'ecologia ossia del rapporto uomo-ambiente e della stretta e inscindibile solidarietà e profonda comunione che legano le due componenti del creato.

Il metodo affrontato è quello della denuncia del degrado attuale (I), per passare poi alla ricerca delle radici profonde di questo degrado umano-ambientale, individuato in una sfrenata se non violenta tecnocrazia, che è causata da interessi economici e finanziari (III), per poi giungere ai rimedi, specificando alcune linee di orientamento e di azione (V), che definisce come “grandi percorsi di dialogo, che ci aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando” (163). Un capitolo quest'ultimo che sembra l'agenda dettagliata di un governo sulle cose da fare e sul come farle, benché precisi, forse rendendosi conto di aver un po' trasceso le proprie competenze, che “Ancora una volta ribadisco che la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica” (188). Questi tre capitoli, I, III e V, sono alternati con altri tre capitoli, il II, il IV e il VI, che vogliono essere momenti di riflessione, quasi a voler affiancare e sostenere le denunce e le proposte con un'adeguata motivazione filosofica, teologica e spirituale in genere, che spinge l'uomo a trovare le vere motivazioni in se stesso e a partire da se stesso. L'enciclica, quindi, si muove su due assi paralleli tra loro strettamente interconnessi, quasi a significare l'inscindibilità dell'attuale disastrata situazione dalla necessità di una riflessione che porti alla conversione, che qui il Papa definisce ecologica. Si ha, pertanto, denuncia, analisi e proposte, da una parte; e, dall'altra, riflessione biblico-sapienziale (II), proposta per un'ecologia integrale (IV), in cui si sottolinea il profondo e inscindibile legame di comunione che unisce l'uomo e il creato, richiamandosi in qualche modo alla precedente riflessione biblico-sapienziale, mettendo qui in rilievo e sviluppandolo il principio di solidarietà, che vede uomo-natura come un tutt'uno e che forma uno dei capisaldi non solo biblici, ma anche dogmatici e senza il quale non si potrebbe comprendere la devastante azione della colpa originale, che ha modificato, degradandola, la stessa natura dell'uomo e del creato e i cui effetti sono denunciati in questa enciclica. Ed infine, il sollecito all'educazione e alla spiritualità ecologica (VI).

È un'enciclica difficile da leggere perché troppo dettagliata, troppo specifica, troppo addentro alle questioni in modo talvolta minuzioso, fino a perdersi in esse. Tende, quindi, ad essere dispersiva per l'eccessiva analisi prodotta su di una questione vastissima. E proprio per questo eccesso di analisi, forse troppo meticolosa, manca, a mio avviso, di un orizzonte unitario che convogli le grandi scelte dell'umanità, indirizzandole a superare il vicolo cieco in cui si trova. Manca il concetto di storia della salvezza, che apra l'uomo alla speranza, anche se il tema della speranza e della fiducia nella capacità degli uomini non manca, benché appena accennato (61, 71, 74). Questo dovuto forse all'eccessiva preoccupazione di dire tutto, di dare un quadro sociologico, antropologico ed ecologico il più completo possibile, addentrandosi eccessivamente nelle questioni. Questo eccessivo particolarismo e questa eccessiva elencazione di problematiche sembra, da un lato, tradire l'ansia di questo Pontefice per una situazione drammatica, che vuol denunciare e rilevare in tutti i suoi aspetti; dall'altro, sembra voler fornire ai suoi successori, ai filosofi, teologi, scienziati e a tutti gli uomini di buona volontà, sensibili alla problematica, materia sufficiente per sviluppare le loro considerazioni, orientando le loro azioni. In altri termini, cerca di fornire più materiale possibile su cui lavorare, come in una sorta di foto panoramica, cercando di abbracciare per intero i problemi che oggi assillano questa umanità, quasi a testimonianza di un momento storico grave. Non va dimenticato, poi, che questa è una enciclica fondativa. La si è definita come il terzo pilastro del Magistero sociale della Chiesa ed apre ad un nuovo orizzonte, fin qui impensabile e impensato, almeno in modo sistematico e non occasionale.

È comunque un'enciclica la cui unitarietà viene garantita sia dalla logica con cui il pensiero si sviluppa; sia da alcune tematiche di fondo che serpeggiano trasversalmente per ricomparire costantemente ovunque, come il tema della profonda e inscindibile solidarietà tra uomo e ambiente; il tema dei poveri, strettamente legato al degrado ambientale di cui sono spesso vittime; la critica al potere derivante dalla tecnologia finalizzata al dominio ambientale e sociale, così che viene definita tecnocrazia, cioè il potere della scienza e della tecnica sull'ambiente e sull'uomo; di conseguenza viene affermato il valore della dignità umana e dei diritti innati e propri di ogni uomo; le responsabilità dell'economia, della finanza, della politica e del loro intreccio.

Ed infine, una curiosità. Con sorpresa viene introdotto un neologismo: “inequità”, che si ripete per ben cinque volte (30, 36, 51, 158 e al titolo del cap. V, tra i paragrafi 47 e 48). Non si tratta quindi di un errore, così come potrebbe sembrare, inequità al posto di iniquità, ma di un nuovo termine. Letteralmente “inequità” significa ciò che non è equo, giusto e che ha come contropartita una discriminazione colpevole, ingiusta e pertanto iniqua. È molto simile a “iniquità”, ma mentre questa ha prevalentemente un senso morale, la “inequità” acquista qui un senso squisitamente sociologico.

Un breve commento

L'enciclica è costituita da sei capitoli che si sviluppano su 246 paragrafi, e si apre con una introduzione, in cui vengono individuati i destinatari, delineati i temi di fondo e la metodologia; e si conclude con due preghiere, che si muovono su due sfondi culturali e religiosi completamente diversi. La prima, dal titolo “Preghiera per la nostra terra”, è rivolta a Dio, senza alcun titolo che lo identifichi come il Dio dei cristiani o comunque un Dio confessionale, ma soltanto definendolo con due attributi generici: “Dio onnipotente” e “Dio dei poveri”. Un Dio, quindi, privo di connotati religiosi, in cui tutti i credenti di questa terra, e in un certo qual modo anche i non credenti, possono in qualche modo riconoscersi. Una preghiera, quindi, che fa appello non alla religiosità, ma alla spiritualità, che è presente, sia pur in forme diverse, in tutti gli uomini. Una preghiera, quindi, che rispetta e riflette il tono universale dell'enciclica.

La seconda preghiera, molto densa e profonda, dal titolo “Preghiera cristiana con il creato”, è rivolta al Dio della rivelazione cristiana, a quel Dio a cui il Papa si rivolge come “Padre”, poi come “Figlio di Dio Gesù”, come “Spirito Santo”, come “Signore Dio, Uno e Trino”, quindi l'aspetto trinitario, ed infine si rivolge al “Signore”, qui inteso come il Cristo risorto, colto in una prospettiva escatologica.

Il commento che farò, dopo l'introduzione, non seguirà i capitoli in ordine di numero, ma in ordine tematico, per meglio mettere in rilievo i due assi portanti dell'intera enciclica, sopra accennati, dando loro un ordine di sviluppo logico e più comprensibile. Pertanto, di seguito, si commenteranno, dapprima, i capp. I, III e V, così che, da subito, si avrà la denuncia di ciò che sta accadendo alla nostra casa (I); poi si indagherà sulla radice umana della crisi ecologica denunciata (III); e infine si proporranno delle linee di orientamento e di azione, cioè i rimedi (V). Il commento proseguirà prendendo in esame i capp. II, IV e VI, così da mettere in rilievo il secondo asse portante, che potremmo definire di tipo sapienziale, riflessivo, spirituale, culturale, educativo. Un invito, quindi, all'uomo a ritornare in se stesso e a ripartire da se stesso, cercando in se stesso quella verità che è stata smarrita nell'eccessiva ed ossessiva ricerca delle cose, sul monito di Sant'Agostino: “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas”, “Non uscir fuori, rientra in te stesso, nell'intimo dell'uomo dimora la verità” (De vera religione, I, 39.72).

INTRODUZIONE (1-16)

Vengono tracciate le linee e le tematiche fondamentali dell'intera enciclica, a partire dal titolo stesso, che si rifà al Cantico delle Creature di S.Francesco, di cui il papa ricorda di aver assunto il nome “come guida e come ispirazione” (10), fornendo in un certo qual modo la chiave di lettura non solo di questa enciclica, ma anche del suo pontificato. Vede la terra come una madre che ci accoglie tutti (1), ma che subisce violenza: “Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora” (2). C'è qui quasi tutta l'enciclica. Viene fatto seguire il contributo di alcuni papi al problema ecologico come Giovanni XXIII, Paolo VI, Benedetto XVI, da parte cattolica; mentre per l'altra parte, ricorda come “Questi contributi dei Papi raccolgono la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni. Non possiamo però ignorare che anche al di fuori della Chiesa Cattolica, altre Chiese e Comunità cristiane – come pure altre religioni – hanno sviluppato una profonda preoccupazione e una preziosa riflessione su questi temi che stanno a cuore a tutti noi” (7). E tra questi, un ricordo speciale va al contributo dato dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I (8-9) e nondimeno a San Francesco, suo personale ispiratore. Questo riconoscimento dice come questa enciclica raccolga in sé l'universalità del pensiero, delle attenzioni e delle preoccupazioni di tutti gli uomini di buona volontà, di cui egli si fa portavoce, rimarcando ancor più l'universalità di questa enciclica. Quindi, un'enciclica che è sovraecclesiale poiché è indirizzata all'intera umanità.

L'introduzione termina con il cap. 15, che enuncia i temi trattati nei singoli capitoli, che compongono l'enciclica; mentre con il cap. 16 presenta la metodologia seguita: “Ogni capitolo, sebbene abbia una sua tematica propria e una metodologia specifica, riprende a sua volta, da una nuova prospettiva, questioni importanti affrontate nei capitoli precedenti”.

LA DENUNCIA, LE CAUSE E LA PROPOSTA (CAPP. I, III, V)


CAPITOLO PRIMO

QUELLO CHE STA ACCADENDO ALLA NOSTRA CASA (17-61)

Si evidenzia la necessità di una riflessione e di una presa di coscienza su ciò che sta accadendo attorno a noi (17). L'eccessiva corsa del progresso tecnologico mal si combina con i lenti ritmi biologici, propri della natura (18). Vi è uno squilibrio tra il progresso tecnologico dell'uomo e il suo livello di crescita culturale, spirituale e morale (4). Ma direi, personalmente, che siamo andati oltre. La perdita di spiritualità e conseguentemente di moralità è stata rimpiazzata dalle leggi dell'economia, della finanza e della tecnologia, che hanno messo al centro non più l'uomo, ma l'interesse privato, personale e, in particolare, i soldi, attorno ai quali si è costruita e organizzata la nostra società.

Un'attenzione preoccupata e di denuncia viene accentrata su sette tematiche. Si apre con la denuncia contro l'inquinamento sia atmosferico che del suolo, causato da rifiuti di ogni specie, che avvelenano la terra e la trasformano in una grande pattumiera. L'eccesso di rifiuti che nasce dalla cultura dello scarto, dell'usa e getta, che investe non solo le cose, ma anche gli uomini, che sono stati oggettificati. Un inquinamento che, a motivo delle diverse tipologie di gas emessi, creano anche un inquinamento atmosferico e con questo un cambiamento climatico, che incide non solo sugli uomini, ma anche sulla fauna e la flora. Similmente si prosegue con la questione dell'acqua. Come il clima, essa è un bene comune e non può essere privatizzata e costituire oggetto di speculazioni; la perdita della biodiversità, che impoverisce e altera gli equilibri della natura, a motivo di interventi umani motivati da interessi economici e finanziari; il deterioramento della qualità della vita umana, quale conseguenza di questo modo scriteriato di procedere nel progresso, che trova la sua espressione nel degrado di città sovraffollate, ad alta concentrazione umana, immerse nel cemento, nell'asfalto, prive di verde e sommerse spesso da rifiuti. Città il cui degrado ambientale si riflette e produce quello umano. Da qui si prosegue accentrando l'attenzione sulla inequità planetaria, dedicata a quella parte del genere umano vittima di questo degrado ecologico e ambientale prodotto dagli uomini: sono i poveri, i deboli, i diseredati, le persone maggiormente colpite, poiché vivono di ambiente e di ciò che la natura offre loro, sia perché facenti parte di società tecnologicamente poco evolute, sia perché la vita le ha poste ai margini della società. Si denuncia la debolezza delle reazioni a fronte di tanto degrado e tanta sofferenza umana e ambientale; debolezza sottesa da assenza di una specifica cultura, da mancanza di leadership e di reazioni da parte di una politica, che è sottomessa agli interessi economici e finanziari. In una simile situazione si scontrano le diversità di opinioni, spesso contrapposte

CAPITOLO TERZO

LA RADICE UMANA DELLA CRISI ECOLOGICA (101-136)

Dalla denuncia dei mali della nostra società, che coinvolgono direttamente uomo, ambiente e natura come in un tutt'uno vitale, fondato su di un principio di solidarietà e comunione, si passa con questo cap. III ad analizzare le cause di tanto degrado, che qui vengono attribuite esclusivamente all'uomo, come l'unico capace di influire significativamente sull'ecologia non solo naturale, ma anche umana. Tre sono i passaggi fondamentali: “La tecnologia: creatività e potere”, colta, da un lato, come risposta creativa alle necessità dell'uomo, dall'altro, come strumento di potere non solo sulla natura ma anche sull'uomo stesso, trasformandosi in tecnocrazia. Quest'ultimo passaggio viene dettato da una mancanza di crescita culturale, spirituale e, di conseguenza, morale, esponendo l'uomo ad un uso pericoloso di questa tecnologia, messa a disposizione della propria incontrollata e smodata sete di potere sia economico-finanziario che politico, inteso come dominio dei popoli. Il secondo passaggio inerisce alla “Globalizzazione del paradigma tecnocratico”. Non più tecnologia, quale giusta risposta ai bisogni dell'uomo, ma la sua deriva in potere sull'uomo e sulla natura. Si è passati da un progresso che rispettava i limiti umani e i ritmi della natura ad uno che coarta e violenta la natura stessa delle cose, imponendo parametri innaturali e inumani, che portano alla perdita della dignità dell'uomo e al suo degrado, che si riflette inevitabilmente, per un principio di solidarietà e di comunione, sulla natura, sull'ambiente, nella società e nelle sue molteplici attività sia economiche che finanziarie, riducendo gli spazi creativi, di espressione e la stessa libertà dell'uomo. Un degrado che ha la sua eziologia nella perdita dell'orizzonte spirituale, fatto di valori, di idealità in cui l'uomo è posto al centro e non in funzione di qualcosa. È necessario fermarsi e ripensare il nostro modo di vivere e di organizzarsi, perché stiamo andando verso un mondo dove non c'è più spazio per l'uomo. Il terzo passaggio si incentra sulla “Crisi e le conseguenze dell'antropocentrismo moderno”, una crisi che ha la sua origine nell'uomo stesso, nell'aver perso il contatto con se stesso e nell'aver posto la sua fiducia nella ragione tecnica quale unica risposta ai problemi dell'uomo e quale parametro morale in grado di dare risposta agli interrogativi dell'uomo, che viene piegato alle esigenze della ragione tecnica, dell'economia e della finanza. In tal modo l'uomo si rende schiavo di se stesso, del suo modo di pensare deviato, che lo vede come un essere marginale e relativizzato rispetto alla scienza, alla tecnica e alla economia e alla finanza e in loro funzione, quasi che la sua vita dipenda esclusivamente da questi parametri che egli stesso ha creato. Per uscirne, l'uomo deve recuperare se stesso, perché non c'è vera ecologia umana e ambientale se prima non c'è un'adeguata antropologia, che ricollochi l'uomo al centro del creato, ma in relazione a Dio. L'uomo non può mai essere, in assoluto, autoreferenziale, poiché, alla fine diventa marginale, relativo e, quindi, vittima di se stesso.


CAPITOLO QUINTO

ALCUNE LINEE DI ORIENTAMENTO E DI AZIONE (163-201)

Dopo aver analizzato la grave situazione dell'umanità e del pianeta (I) e dopo averne individuate le cause in una disumana e disumanizzante tecnocrazia, alimentata e sostenuta dal potere economico e finanziario, ora il Papa cerca “dei grandi percorsi di dialogo che ci aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando” (163). I percorsi di dialogo individuati sono cinque: il dialogo sull'ambiente nella politica internazionale (164-175); il dialogo verso nuove politiche nazionali locali (176-181); dialogo e trasparenza nei processi decisionali (182-188); politica ed economia in dialogo per la pienezza umana (189-198); le religioni in dialogo con le scienze (199-201). Potremmo definirlo il capitolo che passa dalla teoria alla pratica e che pone una questione di fondo: cosa fare e come farlo. Ne esce una sorta di agenda manageriale, più che suggerimenti di un pastore, forse troppo invasivi e che trascendono le proprie competenze, se il Papa sente la necessità di chiarire che “la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica”, precisando che il suo è soltanto “un invito ad un dibattito onesto e trasparente” (188). Si evidenzia la necessità di un dialogo internazionale perché i problemi di cui soffre il pianeta sono comuni e nessuno può dirsi esente. Da qui la denuncia contro “i Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non hanno risposto alle aspettative perché, per mancanza di decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali realmente significativi ed efficaci” (166) e questo “a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale” (169). Ma l'affondo contro questa incapacità di incidere efficacemente e in modo determinato avviene quando il Papa si chiede “Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?” (57). Un dialogo che richiede trasparenza e lontano dai poteri della corruzione, che sono già essi stessi una forma di inquinamento morale e che producono altro inquinamento ancora. Infatti, lamenta il Papa “L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente” (190) per gli ovvi interessi finanziari che lo muovono. Si prosegue con l'invito alla politica a saper guardare ad ampi orizzonti e non rispondere alla logica efficentista e “immediatista” dell’economia e della politica attuali (181). La politica infatti “non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficentista della tecnocrazia” (189). Politica ed economia, in dialogo tra loro, devono porsi decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana (189). Una dura critica viene rivolta all'attuale sistema finanziario europeo: “Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura” (189). Infine, un invito alla scienza e alla tecnica a non travalicare i limiti delle proprie competenze, poiché esse, pur essendo di grande aiuto alla vita umana e alla natura, non ne spiegano l'essenza e il fine ultimo e i dinamismi profondi che le muovono e non possono quindi porsi come la risposta ultima all'uomo. È questo il compito della teologia e della filosofia e delle religioni, dalle quali dovrebbero lasciarsi illuminare.

LA RIFLESSIONE TEOLOGICO-SAPIENZIALE E FILOSOFICA (capp. II, IV, VI)

Sotto questo titolo si colloca la riflessione sul profondo degrado che sta travolgendo l'ambiente, la natura, ma ancor prima l'umanità stessa, che ne è la fonte, benché non la causa prima. Sarà proprio questa riflessione che cercherà di portare allo scoperto le vere cause di un simile disastro che ci sta travolgendo tutti. La tecnica e la scienza potranno spiegare come si è giunti a tanto decadimento e le cause apparenti che lo hanno provocato. Tutto ciò fa parte della storia ed è storicamente rilevabile, ma non giungeranno mai a cogliere la causa prima di ciò che sta accadendo, poiché questa si colloca al di là dell'apparente ed è intrinseca all'uomo e con lui alla stessa natura. Si rende, pertanto necessario cedere la parola alle Religioni, alla Teologia, alla Filosofia, all'Antropologia, le uniche in grado di fornire la chiave di lettura dell'uomo e della sua storia. Si procederà pertanto all'analisi dei rimanenti capp. II, IV e VI, che formano il secondo pilastro fondamentale di questa enciclica: il momento della riflessione: il Vangelo della creazione (II), un'ecologia integrale (IV) e educazione e spiritualità ecologica (VI).


CAPITOLO SECONDO

IL VANGELO DELLA CREAZIONE (62-100)


Significativo è il titolo con cui si apre questo primo momento di riflessione: “Il Vangelo della Creazione”. Una creazione, dunque, che è un Vangelo, cioè un lieto annuncio che costituisce il primo atto rivelativo di Dio, attraverso il quale egli si manifesta ed entra in relazione con l'uomo e gli si propone, condividendo fin da subito la sua vita con lui. La prima riflessione sulla condizione dell'uomo e del creato, pertanto, viene necessariamente affidata alle Scritture. Un capitolo questo che viene scandito in sette momenti: la luce che la fede offre (63-64), la sapienza dei racconti biblici (65-75), il mistero dell'universo (76-83), il messaggio di ogni creatura nell'armonia di tutto il creato (84-88), una comunione universale (89-92), la destinazione comune dei beni (93-95), lo sguardo di Gesù (96-100).

Il Papa si sofferma sulle immagini dei racconti biblici della creazione dell'uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio, assegnandogli in tal modo una dignità che è unica in tutto il creato, di cui l'uomo costituisce l'ultimo atto creativo e a cui è intimamente connesso, ne fa parte, è solidalmente legato al creato in un'intima comunione. Il Salmista ricorda questo momento della creazione con parole molto significative: “Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi” (Sal 8,6-7). Ma questa profonda armonia del creato, incandescente di Dio e in cui Dio si rifletteva, vedendo che tutto ciò che aveva fatto “era cosa molto buona” (Gen 1,31), ha subito un gravissimo trauma, quello del peccato, cioè il tentativo dei nostri progenitori di mettersi al posto di Dio. All'origine di tutto quindi vi fu una sorta di colpo di stato, andato tragicamente male. E l'armonia iniziale, che vedeva l'uomo immagine e somigliante a Dio e suo stretto collaboratore, si trasformò in un conflitto che oppose l'uomo a Dio e la natura divenne ostile all'uomo (Gen 3,17-19). Una colpa che ha pervaso e travolto, proprio per il principio di solidarietà e comunione che legava l'uomo al creato fin da principio, l'intera creazione. Da questo momento, l'uomo che aveva ricevuto il mandato divino di “custodire e coltivare” il creato (Gen 2,15), di fatto se ne è appropriato, coartandolo e violentandolo e gli effetti drammatici dei nostri giorni ne danno testimonianza. Tutto ciò è stato possibile perché l'uomo ha rotto la sua relazione con Dio e collocato se stesso al posto di Dio, in un antropocentrismo distruttivo, dimenticando che “lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio” (83). Gli effetti del peccato non si sono prodotti solo sul creato, divenuto ostile all'uomo, ma anche verso l'uomo stesso. Caino ucciderà Abele e Dio ne chiede conto, rendendo Caino responsabile di suo fratello: “Dov'è Abele, tuo fratello?” (Gen 4,9a). Un altro principio viene violato: l'uomo è responsabile degli altri uomini e non può agire prescindendo da loro, poiché Dio, affidando il creato all'uomo, gli ha affidato anche gli altri essere umani, che del creato fanno intimamente parte. Nonostante ciò, Dio non abbandona l'uomo al suo triste destino, ma ne tenta il recupero alla sua dimensione primordiale da cui l'uomo proviene. Ha così inizio la storia della salvezza, che passando attraverso Israele, l'Alleanza, la Torah, i Profeti, giunge a Cristo, vertice culminante dell'intera creazione (Ef 1,9-10), poiché “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,16). Egli è la nuova creazione pensata dal Padre per l'uomo, espressione del suo dono di amore e di compassione per gli uomini. Giovanni lo ricorda nel suo vangelo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio” (Gv 3,16a). Un Figlio che è stato donato per il perdono: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17). L'uomo nuovo, ricreato ad immagine somiglianza di Dio, è posto sotto il segno della misericordia e del perdono divino ed è chiamato a farsi misericordia, poiché soltanto così dimostrerà di essere vero figlio di Dio: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36), poiché “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

CAPITOLO QUARTO

UN’ECOLOGIA INTEGRALE (137-162)


Il principio di solidarietà e di comunione, che lega l'uomo al creato, così da farne un tutt'uno inscindibile, enunciato nel cap. II, viene ora ripreso e sviluppato sotto vari aspetti in questo cap. IV, in cui si parla di “ecologia integrale”, cioè di una ecologia che vede come tutto è in relazione e niente è a se stante e tutto ciò che si produce nell'uno trova la sua eco nel tutto, mentre il tutto si riflette in qualche modo nell'uno. Si tratta dunque di una visione olistica delle cose, cioè integrale, piena, completa. Una visione che intreccia e interconnette le cose tra loro. Il cap. IV, che potremmo considerare il cuore dell'enciclica per questo suo modo peculiare di vedere e di cogliere la realtà, sviluppa il suo percorso in cinque momenti: ecologia ambientale, economica e sociale (138-142), ecologia culturale (143-146), ecologia della vita quotidiana (147-155), il principio del bene comune (156-158), la giustizia tra le generazioni (159-162).

Il IV capitolo si apre con un'affermazione di principio, che fornisce la chiave di lettura dell'intero capitolo: “tutto è intimamente relazionato” (137) e continua attestando che “Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso” (138), così che quando si parla di ambiente si fa “riferimento anche ad una particolare relazione: quella tra la natura e la società […] Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati” (139). Si rende pertanto necessario trovare delle soluzioni integrali, poiché “Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa” (141). Il degrado ambientale ha conseguenze sulle persone e sulla qualità della loro vita. Serve quindi creare città e quartieri compatibili con una vita dignitosa delle persone, poiché il degrado ambientale favorisce e genera anche un degrado sociale, che produce povertà e criminalità (149). Pertanto “Data l’interrelazione tra gli spazi urbani e il comportamento umano, coloro che progettano edifici, quartieri, spazi pubblici e città, hanno bisogno del contributo di diverse discipline” (150). Viene sviluppato il tema dell'urbanizzazione con i suoi spazi verdi, viabilità idonee, trasporti adeguati. Si sollecita l'importanza che il cittadino si senta accolto e bene inserito nei quartieri di residenza e l'importanza dell'avere un'abitazione di proprietà; uno spazio che gli appartenga e che senta suo. Questo scendere nei dettagli dice non prevaricazione nei confronti della scienza e della tecnica, ma attenzione all'uomo, alle sue esigenze e alla sua dignità (150-155). Di conseguenza un'ecologia integrale non può prescindere dal principio etico del “bene comune”, che deve essere la guida di ogni scelta personale e sociale, favorendo in tal modo l'evoluzione e la realizzazione di tutte le persone, in particolar modo quelle più esposte, deboli e povere. Alla base di tutto ci sta pertanto il rispetto della persona e della sua dignità. Il Papa, infatti, denuncia come “Nelle condizioni attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante inequità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in una opzione preferenziale per i più poveri” (158). Per sua natura l'ecologia integrale è onnicomprensiva, così come il principio del bene comune, inserito in tale contesto, non può prescindere dalle generazioni future, il cui futuro si sta creando qui e ora e quindi, in qualche modo, esse sono già qui presenti. Le nostre scelte e il nostro comportamento, pertanto, non deve togliere loro lo spazio futuro che compete loro. A tal punto il Papa pone un interrogativo, che è centrale per l'intera enciclica: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda non riguarda solo l’ambiente [...]. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori” (160). Conclude il Papa come: “Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia” (161) e “La difficoltà a prendere sul serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico” (162).

CAPITOLO SESTO

EDUCAZIONE E SPIRITUALITÀ ECOLOGICA


Giunto al termine dell'enciclica il Papa si rende conto che tutte le parole, tutti gli elaborati teologici, filosofici o scientifici sono inconsistenti se l'uomo non si conforma esistenzialmente ad essi attraverso un processo educativo, culturale e di crescita spirituale e morale capace di cambiarlo interiormente, aprendolo ad una vera conversione ecologica. E questo già lo aveva anticipato in qualche modo al §15: “poiché sono convinto che ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo, proporrò alcune linee di maturazione umana ispirate al tesoro dell’esperienza spirituale cristiana”. Si tratterà, dunque, di “una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione”, che vede impegnate tutte le istituzioni sociali come “la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi, e altri” con particolare riguardo alla famiglia quale “luogo della formazione integrale, dove si dispiegano i diversi aspetti, intimamente relazionati tra loro, della maturazione personale” (213).

Quest'ultimo capitolo si sviluppa su nove punti: 1) Puntare su un altro stile di vita (203-208) incentrato sulla sobrietà ed essenzialità di vita. È pertanto necessario partire da noi stessi, cercando di modificare nei gesti delle piccole cose quotidiane il nostro comportamento e, quindi, la nostra relazione con l'ambiente. 2) Educare allalleanza tra lumanità e lambiente (209-215) che parte dal rispetto dell'ambiente e che affonda le sue radici nella coscienza di essere parte di un tutto e si sviluppa in una sensibilità verso ciò che ci sta attorno, assumendo “il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane […] come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via” (211). 3) La conversione ecologica (216-221), un sollecito qui rivolto ai credenti (216) perché trovino nella loro fede e nella Parola quelle motivazioni che li deve portare ad un radicale cambiamento di vita interiore. L'amore e il rispetto per l'ambiente e per se stessi dicono il livello di spiritualità e la qualità del nostro rapporto con Dio, che si riflette nella natura e nell'ambiente. 4) Gioia e pace (222-227) che nascono là dove si libera il cuore dall'ossessione del possedere e del consumare. Un cuore sobrio e libero dalle cose non solo riesce a coglierne il senso più vero e profondo, ma anche quello del proprio vivere. 5) Amore civile e politico (228-232), un “amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore. L’amore per la società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità, che riguarda non solo le relazioni tra gli individui, ma anche «macro-relazioni, rapporti sociali, economici, politici». Per questo la Chiesa ha proposto al mondo l’ideale di una «civiltà dell’amore». L’amore sociale è la chiave di un autentico sviluppo: «Per rendere la società più umana, più degna della persona, occorre rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello, politico, economico, culturale - facendone la norma costante e suprema dell’agire»” (231). 6) I segni sacramentali e il riposo celebrativo (233-237) Tutto il creato è una manifestazione di Dio e la creazione è il primo atto rivelativo di Dio; di un Dio che si lascia trasparire da tutte le cose, che in qualche modo lo riflettono: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31). Paolo in Rm 1,20 attesta che “dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità”. Una creazione che Dio stesso non disdegna di assumere in se stesso: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14a). La corporeità del creato, assunta da Dio in se stesso, diviene, quindi, sacramento d'incontro con Dio, ma nel contempo viene valorizzata nell'atto liturgico, che Paolo sollecita a celebrare nella nostra vita: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1). 7) La Trinità e la relazione tra le creature (238-240). Come la Trinità è comunione e intercompenetrazione delle Tre Persone e tale da formare un tutt'uno, così l'uomo, e in particolare il credente, è chiamato a vivere con se stesso, con gli altri e con il creato una profonda comunione di vita, quale riflesso sacramentale della vita trinitaria stessa, che ha come fondamento l'amore, inteso come atteggiamento di vita, che dice la mia totale apertura all'altro, la mia totale donazione di me all'altro e la sua totale accoglienza in me. 8) La Regina di tutto il creato (241-242). Maria è colei che ha dato corporeità a Dio, colei che ha unito in una profonda e inscindibile comunione la natura umana con quella divina (Gal 4,4; Gv 1,14a). Accanto e insieme a lei si accompagna la figura di Giuseppe, il falegname, l'esempio di chi lavora, ed usa del creato e lo trasforma per migliorare il proprio vivere e a servizio degli altri. Maria, l'esempio di chi accoglie e conserva ciò che ha ricevuto per poi donarlo agli altri. In loro si è adempiuto il comando divino del "coltivare e custodire" (Gen 21,5). 9) Al di là del sole (243-246). In quest'ultimo titolo il Papa apre la creazione e con lei l'intera umanità ad una prospettiva escatologica, quando, caduto il velo spazio-temporale, vedremo in pienezza il disegno salvifico del Padre, compiutosi nel Cristo: “ il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1,10b). Tutta la creazione, infatti, è stata fatta per mezzo di lui e in vista di lui e in lui (Col 1,16b), rigenerata nello Spirito, tornerà incandescente di Dio, così come era nei primordi, allorché Dio sentenziò che tutto ciò che aveva fatto era cosa molto buona (Gen 1,31). Si entrerà così nel compimento del settimo giorno, quello della pienezza: “Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro” (Gen 2,2), poiché tutto è stato compiuto.

Giunti al termine di questa lunga riflessione sulla “Laudato si” è da chiedersi che cosa il Papa abbia voluto realmente denunciare con questa enciclica: se il degrado ambientale o quello dell'uomo, colto in tutte le sue espressioni individuali e sociali. Al di là del continuo sottolineare la profonda ed intima solidarietà e comunione tra l'uomo e il creato, biblicamente attestate (Gen 6,5-7.11-13; Rm 8,19-23), il § 217 lascia intendere che il vero oggetto del suo accorato appello non è il creato, bensì lo stato di profondo degrado spirituale, morale e culturale in cui questa umanità, in particolar modo quella occidentale, sta versando e di cui il degrado ambientale è soltanto un consequenziale quanto tragico effetto: “Se «i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi», la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore”, che deve coinvolgere l'uomo nella sua interezza.

Giovanni Lonardi


PROSPETTO GENERALE DELL'ENCICLICA

INTRODUZIONE

LAUDATO SI’, mi’ Signore [1-2]


CAPITOLO PRIMO

QUELLO CHE STA ACCADENDO ALLA NOSTRA CASA [17-19]


I. INQUINAMENTO E CAMBIAMENTI CLIMATICI

II. LA QUESTIONE DELL’ACQUA [27-31]

III. PERDITA DI BIODIVERSITÀ [32-42]

IV. DETERIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELLA VITA UMANA E DEGRADAZIONE SOCIALE [43-47]

V. INEQUITÀ PLANETARIA [48-52]

VI. LA DEBOLEZZA DELLE REAZIONI [53-59]

VII. DIVERSITÀ DI OPINIONI [60-61]


CAPITOLO SECONDO

IL VANGELO DELLA CREAZIONE [62]


I. LA LUCE CHE LA FEDE OFFRE [63-64]

II. LA SAPIENZA DEI RACCONTI BIBLICI [65-75]

III. IL MISTERO DELL’UNIVERSO [76-83]

IV. IL MESSAGGIO DI OGNI CREATURA NELL’ARMONIA DI TUTTO IL CREATO [84-88]

V. UNA COMUNIONE UNIVERSALE [89-92]

VI. LA DESTINAZIONE COMUNE DEI BENI [93-95]

VII. LO SGUARDO DI GESÙ [96-100]


CAPITOLO TERZO

LA RADICE UMANA DELLA CRISI ECOLOGICA [101]


I. LA TECNOLOGIA: CREATIVITÀ E POTERE [102-105]

II. LA GLOBALIZZAZIONE DEL PARADIGMA TECNOCRATICO [106-114]

III. CRISI E CONSEGUENZE DELL’ANTROPOCENTRISMO MODERNO [115-121]

CAPITOLO QUARTO

UN’ECOLOGIA INTEGRALE [137]

I. ECOLOGIA AMBIENTALE, ECONOMICA E SOCIALE [138-142]

II. ECOLOGIA CULTURALE [143-146]

III. ECOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA [147-155]

IV. IL PRINCIPIO DEL BENE COMUNE [156-158]

V. LA GIUSTIZIA TRA LE GENERAZIONI [159-162]


CAPITOLO QUINTO

ALCUNE LINEE DI ORIENTAMENTO E DI AZIONE [163]


I. IL DIALOGO SULL’AMBIENTE NELLA POLITICA INTERNAZIONALE [164-175]

II. IL DIALOGO VERSO NUOVE POLITICHE NAZIONALI E LOCALI [176-181]

III. DIALOGO E TRASPARENZA NEI PROCESSI DECISIONALI [182-188]

IV. POLITICA ED ECONOMIA IN DIALOGO PER LA PIENEZZA UMANA [189-198]

V. LE RELIGIONI NEL DIALOGO CON LE SCIENZE [199-201]


CAPITOLO SESTO

EDUCAZIONE E SPIRITUALITÀ ECOLOGICA [202]


I. PUNTARE SU UN ALTRO STILE DI VITA [203-208]

II. EDUCARE ALL’ALLEANZA TRA L’UMANITÀ E L’AMBIENTE [209-215]

III. LA CONVERSIONE ECOLOGICA [216-221]

IV. GIOIA E PACE [222-227]

V. AMORE CIVILE E POLITICO [228-232]

VI. I SEGNI SACRAMENTALI E IL RIPOSO CELEBRATIVO [233-237]

VII. LA TRINITÀ E LA RELAZIONE TRA LE CREATURE [238-240]

VIII. LA REGINA DI TUTTO IL CREATO [241-242]

IX. AL DI LÀ DEL SOLE [243-246]


Preghiera per la nostra terra

Preghiera cristiana con il creato