STORIA DELLA CHIESA
L'ETA' MODERNA
( 1500 - 1900 )
(Elaborazione dei miei appunti integrati con sunto e riflessioni sull'opera
"L'età moderna" di Guido Zaghegni - Ed. San Paolo Srl 1995)
Quando si parla della storia della Chiesa nell'età moderna, il pensiero corre subito al grande evento della Riforma protestante e a quella cattolica, che ha trovato il suo vertice nel Concilio di Trento (1545-1563) e a tutto ciò che ne è conseguito.
Pur non togliendo nulla alla verità di questi grandi eventi fondamentali, tuttavia non va mai dimenticato che la dinamica della vita della Chiesa è sempre stata improntata ad una continua ricerca di rinnovamento interiore.
Si pensi, in proposito, alla grande svolta costantiniana (313) che ha collocato la chiesa al centro dell'attenzione dell'impero romano imprimendole, di lì a breve, un'impronta di universalità. Si ricordi, in tal senso l'editto "Cunctos populos" (380) di Teodosio il Grande, che definisce la chiesa come cattolica, cioè universale, adottandola quale religione dell'impero, in opposizione alle varie teorie eretiche.
Ma fu proprio a partire da questa svolta che la Chiesa incominciò a sprofondare e ad impantanarsi nella secolarizzazione, che ha trovato in Carlo Magno (768-814), prima, e in Ottone I (936-973), poi, il suo vertice. Segnali evidenti della decadenza furono la perdita della sua libertà a favore dell'Impero, la simonia e il nicolaismo, che degradarono notevolmente la sua figura morale.
In questo contesto di decadenza, sorse la grande figura di Gregorio VII (1073-1085) che, con il suo "Dictatus papae" (1075) e la lotta per le investiture condotta contro le pretese di Enrico IV (1056-1106), gettò le basi del rinnovamento che si concretizzò nel concordato di Worms, tra papa Callisto II ed Enrico V (23.9.1122) e culminò con il papato di Innocenzo III (1198-1216), che segnò l'apogeo e lo splendore massimo della Chiesa medievale, ma che trovò, anche, a partire da Bonifacio VIII (1294-1303) in poi il suo inesorabile e definitivo declino.
Dal 1309 fino al 1378 ebbe luogo il periodo avignonese del papato, durante il quale la Chiesa passò sotto il dominio francese per quasi un settantennio e fu all'origine del grande scisma di occidente (1378-1414), che spaccò letteralmente in due, contrapponendola al proprio interno, la cattolicissima Europa.
Un grande scandalo di una Chiesa ormai decadente, perché troppo legata al potere politico al punto tale da aver perso la propria identità e il senso della propria missione.
E' proprio in questo contesto di grande crisi, durata quasi quarant'anni, che si cercò, con il Concilio di Costanza (1414-1418), di porvi rimedio. Da questo Concilio, che voleva essere di rinnovamento per una Chiesa invischiata in continue lotte per l'affermazione degli interessi di potere dei singoli papi, sgorga il "Conciliarismo", sancito dai decreti conciliari "Haec Sancta" e "Frequens", con cui si stabiliva la superiorità del Concilio sul Papato. Una necessità che va letta e compresa all'interno del caos in cui era caduto il papato, incapace di rispettare la propria dignità e quella della Chiesa e fonte di grandi divisioni e di lotte all'interno della Cristianità.
Le finalità del concilio consistevano essenzialmente nella ricomposizione dello scandaloso scisma, nonché la riforma della Chiesa "in capite et in membris".
Molti, dunque, i tentativi di rinnovamento che si effettuarono all'interno della Chiesa lungo i secoli, anche se non sempre portarono i frutti sperati. Tuttavia, tali tentativi stanno a testimoniare la perenne vitalità della Chiesa e il suo costante sforzo di rinnovamento, che non viene a mancare neppure nel periodo che ci accingiamo a studiare: l'Età Moderna (1500-1900).
Nessuna epoca muore senza preannunciare in sé quella successiva. Nessuna epoca nasce senza affondare le sue radici in quella precedente.
Così avviene anche per il periodo che stiamo affrontando. Esso è un momento cruciale perché segna il passaggio da un'Europa medievale, nata dall'incontro e dalla laboriosa fusione delle popolazioni germaniche con l'Impero romano e della loro cultura, ad una Europa moderna che si scrolla d'addosso l'eredità medievale, che non è più sentita adeguata alla nuova realtà, che si va delineando, e non è più in grado di dare le giuste risposte ad un nuovo modo di sentire e percepire le cose.
Gli elementi che determinarono la crisi del mondo medievale e del suo sistema di vita furono molteplici e convergenti: un nuovo assetto politico che concorre alla formazione dei nuovi stati; la nascita di un nuovo modo di vedere e sentire le cose, denominato Rinascimento e Umanesimo; si aprono nuovi orizzonti alla scienza, che fa a pugni con la medievale concezione del mondo e del cosmo; nuove scoperte geografiche che aprono a nuove situazioni sociali ed economiche; profondo stato di decadimento nelle istituzioni ecclesiastiche.
Vediamo, ora, da vicino questi elementi che, nel loro insieme, formano il crogiuolo entro cui si macera e si forma un nuovo impasto di società e un nuovo modo di sentire che costituirà il volto della nuova Europa e fungeranno da prologo a quella contemporanea.
I primi segnali di una situazione in forte cambiamento si ebbero nelle contese prodotte tra Bonifacio VIII (1294-1303) e Filippo IV, detto il Bello. Un papato decisamente cadente che voleva ritornare agli antichi splendori di Innocenzo III, ma fallì miseramente. La superiorità del "gladius spiritualis et materialis" non era più accetta sic et simpliciter, ma venne contestata e respinta.
Di fronte ai soprusi di Filippo IV nessuno stato europeo intervenne in difesa del papa, segno questo di un mutato clima politico. Si stava, infatti, profilando una nuova coscienza e una nuova identità all'interno degli Stati, che si sentivano sempre meno dipendenti dal papato e dall'impero e andavano, invece, affermando sempre più la loro indipendenza e la loro autonomia.
Si andava delineando, inoltre, una nuova classe burocratica di laici direttamente al servizio del re e dello stato e da cui il clero dipendeva sempre più.
L'idea della "Christianitas", sotto la guida del papa e dell'imperatore, si andava sempre più sbiadendo fino a scomparire nell'individualismo dei singoli stati che, invece, cercano di consolidarsi all'interno ed espandersi all'estero, avvalendosi di una diplomazia più astuta e smaliziata e con mezzi finanziari e militari più efficaci.
Ogni principe pensa soprattutto a se stesso e a consolidare la propria posizione, i propri interessi e quelli della sua famiglia.
I maggiori stati europei, Inghilterra, Francia e Spagna, si sono sciolti dagli antichi vincoli della feudalità e hanno rivendicato la piena autonomia e sovranità, contestando le pretese papali.
La debolezza del papato e dell'impero favoriscono in Germania la formazione degli Stati territoriali, che si rivoltano contro il papa e l'imperatore. Il papa e la sua Curia sono sentite sempre più come potenze straniere, di cui liberarsi. I principi-vescovi si vedono contestata contemporaneamente la loro autorità sia temporale che spirituale.
In conclusione si può dire che il periodo di lotte interstatali che va dal XII al XV secolo costituisce il naturale crogiuolo in cui si forma il nuovo sistema degli Stati europei, basato sul "principio dell'equilibrio" (1400) con il quale, attraverso un sistema di alleanze, si cercava di scongiurare l'egemonia di qualche potenza sulle altre.
Una fase importante del Medioevo e della Chiesa furono il Rinascimento e l'Umanesimo, che costituirono la preparazione al passaggio verso l'Età moderna. Si tratta, dunque, di una fase di crescita e di evoluzione culturale e spirituale verso un mondo in cui non c'è più, almeno in termini predominanti il carattere del sacro e del religioso. Un mondo che dalle teocrazie imperiali e ierocrazie papali si evolve verso una realtà storico-culturale in cui l'uomo, prendendo coscienza del proprio valore come individuo razionale, si evolve verso l'affermazione della propria autonomia dal mondo del sacro e del religioso e, talvolta, in contrapposizione ad esso.
Si tratta, dunque, di un movimento culturale che fa da ponte tra il Medioevo e l'Età moderna e si pone idealmente tra il 1304 (nascita del Petrarca) e il 1550 circa. Caratterizzato dalla riscoperta e dalla rinascita del mondo dei classici pagani, visti come l'epoca d'oro dell'umanità, da cui scaturisce una rinnovata cultura improntata al naturalismo e al paganesimo, contrapposta a quella religiosa e sacra del Medioevo. Da ciò si origina uno spirito critico dell'uomo rinascimentale nei confronti di tutto ciò che è sacro.
E' una sorta di liberazione interiore dell'uomo dalle Teocrazie/Ierocrazie medievali, conseguente al formarsi di una nuova coscienza: l'uomo si scopre più come un'entità razionale e autonoma che come un essere religioso e dipendente. E' una sorta di Illuminismo ante litteram.
All'interno del Rinascimento si sviluppa l'Umanesimo, quale corrente letteraria e culturale, nata in Italia e favorita dalla presenza di letterati greci, venuti in Italia a seguito dei Concili e della caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453).
All'interno di questo umanesimo rinascimentale si pone quello cristiano, legato all'accademia platonica di Firenze di Cosimo de' Medici, ed è caratterizzata dalla "Docta pietas", che mostra interesse per una fede maggiormente interiorizzata, per la crescita morale e spirituale dell'uomo religioso in opposizione alle scienze logiche, che sono disprezzate. Si impone il gusto dei classici latini e il culto dell'antichità fino ad imitarla nei costumi della vita quotidiana
A tale rinnovamento non fu insensibile la Chiesa, che cercò in esso una riscossa del papato, abbellendo di splendore Roma.
Ma in questa ricerca di splendore temporale la Chiesa perse quello spirituale, così che la civiltà rinascimentale, con i suoi aspetti mondani, finì per dominare la gerarchia ecclesiastica. Sono, infatti, proprio di questo periodo i papi che ebbero una condotta morale che potremmo eufemisticamente definire disdicevole e vergognosa.
Se la vita del papato rinascimentale non fu proprio esemplare, potremmo dire che essa toccò il fondo con Alessandro VI (Rodrigo Borgia, 1491-1503).
In un clima e in un ambiente così corrotti nacquero spontanei, per reazione, movimenti spiritualisti che puntavano ad una riforma generale della Chiesa e ad una sua moralizzazione.
"Pro reformatione Ecclesaie Dei in capite et in membris" fu lo slogan di questi movimenti, che affondavano le loro radici nella profonda religiosità popolare sostenuta dall'Osservanza degli Ordini dei Mendicanti e dei Benedettini.
All'interno di questi movimenti vanno ricordate figure innovatrici come quella di Girolamo Savonarola, Caterina Fieschi, Paolo Giustiniani ed altri ancora.
All'interno dell'Umanesimo si colloca la figura di Erasmo da Rotterdam (1469-1536), canonico regolare agostiniano nonché grande umanista che molto influì sulla sua epoca e sulla stessa Riforma. Per molti fu l'elaboratore di idee di cui si servì, poi, Lutero. Il suo intento era di creare una sintesi tra l'umanesimo e la teologia in vista della vita cristiana. Sottolineava la necessità di un ritorno alle fonti bibliche e patristiche, dove era possibile ritrovare la purezza del cristianesimo.
Nella sua "Laus stultitiae" (Elogio alla follia) svolse una critica feroce sugli abusi presenti nella vita della Chiesa; in particolar modo contro l'assenza di spiritualità, contro l'esteriorità e il prevalere dell'interesse per le cose materiali nella Chiesa. Una critica che si radica nella forte spiritualità di Erasmo e nel grande amore che egli nutriva per la Chiesa.
Non vide bene la riforma luterana, che giudicava foriera di ribellioni e di intolleranza. Nella sua opera "Philosophia Christi", animata da uno spirito antiscolastico, considerava la filosofia scolastica come troppo sofistica e inutile per la vita e la pietà cristiana, auspicando, invece, un ritorno alla semplicità e alla purezza della chiesa primitiva. Il suo tema di fondo è educare ad un cristianesimo pratico, ad una vita vissuta cristianamente e all'amore fraterno.
Dal sapere delle Università che veniva trasmesso attraverso un testo guida, inteso come "Auctoritas", corredato dal commento del Magister, capace di risolvere tutti i dubbi con la sua autorità, si passò alle Accademie, in cui ognuno collaborava alla ricerca della verità. Si impose come metodo di ricerca quello sperimentale, che sostituì quello filosofico. La verità da deduttiva divenne induttiva. Tutto ciò pose le basi per la nuova scienza.
E' questa l'epoca di Copernico, Keplero, Galileo, Cartesio e Newton.
Il passaggio a questo nuovo metodo di ricerca della verità, ritenuto dissacratore e blasfemo, non fu indolore e si scontrò con il sapere filosofico e teologico allora ancora prevalente. Il caso Galileo è emblematico di quest'epoca.
Un elemento che ebbe un'incidenza notevole nella formazione dell'Età moderna, con risvolti sociali ed economici, fu la scoperta del Nuovo Mondo, reso possibile dall'evolversi delle scienze matematiche di cui si è accennato sopra.
Ciò portò alla scoperta di nuovi orizzonti, al di là dei ristretti spazi del Mediterraneo, prima inimmaginabili.
Questo portò la "Vecchia Europa" in contatto con nuove realtà che hanno una storia, una religione, una cultura completamente diverse dalla propria e con cui fare i conti e non riducibili alla propria cultura e al proprio modo di pensare.
Nacquero nuove figure sociali: esploratori, conquistatori, missionari; ci si aprì a nuovi commerci transoceanici che decretarono la fortuna dei Paesi europei e in particolare della potenza spagnola che, sul commercio e sul depredare il Nuovo Continente, creò la sua fortuna, ma con il suo vivere parassitario mise anche le basi della sua decadenza.
Le ricchezze depredate al Nuovo Mondo costituirono la fortuna dell'Europa dei nuovi stati, ma produsse anche un nuovo fenomeno fino ad allora sconosciuto: l'inflazione dei prezzi e una nuova povertà delle classi meno abbienti.
Papato avignonese (1309-1378) e il conseguente quarantennio del grave Scisma d'Occidente (1378-1414) portarono ad un disorientamento dottrinale e ad un rilassamento dei costumi che né i vari concili né i deboli interventi del papato posero rimedio.
Immerso nella ricerca del proprio tornaconto materiale; nell'affermazione del proprio potere e di quello delle proprie famiglie; impegnato ad accumulare ricchezze e in sottili giochi di potere e in intrighi politici, l'alto clero, costituito prevalentemente da vescovi, trascurava totalmente la "cura animarum", per la quale godevano uno specifico beneficio, ma da essa separato, mentre avrebbe dovuto esservi legato.
A ciò si poneva rimedio con un male peggiore: la sostituzione del titolare con dei vicari, in genere poco istruiti e mal retribuiti. Si veniva a creare in tal modo un sistema di mercenariato pastorale. Si diffondeva in tal modo la piaga della "non residenza".
Il criterio di scelta dei vescovi e dei cardinali non era certo quello pastorale o del bene della Chiesa, ma soltanto quello dell'appartenenza della famiglia, del grado di nobiltà e del nepotismo, con cui si cercava di sistemare figli illegittimi e parenti vari. Non erano esclusi fenomeni come quello della simonia e dell'eredità del potere. Si va alla ricerca dei benefici e al loro accumulo.
Se poco esemplare e moralmente vergognosa, eufemisticamente parlando, era la situazione dell'Alto Clero, non da meno era quella del Basso Clero.
Non esistevano seminari o istituti di formazione del Clero e dei religiosi in genere; pochi erano quelli che possedevano titoli di studio qualificanti e idonei, tra i quali spesso non figuravano adeguati studi di teologia.
In questo quadro desolante, è facile intuire come la formazione del Basso Clero era pressoché inconsistente se non inesistente.
In genere si "studiava" a fare il prete presso qualche parroco. Era una sorta di apprendistato pratico.
Prima dell'ordinazione si sosteneva un esame presso il teologo del vescovo. Si richiedeva una conoscenza minima del latino, giusto per saper leggere il messale, ma non sempre per capire quello che si leggeva. La conoscenza della teologia era ridotta a qualche nozione pratica circa i sacramenti, spiegazione del credo e del decalogo, ma niente di più.
Alla scarsa o inesistente cultura del Clero si aggiungevano, poi, le piaghe del concubinato, la conseguente nascita di figli, la simonia e, spesso, l'insufficiente vita spirituale.
Simili problemi esistevano, poi, nell'ambito dei religiosi: non osservanza dei voti, numero esorbitante rispetto alle necessità della popolazione in cui erano inseriti, reclutamento non selezionato dei candidati alla vita religiosa, inosservanza degli statuti propri del monastero o del proprio ordine.
Nonostante il grande sviluppo del pensiero teologico dei sec. XII e XIII, che da una teologia di tipo contemplativo e sapienziale passò ad una di tipo scientifico e sistematico, la pietà devozionale della gente rimase legata alla tradizione ed assunse una coloritura monastica.
In particolare, a) si ricorse alla preghiera delle Ore, che scandiva la giornata in sette momenti; b) si formavano dei florilegi, cioè raccolte di parti di salmi per laici; c) erano diffusi i "Precum libelli", cioè raccolte di preghiere poste sulla scia della tradizione; d) si sviluppò un'ampia letteratura devozionale, piena di spiritualità e di buoni sentimenti; e) la vita di Gesù, la sua passione e sua madre Maria divennero oggetto di preghiere, meditazioni e imitazioni.
La vita religiosa, benché superficiale e talvolta infarcita di pratiche magiche e superstizioni, era sostanzialmente buona.
Essa era segnata dal bisogno di Dio, da una ricerca più profonda e interiore della fede ed era accompagnata dal culto dei santi, dalla ricerca e venerazione delle reliquie, delle indulgenze.
Una religiosità che si accompagnava ad un diffuso senso di insicurezza e di precarietà del vivere, che generava la paura del vivere, che si traduceva in inquietudine di fronte ad un futuro alquanto incerto.
Si percepiva forte l'incubo di una morte incombente a causa di guerre, epidemie, carestie e pestilenze. Il mondo era concepito come un luogo cupo, irrazionale e angosciante, percorso da continue attese milennaristiche, dominate dalla presenza di forze demoniache, da anticristo, streghe, magie, superstizioni.
Tutto ciò ha portato il popolo a rifugiarsi nella religiosità, l'unica capace di dare sicurezza.
Già a partire dal Concilio di Vienne (1312), ma anche in quello di Costanza (1414-1418), di Basilea, Firenze ed altri ancora, si esprimeva l'esigenza di una radicale riforma all'interno della Chiesa. La parola d'ordine ricorrente era "Reformatio ecclesiae in capite et in membris" e costituiva il tema fondamentale della Chiesa dei secoli XIV-XVI. Si fa strada l'idea che la riforma, per essere efficace, deve partire sempre dall'alto e da se stessi: prima togliere la trave dal proprio occhio, poi la pagliuzza in quello degli altri.
Questa esigenza serpeggia in tutta Europa e trova una duplice risposta: quella protestante e quella cattolica le quali, benché apparentemente opposte, in realtà sono sottese entrambe da un unico desiderio: riportare la Chiesa a livelli di maggiore credibilità.
I punti di partenza, però, sono diversi: per i protestanti si deve partire da Dio (tema della giustificazione e del peccato; "sola gratia", "sola Scriptura", "sola fide", Solus Christus"); per la Chiesa cattolica dalla propria vita interna, sacramentale, liturgica, ecc. Posizione che Lutero stimerà superficiale e insufficiente, perché opera di uomini e non di Dio.
Alla vigilia della riforma, si prospettava una profonda crisi della vita religiosa dovuta prevalentemente a: a) cambiamenti sociali, economici e politici; b) scisma della chiesa occidentale, che ha spaccato letteralmente in due l'Europa, creando gravi casi di coscienza fra la gente comune; c) controversie e rivalità tra religiosi e clero e, all'interno dei religiosi, tra i diversi ordini; d) rilassamento della disciplina e della vita spirituale a causa di una continua ricerca di privilegi e dispense dalle regole; e) scarsa cura nel reclutamento dei novizi e nella loro formazione, spesso del tutto insufficiente.
A fronte di tale crisi si è cercato, a partire dalla base, di porvi rimedio: nascono nuovi ordini; si cerca di ricondurre la vita nei monasteri alla purezza della regola primitiva. In quest'ottica nascono le "Osservanze", che sono un movimento che si sviluppa tra il 1250 e il 1530 all'interno degli stessi conventi e la cui finalità e di ricondurre la vita monacale all'originaria purezza della regola del proprio fondatore. Esse hanno una duplice partenza: dall'alto, è il caso dell'ordine dei benedettini, che costituiscono all'interno del loro ordine dei conventi appositi per coloro che desiderano vivere alla lettera la regola del loro fondatore. Questa abile mossa, prevenendo i desideri di una buona parte dei monaci, ha fatto si che questo movimento rimanesse sotto la tutela dell'ordine generale, cosa che non si verificò per i Francescani. Dal basso, come nel caso dei Francescani, nel cui interno si costituiscono gruppi, sempre più autonomi e in contrapposizione ai conventuali, che vivono con rigore la regola di S.Francesco. Tutto ciò porterà alla spaccatura dell'ordine stesso, sancita definitivamente dalla bolla papale di Eugenio IV "Ut sacra".
Si sviluppa una nuova proposta di vita cristiana: la "Devotio moderna". Si tratta di un vasto movimento spirituale che investe ogni cristiano, chiamato a condurre una vita di fede profonda e autentica, basata su una devozione personale interiore ed affettiva. Essa consisteva in un programma pratico e metodico di lettura e meditazione della Bibbia, congiunta ad una intensa vita di preghiera e meditazione.
Si fondano oratori, congregazioni, compagnie della carità, che sorgono nelle varie città. Da ricordare, particolarmente, la Compagnia del Divino Amore, fondata a Genova nel 1497 da Caterina Fieschi Adorno, costituita da 36 laici e 4 sacerdoti, con lo scopo di favorire la vita spirituale personale e attività caritative per l'assistenza degli appestati negli ospedali e malati incurabili.
Nel corso del XVI sec. nascono nuovi ordini di "chierici regolari", cioè che seguono una regola, basata sui consigli evangelici, (teatini, barnabiti, gesuiti, somaschi, ecc.) e danno vita alla nuova figura del "prete riformato". Essi vivono una vita paramonacale, benché da essa distinta: vivono in comunità sotto un superiore, in case comuni anziché in conventi, hanno un governo centralizzato e si dedicano alla pastorale, allo studio e alla formazione personale. Vivono in una situazione di povertà apostolica per esser segno contro il lusso sfrenato della Chiesa.
Quanto agli ordini femminili, la riforma si compie sotto l'egida di quelli maschili e si trovano in una situazione analoga, con una spiccata tendenza alla clausura, ma non soltanto. Gli ordini maggiori, infatti, sono aperti alla vita pastorale e alle opere caritative.
MARTIN LUTERO
Martin Lutero nacque a Eisleben nel 1483 da una famiglia semplice e non particolarmente agiata. Il clima familiare e l'educazione ricevuta erano improntate alla severità e alla durezza.
Compie i suoi studi ad Erfurt dove, nel 1505, consegue il dottorato in filosofia. ma è proprio durante l'anno del dottorato che qualcosa si rompe in Lutero: la sua spensieratezza giovanile viene sostituita da una profonda inquietudine del vivere. Egli incomincia a chiamare peccato ogni manifestazione della concupiscenza, da cui non riesce a liberarsi e non si sente purificato dai peccati.
Legge alcuni libri di mistici, cercandovi inutilmente una risposta. Egli non riesce a scindere la concupiscenza, intesa come espressione della connaturata fragilità dell'uomo, dal peccato. Da qui nasce l'idea dell'assoluta nullità dell'uomo di fronte a Dio e della necessità di abbandonarsi passivamente a Lui.
Di questa sua inquietudine e di queste sue certezze ossessive si fa un assiduo diffusore, una volta divenuto professore. Dal 1530 si ritira in un isolato silenzio, mentre le sue idee cominciavano a penetrare in molti animi. Il nuovo mondo che egli aveva incominciato a creare passa, da questo momento in poi, nelle mani di altri, quali Zwingli, Melantone e Calvino.
Decisivo fu per la sua vita l'episodio del temporale, durante il quale un fulmine colpisce il gruppo in cui si trova, ma ne rimane illeso. Rivoltosi a S.Anna, grida che si farà monaco se preservato. E così, contro la volontà paterna, entra nel convento degli Agostiniani, di rigida osservanza. Qui si sottopone a dure penitenze ben oltre a quanto richiedeva la stessa regola. Ma tutto ciò, invece di portalo alla serenità, lo getta in una cupa disperazione.
Durante la celebrazione della prima messa viene colto da un violento raptus emotivo che gli rende difficile la conclusione della stessa messa.
Il problema che inquietava profondamente Lutero era il seguente: come può l'uomo peccatore essere giustificato davanti a Dio? E come può avere la certezza della sua giustificazione?
Come si può ben intuire, la riforma di Lutero è strettamente legata al suo tormento interiore e nasce come sua risposta.
Per quanto Lutero vivesse con impegno e generosità la sua vita di monaco, prevaleva in lui la convinzione di essere un peccatore. Il vangelo veniva vissuto come una legge ferrea e incombente e questo lo gettava nella disperazione; mentre la giustizia di Dio era vissuta come ira divina punitiva contro il peccatore.
Decisivo per la Riforma, ma ancor prima per la sua tormentata e inquieta vita interiore fu l' "esperienza della Torre", dove era collocata la sua stanza nel convento, che operò in lui una liberazione dalle sue ossessioni e paure. Tale esperienza è collocabile tra il 1514 e il 1518.
Il tutto consiste in una illuminazione circa il passo della lettera ai Romani 1,17: "E' in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: il giusto vivrà mediante la fede". Tutto il problema di Lutero era incentrato nella parola "giustizia di Dio" con la quale egli intendeva l'ira di Dio che si scaglia giustamente sul peccatore per punirlo. Ed egli si sentiva irrimediabilmente peccatore.
Ed ecco che all'improvviso comincia a capire che la giustizia di cui si parla è quella che Dio dona e grazie alla quale il giusto vive se ha fede. Subito si sente rinascere e liberato da un gravame che lo tormentava da molti anni.
L'esperienza della Torre, quindi, consiste nella illuminazione del concetto di "giustizia di Dio", prima compresa come retribuzione e, quindi, punitiva per l'uomo peccatore; ora come azione di misericordia verso l'uomo peccatore.
Il contesto in cui si sviluppa la controversia sulle indulgenza vede una Germania religiosa tutta intenta alla ricerca tangibile della salvezza, che si concretizzava nella raccolta delle reliquie dei santi e delle indulgenze.
L'occasione fu offerta da papa Giulio II che, per sopperire alle spese per la costruzione della basilica di S.Pietro, aveva indetto un'indulgenza generale per tutta la Chiesa. L'arcivescovo Alberto di Brandeburgo, avendo un debito con la Curia romana per la sua nomina presso la sede di Mgonza, ebbe l'appalto, mentre la raccolta dei soldi e la loro trasmissione a Roma era affidata ai banchieri Fugger di Augusta.
In questo clima, spesso i predicatori si lasciavano andare a delle esagerazioni come quella del predicatore domenicano Hans Tetzel, il quale afferma che "Non appena si getta una moneta nella cassetta delle elemosine, un'anima esce dal purgatorio".
Per Lutero, che aveva sostenuto una dura lotta contro la disperazione e il peccato, questo modo di affrontare il problema fu davvero troppo!
In risposta alla predicazione del Tetzel Lutero, secondo l'usanza delle dispute universitarie, pubblicò 95 tesi che, nel giro di qualche settimana, si diffusero in tutta la Germania e, da lì, in tutta la Cristianità.
Le tesi seguono un ordine ben architettato: si parte dalla dottrina della penitenza, come contenuta nel Vangelo, per dimostrare che essa comporta una pena da portarsi per tutta la vita. Si enuncia, poi, il concetto di indulgenza, ristretta alle pene canoniche e non applicabile, comunque, alle anime del purgatorio. Si nega l'esistenza del "Tesoro della Chiesa" (il tesoro dei meriti di Cristo e dei santi) e il potere del papa di elargirle.
Il tono che vi aleggiava era nettamente antipapale, che invitava alla ribellione contro il papa. Questo, forse, fu l'errore più grave che Lutero commise. Non si può, infatti, negare ciò che si vuole riformare.
Ben presto la questione dalle indulgenze si spostò sulla ecclesiologia e i sacramenti, trasformandosi in un attacco globale alla Chiesa e ciò che sembrava un fatto marginale divenne un elemento centrale della vita della Chiesa e della stessa grande politica europea. Determinante, infatti, per la Riforma e il successo di Lutero furono gli eventi politici dell'epoca.
Lutero presentò le sue tesi all'arcivescovo Alberto di Brandeburgo, che le passò a Roma. Temendo una condanna, Lutero, forse per prender tempo, scrisse una lettera ossequiosa a Leone X, in cui riconosceva il primato papale. Ma non era sincero, poiché negli stessi giorni, prevenendo una possibile scomunica, lo negava.
Lutero ricevette un mandato di comparizione a Roma. Temendo il peggio, si rivolse al suo amico Spalatino, segretario molto influente di Federico di Sassonia, per sondare la possibilità che il processo si tenesse in Germania. E così avvenne. Non solo, ma il Caietano riceve l'ordine di interrogarlo paternamente e di rimandarlo libero a Wittenberg. La discussione non approda a nulla per l'incompatibilità delle posizioni: di tipo scolastico per il Caietano; di nuovo tipo per Lutero. Anzi, il colloquio avuto con il Caietano porta Lutero alla conclusione sulla necessità di separarsi da Roma, non più ritenuta come la vera chiesa cristiana.
Giovanni Eck, vice cancelliere dell'università di Ingolstadt, pubblica delle osservazioni sulle 95 tesi. La polemica si riaccende e sfocia nella famosa disputa di Lipsia, che si svolse su 13 tesi, i cui punti principali furono "libero arbitrio" e "primato papale". La disputa volse a favore di Eck, riconosciuto dallo stesso Lutero. Questa disputa portò in Lutero ad una nuova maturazione: la negazione dell'infallibilità del magistero, anche quello conciliare, e l'infallibilità, invece, della "Sola Scriptura". Di conseguenza arriva a negare la Chiesa e la sua sacramentalità e insieme rifiuta la Tradizione come normativa per la fede. In tal modo tutta la Chiesa e la sua storia vengono messe in discussione e respinte. Bisognava, dunque, ricostruire ex novo la casa dalle fondamenta. A ciò tesero gli scritti di Lutero del 1520. Tutto ciò provocò la condanna di Lutero con la bolla papale "Exurge Domine" del 15.6.1520 di Leone X , elaborata dagli stessi Caietano ed Eck.
Alla condanna Lutero risponde con la sua opera "De libertate christiana" in cui sviluppa due idee centrali: a) il cristiano è un uomo libero e non ha da assoggettarsi a nessuno. La Parola di Cristo accettata lo rende pieno di ogni bene e lo trasforma come il fuoco trasforma il ferro. b) Il cristiano è un servo volonteroso che si sottopone e si mette a servizio di tutti. Ma poiché l'uomo corporale è soltanto agli inizi della redenzione, occorre una forte ascesi personale per diventare uno spirituale. Da qui le opere buone che non sono finalizzate per ottenere dei meriti o la propria santificazione, ma soltanto a dimostrare l'amore disinteressato per Dio. Esse sono soltanto una testimonianza del proprio essere cristiani e niente più.
Dopo il colloquio con il Caietano e la disputa di Lipsia, Lutero interrompe il dialogo con la Chiesa e i teologi e si rivolge ai laici: la Riforma comincia ad assumere aspetti globali. Lutero afferma che bisogna riformare la Chiesa a partire dall'abbattimento di tre bastioni: a) il potere ecclesiastico, che viene disconosciuto con la proclamazione del sacerdozio comune a tutti cristiani, per cui tutti sono uguali: papa, vescovi, sacerdoti e cristiani. L'unica distinzione si basa sulle funzioni, che la stessa comunità assegna e che può anche revocare se l'eletto si mostra indegno. b) All'esclusivo diritto papale sull'esegesi Lutero contrappone la libertà di esegesi di ogni buon cristiano, che illuminato dall'azione dello Spirito, può raggiungere da solo la verità. Nega, quindi, l'infallibilità del papa circa l'esegesi sulla Scrittura. c) Quanto alla facoltà di convocare i concili, questa cade come logica conseguenza delle prime due tesi. Quando esiste una condizione di emergenza, ogni cristiano può convocare un concilio e più indicati a farlo sono coloro che detengono un'autorità civile.
A queste tre tesi segue un dettagliato programma di riforma della gerarchia ecclesiastica.
Nella sua opera "De captivitate babylonica ecclesiae" Lutero nega i sacramenti e ne ammette uno soltanto: il perdono dei peccati, che si manifesta in tre segni sacramentali: il battesimo, l'eucaristia e la penitenza, in qualche modo ad esso legati.
Le tre realtà che costituiscono il sacramento della penitenza sono: la Parola di Dio, la grazia concessa al penitente e la fede personale che crede che la remissione dei peccati sia stata concessa proprio a lui, il penitente.
L'imperatore cita Lutero davanti alla dieta di Worms che si tiene dal 16 al 25 aprile del 1521. Lutero vi giunge come in trionfo. Qui Lutero chiese tempo per riflettere sulla ritrattazione. Gli vennero concessi tre giorni di cui si servì per rifugiarsi presso il castello di Coburg, sotto la protezione del duca di Sassonia, Federico il Saggio. Qui vi rimase nuovamente assalito dai suoi incubi e dalle sue inquietudini di un tempo e compie una vasta opera letteraria, traducendo in tedesco anche il NT.
Nel frattempo le sue idee riformatrici avanzano e di queste si appropriano anche i contadini che provocano una rivolta insurrezionale, in cui si mischiano insieme questioni religiose e motivazioni sociali: essi vedono nella riforma di Lutero una possibilità di cambiamento del loro stato sociale.
Dapprima Lutero li invita alla moderazione, ma vista l'inutilità, prende una posizione decisa e nella sua operetta "Contro le orde ladre e assassine dei contadini", con linguaggio violento chiede di trucidarli come bestie o di ridurli in uno stato di schiavitù. La guerra duro circa un anno dal 1524 al 1525, data in cui Lutero celebrò le proprie nozze con Caterina von Bora il 13.6.1525. La cerimonia ebbe luogo nel monastero di Wittenberg, divenuto poi di sua proprietà. Da questo matrimonio ebbe sei figli.
Il motivo fondamentale del successo della riforma luterana va ricercato nella situazione politica del tempo, sia locale (rapporto principi tedeschi-imperatore) che internazionale (papa e imperatore arroccati su posizioni contrapposte). Nel 1524 cominciarono a formarsi dei veri partiti, da cui nacquero leghe politico-militari.
Nella prima dieta di Spira (1526) si stabilisce di rimandare l'applicazione della dieta di Worms del 1521; nella seconda dieta di Spira (1529) se ne stabilisce l'applicazione, per cui i violatori di Worms sarebbero stati deferiti al tribunale dell'imperatore. Cinque principi e quattro città, passate nel frattempo al zwinglinianesimo, protestarono. Da qui il termine "protestanti" dato a tutti i riformati.
Il pericolo turco e la situazione in Germania suggerirono all'imperatore di convocare la dieta di Augusta (1530) in cui vi presero parte anche i protestanti i quali presentarono all'imperatore la loro confessione luterana. E' la cosiddetta "Confessio augustana", a cui l'imperatore cercò di dare una risposta tentando una riconciliazione, ma inutilmente.
La dieta di Augusta si chiude con la conferma di quella di Worms, sottoscritta dai soli cattolici. Al fine di evitare l'applicazione della disciplina di Worms, i protestanti costituirono la "Lega di Smalcalda" per una durata di dieci anni.
Nel frattempo il protestantesimo si diffuse ampiamente. Ma terminata la guerra con la Francia e stabilita una tregua con i Turchi, l'imperatore Carlo V dichiara guerra contro la Lega di Smalcalda, che portò ad una radicalizzazione delle posizioni. Vista l'inutilità della lotta, l'imperatore la conclude nel 1555 con la pace di Augusta, firmata dal fratello di Carlo V, Ferdinando, che nel frattempo aveva abdicato.
Tre le clausole fondamentali di tale pace: a) i principi e i loro sudditi potranno aderire alla nuova religione; b) Vescovi o abati che si convertono al protestantesimo devono abbandonare le proprie funzioni, i propri benefici e il proprio Paese; c) Riconosce a quanti hanno abbracciato la "Confessio augustana" il diritto di rimanere nella religione che avevano abbracciato.
La pace di Augusta sancisce definitivamente la divisione tra la Chiesa cattolica e quella protestante in Germania, bruciando ogni possibilità di riconciliazione. E' durante questo periodo che il luteranesimo avrà la sua massima espansione, conquistando circa i due terzi della nazione.
Tuttavia, la pace di Augusta era ben lungi dal por fine alle controversie religiose, tanto che si andò profilando una lunga e sanguinosa guerra, in cui si contrapposero ancora una volta cattolici e protestanti. E' la guerra dei Trent'anni (1618-1648) che si concluse con la pace di Vestfalia del 1648.
Lutero vede nello Stato l'autorità suprema, l'unica in grado di garantire la pace e l'ordine, consentendo in tal modo ai cristiani di dedicarsi alla vita spirituale e al culto divino. Per ottenere questo risultato, ai sovrani e ai principi è concesso anche di violare le più naturali regole morali nonché lo stesso diritto. In buona sostanza hanno carta bianca.
Anche la Chiesa, in quanto fenomeno sociale, è soggetta all'autorità dello Stato. Del resto per Lutero, che nega una chiesa visibile, la vera chiesa è quella invisibile, che si pone all'interno dell'uomo, nel suo rapporto spirituale con Dio. La vera chiesa è soltanto una unione di anime.
Ne consegue anche una netta separazione tra il principe, in cui risiede il principio del bene poiché per suo mezzo opera direttamente Dio, e i suoi sudditi, in cui risiede ogni malvagità che va perseguita e repressa.
In sintesi, la concezione luterana dello Stato si può sintetizzare in cinque punti: a) lo Stato è il supremo garante dell'ordine; b) assenza di limiti al suo potere; c) sottomissione della Chiesa allo Stato; d) netta separazione del principe dal popolo; e) visione sacra del principe.
GIOVANNI CALVINO
Calvino nasce a Noyon in Francia il 10.7.1509 da una famiglia benestante. In famiglia riceve un'educazione rigida e severa. Viene avviato agli studi per essere destinato alla vita clericale. Costretto a fuggire dalla Francia, si rifugia a Ginevra, dove tra il 1532-33 si converte al luteranesimo, spinto dal desiderio di un ritorno alla Chiesa primitiva.
A differenza di Lutero, la cui riforma era partita dal proprio intimo tormento, Calvino riesce a dare alla riforma un respiro universale.
Secondo Calvino il ministero è lo strumento con cui Dio esercita la redenzione degli uomini e ad essi viene affidato. I ministeri sono voluti da Dio e, quindi, di diritto divino. Essi sono: i pastori, successori degli apostoli. Per parteciparvi serve una duplice chiamata: divina e umana, cioè della comunità. I dottori sono i professori di esegesi, controllano i fedeli e preparano in teologia i futuri pastori. Gli anziani, in numero di 12, devono vigilare sulla condotta dei fedeli e riferire alla Compagnia dei pastori. Il Concistoro è un vero tribunale che opera mediante la scomunica. I diaconi, la cui finzione deriva dal cap. 6 degli Atti, hanno la funzione di amministrare i beni della Chiesa e di assistere i poveri e gli ammalati. La loro elezione è affidata alla comunità.
Mentre Lutero parte da se stesso e dalla sua coscienza di non salvarsi, Calvino parte da Dio e dal suo eterno piano di salvezza.
Eliminato il magistero della Chiesa, perché fallibile, Calvino lo sostituisce con la sola Scrittura, l'unica in grado di essere veramente infallibile e giudica tutta la Tradizione della Chiesa. Lo Spirito Santo ispira l'autore sacro (si tratta di un'ispirazione quasi letterale) e agisce sul fedele per fargli comprendere il senso della Scrittura.
Per Calvino solo pochissimi vivono secondo la fede, la massa è da costringere con la spada.
La concezione che Calvino ha di Dio è di tipo veterotestamentario: tutto il piano di salvezza e di redenzione dell'uomo è previsto ab aeterno da Dio, la cui sovranità è libera e assoluta e non è condizionata neanche dai meriti dell'uomo.
In questo suo piano, Dio elegge fin dall'eternità, scegliendoli dalla massa di peccatori, coloro che egli vuole salvare. Tale scelta nasce da un libero decreto divino, noto solo a Dio, il quale stabilisce chi è destinato alla salvezza e chi, invece, alla perdizione eterna. Ma chi si trova in comunione con Cristo può dirsi certo della propria salvezza.
L'ecclesiologia di Calvino vede la Chiesa come il numero universale degli eletti in Cristo e che con lui formano un unico corpo. Egli è il capo di questa Chiesa. Tale chiesa è invisibile, ma si rende percepibile mediante la predicazione della Parola, i sacramenti e l'obbedienza alla fede, che si realizzano attraverso i ministri.
Quanto all'Eucaristia, Calvino non ammette la transustanziazione, ma vede in essa soltanto l'azione dello Spirito che unisce al pane e al vino Cristo stesso. Pane e vino, quindi, sono solo dei segni di una presenza, che non è fisica, ma solo una comunicazione della vita celeste, della vita nuova.
LA RIFORMA CATTOLICA
A partire dal XII sec. l'esigenza di una riforma (v. "una chiesa in continuo rinnovamento" - pag.1) era molto sentita e diffusa in tutti gli strati sociali e in particolar modo all'interno della stessa Chiesa. Riformare la Chiesa "in capite et in membris" era, ormai, diventato uno slogan consunto, ma quasi mai applicato. Tale esigenza si accentuò soprattutto tra il XV e XVI sec. finché non esplose violenta nella la riforma luterana, anche se non si deve dimenticare che segnali di riforma partenti dal basso già si erano avuti prima all'interno della stessa Chiesa (Devotio moderna, nuovi ordini religiosi, Compagnie del Divino Amore, Chierici regolari, Osservanze, sentita necessità di ricondurre la Chiesa alla sua purezza primitiva e ai valori evangelici, soprattutto quello della povertà).
Il tema della riforma, quindi, è sempre stato vivo e presente all'interno della Chiesa ed ha un respiro ampio, precedente alla riforma protestante stessa e indipendente da essa, anche se molti limiti e difficoltà interne alla Chiesa stessa le impedirono quel rinnovamento interiore di cui aveva estremamente bisogno e che il profondo degrado morale e spirituale in cui era caduta (v. la situazione dell'Alto e Basso Clero) denunciavano.
Ma, purtroppo, i molti tentativi di rinnovamento e di riforma della Chiesa erano destinati a rimanere inefficaci fintantoché questi non vennero promossi dai vertici. Soltanto così essi possono trovare la loro forza ed attuarsi.
Partito, quindi, da lontano (XIII sec. già con il Concilio Lateranense IV - 1215) questo "cammino riformista e rinnovatore", che percorse la Chiesa per molti secoli, trovò la sua naturale conclusione e un nuovo slancio nel Concilio di Trento (1545-1563). Tale concilio, quindi, non nacque dal nulla né fu causato dalla sola Riforma protestante, anche se in questa si potrebbe leggere l'elemento scatenante che scosse la Chiesa, addormentata nel suo splendore umanistico e rinascimentale in cui aveva perso la sua identità e il senso della propria missione, e la fece rientrare in sé facendole prendere coscienza, ma troppo tardi, dei suoi doveri e della sua missione.
Appelli ad un concilio riformatore vennero sia da Lutero che, ripetutamente, dalle diete tedesche. Carlo V, imperatore di Germania, è in linea di massima favorevole al concilio, ma trova opposizione sia da parte del papa Clemente VII, che teme un rigurgito di conciliarismo; sia da Francesco I, re di Francia, che teme dal concilio strane manovre politiche a suo danno. Durante questo periodo di incertezza la riforma luterana si va sempre più affermando.
Con Alessandro Farnese, che assunse il nome di Paolo III (1534-1549), si ebbe una svolta decisiva. Fu il papa che con opportuni interventi sia politici che riformatori, preparò la strada al concilio: a) attuò una politica neutrale della Chiesa, che favorirà nel 1544 con la pace di Crépy la fine, almeno provvisoria, delle ostilità tra Carlo V e Francesco I. Solo con questa pace Francesco I si dichiarò disponibile ad un concilio. b) Rinnovò il collegio cardinalizio inserendovi persone che, poi, si riveleranno determinanti sia per il futuro concilio, sia per la riforma della Chiesa. c) Nel 1537 favorì una seria riflessione sulla riforma della Chiesa, ispirata alla "cura animarum" e che si concretizzò nel documento "Consilium de emendanda Ecclesia", che avrà un notevole influsso sui decreti di riforma del Concilio di Trento. d) Appoggiò e favorì nuovi ordini religiosi, come la Compagnia di Gesù, i teatini, i somaschi, i barnabiti e i cappuccini.
Paolo III indice il Concilio a Mantova nel 1536, ma viene subito sospeso per le pretese del Gonzaga, signore della città: voleva un corpo d'armata di 5000 uomini. Francesco I ricusa la sede e la Lega di Smalcalda la rifiuta.
Una seconda volta il concilio venne convocato a Vicenza nel 1538, ma viene nuovamente sospeso per la ripresa della guerra tra Carlo V e Francesco I.
La terza volta viene convocato a Trento nel 1542, a causa di una ennesima guerra tra Carlo V e Francesco I.
Finalmente, dopo la pace di Crépy (1544), Paolo III, verso la fine del 1544 con bolla "Laetare Jerusalem", convocò il concilio a Trento per il 15 marzo 1545. Ma l'assenza di numerosi vescovi, timorosi per un possibile assalto da parte dei protestanti, fece slittare l'apertura del Concilio alla terza domenica di avvento, il 13 dicembre 1545.
Si apre così il XIX concilio ecumenico della storia della Chiesa. Presenti: 1 cardinale, 4 arcivescovi, 21 vescovi, 5 Generali di Ordini religiosi, 42 teologi e 8 giuristi, per un totale di 81 persone, benché si incrementassero fino a 225 padri della chiesa nell'ultima sessione. Ben poca cosa se pensiamo che i partecipanti di Nicea (325) erano 318; quelli di Calcedonia (451) erano 630; circa 700 quelli del Vaticano I (1870); oltre 2500 quelli del Vaticano II (1965); e considerata l'importanza che ebbe questo concilio sulla riforma della Chiesa.
Fu il concilio più lungo della storia, durato 18 anni, intervallato da lunghe interruzione e animato, talvolta, da feroci e drammatici confronti.
Il Concilio di Trento, scandito da 25 sessioni, a motivo della lunga durata, può essere suddiviso in tre periodi.
Comprende le prime dieci sessioni e vede subito lo scontro tra protestanti e cattolici: i primi vogliono la libera e personale interpretazione della Bibbia, mentre i cattolici confermano l'autorità della Chiesa di Roma in quanto infallibile in materia di fede.
Quanto alla Bibbia, il testo approvato è quello della "Vulgata" di S.Girolamo, dichiarata autentica. Viene rivalutata la teologia della "Summa Theologica" di S.Tommaso a cui bisogna rifarsi nelle discussioni teologiche, nonché alla Tradizione che viene affiancata alla pretesa della "Sola Scriptura" dei protestanti.
Viene sottolineato che il peccato originale si trasmette per propagazione e non per imitazione. Esso viene tolto dal battesimo, benché rimanga la concupiscenza, che in sé e per sé non è peccato, ma è soltanto l'effetto del peccato originale e inclina al peccato.
Quanto alla giustificazione si precisa che essa è la grazia di Dio mediante la quale una persona, da ingiusta che è, diventa giusta. Essa non solo produce la remissione dei peccati, ma anche rinnova interiormente l'uomo.
Viene condannata la posizione protestante sui sacramenti, precisando che tutti contengono la grazia, di cui sono segno efficace ed operano "ex opere operato, non operantis". Ne viene, infine, stabilito definitivamente il numero di sette.
Quanto agli aspetti disciplinari, spiccano in primis i doveri dei vescovi: obbligo di residenza nella diocesi; visita periodica alle chiese e loro riparazioni; controllo disciplinare del clero; norme per i canonici; cura degli ospedali e divieto di cumulo dei benefici.
L'11 marzo 1547, contro il parere dei vescovi imperiali, la maggioranza decide il trasferimento del Concilio a Bologna, con la scusa della diffusione di una pestilenza. Il vero motivo, però, era quello di sottrarsi all'ingerenza dell'imperatore, trasferendosi in un territorio dello Stato pontificio. Il trasferimento fu un errore, poiché si sospesero i lavori proprio quando Carlo V aveva vinto la Lega di Smalcalda a Muhlberg; e inoltre si approfondirono i dissensi tra Paolo III e Carlo V.
Nel 1549, su pressioni dell'imperatore, il Concilio venne interrotto con il proposito di riaprirlo a Trento. Ma proprio in quest'anno muore Paolo III e gli succede Giulio III, nepotista senza zelo per la riforma, che ebbe come unico merito quello di aver riaperto il Concilio.
Giulio III riapre il Concilio il 1.3.1551, ma la riapertura slitta a settembre dello stesso anno per la scarsa partecipazione di vescovi. Inoltre i protestanti mettono delle pregiudiziali al concilio: a) libertà dal giuramento di fedeltà al papa; b) annullamento dei decreti gia approvati; d) ripresa dei lavori dall'inizio. Le richiese vengono respinte e sfuma così la possibilità di una riunificazione.
Due i temi trattati: dottrina dei sacramenti, in specie Eucaristia, Penitenza ed Estrema unzione; e disciplina del clero.
Quanto all'Eucaristia, si precisa che sotto le specie del pane e del vino è contenuto l'intero Cristo (corpo, sangue, anima e divinità) veramente, realmente e sostanzialmente. Essa ci libera dai peccati veniali e ci preserva da quelli mortali.
Quanto alla Penitenza, essa ci libera da tutti i peccati, in particolare, quelli mortali ricostituendoci nella grazia di Dio. In proposito si richiede: contrizione, confessione e proposito accompagnato da opere di soddisfazione.
Quanto all'Estrema Unzione, essa viene definita un vero e proprio sacramento istituito da Gesù Cristo e promulgati da S.Giacomo.
Nella primavera del 1552, giunti alla XVI sessione, il concilio viene sospeso nuovamente per la ripresa della guerra tra la Francia e la Germania. Il concilio sembra fallire. Rimane infatti sospeso per ben dieci anni (1552-1562)
Papa Pio IV, zio di Carlo Borromeo, su suggerimento del nipote, apre la terza fase del Concilio. Questa fase è dominata dalla crisi religiosa in Francia e dalla minaccia del calvinismo. Si completa il programma dei sacramenti con il Sacrificio della Messa, l'ordine e il matrimonio. Si contestò la legalità della residenza dei vescovi, sul quale punto si rischiò una vera e propria crisi del Concilio, superata dalla determinazione e dall'abilità del card. Morone. Si portò a compimento la riforma dell'episcopato e del clero inferiore e dei regolari, nonché si affrontò, in poche righe (una trentina in tutto) il problema delle indulgenze, che la Chiesa ha avocato a sé.
Da un punto di vista disciplinare si definisce la questione della nomina e dei doveri dei vescovi; della convocazione annuale dei sinodi diocesani e triennale per quelli provinciali; visite pastorali biennali; conferimento delle parrocchie al clero più idoneo, a mezzo concorso; norme per monache e religiosi e restaurazione della clausura; norme sul tenore di vita dei prelati.
Il concilio si concluse il 4 dicembre 1563, dopo 18 anni dall'apertura. I decreti, firmati da 225 vescovi, vengono recepiti e convalidati dalla bolla "Benedictus Deus" del 26 gennaio 1564.
Tre furono gli obiettivi principali del Concilio: a) condanna dell'eresia in difesa del patrimonio dottrinale della Chiesa; b) riforma dei costumi nella Chiesa e abolizione degli abusi; c) unità dei cristiani.
Essi furono attuati solo in parte. Fallì, infatti, completamente la riconciliazione con i protestanti a motivo della loro intransigenza; mentre gli abusi vengono tolti solo parzialmente.
L'importanza di questo concilio è enorme per la Chiesa sia sul piano dottrinale che disciplinare. Sul piano dottrinale i decreti costituirono una chiara e netta risposta ai protestanti, mentre definiscono la vera dottrina cattolica, da cui balzano, ora, chiari gli errori di Lutero, ponendo fine alle incertezze del passato. Esso costituì una linea netta di demarcazione, in cui ognuno poteva identificarsi con la propria fede.
Quanto all'aspetto disciplinare rilevante fu l'obbligo di residenza dei vescovi e la sua definizione giuridica. Fu la base indispensabile per poter instaurare una vera e propria "cura animarum". La pastoralità è l'elemento fondamentale attorno a cui si accentrano tutti i decreti conciliari di riforma. Tale linea ha configurato il vero volto della Chiesa moderna.
In funzione della "cura animarum" si istituirono i seminari per la formazione del clero; si istituì una cattedra di sacra Scrittura presso ogni chiesa cattedrale e in ogni convento; si vietò il cumulo dei benefici; impose la residenza ai vescovi e ai parroci, insistendo sui loro doveri pastorali; prescrisse l'obbligo ai vescovi di sinodi diocesani annuali e provinciali ogni tre anni; l'obbligo dell'istruzione religiosa al popolo; riformò gli ordini religiosi ristabilendo la clausura e l'osservanza dei voti monastici.
I decreti conciliari conferirono vigore di legge alle riforme e al rinnovamento della Chiesa, ponendo le premesse per il lavoro apostolico dei secoli successivi.
I grandi papi della seconda metà del XVI sec. si impegnarono con il peso della loro autorità a far eseguire i decreti come la compilazione di un Indice dei libri proibiti, il catechismo romano, la riforma del Breviario e del Messale romano. La traduzione in pratica delle disposizioni tridentine divenne la direttiva preminente del papato, che negli Ordini religiosi nuovi o in via di rinnovamento trovò un valido appoggio. Gli stessi Nunzi apostolici, da semplici diplomatici, si proposero come promotori della riforma. I pontefici, poi, per imprimere incisività alla riforma, si orientarono nella scelta dei vescovi su uomini di grande struttura morale e fervido zelo apostolico, come ad es. Carlo Borromeo, il Giberti. In tal senso Pio V, nei suoi sei anni di pontificato, nominò ben trecento vescovi, animati dallo spirito di riforma e decisi ad attuarla.
Nonostante il vistoso impegno della Gerarchia, la riforma tridentina trovò non poche opposizioni e ostacoli. Le forze che si sentivano colpite nei loro interessi e privilegi opposero una fiera resistenza. La non residenza non fu facilmente eliminata.
La stessa istituzione dei seminari incontrò non poche difficoltà per il reperimento dei fondi necessari, la penuria di personale idoneo alla formazione, l'opposizione di università e collegi.
Ritardò, inoltre, la riforma degli Ordini religiosi e dei Capitoli delle Cattedrali le esenzioni dalla tutela vescovile della diocesi di appartenenza, di concessione papale, ottenute in tempi immemorabili, così che il vescovo non poteva visitarli e togliere gli abusi.
Ma gli ostacoli non furono solo di natura religiosa, ma anche politica. Infatti, perché i decreti conciliari avessero vigore dovevano avere il beneplacito dei sovrani dei vari Stati d'Europa, che veniva concesso dopo lunghe trattative, anche se in genere i vari stati non oppongono riserve.
In genere le cose non furono facili anche perché si trattava di superare una mentalità obsoleta, da secoli radicata, e di creare una nuova cultura: il clero, in molti casi, fu restio ad accettare il nuovo stile di vita proposto dalla riforma tridentina. Il basso clero non sempre accettò di indossare la veste talare, ad istruirsi, a insegnare il catechismo; mentre l'alto clero rifiutò di condurre una vita semplice e frugale; a fatica si cercò di vincere il concubinato. La ricchezza fu la grande debolezza dell'alta gerarchia.
Un'altra difficoltà, piuttosto curiosa, in cui incappò l'applicazione della riforma tridentina fu quel fenomeno definito "tridentinismo". Infatti, l'applicazione dei decreti conciliari e la loro interpretazione fu motivo di divergenza. Alcuni optavano per un'applicazione alla lettera, ed era la via romana; altri, invece, preferivano un'interpretazione più creativa e libera che, in buona sostanza, tradiva l'essenza dei canoni fino a capovolgerli, ed era la via dei pastori d'anime e delle missioni popolari.
La causa principale di tale difficoltà fu la resistenza ai cambiamenti dovuta ad una cultura e ad una mentalità ormai sedimentizzate e dure a morire: abitudini, difficili a vincere, e interessi personali o di categorie da difendere.
E' da tener presente, inoltre, la natura del Concilio di Trento le cui finalità erano quelle di dare risposte concrete all'uomo del '500 e definire una linea difensiva contro il dilagante protestantesimo. Fu, dunque, più che altro una risposta a problemi contingenti. Non ci si preoccupò di delineare una nuova ecclesiologia, né di impostare nuove linee di teologia.
Pertanto, la linea interpretativa dei decreti conciliari, detta tridentinismo, sfocia in orientamenti rigidi e accentratori: la Chiesa tende a chiudersi e a difendersi sempre più. Una tendenza che sarà accentuata con l'avvento dell'Illuminismo e del modernismo. La Chiesa è spesso raffigurata come una cittadella assediata posta su di un monte. Per aver una nuova teologia e una nuova ecclesiologia aperta al dialogo ecumenico e con il mondo si dovrà aspettare il Vaticano II (1965)
Prevale un'ecclesiologia di tipo curiale e centralista: il papa è dotato della "plenitudo potestatis" e costituisce quasi l'essenza della Chiesa stessa. Infatti, è il papa con i vescovi che forma la "Ecclesia romana", a cui compete il magistero supremo della Chiesa.
Il periodo post-tridentino, pertanto, vede un accrescimento del potere dottrinale del papa, in parallelismo con l'accentramento di potere che si sta verificando nelle varie monarchie europee, giustificato anche dalla necessità di creare un fronte solido e granitico contro il dilagante protestantesimo e i suoi errori dottrinali: Roma, dunque, è la roccia sicura e lo Stato della Chiesa lo strumento della Controriforma, non soltanto come garanzia di indipendenza, ma anche come supporto politico e finanziario dell'azione papale nel mondo.
Se prima i papi venivano eletti dalla nobiltà e dalle potenti famiglie, ora, provengono dalla carriera curiale.
Lo Stato moderno della Chiesa viene governato attraverso una progressiva clericalizzazione di tutti gli apparati statali, facilitandone il centralismo, così che la clericalizzazione delle strutture statali, l'emarginazione degli intellettuali e dei ceti produttivi rendono impossibile un ricambio socio-politico e ideologico della classe dirigente. Questa è la strada che porterà il dominio temporale dei papi a divenire il più dispotico e mal governato d'Europa.
LA VITA INTERNA DELLA CHIESA
TRA IL XVI E IL XVIII SECOLO
Benché il Concilio di Trento non avesse attuato una radicale riforma liturgica, tuttavia decise di accentrare e coordinare sia la formazione dei libri liturgici, sia la liturgia stessa al fine di eliminare tutti gli abusi nel campo liturgico. Infatti, da secoli, ormai, mancando una specifica autorità competente in materia, la liturgia era stata, per così dire, parcellizzata e personalizzata. La gestione della liturgia era affidata ai singoli vescovi, ai superiori degli ordini religiosi e monacali. Da tutto ciò ne conseguiva un grave disordine che rendeva, talvolta, insufficiente lo stesso ordinario della messa. L'anno liturgico, poi, anziché scandire il mistero cristiano, era infarcito di celebrazioni di santi, da messe devozionali e dei defunti.
Si trattava, dunque, di porre un po' di ordine e di ricondurre ad un'unica autorità competente in materia di liturgia per dare una voce unica alla Chiesa.
Si incominciò, pertanto, con il riformare i libri liturgici scrostandoli dalle sovrastrutture accumulate nel corso dei secoli e rinnovandoli completamente. Si tenne come unico punto di riferimento valido soltanto quanto veniva riportato dai libri liturgici della Chiesa di Roma, in quanto sede del magistero.
Si stabilì, inoltre, in modo dettagliato e particolareggiato ciò che vescovo, sacerdoti e ministri inferiori dovevano compiere nella celebrazione delle singole liturgie prescritte.
In una parola, si tolse la liturgia alle singole iniziative dandole un tono di unitarietà e di decisa serietà, sottraendola e purificandola da ogni abuso.
La preparazione dei nuovi testi liturgici e della nuova riforma liturgica venne supportata da una preparazione del clero. Significativo, in tal senso, è il "Catechismus ad parochos", un modo spiccio per culturalizzare un po' un clero privo di ogni preparazione pastorale, liturgica e teologica, divenuto ormai un esercito di mestieranti alla ricerca di qualche beneficio e di sistemazione di vita.
La liturgia che era uscita dal Concilio di Trento era figlia, da un lato, dell'entusiasmo di una Chiesa che aveva salvato la propria fede; dall'altro, del fasto barocco di cui risentiva l'influsso culturale. La liturgia post-tridentina si muove, pertanto, in un contesto di maestosità scenica. L'arte religiosa diventa nel periodo barocco sfarzosa e ricca di motivi ornamentali: tutta la Chiesa è rivestita di una superba e orgogliosa fastosità che dice tutto il suo trionfo e la sua ritrovata identità.
Quanto al comune fedele, questi vive la liturgia in modo individuale e devozionale. Lo spirito devozionalista del credente di questi secoli si incentra sul culto eucaristico e dei santi, in particolar modo, di Maria, del Sacro Cuore di Gesù e di San Giuseppe.
La messa era circondata da un alone di mistero e tale doveva apparire. Il sacerdote celebrava con le spalle rivolte ai fedeli; l'altare maggiore era nettamente staccato dal resto dei fedeli, divenendo quasi irraggiungibile; talvolta era rinchiuso all'interno di un colonnato ed elevato da terra di alcuni metri. Il sacerdote leggeva i testi in latino, lingua ormai di diffcile comprensione anche per lo stesso clero e celebrava sottovoce.
L'eucaristia, poi, veniva esposta in grandi ostensori a raggiera al cui centro c'era il pane consacrato, quasi a dire che essa è il sole che illumina la Chiesa.
Il culto eucaristico viene incrementato dalla ricostituzione delle medievali confraternite del Santissimo, mentre la comunione si stacca dalla messa e si costituisce un rito a se stante
La devozione al Sacro Cuore di Gesù
Promotori di questa devozione, completamente staccata dal contesto liturgico, furono Jean Eudes (m.1680), Margherita Maria Alacoque (m.1690) e Claudio del la Colombière (m.1682).
Una devozione questa che puntava sull'esperienza sensibile e umana dell'amore per Gesù e che acquisterà importanza nella religiosità del seicento e settecento, ma anche dopo il Vaticano II, anche se in modo più contenuto, molti celebrano ancora questa devozione, a cui il mese di giugno è dedicato. La liturgia odierna la ricorda con la celebrazione della solennità del "Sacratissmo Cuore di Gesù", che viene fatta cadere significativamente sempre di venerdì.
La devozione alla Madonna
Mentre nel Medioevo la celebrazione della Madonna era posta in stretto riferimento a qualche episodio con l'azione redentrice di Gesù, nel periodo dell'umanesimo la devozione si accentra esclusivamente sulla figura di Maria, percepita come la protettrice degli uomini. Le preghiere più significative, come il S.Rosario e la supplica "Sub tuum presidium confugimus, Sancta Dei genetrix, ..." ed altre ancora, nascono proprio durante questo periodo. Un culto che, dopo il Concilio di Trento, si intensifica per fronteggiare e combattere la svalutazione che i protestanti avevano fatto della figura di Maria.
E' il periodo questo in cui sorgono numerosi santuari e si sollecitano i pellegrinaggi. Nel 1568 viene fissata definitivamente la formula dell'Ave Maria, mentre nel 1571 viene introdotta la festa della Vergine del Rosario, a ricordo della vittoria di Lepanto contro le forze turche che minacciavano l'Europa. Altre feste e celebrazioni seguirono a queste, rinvigorendo una devozione che si riscontra fin dai primi secoli della Chiesa. Ecco, quindi, la festa del nome di Maria, quella dell'Immacolata, del monte Carmelo, dell'Assunta, di S.Anna e Gioacchino, in quanto genitori di Maria. Santuari si elevano in luoghi di apparizioni della Madonna, apparizioni vere o presunte tali popolano i secoli che vanno dal XVI in poi.
Il mese di maggio è dedicato a Maria, come il sabato.
Grande promotore della devozione a Maria fu Louis-Marie Grignion de Monfort.
La devozione a San Giuseppe
La devozione alla figura di S.Giuseppe è legata inizialmente all'ordine del Carmelo. Esso diviene il patrono dei mistici perché è una figura strettamente legata a Gesù e a Maria e, quando, nella seconda metà del Seicento la mistica viene a decadere, la devozione a S.Giuseppe si orienta alla vita pratica dei fedeli. Egli, pertanto, diviene il patrono della buona morte, della famiglia cristiana, del lavoro manuale, patrono dei falegnami e di Stati, quali il Messico, il Canada, l'Austria e altri ancora.
La sua festa liturgica viene recepita nel Breviario romano già nel 1479 e tuttora è presente ed è celebrata come solennità liturgica il 19 marzo.
La fioritura mistica
Gli anni che seguono il Concilio di Trento vedono un gran fiorire di pietà e di spiritualità autentiche, tanto che per il periodo che va dal 1550 al 1650 si parla di "secolo dei mistici". Pensiamo, ad esempio, a Teresa d'Avila, Giovanni della Croce, Igniazio di Loyola, Jean Eudes, Francesco di Sales, ecc.
Questo periodo vede, inoltre, una grande fioritura di ordini religiosi, compagnie, congregazioni, ecc. All'interno degli ordini religiosi, inoltre, si sviluppa un vasto rinnovamento che si riverbera positivamente anche all'esterno sul mondo laico.
Prevale una religiosità caratterizzata da sentimenti di abbandono a Dio e di totale passività alla sua azione.
E' in tale contesto che sorge la disputa sul quietismo. Esso è una corrente spirituale che professava un'intima unione con Dio attraverso un totale stato di passività e abbandono, da cui scaturiva una diminuzione o una rinuncia della responsabilità personale. In questo contesto l'anima è guidata dalla grazia e dallo Spirito Santo.
Tale movimento spirituale prende origine dall'abate spagnolo Michele de Molinas (1628-1696) che ricorda il dominio assoluto che Dio ha sull'uomo e l'importanza decisiva della grazia.
La pratica sacramentale
Il battesimo, che nella prassi della Chiesa primitiva era somministrato ai soli adulti, con il diffondersi del cristianesimo si incominciò a darlo anche ai bambini. Ma nella prassi del pedobattesimo inciderà molto il pensiero di S.Agostino sul peccato originale, che colpisce l'uomo fin dal suo concepimento, escludendolo, secondo la teologia dell'epoca, dalla salvezza eterna.
Il Concilio di Trento, recependo e confermando la teologia agostiniana sul peccato originale, prescrive la somministrazione del battesimo ai bambini "quanto prima", cioè entro otto giorni, talvolta entro 3 giorni o le 24 ore. Una preoccupazione dettata anche dall'alta percentuale della mortalità infantile.
La cresima, che nei primi tempi della Chiesa era somministrata unitamente al battesimo, con l'andar del tempo, in Occidente, se ne separò e poiché i vescovi visitavano raramente le parrocchie, questa veniva conferita ogni dieci-vent'anni. Questi lunghi periodi facevano confluire alla cresima anche seicento o più cresimandi per volta, diventando, in tal modo, la cresima un motivo di festa per l'intera comunità.
Il matrimonio con il Concilio riceve la sua forma canonica definitiva, con cui veniva evidenziato prevalentemente l'aspetto giuridico. Il matrimonio, infatti, è definito semplicemente un "contractus", che viene riconosciuto anche dallo Stato.
Vengono resi invalidi i matrimoni segreti, cioè quelli celebrati con reciproco consenso senza la presenza di testimoni. Prima erano considerato soltanto illeciti.
Solo più tardi l'imperatore d'Austria Giuseppe II introdurrà il matrimonio civile che, lentamente, si diffonderà nel resto d'Europa.
Rimane il problema dei rapporti prematrimoniali, delle infedeltà coniugali, testimoniate dai lunghi elenchi di figli illegittimi e la questione delle case di tolleranza.
La penitenza con il Concilio di Trento viene rianimata e la monumentalità con cui si costruivano i confessionali stavano ad indicare come soltanto lì si poteva ottenere il perdono dei peccati. Ogni altro luogo viene proibito. I confessionali sono provvisti di una grata a fori piccolissimi e muniti, talvolta, di tendina. Veniva, poi, evidenziata la necessità di una confessione sincera e dettagliata, per evitare di commettere un sacrilegio. Il concetto che sottendeva tale tipo di confessione è quello di un tribunale in cui il colpevole si autodenunciava, mentre il sacerdote, giudice, si riservava di assolvere.
La confessione, come la comunione, doveva essere fatta almeno una volta
all'anno, a Pasqua, soltanto presso il parroco. A Pasqua, poi, era necessario
presentare un certificato di avvenuta confessione, prima di poter accedere alla
comunione. In molti casi la prescrizione della confessione annuale era molto
severa al punto tale di subordinare la visita medica alla presentazione del
certificato di avvenuta confessione.
La comunione, in particolar modo sotto l'ancien régime, era sottoposta a controllo. Nel periodo quaresimale venivano distribuiti, casa per casa, i cosiddetti "biglietti pasquali" nominativi, su cui i capi famiglia dichiaravano se loro e i componenti della famiglia avessero partecipato al precetto pasquale. I biglietti venivano, poi, ritirati dal parroco durante la benedizione pasquale delle famiglie. Gli inadempienti, che persistevano nel loro comportamento, erano dichiarati in stato di peccato mortale ed erano colpiti dall'interdetto, una sorta di scomunica. I nomi dei non comunicati, poi, venivano affissi alla porta della chiesa. I renitenti, poi, incorrevano in una vera e propria scomunica e gli scomunicati venivano arrestati e imprigionati.
L'ordine. Nonostante le raccomandazioni del Concilio di Trento, sono comunque ammessi all'ordine candidati poco o per niente preparati, così che il numero di sacerdoti, dal 1550 al 1750 circa, aumenta in modo spropositato (la media è di un sacerdote ogni cinquanta abitanti).
La scarsa preparazione teologica e pastorale porta i sacerdoti ad uno stile di vita secolarizzato: si riscontrano sacerdoti che, mascherati, partecipano a balli di carnevale oppure praticano professioni proprie di laici (avvocati, medici, insegnanti, ufficiali militari ecc.). I veri sacerdoti in cura d'anime sono ben pochi e poco o nulla preparati. Del resto i seminari per la formazione del clero auspicati dal Concilio faticano a decollare.
Le missioni popolari
Sviluppatesi fin dal 1200 circa e favorite dagli ordini mendicanti, in particolar modo francescani e domenicani, le missioni presentano una predicazione fresca e immediata, finalizzata a toccare il cuore delle persone e spingerle ad una vita cristiana più coerente.
Dal 1500 al 1700, le missioni popolari, sostenute da predicatori generosi e sensibili alla cura delle anime, diventano lo strumento naturale per la catechizzazione del popolo e per vincere l'ignoranza religiosa, sopperendo in tal modo la scarsa preparazione e ignoranza del clero.
Tre sono i tipi di missione maggiormente diffuse: quella catechetica, finalizzata a dare una istruzione religiosa di base al popolo, poiché si considerava che la decadenza religiosa dipendesse proprio dall'ignoranza in materia. In questo caso la missione durava dalle due alle quattro settimane ed era priva di manifestazioni spettacolari. Essa era sostenuta in genere da tre o quattro sacerdoti e un fratello laico che doveva provvedere alla logistica dei predicatori. La giornata incominciava alle quattro del mattino con la preghiera che durava fino alle cinque e trenta, seguita, poi, dalla predica e confessioni. Dal tredici alle quattordici, catechismo per i ragazzi. Alla sera, dopo il suono dell'Ave Maria iniziava la grande predica.
Molto diversa per impostazione era la missione penitenziale. Qui si presupponeva che il popolo possedesse già una fede adeguata, per cui si puntava su di una riforma dei costumi, ponendo l'accento sulla spettacolarità delle manifestazioni: processioni, manifestazioni penitenziali, flagellazioni pubbliche, ostensioni di teschi e dialogo con essi, copiosa aspersione di ceneri sul pubblico, l'uscire con grida improvvise che invocavano "pietà " e "misericordia", grida che venivano ripetute dagli astanti, rappresentazioni della passione dal vivo e simili. Tale missione non durava in genere più di otto giorni ed era molto intensa, puntava più ad impressionare e a smuovere sentimenti e forti emozioni nel popolo che, ignorante, tale rimaneva.
Infine vi era la missione mista che durava dai dodici ai trentasei giorni e racchiudeva in sé elementi sia dell'una che dell'altra sopra accennate.
Tutti tre i tipi di missione racchiudevano uno schema comune: a) arrivo e accoglienza solenne dei missionari e loro presentazione al popolo; b) catechesi e prediche con insistenza sui novissimi, sul peccato, sulla confessione e sulle sue condizioni; c) processioni più o meno solenni; d) confessioni, aspetto centrale della missione, seguite dalla comunione; e) erezione della croce, a ricordo della missione e degli impegni presi in essa; f) solenne commiato dei missionari.
Le missioni avvenivano tra i mesi di novembre e maggio, quando, cioè, i lavorio agricoli erano meno intensi.
La larga diffusione delle missioni denunciavano una società dal cristianesimo molto scadente, segnato da una profonda ignoranza, la presenza di gravi deviazioni morali (omicidi, vendette, rifiuto di perdonare, bestemmie, furti, ecc.), problemi matrimoniali, pratica dell'aborto e un clero spesso scadente. Non di rado esse erano ostacolate o mal viste dal clero locale, poiché di fatto denunciavano la sua totale incapacità di agire pastoralmente e, spesso, ne denunciavano il totale fallimento.
CHIESA E STATO NELL'ANCIEN REGIME
Dopo le lotte religiose e la guerra dei trent'anni in Germania (1618-1648), conclusasi con la pace di Westfalia (1648), si vengono ad instaurare nei paesi europei le monarchie assolute, dominate da sovrani cattolici che tendono a creare un solido vincolo tra trono e altare.
Il principio fondamentale a cui si ispira l'assolutismo è che tra il potere civile e quello religioso deve regnare un perfetto parallelismo, che porta le due società, civile e religiosa, ad un'intima collaborazione. In altre parole, tutto ciò che è permesso o proibito dalla Chiesa cattolica, deve essere anche permesso o proibito dallo Stato. Posizione questa che sarà rinnegata dal liberismo nell'800 e 900 il quale, invece, proclamerà la completa distinzione e separazione dei due poteri, che spesso si contrappongono.
Come per il passato medioevo, anche l'assolutismo dell'età moderna cerca di giustificarsi teocraticamente. Con la consacrazione religiosa del re, viene attribuita una sorta di sacralità al suo potere, per cui solo la monarchia è la forma legittima di governo. Il re riceve la sua autorità direttamente da Dio e non dal popolo, pertanto la persona del sovrano è sacra. Egli è considerato l'unto di Dio sulla terra. L'unzione del re e della regina avviene nell'ambito di un'apposita azione liturgica, durante la quale si consegna la spada, il trono, lo scettro e la corona.
Per l'insieme di queste cose il sovrano viene circondato da un'aureola di sacralità, per cui egli è ben più di un semplice laico, in quanto rivestito da una sorta di ordine sacro. Ed è proprio quest'ultimo aspetto che gli attribuisce competenze in materia ecclesiastica.
Il sovrano deve rendere conto delle sue azioni soltanto a Dio; ai sudditi non resta che l'obbedienza.
Dopo la pace di Augusta (1555) e quella di Westfalia (1648) che sancirono la divisione religiosa dell'Europa, si acuì sempre più la necessità di trovare all'interno dello Stato l'unità religiosa. Infatti, era convinzione di teologi e giuristi che non poteva esistere uno stato politicamente unito e religiosamente diviso, poiché l'unico elemento di unità tra le diverse popolazioni era la religione.
Pertanto, chi non professava la religione di Stato non poteva godere di diritti civili e politici, incarichi pubblici, libertà di professione e di domicilio, ecc. In buona sostanza se ne decretava la morte civile.
Lo Stato assoluto, pertanto, riconosce soltanto un'unica religione di Stato a cui tutti dovevano conformarsi.
E' evidente che in questo contesto i delitti contro la fede diventano non soltanto lesivi per la religione, ma sono sentiti anche come attentati contro lo Stato. Si tratta di un'ingiuria a Dio e un delitto di lesa maestà e come tale perseguito con pene severissime che vanno dalla semplice ammenda al carcere, all'ergastolo e fino alla pena di morte.
Così lo Stato riconosce le leggi della Chiesa e le riconosce valide e vincolanti sul proprio territorio. Ad esempio, il matrimonio religioso è l'unico riconosciuto e in vigore ed è regolato dalla Chiesa; i voti religiosi sono riconosciuto agli effetti civili; è imposta, inoltre, l'osservanza delle feste, del digiuno, del riposo, ecc.; ci sono multe per le osterie che sono aperte durante le funzioni religiose. Quanto alla censura della stampa, tra il 600/700, vige solo quella ecclesiastica.
In tale contesto, la Chiesa gode di non poche immunità: i beni ecclesiastici sono immuni da tasse e inalienabili, per cui essi sono sottratti al commercio o alla confisca; conventi e chiese godono di immunità, per cui chi vi si rifugia non può essere toccato; i chierici, inoltre, sono esentati dal servizio militare e dalla giustizia dei tribunali civili, ma soggetti soltanto ai tribunali ecclesiastici. Si viene così a configurare sullo stesso territorio una duplice giurisdizione, spesso anche in contrasto.
Tutto ciò provocava spesso dei contrasti tra Chiesa e Stato, in quanto che la Chiesa veniva a configurarsi come uno stato autonomo all'interno dello Stato ospitante e di appartenenza. La cosa non poteva evidentemente essere tollerata da uno Stato che, per sua natura, era assolutista.
Da qui la necessità di stipulare dei concordati che regolavano i rapporti tra Stato e Chiesa.
Privilegi e immunità concesse alla Chiesa dallo Stato era soltanto un aspetto del rapporto tra Stato e Chiesa nell'ancien régime. Un secondo aspetto, sgradevole, è il minuzioso e pesante controllo di quasi tutta l'attività ecclesiastica da parte dello Stato.
Le teorie che attribuiscono allo Stato ampi poteri sulla Chiesa si possono conglobare nel "giurisdizionalismo".
Esso ha la sua radice nell'insofferenza dello Stato assolutista che non tollerava nel proprio territorio la presenza di una Chiesa come società indipendente, autonoma e con propria giurisdizione.
I sovrani sono pertanto spinti da tre fattori: a) gelosa tutela dei poteri dello Stato sui cittadini; ogni altra forma di potere diviene sospetta e perseguibile, per cui si tende a creare Chiese nazionali; b) desiderio di risolvere i problemi economici con il ricorso ai beni della Chiesa e, quindi, spesso soppressione di Ordini religiosi e confisca dei loro beni; d) una radicata convinzione di avere una missione religiosa nell'eliminare gli abusi all'interno della Chiesa, dal momento che né papi né vescovi vi ricucivano.
Di conseguenza spetta allo Stato la nomina dei vescovi, dei parroci, la disciplina del clero, dei fedeli e delle stesse funzioni nonché si arrogava l'amministrazione dei beni ecclesiastici. Lo Stato controlla tutto; la Chiesa è costretta dentro le sacrestie.
A fronte di un'ingerenza statale così asfissiante e che rendeva impossibile la stessa missione della Chiesa, trasformata dallo Stato in uno strumento di potere, la Chiesa tenta una difesa su tre livelli: a) formazione delle classi dirigenti mediante i collegi dei Gesuiti e di altri Ordini religiosi; b) presenza di confessori e consiglieri del re e della corte; c) ricorso ai concordato tra Chiesa e singoli Stati: nel '700 se ne stipularono ben 36.
Si cercò, quindi, di salvare il salvabile senza, però riuscirvi pienamente.
LA CHIESA NEL 1600 E 1700
CHIESA DI PECCATORI E DI SANTI
Mentre il basso clero partecipa con il popolo alla comune povertà e alle sperequazioni sociali, l'alto clero godono di un patrimonio cospicuo. A Roma, a spese della Chiesa, le famiglie dei papi si sono formate un patrimonio enorme.
I cardinali hanno numerose rendite e molta servitù. Lo stesso Carlo Borromeo aveva 12 commende e 150 persone a servizio, mentre il Bellarmino, austero religioso, si accontentava di averne soltanto una trentina. Il Rosmini soleva definire i vescovi dell'ancien régime. "Servi di uomini mollemente vestiti, anziché apostoli di un Cristo ignudo".
Molti vescovi sono anche principi, marchesi e conti e amministrano le loro diocesi con criteri puramente temporali. Molti diventano preti soltanto per farsi una carriera o garantirsi una sicura posizione sociale.
E' evidente che in questo contesto anche il livello religioso e spirituale del clero non brillasse particolarmente. Il fenomeno più evidente è il gran numero di religiosi rispetto alla popolazione: alla metà del Seicento in Italia vi erano 70.000 religiosi, mentre un secolo dopo questi erano 300.000 su una popolazione di 17.000.000 di abitanti.
I vescovi ordinavano con grande facilità e la preparazione al sacerdozio, nelle migliori delle ipotesi, non superava i tre anni di praticandato con qualche rudimento di teologia pratica. Pochi erano i sacerdoti impegnati seriamente nella cura delle anime, mentre i più si accontentano di celebrare la messa, fanno da precettori e servitori di famiglie patrizie.
Quanto alle monache, spesso la loro "vocazione" è forzata e la disciplina nei conventi alquanto rilassata, mentre gli aspetti economici e sociali hanno l'aspetto determinante.
Cattolici e protestanti si combattono aspramente, non è permessa la libertà religiosa. C'è molta distanza tra clero e popolo; non si ammette la buona fede e l'inquisizione miete vittime illustri (v. caso Galilei).
Incredibile a dirsi, ma la Rivoluzione francese agì da toccasana su di un clero e una Chiesa ormai irrecuperabili: purificò nel sangue la Chiesa, bruciò la zizzania e separò il buon grano
La pietà popolare denuncia una forte e massiccia partecipazione ai sacramenti: circa un 90% partecipa alla Pasqua. La religiosità popolare si colora di aspetti sensibili che eccitano la fantasia, si pensi alle missioni popolari e alle varie devozioni che si accentrano prevalentemente sulla passione di Gesù, su Maria e S.Giuseppe.
Quaresimali e novene, devozioni ai santi e ai morti, processioni e rogazioni nutrono la pietà popolare. Si intensificano i pellegrinaggi a Gerusalemme, a Roma, a S.Giacomo di Compostella, a Loreto, a cui sono legate particolari indulgenze.
Nuove congregazioni sorgono e passano da una vita contemplativa ad una attiva, mentre gli ordini monastici sono in crisi.
E' anche l'epoca delle grandi fioriture di santi; si pensi a S.Leonardo da Porto, grande predicatore e patrono dei missionari. La sua spiritualità potrebbe essere sintetizzata nella triplice formula: "Mai nulla contro Dio; mai nulla se non con Dio; mai nulla se non per Dio".
Ancora, S.Paolo della Croce: suo tema forte era la passione di Cristo, l' "Amor Crocifisso" che fondo nel 1725 i Passionisti.
S.Alfonso Maria de' Liguori che fondò la congregazione del SS.Redentore o Redentoristi ... e motli altri ancora illuminarono questa età difficile.
IL GIANSENISMO
Il giansenismo, più che un'eresia, anche se non vi mancarono aspetti, si potrebbe considerare come un movimento religioso d'impronta rigoristica, che prende il nome dal teologo olandese e vescovo di Ypres, morto nel 1638, Cornelio Janssens. Ha la sua origine e la sua formulazione teologica e ideologica nell'opera dello stesso Janssens "Augustinus, seu doctrina S.Augustini de humanae naturae sanitate, aegretudine, medicina, adversus Pelagianos", pubblicato postumo nel 1640.
Questo movimento ha la sua origine nella reazione al lassismo del 1600 e si configura come una sorta di esasperazione sul tema della grazia, che travagliò la teologia dell'epoca.
Nella Spagna del Cinquecento era nata la teoria del "probabilismo", la quale insegnava che non si poteva imporre un obbligo se non fosse stato sufficientemente provato; si può, quindi, agire anche quando non tutti i dubbi siano stati risolti. Nel Seicento, poi, si cerca di allargare i confini del lecito, moltiplicando una casistica a cui si cercava di dare comunque giustificazione. Da qui il lassismo morale.
Quanto alla grazia, si dibatteva la questione di conciliare la libertà dell'uomo con la grazia di Dio. Alcuni, come il Michele Baio si avvicinava alle posizioni di Lutero e Calvino: sosteneva la corruzione totale dell'uomo dopo il peccato originale e la perdita del suo libero arbitrio e, quindi, la sua impossibilità di resistere alla grazia. Egli venne condannato da Pio V nel 1567, ma le sue idee continuarono.
Domingo Banez, domenicano, sosteneva l'efficacia intrinseca della grazia, indipendentemente dall'azione dell'uomo, così che egli è predeterminato dalla grazia stessa; mentre il Luis Molina, gesuita, replicava che la grazia è efficacie soltanto per il libero consenso dell'uomo, non predeterminato da Dio.
Giansenio (1585-1638) nella sua opera "Augustinus", divisa in tre libri, confuta le teorie pelagiane sulla bontà della natura umana; nega, poi, la bontà della natura umana e, infine, afferma che soltanto la grazia, a cui non si può resistere, è efficace. Esiste, quindi, una predestinazione di Dio all'inferno o al paradiso (Calvino) e afferma che l'umanità è una massa dannata. Gesù è morto soltanto per gli eletti e soltanto loro si salvano, mentre tutti gli altri sono dannati.
Se Giansenio è la mente, Saint-Cyran è il braccio che ne attua le teorie e in pratica è il vero fondatore del giansenismo.
Antoine Arnauld è il più deciso collaboratore di Saint-Cyran. Nella sua opera "La Comunione frequente" afferma che la sua eccessiva frequenza è dannosa e che l'Eucaristia è soltanto un premio per i santi. Errata, dunque, la pastorale lassista: bisogna ritornare ai rigori della chiesa primitiva.
I principi del Giansenismo
In campo dogmatico prevale il pessimismo. Giansenio segue le teorie più rigoriste di S.Agostino e si avvicina a Lutero e a Calvino. Per lui, dopo il peccato originale la natura umana è totalmente e intrinsecamente corrotta e ha perso la sua libertà. Egli esaspera il valore e l'efficacia della grazia al punto tale che distrugge la libertà dell'uomo. Cristo non è morto per tutti, mentre la Chiesa è un cenacolo per pochi.
Quanto agli aspetti morali conseguenti a tanto pessimismo, si deduce che se Dio è l'arbitro assoluto della nostra salvezza, non c'è più amore nell'uomo, ma soltanto timore, paura. L'ignoranza anche se invincibile non scusa il peccato; predilezione per le penitenze straordinarie, svalutazione del matrimonio, salvezza solo per chi abbandona il mondo; negativi gli affetti familiari e l'amicizia.
Quanto agli aspetti disciplinari, secondo i giansenisti con il passare del tempo la Chiesa è diventata infedele a Cristo, perciò necessitava di un profondo e radicale rinnovamento, che prevedeva la riconduzione della Chiesa alle sue origini, eliminando le novità introdotte negli ultimi quindici secoli.
Il papa condannò il giansenismo che provocò uno scisma all'interno della Chiesa. Esso si rifugiò in Olanda dove tuttora esiste.
GALLICANESIMO, QUIETISMO, GIUSEPPINISMO
Il Gallicanesimo, così definito perché sorto e diffusosi in Francia, è un insieme di teorie teologiche-dottrinali e giuridiche che mirano, da un lato a limitare l'autorità della Chiesa di fronte allo Stato; dall'altro a limitare l'autorità del papa di fronte ai concili, ai vescovi e al clero.
Esso ha le sue lontane radici nel conflitto tra Bonifacio VIII (1294-1303) e Filippo IV, il Bello; nel periodo avignonese (1309-1378) e nel conciliarismo. Ma la base del gallicanesimo è la "Prammatica Sanzione" del 1438. In essa si sottolineava la superiorità del concilio sul papa, l'abolizioni delle tasse pontificie e degli appelli a Roma e, quindi, sanciva una larga autonomia della Chiesa francese. In campo ecclesiastico, limitavano l'intervento del papa alla nomina dei vescovi, mentre attribuivano privilegi al sovrano.
Su questa linea la Francia si oppose al Concilio di Trento e ribadì il suo attaccamento alle consuetudini religiose, difendendo gelosamente la sua autonomia e indipendenza, sottolineando le prerogative dei vescovi francesi. Il tramonto di questo movimento avverrà soltanto nel 1870 con il Vaticano I.
Quanto al Quietismo, esso si qualifica come un movimento religioso e spirituale, sorto nel Seicento, che ripone la perfezione e la felicità morale dell'uomo nello stato di passività dell'anima e che toglierebbe o diminuirebbe la responsabilità personale dell'uomo . Un fenomeno questo che si trova ancor oggi nel Buddismo e nell'Islamismo, che considerano l'ascetismo come lo strumento e la via per raggiungere l'assenza delle passioni e, quindi, lo stato di quiete interiore.
Esso nacque come reazione al formalismo religioso e al pessimismo giansenista ed è espressione caratteristica del clima spirituale del Seicento.
Principale esponente di questa dottrina fu il sacerdote spagnolo Miguel de Molinos (m.1696). Questi nel suo libro "Guida spirituale" sosteneva che l'ideale della vita spirituale consiste in una perfetta quiete e passività. Giunta a questo stadio, l'anima non può più peccare, anche se esternamente viola i comandamenti di Dio e i precetti della Chiesa. Di conseguenza non servono più preghiere, né atti di penitenza, né lotta contro le tentazioni.
L'autore venne condannato, ritratto le sue idee e questo lo salvò dal rogo, ma venne incarcerato a vita.
Quanto al Giuseppinismo, esso si radica nella logica dell'ancien régime: i monarchi assoluti attuano su larga scala l'incameramento dei beni ecclesiastici, sopprimo gli Ordini religiosi contemplativi, mantenendo in vita solo gli Ordini dediti all'assistenza, all'insegnamento e alla cura delle anime.
Essi sono i legislatori provvidi e illuminati, ai quali incombe l'onere di promuovere la felicità dei sudditi, con leggi razionali che aboliscano la miseria, l'ignoranza e i privilegi. Sono sovrani che credono nella sacralità del loro potere, che ritengono derivi direttamente dall'alto e senza limiti qui sulla terra. Si dichiarano primi servitori dello Stato.
In quest'ottica si muove, in particolar modo, Giuseppe II (m.1790), definito come l'Arcisacrestano del Sacro Romano Impero. E' il monarca assoluto che maggiormente attua questa politica di ingerenza negli affari interni della Chiesa. Da lui prende il nome di Giuseppinismo.
Tra i suoi interventi si ricordano: il controllo delle comunicazioni tra i vescovi dello Stato e la Santa Sede; modificò i confini delle diocesi; istituì nuove parrocchie, proibì processioni e pellegrinaggi; riformò cerimonie liturgiche e atti di culto. Creò seminari dipendenti direttamente dall'Imperatore, nei quali si formava tutto il clero dipendente dallo Stato e che nel sentire di Giuseppe II era soprattutto un pastore d'anime, capace di assumersi responsabilità civili-religiose nei confronti dello Stato. Nella formazione del clero venne introdotta la teologia sistematica, la dogmatica, il diritto e le scienze bibliche. Si occupò della gestione dei beni ecclesiastici, della scelta dei vescovi, dei parroci e della stessa gestione dei fedeli. Sradicò le superstizioni che in qualche modo inquinavano la religione; abolì il mese di maggio, ritenuto devozione di bassa lega. Soppresse tutti gli ordini contemplativi perché, secondo la sua logica, non servivano a niente (e qui pesa la cultura illuministica). Si incamerano i beni dei conventi e degli ordini soppressi, finalizzandoli al mantenimento delle parrocchie e degli stessi religiosi soppressi.
In tale ottica si muove anche la madre di Giuseppe II, Maria Teresa d'Austria, che fonda nel 1700 l'Università di Pavia per la formazione dei quadri dirigenti, la futura intellighenzia del regime.
Essa affida la sua politica di riforma al Melzi d'Eril. Si pongono delle limitazioni alle processioni, si contiene il numero delle feste, si riducono il numero dei conventi e monasteri; si fissa l'età minima per la professione ecclesiastica portandola a 24 anni; il tutto finalizzato ad un buon ordine e funzionamento della Chiesa stessa.
L'intento del Giuseppinismo, pur inserendosi nella logica dei sovrani illuminati dell'ancien régime che non sopportavano diversi poteri dal loro all'interno del proprio Stato, era finalizzato essenzialmente ad eliminare gli abusi all'interno della Chiesa per darle una solida ed efficiente organizzazione. Si riferiva, quindi, all'organizzazione e alla struttura stessa della Chiesa, escludendo ogni aspetto riguardante la dottrina e la morale. .
La politica di Giuseppe II trovò consensi dai vescovi tedeschi, animati da tendenze antipapali.
Al giuseppinismo si ispirò anche la politica di riforma di Napoleone.
LE MISSIONI
Dopo circa tre secoli di intensa attività missionaria, agli inizi del XIX sec. le missioni cattoliche si trovavano in una situazione difficile, quasi di stallo: su di esse gravava l'eredità settecentesca, basata sulle logiche del "real patronado", che sottometteva le missioni all'autorità e all'invadenza delle corone cattoliche, le quali, attraverso le missioni, concepite come un mero strumento al servizio del trono, miravano ad estendere e ad affermare il loro potere.
Tutto ciò mostrava, ormai, i propri limiti. Troppo disparati e opposti gli interessi della corona da quelli della Santa Sede: colonizzazione e sfruttamento per la prima; evangelizzazione e rivalutazione umana per la seconda; totale sudditanza delle missioni alla corona; necessità, invece, di autonomia da questa e dipendenza dalla Santa Sede dall'altra parte.
Linee politiche e culturali, dunque, completamente irriducibili e incompatibili. A questo si deve aggiungere anche la crescente crisi delle potenze coloniali cattoliche (Spagna, Portogallo e Francia), rispetto a quelle protestanti di Inghilterra e Olanda. Da ciò nasce un ristagno dell'azione espansiva del colonialismo cattolico e di conseguenza un sostanziale stallo delle stesse missioni cattoliche.
Il punto più basso per la missione cattolica sembra che sia stato toccato nel 1820, epoca in cui in tutti i territori controllati dalla santa Sede si contavano poco più di 500 sacerdoti.
Il sacerdote fino al 1800 era considerato un funzionario pubblico civile, legato anche al vescovo. Non si concepiva, pertanto, un sacerdote missionario. Infatti, il sacerdote diocesano era semplicemente un funzionario civile ed ecclesiastico, il cui compito era di distribuire i sacramenti e di conservare un cristianesimo già affermato sul territorio. Egli dipendeva direttamente dallo Stato e dalla Chiesa.
I missionari, invece, non erano sacerdoti diocesani e, pertanto, non dipendevano né dallo Stato né dal Vescovo, ma erano mandati direttamente dal papa per mezzo della Congregazione "Propaganda Fide". Era il papa, infatti, il vescovo universale, responsabile, quindi, della fede universale, mentre l'autorità del vescovo era limitata alla propria diocesi. Non si concepiva, quindi, un vescovo che mandasse missionario un suo sacerdote, che per altro, dipendeva anche dall'imperatore.
Era una missionarietà supportata ancora dall'autorità politica, che rivendicava il patronato missionario come incarico diretto da Dio. E' questo un caratteristico modo di sentire dello Stato "Ancien régime", il quale, tuttavia, non era affatto scevro da interessi politici ed economici verso le nuove e inesplorate terre extra europee. Vi era, quindi, una certa collusione tra autorità civile ed ecclesiastica: interessi religiosi e politici si intrecciavano intimamente e profondamente.
Ma partire dal 1825 circa, le missioni "ad gentes", cioè quelle riguardanti il primo annuncio portato fuori dalla cristiana terra d'Europa, non sono più una questione riguardante i soli vertici della Chiesa, i quali già nel 1622, ad iniziativa di Gregorio XV, avevano fondato la Congregazione per la propaganda della fede (Propaganda Fide), che conferì allo sforzo missionario dell'epoca un grande impulso, ma esse riguardano, ora, la coscienza di tutti i fedeli.
Una nuova sensibilità missionaria, quindi, si andava diffondendo tra il popolo cristiano, che si sente sempre più coinvolto nell'impegno missionario, grazie anche all'enorme successo che riscuote una certa letteratura missionaria nel primo Ottocento e ad un certo clima romantico unitamente al gusto per l'esotismo e l'avventura.
Sono proprio di quest'epoca le grandi scoperte archeologiche e le avventure che portano alla scoperta dell'Africa e del misterioso Egitto. Significativo del clima di quest'epoca è il grande successo che ottenne Emilio Salgari con la pubblicazione delle sue fantastiche avventure nell'estremo e misterioso oriente.
Nel 1922 nasce in Francia, ad opera di Pauline Jaricot ed altri, l'Opera per la propagazione della fede. Un'opera, quindi, che nasce dal basso a testimonianza della sensibilità missionaria che si sta sviluppando tra la gente comune. La missionarietà e la missione, dunque, non è più un affare privato ed esclusivo dei vertici della Chiesa e dei governi, ma ora appartiene anche al popolo.
L'attività di quest'opera consisteva nel raccogliere delle modeste offerte, di parrocchia in parrocchia, destinandole alle missioni ed è proprio questa capillare e modesta raccolta di fondi che sensibilizzano l'animo del popolo e rende partecipe la gente alla questione missionaria, che viene legata anche alla propria fede.
Altre organizzazioni simili sorgono in diversi paesi e le loro pubblicazioni, che esaltavano le fantasie dei giovani con i racconti eroici e avventurosi dei missionari, suscitano sempre nuove vocazioni
Su tale impulso nascono nuove congregazioni religiose, maschili e femminili, votate alla missione "ad gentes". A loro si affianca anche l'impegno del papato il quale dette un forte impulso alla missionarietà grazie anche a Pio VII (1800-1823), che ricostituì la Congregazione per la Propaganda della fede, di cui Napoleone si era appropriato, trasferendoli a Parigi, degli archivi; e grazie anche a Gregorio XVI (1831-1846), che fece della Congregazione la opera prediletta del suo pontificato. Egli si adoperò anche per svincolare le attività missionarie dalle implicazioni nazionali; e mentre liquidava il patronato spagnolo in America Latina, si scontrava duramente con il Portogallo in India. Condannò nel 1839 la tratta dei negri e l'ineguaglianza delle razze che ne era il presupposto.
Con la "Neminem profecto" che favoriva la costituzione di chiese locali e del clero indigeno, mediante la creazione di sempre nuovi e sempre più numerosi vescovadi.
L'ETA' DELL'ILLUMINISMO
Potremmo dire che l'Illuminismo è frutto di due sistemi filosofici diffusisi in Europa nel Seicento: l'empirismo, il quale afferma che i sensi sono l'unica fonte di conoscenza e che non esiste una differenza tra conoscenza sensibile e intelligibile; e il razionalismo, il quale sostiene che la conoscenza razionale ha un valore assoluto e la ragione è l'unico criterio di verità.
I tratti fondamentali che caratterizzano l'Illuminismo si possono sintetizzare in cinque punti:
· Fede nella ragione, quale norma e via assoluta della verità;
· Fiducia nella natura umana, che è in sé buona e non corrotta dal peccato, e perciò non abbisogna di redenzione;
· Disprezzo del passato, concepito come l'età delle tenebre, mentre il presente è il secolo dei lumi.
· Ottimismo nel presente, concepito come l'inizio dell'età dell'oro e fiducia nel progresso;
· Ostilità contro la Chiesa e i suoi dogmi, quale logica conseguenza dei precedenti punti.
Nei Paesi europei del Sei-Settecnto si assiste ad un rovesciamento dei valori: si rifiutano tutte le religioni con i loro misteri e dogmi e ci si rifugia in un vago deismo. Prima dell'Illuminismo l'Occidente crede, mentre dopo comincia l'epoca dell'incredulità. Nasce una visione del mondo e della vita in senso anticristiano.
L'ideale illuministico è il "naturale": si parla di religione naturale, di stato naturale, di diritto naturale; cioè ci si pone in una linea di pensiero diametralmente opposta al "soprannaturale"
La ragione è perfettamente autonoma rispetto alla Rivelazione, di cui si accetta soltanto ciò che è passato indenne dal vaglio della ragione.
La natura diventa una realtà misurabile e scientificamente circoscrivibile, non c'è posto per il miracolo e il mistero. Tutto è illuminato dalla ragione di cui, durante la rivoluzione francese, si svilupperà anche un culto specifico: è la sida dell'uomo a Dio. Ritorna, qui, il mito della Torre di Babele.
Le cause dell'Illuminismo si possono sostanzialmente ridurre a tre: a) un protestantesimo arenato e in fase di dissoluzione, che per la prima volta nella storia cristiana d'Europa ha distrutto l'unità religiosa, dando origine ad una miriade di sette, rendendo la fede soggettiva e ponendo dei seri dubbi su quale fosse la vera religione. La religione, quindi, subì una decisa relativizzazione e la fede cattolica un forte ridimensionamento; b) l'umanesimo naturalistico, che esaltava le virtù naturali dell'uomo, sviluppando in lui una nuova coscienza della propria individualità e creandogli una nuova identità. Nasce con l'umanesimo una cultura diversa da quella religiosa, allora predominante, che favorisce uno spirito critico nei confronti dell'antica fede. E' una sorta di illuminismo ante litteram; c) la filosofia moderna individualistica, che rompe l'armonia tra scienza e fede ponendole in netta contrapposizione. In Francia Cartesio proclama la sovranità dell'individuo con il suo "Cogito, ergo sum", e inaugura il dubbio metodico. La fede non è più una certezza perché priva di una prova assoluta che la giustifichi.
Il deismo viene ideologicamente fondato dall'inglese Lord Herbert di Cherbury (m.1648). Nel suo trattato "De veritate" dette origine ad una "religione naturale", il cosidetto "deismo", che assume come unica norma fondamentale la ragione e respinge ogni rivelazione e governo di Dio nel mondo. I suoi elementi costitutivi sono per Lord Herbert i cinque principi fondamentali comuni a tutte le religioni e innati nell'uomo e, quindi, in qualche modo riferibili alla sua stessa natura: a) l'esistenza di Di; b) la necessità di rendergli culto; c) l'obbligo di praticare la virtù e la devozione; d) l'orrore del peccato e la volontà di migliorarsi; e) la fede in una retribuzione ein questa e nell'altra vita.
Tutto ciò che va al di là di questi principi naturali è considerato una falsificazione della religione operata dal clero.
CHIESA E RIVOLUZIONE FRANCESE
La rivoluzione francese non nasce dal nulla e sarebbe miopia storica se la si radicasse soltanto in un contingente malcontento dovuto ad una situazione di crisi economico-finanziaria. Essa, in realtà, costituisce il punto di arrivo e conclusivo di un lungo cammino di maturazione culturale e di sviluppo di una nuova coscienza critica, partita con il Rinascimento e l'Umanesimo. La riscoperta dei classici greci e latini costituirono una nuova base culturale fondata non più sui principi religiosi, bensì sui valori umani. Si venne così a formare una nuova cultura a base umanistica, contrapposta ai valori religiosi, che vengono, invece, sottoposti a dura critica, favorita anche da un comportamento immorale dello stesso Clero.
Lo scoppio della Riforma protestante e la contrapposizione di quella cattolica, poi, rompono l'unità religiosa europea, relativizzando quella cattolica. Le lunghe diatribe teologiche conseguenti e il frantumarsi dello stesso protestantesimo in tante correnti e sette fanno capire che una stessa verità può essere colta da prospettive diverse e che non esiste una verità assoluta.
Lo sviluppo, poi, di un nuovo modo di pensare, basato sull'empirismo e sul razionalismo, e delle scienze, che incominciano a valutare la realtà non più da un punto di vista meramente assiologico e teologico, bensì fisico e sperimentale: la natura e le cose sono ora misurabili e fisicamente valutabili. Tutto è sottoposto al vaglio critico della ragione. Viene perso il senso dell'assoluto e del metafisico a favore di una visione relativistica ed empiristica della vita e del mondo.
Cartesio con quel suo "Cogito, ergo sum" denuncia il sorgere di una nuova coscienza critica nell'uomo e lo dichiara quale misura di tutte le cose, restituendogli una nuova identità completamente autonoma dal mondo del trascendente, che è sottoposto, invece, alla critica della ragione e viene respinto nella misura in cui non risponde alle esigenze delle idee chiare e distinte. Si innesta, quindi, il dubbio metodico come sistema di ricerca e come un nuovo modo di interrogarsi dell'uomo di fronte alla vita e ai suoi problemi e alla cui radice ci sta un forte atteggiamento critico su tutto e contro tutto.
Non si accettano più, inoltre, le vecchie forme di suddivisione della società ereditate dal medioevo: impero, monarchia, feudalesimo, servi della gleba, clero, privilegi ecc. si sentono ormai obsolete e non più rispondenti al nuovo sentire critico e, perciò stesso, rivoluzionario.
L'invenzione della stampa, poi, ha facilitato il diffondersi delle nuove idee, che incominciano a penetrare in profondità nelle singole persone e incominciano a creare un nuovo modo di sentire e di pensare. Tutto ciò porta a creare un nuovo clima e una nuova coscienza sociale.
A tutto ciò la rivoluzione francese e il suo successo in Europa sono debitori.
La rivoluzione francese segna, quindi, la fine di un mondo di sicurezze e di certezze e getta le basi di una nuova era.
Dal 1774 è re di Francia Luigi XVI, personaggio incerto e debole. Il problema principale in questo momento è la disastrosa situazione economico-finanziaria della Francia che la pone sull'orlo della bancarotta dovuta anche alle folli spese di corte.
Il 5 maggio 1789 il re convoca gli Stati Generali, formati dai tre stadi della società francese: nobiltà, clero e borghesia, che dal 1614 non venivano più riuniti. Il Terzo Stato, vista la situazione insostenibile in cui versava il paese, si impadronisce subito della direzione e decide di costituirsi in Assemblea nazionale costituente e di dare al paese una nuova costituzione a base democratica, anche sull'onda delle nuove idee diffuse da Rousseau e dalla rivoluzione americana che la portò all'indipendenza dall'Inghilterra e a dotarsi di una sua propria costituzione nel 1776. In tal modo il potere legislativo del re passa all'Assemblea stessa. Viene infranto in tal modo l'Ancien régime.
L'Assemblea, il 4.8.1789, approva per acclamazione la nuova struttura dello Stato: uguaglianza delle imposte; soppressione dei diritti feudali; soppressione della corvée. Tutto il vecchio mondo dell'Ancien régime crolla in poche settimane. Ma con il crollo della vecchia legalità comincia anche la grande paura. Non c'è più legge, non c'è più esercito, non ci sono più punti di riferimento. Tutto il vecchio mondo è finito.
Per quanto riguarda la Chiesa vengono prese decisioni radicali: nazionalizzazione dei suoi beni, proposta e favorita dal vescovo di Autun Telleyrand; mentre la nazione si fa carico delle spese di culto, del sostentamento dei ministri e dei poveri. Ai parroci viene fornito uno stipendio minimo di 1200 lire. Soppressione degli Ordini religiosi per cui il religioso diventa un cittadino comune, libero da ogni obbligo religioso.
Si inaugura la "Costituzione civile del Clero" con cui si crea una rottura traumatica tra Clero e Rivoluzione. Essa prevede: a) una nuova distribuzione degli uffici ecclesiastici: vengono mantenuti soltanto i benefici con la cura d'anime; i vescovi vengono ridotti a 83, tanti quanti sono i dipartimenti; mentre le parrocchie piccole vengono soppresse e raggruppate. b) Modo di scelta dei pastori d'anime: Vescovi e parroci vengono eletti dalle Assemblee civili; l'istituzione canonica è mantenuta, ma sottratta al papa e attribuita al metropolita. E' fatto divieto di rivolgersi a Roma. c) Viene stabilito uno stipendio fisso a seconda del grado canonico, mentre non è più previsto il possesso di beni immobili. d) Viene fatto obbligo di residenza per vescovi, parroci e vicari, pena la perdita del trattamento economico.
L'intento della Costituzione civile del Clero era quello di riordinare e razionalizzare la distribuzione geografica delle diocesi e delle parrocchie. C'è insita anche una tendenza rimodellare la Chiesa di Francia sul gallicanesimo e sulla Chiesa primitiva, che vedeva l'elezione dei vescovi sulla base popolare e l'indipendenza da Roma.
Tale Costituzione, tuttavia, sancì anche una netta spaccatura del Paese in due schieramenti.
Di fronte alle vive reazione di Roma (Pio VI) e alle proteste dello stesso Clero, l'Assemblea Costituente obbliga il Clero al giuramento di fedeltà alla Costituzione stessa e questo porta alla rottura tra Clero e Terzo Stato e ala spaccatura all'interno della stessa Chiesa di Francia, capeggiata da Telleyrand.
Con la costituzione dell'Assemblea legislativa il 10 ottobre 1791, incominciano le persecuzioni contro la Chiesa renitente. Si sancisce l'obbligo di giuramento alla Costituzione per tutti i preti, pena la perdita della rendita e la confisca dell'abitazione; istituzione in tutti i dipartimenti della lista dei preti che non hanno giurato; viene tolto ai preti il titolo di funzionari civili: in pratica una separazione netta tra Chiesa e Stato. Molti ecclesiatici sono vittime di violenze e sopraffazioni. Viene proibita la veste talare e si incomincia a incarcerare vescovi e sacerdoti e ad esiliare chi non ha prestato giuramento.
L'Assemblea vota la laicizzazione dello Stato e i registri delle nascite, matrimoni e morti vengono confiscati alla chiesa.
Con l'istituzione dell'Assemblea legislativa in Convenzione vengono inasprite le pene contro il Clero renitente: si stabilisce la pena di morte per i sacerdoti che ritornano dall'esilio e per quelli che li nascondono, mentre si premia chi li denuncia. I religiosi che non prestano giuramento vengono deportati.
Si cerca di eliminare il cristianesimo sostituendolo con una sorta di religione naturale. Il calendario gregoriano viene sostituito con quello rivoluzionario e vengono abolite le domeniche e le feste cristiane. Si incomincia ad esigere dai vescovi e dai sacerdoti la rinuncia alle loro funzioni sacerdotali. Viene emessa una legge che favorisce il matrimonio dei preti e il matrimonio diventa una sorta di salvacondotto contro ogni persecuzione anche per chi non ha giurato fedeltà alla Costituzione civile del Clero e chi tenta di impedirlo viene incarcerato e deportato.
Vengono istituite la posto delle feste cristiane delle festività profane, come il culto alla dea Natura e alla dea Ragione.
Durante il periodo del Direttorio (1795-1799) continua il clima di persecuzione verso il clero. E' proibito il suono delle campane; alcune chiese vengono vendute o demolite per recuperarne il materiale per altre costruzioni.
Il Direttorio continua ad accusare il Clero e a perseguitarlo, ma nonostante ciò c'è un risveglio del culto, soprattutto a Pasqua e centoventi comuni chiedono il ritorno dei preti.
Nel 1799 con un colpo di Stato cade il Direttorio e cessano le persecuzioni e le deportazioni, ma non è ancora piena libertà.
L'EPOCA NAPOLEONICA
All'inizio del XIX sec. assumono un particolare rilievo due figure: quella di Pio VII (1800-1823) e di Napoleone Bonaparte.
Napoleone, dopo aver concluso la campagna d'Egitto e aver riportato a Marengo una vittoria sugli Austriaci, cerca l'appoggio politico della Santa Sede e per questo cerca di raggiungere un concordato.
Gli argomenti da trattare sono molti e scottanti: c'è il problema dei vecchi vescovi rimasti fedeli alla Chiesa e quello dei vescovi costituzionali, per i quali il papa chiede le dimissioni; vi è poi il problema dei preti sposati, quelli dei beni della Chiesa confiscati, a cui la Chiesa rinuncia per tolleranza e, infine, la questione della libertà di culto.
Il concordato, 17 articoli in tutto, viene stipulato il 15 luglio 1801, ma Napoleone, su suggerimento di Telleyrand, aggiunge altri 77 "articoli organici" che finiscono per indebolire e in parte annullare lo stesso concordato e grazie ai quali la Chiesa viene subordinata allo Stato secondo le logiche regaliste e galliciste. In sostanza un ritorno all'Ancien régime.
Ma le pretese di Napoleone non sono finite: nel 1804 egli si fa proclamare imperatore e per sopperire alla mancanza del prestigio dinastico, pretende la consacrazione a imperatore da parte della Chiesa, su cui fa notevoli pressioni.
Il papa accetta con l'intento di ridiscutere il concordato violato dai 77 articoli organici, ma non ottiene nulla da Napoleone, che persegue la sua politica di affermazione personale.
Nel 1808 Napoleone, dopo una serie di prepotenze, occupa Roma e impone al papa di andarsene. Pio VII rifiuta e per questo viene arrestato. Durante questo periodo Napoleone porta a Parigi gli archivi romani e obbliga i cardinali a trasferirsi a Parigi.
Dopo il disastro di Russia con quattrocentomila morti, Napoleone cerca un nuovo concordato con Pio VII, che di fatto privava la Santa Sede delle residue carte che le rimanevano, avendo concesso all'imperatore la nomina dei vescovi e degli arcivescovi dell'impero e del regno d'Italia. Su suggerimento del card. Consalvi, Pio VII scrive una lettera a Napoleone in cui annulla il concordato appena stipulato.
Nel frattempo, Napoleone viene sconfitto a Lipsia e posto prigioniero nell'isola d'Elba, mentre il papa può tornare nella sua Sede di Roma. Nel 1815, il Bonaparte viene definitivamente sconfitto a Waterloo e relegato nell'isola di Sant'Elena dove morirà.
Tra il 1814-1815 si tiene il Congresso di Vienna, in cui si muta completamente tutto ciò che era legato all'impero napoleonico, al fine di organizzare un nuovo sistema di potere: è la Restaurazione.
Grazie all'abile azione del card. Consalvi la Santa Sede si vide restituire lo Stato pontificio quasi per intero, tranne Avignone, Venaissin, mentre l'oltre Po ferrarese rimase all'Austria.
A onore della grande figura di Pio VII che ha sostenuto per intero il peso della rivoluzione e delle prepotenze napoleoniche, va detto che egli si adoperò presso gli inglesi per ottenere clemenza per Napoleone, mentre i suoi familiari, caduti in disgrazia, vengono benevolmente accolti ospitati a Roma.
LA CHIESA DI FRONTE AL LIBERALISMO
Per liberalismo si intende quel movimento politico, sociale ed economico ispirato al principio della libertà in ogni campo, che si affermò dopo la Rivoluzione francese e ha caratterizzato l'epoca moderna fino alla prima guerra mondiale.
Esso non nacque dal nulla, ma fu il prodotto di una serie di concause che partirono da lontano: a) il Rinascimento e l'Umanesimo, che segnarono gli inizi di una nuova cultura basata su valori umanistici, in contrapposizione critica verso quella precedente, radicata nei valori religiosi e teologici; b) la rottura dell'unità religiosa in Europa ad opera del protestantesimo, che aperse l'uomo ad una diversa visione religiosa, posizionandosi criticamente verso quella cattolica tradizionale; c) la lotta contro i privilegi dell'Ancien régime che, per reazione, fa sorgere un desiderio di diverso e di libertà; d) la totale fiducia nell'uomo, nata dalla visione illuministica della vita e della società.
In tale contesto vanno lette la "Dichiarazione di indipendenza americana" del 1776; la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" sorta con la Rivoluzione francese del 1789. Ed è proprio in Francia che si trova l'espressione più chiara delle nuove idee liberali. In tale dichiarazione tre sono le affermazioni rilevanti: "art.1, Gli uomini nascono uguali e rimangono liberi e uguali nei loro diritti; art.3, ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione; art.4, la libertà consiste nel fare tutto ciò che non nuoce agli altri".
Esso risaltò in particolari ambiti. In campo sociale rivendica l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e la loro piena libertà anche ideologica. In campo politico afferma la sovranità popolare. L'autorità non risiede più nella volontà del re, ma in quella del popolo, per cui i dententori del potere sono dei semplici mandatari di tale autorità e devono conformarsi ad essa. E il mezzo del suo manifestarsi e il suffragio generale. In campo economico difende la libera iniziativa e la proprietà privata. Quanto al campo religioso il liberalismo afferma che lo Stato deve disinteressarsi del fenomeno religioso, in quanto Stato laico e poiché il fatto religioso è considerato individuale e privato ed è relegato nell'intimo della coscienza di ognuno. Tale esposizione sancisce la separazione tra Stato e Chiesa, che viene posta sotto osservazione perché non esca dalla sua sacrestia. Quanto al campo scolastico il liberalismo pretende di avere il monopolio statale, contrapponendosi alla scuola confessionale. Solo la scuola statale garantisce imparzialità e neutralità.
Una valutazione
Tra gli aspetti positivi, il liberalismo ha avuto il merito di evidenziare il valore e l'importanza della persona umana, l'uguaglianza di tutti i cittadini fra di loro e di fronte allo Stato; e una netta contrapposizione e distinzione tra Chiesa e Stato, religione e politica.
Tra quelli negativi, il liberalismo nell'affermare l'uguaglianza e la libertà di tutti gli uomini, non ha saputo moderare tali aspetti, per cui i deboli soccombono e prevalgono i forti, creando un grande divario sociale. L'uguaglianza, pertanto, si fa sfrenato individualismo a danno delle classi meno abbienti. La libertà, inoltre, apre la via all'intolleranza e viene esercitata di fatto da chi ha mezzi a disposizione per esercitarla; gli altri ne rimangono vittime.
I rapporti tra Stato liberale e Chiesa
Essi sono improntati esattamente all'opposto di quelli dell'Ancien régime: al posto del legame tra Stato e Chiesa, che vedeva la Chiesa succube dello Stato e suo strumento di potere, subentra nel liberalismo il separatismo. Per al prima volta da Costantino, il liberalismo porta alla netta separazione e alla contrapposizione tra Stato e Chiesa, e la vita pubblica si laicizza nell'Europa cristiana. Questo, unito ad altre concause, porterà ad una lenta e graduale scristianizzazione dell'intera Europa al punto tale che nella sua recente Costituzione l'Europa rifiuta di riconoscere le sue origini cristiane, di fatto rinnegandole.
Da questa netta contrapposizione ne nasce, almeno da parte della Chiesa, una necessità concordataria per regolare i rapporti con lo Stato e tutelarsi dalle sue eventuali ingerenze. Da Pio VII (1800-1823) a Pio X I (1922-1939) ben trenta furono i concordati stipulati con i vari Stati europei e variamente sparsi nel mondo.
Il liberalismo cattolico o cattolicesimo liberale
Accanto al liberalismo laico, antireligioso e anticlericale, si sviluppa nei vari Stati europei un liberalismo ispirato da valori cristiani che tende a conciliare la fede tradizionale con le libertà moderne proclamate dalla Rivoluzione francese. Esso assume aspetti diversi nei vari Stati in cui sorge.
In Italia sono molti i credenti (Rosmini, Manzoni, Gioberti, Cesare Balbo) che sono favorevoli al regime costituzionale. Altrove ci si preoccupa di assicurare una maggiore indipendenza della Chiesa dallo Stato. Qualcuno, come il Lamennais e il giornale l'Avenir, vede in questo separatismo l'unica soluzione accettabile, se non altro come il male minore e come situazione imposta dalle circostanze. In Belgio la separazione tra Stato e Chiesa dette dei buoni risultati per la sincera collaborazione e amicizia che legava i rappresentanti dei due poteri.
L'autorità ecclesiastica intervenne più volte a correggere e a richiamare i "liberali cattolici". In tal senso l'enciclica "Mirari vos" stigmatizza fortemente la libertà di coscienza e il principio della separazione fra Stato e Chiesa.
La preoccupazione della Chiesa nei confronti del "liberalismo cattolico" consisteva nel fatto che i loro rappresentanti consideravano l'insegnamento dottrinale della Chiesa cattolica come ormai obsoleto e superato e si aprivano con entusiasmo acritico ai nuovi ideali senza distinguere i veri dai falsi valori. La Chiesa nel contempo continuava nella sua politica concordataria per salvaguardare la propria identità e autonomia.
Un altro atteggiamento ambiguo di questi cattolici liberalisti li spingeva a delimitare i campi di intervento della Chiesa e, di conseguenza, ne rifiutavano il magistero di merito. In tal senso il Manzoni considerava dannoso il potere temporale della Chiesa e accettò la sua nomina a senatore del Regno d'Italia nonostante il "non expedit" che vietava ai cattolici la partecipazione alla vita politica; mentre altri vagheggiavano una contraddittoria riforma della Chiesa.
Dall'insieme del talvolta contraddittorio e ambiguo atteggiamento tenuto nei confronti del liberalismo e della Chiesa, questi cattolici liberali sembrano soffrire di una sorta di complesso di inferiorità di fronte al mondo moderno e una sfiducia nella dottrina della Chiesa. Effettivamente, nel suo complesso, questo liberalismo cattolico si mostra piuttosto incerto nei suoi fondamenti dottrinali e ondeggiante nella condotta pratica; troppo propenso a considerare la libertà un valore assoluto a scapito delle indicazioni della gerarchia ecclesiastica.
La reazione dei cattolici intransigenti:
l' "Opera dei Congressi" e l'ultramontanismo
Verso la metà del XIX sec., dopo l'euforia liberale creata intorno alla figura di Pio IX e a seguito dell'atteggiamento anticlericale della classe dirigente in Italia (chiusi i conventi e dispersi i religiosi; impedite le processioni; sottrazione dell'istruzione pubblica alla sovrintendenza del clero), ma soprattutto dopo l'annessione di Roma nel 1870 al Regno d'Italia, i cattolici sentirono il dovere di reagire per la salvezza cristiana della società, soprattutto difendendo il matrimonio religioso, l'educazione cristiana della gioventù e avviare a soluzione la questione sociale. In proposito Spadolini considerava il secondo Ottocento come l'epoca dell'opposizione cattolica, che si manifestava nel rifiuto dell'ideologia liberale, nell'astensione alle elezioni politiche, nella convocazione dei cattolici in un movimento di raccolta intransigente, cioè non disponibile a compromessi con il mondo liberale.
I cattolici intransigenti si caratterizzarono per un'adesione incondizionata a Roma sia sul piano religioso che politico-sociale; sia per una disponibilità del laicato al servizio della Chiesa a scopo di apostolato. Totale devozione al papa, come fondamento di ogni ordine religioso, sociale e politico. Di conseguenza il papato tornò ad essere il polo di attrazione per tutti i cattolici d'Europa.
In Italia si formò il movimento cattolico che, dopo il 1874, fu incorporato nell' "Opera dei Congressi" che si prefisse di raccogliere tutte le associazioni cattoliche preesistenti in un unico movimento attorno al "papa prigioniero". Fu una struttura diffusa capillarmente in ogni parrocchia e strutturata verticalmente (parrocchia, diocesi, regione, nazione) per rendere partecipi tutti i cattolici al dramma che stava vivendo la Chiesa nel suo confronto con il mondo moderno. Tale movimento al di là delle Alpi fu denominato "Ultramontanismo", alle cui origini ci sta la reazione alle sconvolgenti novità apportate dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione francese. Esso è un fenomeno tipico dell'Ottocento che si espresse in un atteggiamento di obbedienza e di rispettosa devozione nei confronti del papa e di fattivo sostegno nei problemi che la Chiesa si trovava ad affrontare nella società moderna.
Pio IX e la questione romana
Il 21 giugno 1846 viene eletto il card. Giovanni Mastai Ferretti , che prende il nome di Pio IX (1846-1878). L'anno successivo alla sua elezione concede, ultimo tra i vari governanti, una Costituzione attesa dalla base. Il Testo prevede due Camere e un Collegio di cardinali per le questioni e gli affari ecclesiastici.
Nel 1848 scoppia la prima guerra d'indipendenza contro l'Austria, ma il papa non interviene: egli è il pastore di tutti, il vicario di Cristo e non può schierarsi contro Stati cattolici e lo dice espressamente ai cardinali il 29 aprile 1848.
La guerra si conclude con una sconfitta da parte degli irredentoristi. A Roma Pio IX cerca di creare il primo governo, affidandolo a Pellegrino Rossi, che scontenta tutti e viene assassinato. Il papa non si sente più sicuro e fugge a Gaeta tra la notte del 24/25 novembre 1848.
Il 9.2.1849 viene dichiarato decaduto il potere temporale del papa e si proclama la repubblica romana. Pio IX chiede aiuto ai vari Stati europei e, grazie all'intervento decisivo di Luigi napoleone, Pio IX può rientrare a Roma il 12.4.1850.
Nel 1859 scoppia la seconda guerra d'indipendenza a cui seguono le varie annessioni e la proclamazione del Regno d'Italia nel 1861.
A seguito di ciò si aprì la "questione romana". Da parte della classe dirigente italiana si è convinti della necessità di annette Roma al nuovo regno d'Italia. Roma, infatti, è l'unica città simbolo dell'italianità e carica di storia che parla dell'antica grandezza e degli antichi splendori italiani, l'unica in grado a coagulare la fragile unità del neonato regno.
Da parte della gerarchia ecclesiastica si risponde con un "non possumus". Infatti, il papa è convinto che il potere temporale rimastogli sia indispensabile e garante di fronte ai soprusi da parte degli Stati. Il potere temporale, sia pur limitato, gli è indispensabile per poter esercitare autonomamente quello spirituale. La questione, quindi, posta dalla Chiesa non è politica, bensì spirituale.
Ma dopo la caduta di Napoleone III a Sedan nella guerra franco- prussiana, viene a cadere il garante della difesa della Santa Sede. Per cui, dopo alcuni contatti tra Santa Sede e Governo italiano, viene dato l'ordine al generale Raffaele Cadorna di occupare la città di Roma, rispettando l'area vaticana. Attraverso la breccia di Porta Pia Roma è occupata nel 1870 e il 2 ottobre dello stesso anno i Romani danno il loro parere favorevole all'annessione di Roma al regno d'Italia.
La cosa provocò l'irrigidimento della Chiesa e di tutto il mondo cattolico che si strinse unanime e solidale con il "papa prigioniero", mentre i cattolici liberali e transigenti sono considerati dei traditori.
Con l'enciclica "Non expedit" Pio IX fa obbligo morale a tutti i cattolici d'Italia a non partecipare alle elezioni politiche, per no accreditare un parlamento che impedisce la libertà della Chiesa, mentre sono invitati a partecipare a quelle amministrative.
La questione romana e il conflitto che ne conseguì trovò la sua soluzione nel 1929 nei Patti Lateranensi.