LA
STATUA DI SAN ROCCO
tratto da: F. Basile "Il Culto di San Rocco a Locorotondo fra storia devozione e folklore", 1987, arti grafiche pugliesi, Martina Franca. clicca qui e visiona tutte le foto della festa di S. Rocco 2006
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Il
Baccari scrive che la bella Statua di San Rocco, esistente nella
Chiesa, fu costruita a Napoli nel 1782, ma non suffraga questa affermazione
con documenti, così come non è stato possibile rinvenire atti probanti la
testimonianza del dottor fisico Angelo Convertini (1771-1831) il quale afferma
che in cornu evangelii vi è la statua dell’ istesso, fatta in Napoli nel
1792 e vestita di buon gusto. Si sa che il Baccari nel compilare la sua storia
di Locorotondo ha tenuto moltissimo presente il “manoscritto Convertini”
per cui è lecito supporre che, nell’affermare che la statua di San Rocco è
da datare 1782, egli abbia avuto documenti di prima mano, in virtù dei quali
indicare, con tutta tranquillità, quella data, discostandosi dalle indicazioni
del “manoscritto”. D’altra parte, però, noi non possiamo non
considerare che il Convertini nel 1792 aveva maturato il ventunesimo anno di età,
motivo per cui, molto probabilmente, sarà stato testimone diretto degli
avvenimenti dei quali scrive. Si potrebbe pensare, infine, ad un errore di trascrizione da parte del Baccari, ma sembra troppo azzardato affermarlo in maniera categorica. A noi, stando così le cose, non resta che prendere atto della discordanza delle date, nella speranza che si chiarisca quanto prima il dubbio. Convertini
afferma che la statua di San Rocco è vestita di buon gusto dando un’
altra dimostrazione dell’ affetto dei Locorotondesi verso il Santo
protettore. Attualmente, il più vecchio “vestito della Statua” esistente
nella chiesa di San Rocco, risale al 1909, come testimonia uno scritto
all’interno dello stesso: “LA VESTE E STATA FATTA DALLA FAMIGLIA DE
BERNARDIS NEL 19O9”. La famiglia De Bernardis alla quale si fa riferimento è
quella del signor De Bernardis Francesco Paolo (1851-1938) il quale, insieme
alla moglie Alberotanza Crescenza e ai quattro figli Vito, Luigi, Michele e
Marcello provvide a sostenere tutte le spese Il
Manto, ora detto il vecchio, fu pronto nel 1912: “MANTO
DI SAN ROCCO FATTO DA MICHELE DE BERNARDIS NEL 1912”, si legge al suo interno. Don
Michele De Bernardis, in cambio del manto nuovo fatto confezionare a sue
spese, chiese ed ottenne in cambio quello vecchio della fine dell’800.
Attualmente questo si trova in casa della professoressa Natalia De Bernardis
maritata L’Abate e abitante in Corso Perrini, 162, a Fasano. La signora
Natalia, così come faceva sua nonna Natalia Alberotanza De Bernardis, conserva
il manto in un fazzoletto tessuto a mano, in mezzo ai materassi del proprio
letto matrimoniale, sicchè il manto, come avvolgeva la statua del
Santo di Montepellier, avvolge e consola i devoti di San Rocco. La certezza
tutta sua di avere una reliquia importante in casa, dalla quale essere protetti,
la si evince
dalla lettura del biglietto che donna Natalia ha lasciato scritto e
avvolto nello stesso fazzoletto: “E’ benedetto. Abito di San Rocco
tolto da lui, perchè Michele per voto ci fece il nuovo. Lo tengo per devozione.
Vi raccomando di non buttarlo e di non fare altro uso”. Di
questo diremo, inoltre, che si compone di due ferse cucite l’una a
fianco dell’altra per una larghezza totale di cm. 91 e per una lunghezza di
cm. 306. Il bordo del pizzoletto è ricamato in oro zecchino, così come
in oro è il festone di ghirlande floreali che si distende parallelemente al
suddetto
bordo. Le corolle ed alcuni pistilli che lo compongono sono a sbalzo ottenuto
con la cucitura di alcune paillettes; il tutto in perfetta armonia, semplicità
e bellezza. Nella parte terminale, al manto manca un pezzo (cm. 10 x 20 circa)
che donna Natalia tagliò in tanti pezzettini e, confezionate le petidde le
donò prima ai figli e poi a tutti i nipoti affinchè le indossassero. La
devozione di don Michele De Bernardis (1883-1960) verso San Rocco durò tutta la
vita e fu molto intensa, tant’è che, alla fine della prima guerra mondiale,
dopo essere tornato a casa, memore di tanti eccidi, distruzioni e morti, si
affrettò a donare al Santo - come ex-voto - un anello, con incastonato un
rubino, preso direttamente dal tesoro di famiglia (testimonianza del figlio,
dott. Vito). E, allorquando il cappellano della chiesa, don Donato Fumarola, per
esigenze varie mise all’asta “l’oro di San Rocco’, fra cui il suddetto
anello, il De Bernardis riuscì a ricomperarlo, spendendo
ventiduemilacinquecento lire e lo ridonò al Santo prediletto. In
quella occasione, vennero venduti, da Don Donato, grammi 2.900 di ex-voto in
argento, come si evince dalla documentazione fra la Curia arcivescovile e il
Rettore della chiesa e fra questo e la ditta Aquilino Francesco di Bari. Fin qui la testimonianza diretta dei figli di don Michele De Bernardis, il cav. Francesco e il dott. Vito, ma nell’elenco dell’ “oro di San Rocco”, depositato presso l’ufficio amministrativo diocesano di Ostuni il 16 febbraio 1963 dall’allora cappellano, il più volte già nominato don Donato Fumarola, a nome di De Bernardis Michele risulta “un orologetto d’oro”, che è pur sempre cosa pregevole, ma non l’anello di cui si parlava prima. Anche se, per la verità, al dito mignolo della mano di S. Rocco che regge il bastone vi è un anello a serpente con rubino così come descritto dal dott. Vito e cav. Francesco. Una
considerazione viene spontanea nell’evidenziare questi che alla locorotondese
chiameremo fatti: le spese per il mantenimento della devozione verso i
Santi - in quei tempi - venivano sostenute da quelle pochissime antiche e
ricche famiglie esistenti in Locorotondo e che qui avevano fissato la propria
dimora, come i De Bernardis, almeno dalla fine del XVII secolo, trasmettendosi
di generazione in generazione una religiosità espressa in maniera tutta
particolare come la vestizione di alcune Statue di Santi.
Attualmente
gli ex-voto di San Rocco consegnati da don Donato Fumarola all’arciprete
dell’epoca, don Orazio Scatigna, risultano da una dichiarazione scritta dello
stesso don Orazio. Dalla
stessa dichiarazione, inoltre, si evince che don Donato, contemporaneamente,
consegno’ anche l’ elenco degli oggetti preziosi depositati presso l’
ufficio Amministrativo diocesano di Ostuni il 26/8/1946. Dopo
la seconda guerra mondiale (1940-1943) vi fu un nuovo fervore di opere intorno
alla Chiesa e alla statua di San Rocco. Questa volta fu don Vito De Bernardis (1879-1973)
a provvedere, insieme alla moglie donna Antonietta Marinosci, ai nuovi
vestiti di San Rocco: “IL SECONDO MANTO È STATO FATTO A DIVOZIONE DEI CONIUGI
VITO E ANTONIETTA DE BERNARDIS NEL 1933. COSI PURE LA VESTE”. Donna
Antonietta Marinosci, quando vide completato “il secondo manto”, si lamentò
con la ricamatrice Rosato Livia poichè a suo giudizio l’oro ricamato non
aveva la stessa bellezza e qualità di quello del 1912. Livia
Rosato, però, dà un’altra versione del fatto: “Donna Antonietta,
all’inizio, avrebbe gradito recuperare l’oro dell’altro manto, che, però,
pur essendo di elevata qualità e notevole valore, nel momento in cui doveva essere
sfilato dal vecchio ricamo si sfogliava dal filo di seta intorno al quale era
avvolto”. Livietta lavorò al telaio grande, che era steso nel lungo e largo
corridoio del secondo piano dell’Ospedale ricovero Montanaro, per sette mesi
e non desiderava alcun compenso - trattandosi di San Rocco -, ma don Donato le
fece fare il conto a giornata, paragonandola ad una raccoglitrice di olive, la
quale all’epoca riceveva settecento lire per una giornata di dieci ore di
lavoro. Il ricamo venne disegnato sul manto da suor Concetta delle suore di
Ivrea le quali nell’ospedale svolgevano opere caritative, assistenziali ed
educative. Tutto il lavoro venne organizzato e coordinato da un grande maestro sarto per signora, Vittorio Scatigna, che, in quegli anni, a Locorotondo fu anche benefattore. Fra
l’altro, nel 1950 provvide, a sue spese, a rifare il pavimento di tutta la
Cappella dell’altare del SS. Sacramento e di tutta la zoccolatura perimetrale
della Chiesa madre. A testimonianza, nella parte esterna della suddetta
cappella, a sinistra di chi guarda verso di essa, venne posta la seguente
iscrizione:
“Nell’anno
santo 1930 in memoria dei genitori Orazio e Anna e della sorella Angela questo
marmoreo pavimento nella cappella del SS. Sacramento e zoccolo perimetrale
della Chiesa Vittorio Scatigna pose”. Nel
pannello marmoreo a fianco si legge la ragione sociale della ditta che eseguì
il lavoro: “Marco Giacovelli e Figli - Bari”.
L’Italia
repubblicana e democratica ha fatto godere al proprio popolo - per la prima
volta nella sua storia dopo l’Unità - oltre quarant’anni di ininterrotta
pace, permettendo anche a Locorotondo di progredire insieme agli altri
“formiconi di Puglia”. Così la festa di San Rocco - quella grande in Agosto
e il Panegirico alla fine di febbraio - si è sempre fatta e, naturalmente,
anche gli ultimi vestiti (1933) si sono sdruciti. Del loro stato nel 1982 si
resero conto i signori Consoli Giovanni (classe 1903) e Petino Francesco
(classe 1923) i quali affissero, nella chiesa di San Rocco, un manifesto in cui
si dichiarava di aprire una sottoscrizione per realizzare un nuovo Manto,
Vestito e Mozzetta, chiedendo, questa volta, il contributo di tutti i
devoti: segno che i tempi erano ormai mutati. Nel 1983, dopo aver chiuso la sottoscrizione che aveva dato oltre un milione di lire; vennero realizzati i nuovi vestiti che furono tagliati dalla signorina Giulia Pentassuglia e cuciti dalle sorelle Livia e Pasqua Rosato. Le tre signorine offrirono il proprio lavoro finissimo di sarte e ricamatrici. Don
Michele De Bernardis - del quale abbiamo già parlato - aveva fatto
confezionare, sempre a proprie spese e per devozione, quattro candelieri che
servivano ad abbellire l’apparato scenico della Statua in processione. I
primi anni dopo la donazione - la data non mi è stata, purtroppo riferita - i
candelieri venivano prelevati dalla casa del De Bernardis in via Porta Nuova
prima della processione per esservi immediatamente riportati al termine. Dopo
qualche anno però gli stessi furono donati in perpetuo alla chiesa di San
Rocco. Fra
le testimonianze scritte, inviate dal fratello di don Donato, risulta una
dichiarazione del dott. Michele Giannini, all’epoca veterinario
comunale, sulla base della quale e’ possibile arrivare alla seguente
conclusione: don Michele Giannini tolse i “quattro fanali” al nostro San
Rocco per donarli al “suo” di Turi, allorchè, ritiratosi dal lavoro, si
stabilì definitivamente in quel paese che era quello di sua origine. Per
precisione si dirà, però, che il protettore di Turi è Sant’Oronzo. Si
può pensare che in Valle d’Itria, dopo l’affermazione del “Barocco
Martinese”, tutte le manifestazioni artistiche e artigianali abbiano risentito
e assimilato questo stile in tutte le sue connotazioni, manifestazioni ed
evoluzioni.
A riprova basti osservare la finezza della lavorazione di alcuni portali,
logge e frontoni della fine del ‘700 nel centro storico locorotondese. La
leggiadria delle evoluzioni e dei contorni dei bastardi non contrasta con
la modestia degli umili jusi - di cui reggono il peso per far penetrare la luce
di Dio - ma li solennizza con le iscrizioni latine incise sui frontoni delle
porte. Così, quando nel 1958 si decise di rifare la base - piedistallo
su cui poggia la Statua durante le processioni -, il maestro d’arte Vito
Basile non ebbe motivo di ricercare altrove le idee ispiratrici del progetto di
realizzazione. Nell’ideazione e attuazione di tale lavoro, l’artista -
premio Locorotondo 1975 - ispirato da grande amore verso Locorotondo e da
incondizionata devozione verso San Rocco, profuse tutta la sua bravura.
Quest’opera venne molto opportunamente giudicata la “summa” a compendio di
un’arte finissima e nobilissima qual è stata quella degli intagliatori e
intarsiatori del legno dei quali Locorotondo è stata fertilissima fino alla
prima metà di questo secolo. Per la loro bravura meritarono al paese la nomea
di “Brianza del Sud”.
“LA
NUOVA BASE A SAN ROCCO (ESCLUSA LA DORATURA) FU DONATA DAI CONIUGI MARIA E MITO
BASILE. SCOLPITA DA VITO BASILE NEL GIUGNO 1958”. E questa
l’iscrizione posta sulla base a testimonianza dell’avvenimento. Resta da
indagare solo su chi pagò la doratura giacchè dalla lettura che faremo dei
documenti si comprende che anche questa parte finale del lavoro
venne eseguita sotto la supervisione di Vito Basile. Ad
eccezione della lettera del pittore d’arte sacra e profana Giuseppe Van
Westerhout, lettera indirizzata a don Donato Fumarola, tutte le altre fanno
pensare ad una fitta corrispondenza con il Nostro artigiano. Una volta trovato il finanziatore - del quale, nonostante le ricerche, non si è saputo il nome forse perchè volle restare anonimo - il problema presentava due aspetti: il primo era quello di trovare un altro artigiano capace di lavorare l’oro a regola d’arte; cioè fonderlo e farlo perfettamente aderire alla base. Aspetto questo risolto presso la ditta “Cafagna” all’epoca operante a Bari in via Marchese di Montrone. Purtroppo, attualmente, anche questo artigiano non opera più, motivo per cui non è stato possibile rintracciarlo per conoscere altri particolari e soprattutto l’esistenza di un contratto che facesse giungere al committente. Per risolvere il secondo aspetto, don Donato e Vito Basile si preoccuparono di trovare, oltre al doratore, anche l’oro di fine qualità e preparazione da usare. Dalla lettera di Van Westerhout si comprende che i Nostri si erano rivolti contemporaneamente ad una ditta di Firenze. Infatti, mentre la lettera del pittore è datata 13 maggio 1938, la risposta della ditta Manetti Giusto è datata 14 maggio. Dalle
date delle lettere si comprenda come si volessero fare le cose per bene ed in
fretta in quanto la festa di agosto si avvicinava e la popolazione era in attesa
di vedere la nuova base di San Rocco della quale tutti parlavano ma che
nessuno aveva visto. C’è da dire, per la verità dei fatti, che sia don
Donato Fumarola che Vito Basile erano due persone molto per bene che non amavano
dilungarsi per portare a compimento i loro lavori. A questo si aggiunga la
comune grande devozione che legava entrambi a San Rocco. Così, durante le
processioni, mentre don Donato in qualità di officiante era sempre l’ultimo
davanti alla statua, Vito Basile e la moglie Maria Lattanzio riuscirono ad
essere - fino alla loro morte - i primi a far fila, loro due soli,
immediatamente dietro San Rocco. Particolare, questo, importantissimo, giacchè
tuttora l’offerta per poter partecipare alla processione, reggendo il cero
dietro la Statua, varia
da fila a fila aumentando notevolmente per gli occupanti
i posti delle prime tre o quattro file. Durante gli anni sessanta e settanta
di questo secolo, Francesco Rosato, componente la deputazione della festa
patronale, era diventato molto esperto nell’individuare coloro che si
infilavano - da determinati punti strategici - o senza pagare o avendo pagato
per posti molto lontani dalla Statua. Cose queste che viste con gli occhi di
oggi possono sembrare a dir poco strane, ma che realmente accadevano: la
devozione era molto sentita, i soldi in tasca della gente nostra sono stati
sempre molto pochi, ma la credenza che le benedizioni fossero più copiose
quanto più vicini si fosse stati alla Statua era forte; d’altra parte, la
deputazione doveva e deve inventarsi tutti gli stratagemmi possibili per
pagare le spese della festa che per antico detto deve chiudersi almeno in
pareggio e mai in passivo perchè San Rocco non ha debiti. E che i fedeli
fossero convinti di questa affermazione lo testimoniano, ancora una volta,
l’onestà e la precisione di don Donato Fumarola il quale, in data 1 marzo
1968, consegnò il libretto sopradescritto del Banco di Napoli, da dove
chiaramente si comprende quanto costante fosse la preoccupazione di far sì
che la chiesa di San Rocco avesse un proprio fondo cassa. Interessante
notare, infine, che il gruppo dei devoti frequentante costantemente quella
chiesa, si è sempre sentito inserito nelle attività catechistiche generali
della Parrocchia, tant’è che si preoccupò di raccogliere fondi per
l’erigendo oratorio catechistico, ottenendo contributi anche da Papa Giovanni
XXIII, di venerata memoria.
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