Quando
si può parlare di macchina? E fino a che punto si
può
dire che una macchina sia viva? Sulla scia della trilogia di Matrix, in
cui le macchine assumono una volontà propria, "Io, robot" si
pone come uno degli esempi meglio riusciti di fil di fantascienza. Dal
libro di Isaac Asimov si estrae questa storia strana che illustra un
futuro non tanto distante da noi, in cui la robotica è
completamente integrata nella vita umana. Il passo di vedere il robot
come una vita, prima di "Io, robot", prima dei Matrix, prima del
fantastico "A.I." di Spielberg, è stato fatto molti anni fa
da
quel genio di Kubrick nel capolavoro mai ripetuto "2001: Space
Odissey", in cui Hal 9000 rappresentava il classico esempio di
"autoevoluzione" del robot. Quell'"Io" messo nel titolo, ovviamente,
non è affatto casuale ma dà appieno il senso di
singolarità, individualità del protagonista
Sonny,
diverso tra gli uguali. Ma cosa rende Sonny diverso dagli altri, cosa
gli permette simbolicamente di elevarsi rispetto ai suoi simili (come
nell'ultima scena?): è forse il fatto di avere un nome,
rassicurante, familiare? O forse la capacità di sognare?
Ciò che lo rende vivo è semplicemente il fatto di
essere
unico, diverso. Questo film, così, presenta un punto di
rilfessione profondo e abissale: cosa rende vivi? E la risposta
più logica sembra essere proprio: "l'essere unici". E
affianco a
Sonny, il detective Spooner che rappresenta un barlume di vecchia
umanità, legato ai valori di un tempo, valori che non vanno
persi. E qui so apre il secondo punto di riflessione aperto dal film:
fino a che punto il progresso deve entrare nella vita dell'uomo e da
dove, invece, deve essere lasciato fuori?
Trama
Nella
Chicago del 2035 vive e lavora il detective Del Spooner (Will Smith),
amante dei bei tempi andati in cui i lettori CD si usavano con il
telecomando e le scarpe del passato sono delle Converse All Star del
2004 (…). La caratteristica che rende Spooner un ottimo
personaggio per rendere la trama del film deriva dalla sua avversione
nei confronti dei robot (robofobia?), macchine servizievoli e
perfettamente integrate nell’america del 2035 che ormai
rappresentano un aiuto insostituibile nella vita di tutti i giorni.
La trama prende spunto dall’apparente suicidio del dott.
Alfred Lanning (James Cromwell), ideatore di tutti i robot in
circolazione prodotti dalla US Robotics (esatto, come
l’omonima società che costruisce
modem…), società che si appresta a lanciare sul
mercato una nuova classe di robot, gli NS-5 destinati non solo a
sostituire i vecchi modelli NS-4 ma anche a rendere tali macchine
sempre più diffuse sulla Terra in rapporto 1/4 (1 robot ogni
4 umani).
Chi non è convinto del suicidio del dott. Lanning
è proprio Spooner, che conosceva il professore e non lo
crede capace di una simile azione. La sua indagine comincia con il
presidente della US Robotics Lawrence Robertson (Bruce Grenwood) il
quale, volendo chiudere a tutti i costi il caso (per ovvi motivi), gli
affianca una collaboratrice del dott. Lanning la dott.ssa Susan Calvin
(Bridget Moynahan) convinta sostenitrice dell’ipotesi del
suicidio, poichè i robot non possono fare del male agli
umani grazie alle famose tre leggi della robotica.
La questione si complica quando sul luogo del delitto - la stanza di
Lanning - si trova un particolare modello di NS-5 che si scopre avere
un nome, Sonny (Alan Tudyk) che sulle prime sembra il candidato
perfetto ad essere incolpato, ma le cose prenderanno tutta
un’altra piega.
Recensioni
Una
proiezione particolare... una sala Warner con un promo della Medusa, un
marchio, la US Robotics, che da quando vivo nel mondo del personal
computer, e non è poco tempo, è stata sempre
sinonimo di modem (ne ho avuti ben due), e che da oggi - o meglio da
domani - è invece sinonimo di "robot". Al di la della spesa
di marketing della USR, e di tutte le altre multinazionali che hanno
esposto il loro bel "brand" in questa libera trasposizione
cinematografica dei racconti di Asimov, Io robot è ben
concepito e soprattutto credibile grazie alla sua ambientazione da
"prossimo futuribile" piuttosto che da fantascienza sfrenata.
Decisamente più thriller che azione, il film mutua tutta
l'atmosfera del racconto di Asimov ad eccezione della figura della
dottoressa Calvin che è un po' troppo emotiva rispetto
all'originale. La regia di Proyas (Dark City) ci restituisce una
Chicago del 2035 molto credibile anche grazie al dipartimento degli
effetti speciali.
I robot progettati dallo scenografo Tatopulos (Indipendence Day) sono
antropomorfi e particolarmente flessuosi, modellati sull'archetipo del
ballerino Paul Mercurio. Il robot dotato di un ego, Sonny, è
invece l'attore Alan Tudyk, su cui poi ha pesantemente lavorato il
dipartimento degli effetti speciali guidato dalla Digita Domain.
Un film che oltre all'aspetto spettacolare indaga sull'essenza
dell'essere. Cosa ci rende vivi? Le emozioni, il pensiero, la
possibilità di scegliere... Sonny in realtà
è in grado di fare tutto ciò ed è
proprio questo che non lo rende più un robot, ma qualcosa di
diverso.
(da http://filmup.leonardo.it)
Immagini










