OPUSCOLO INFORMATIVO SULLE ATTIVITA' DEL CLUB |
NUMERO 2/1999 |
LA GUERRA NEI BALCANI CONVIENE ALL'EUROPA? di Domenico Catera
ISTRUZIONI PER L'USO DELL'INTERVENTO DI TERRA di Roberto Stocchetti
FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE di Domenico Catera
I SOLITI IGNOTI di Livio Zaccagnini
LA GUERRA NEI BALCANI CONVIENE ALLEUROPA?
Tre sono le questioni che determinano la dannosità della guerra recentemente scatenatasi nei Balcani
di Domenico Catera
Attualità |
Capire perché la guerra in corso nei Balcani, è dannosa per lEuropa significa conoscere e comprendere tre questioni dimportanza vitale.
ECONOMICA-FINANZIARIA
Lo stato di guerra, se si dovesse prolungare per lungo tempo,
dati i suoi costi esorbitanti, agirà da freno sulleconomia
europea, inpedendone un normale sviluppo e, quindi, diminuendone
la capacità competitiva sui mercati internazionali, a tutto
vantaggio delle economie statunitense e giapponese. Per i tre
maggiori Paesi che aderiscono allEuro, vale a dire Francia,
Germania e Italia, i costi eccessivi, indotti dalle ostilità,
metterebbero in serio pericolo i risicati equilibri dei bilanci
pubblici, rischiando di far saltare quei "tetti"
imposti ai deficit stessi dal "Patto di Stabilità".
Questi Paesi potrebbero chiedere una deroga speciale alle norme
previste dal patto, visto il momento cruciale che si troverebbero
ad affrontare; ma tutto ciò accentuerebbe lindebolimento
dellEuro rispetto al Dollaro, influendo in modo negativo
sullandamento dei prezzi in Europa e generando effetti
inflazionistici nei Paesi che compongono la moneta unica.
GEOPOLITICA
La Macedonia, Paese confinante con la Serbia, è un fragile
mosaico di etnie, che include un terzo dalbanesi e poi
turchi, serbi, valachi, bulgari, zingari. Ma il governo di Atene
la considera storicamente una provincia greca in virtù del
nazionalismo panellenico. I ribelli dellUck (Esercito di
liberazione del Kosovo), oltre allindipendenza del Kosovo
dalla Serbia, vogliono la nascita della "Grande
Albania" che dovrebbe includere anche territori che
appartengono alla Macedonia e, in questo gioco, vorrebbe
inserirsi anche la Grecia, che ha delle rivendicazioni
territoriali nei confronti dellAlbania. Senza considerare
la regione serba della Vojvodina, dove è presente una minoranza
ungherese, il Montenegro, repubblica federata con la Serbia, che
aspira allindipendenza da Belgrado, e il Sangiaccato,
territorio che separa Serbia e Montenegro, popolato in massima
parte da mussulmani. Frantumare questi delicati equilibri
geopolitici (Se non sono già stati frantumati? ) significa far
esplodere i Balcani interi, col rischio, non del tutto remoto, di
un'altra guerra in Europa.
POLITICO-MILITARE
La NATO, sigla di North Atlantic Treaty Organitation;
organizzazione politico-militare del Patto Atlantico, concepita
cinquantanni fa come strumento di difesa dellEuropa
Occidentale, per la prima volta nella sua storia è stata
utilizzata per lanciare un attacco contro uno Stato sovrano, che
non minacciava militarmente nessun Paese membro
dellAlleanza. Uninversione di strategia drammatica:
da Alleanza difensiva ad Alleanza offensiva. Attacco che non ha
nessuna base legale internazionale, perché non vi è stata
nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite che autorizzasse a condurre tale attacco;
questimponente azione militare nei confronti della
Jugoslavia da parte della NATO-USA, ha relegato lONU in una
posizione marginale, mentre la Russia vi ha visto una minaccia
diretta a se stessa, perché in alcune sue province è in atto un
conflitto latente che potrebbe sfociare in una guerra tipo
"Kosovo", e ciò potrebbe indurre gli USA ad
intervenire militarmente. Sulla questione sicurezza della regione
dal punto di vista politico-militare, escludere la Russia vuol
dire danneggiare la cooperazione tra NATO-USA e Russia
nellarea. Se non riusciremo ad istituire una cooperazione
multilaterale e meccanismi di sicurezza collettivi nei Balcani,
il nuovo secolo non si aprirà allinsegna della pace.
ISTRUZIONI PER L'USO DELL'INTERVENTO DI TERRA
Ovvero: "Ti ricordi la guerra di Grecia coi soldati mandati al macello?"
di Roberto Stocchetti
Attualità |
E' visto con preoccupazione dall'opinione pubblica, alimenta
il dibattito politico internazionale, viene richiesto a tambur
battente dai patrioti kosovari e dagli albanesi: l'intervento di
terra della NATO rappresenta la grande incognita delle prossime
settimane e dei prossimi mesi. Le note a seguire, che non
vogliono né possono essere in alcun modo esaustive, spero
possano aprire un dibattito su circostanze e problemi che, al
momento attuale, non vengono minimamente affrontati dai media.
Allo stato attuale l'intervento di terra potrà avvenire solo
partendo dal territorio albanese; l'area interessata è
interamente montuosa con vette che raggiungono i 2.000 metri
"su cui anche a giugno campeggia la neve" (Laura
Boldrini "Aspettando l'inverno a Bajram Curri" Limes
3.98) e viene 'la regione più remota e sottosviluppata
dell'Albania. Con le strade completamente dissestate" (Laura
Boldrini...) alle già scabrose caratteristiche orografiche si
coniugano numerosi altri problematici elementi. Il totale della
rete stradale albanese assomma a 15.500 Km di cui solo il 30% è
asfaltato, l'unico porto spendibile per lo sbarco d'uomini e
materiali quello di Durazzo, la rete aereoportuale semplicemente
inesistente, le zone operative oberate dalla presenza di decine
di migliaia di profughi.
A fronte di un simile stato di fatto un esercito ad alta
tecnologia di almeno 100/150 mila uomini dovrebbe porre le sue
basi in condizioni a dir poco proibitive. Una simile impresa, se
tentata, avrebbe un rilievo di profilo non inferiore ai
principali sbarchi aereonavali della II Guerra Mondiale od
all'operazione "desert Storm" del 1991. Non è
esagerato affermare che la prima misura da compere dovrebbe
essere l'evaquazione di tutti i profughi dell'area interessata
alle operazioni, non fosse altro per poter disporre con pienezza
di una rete del tutto insufficiente. L'Albania andrebbe divisa in
due aree: una a Nord con un confine a Sud di Tirana dovrebbe
essere impiegata esclusivamente per le operazioni militari. Il
porto di Durazzo dovrebbe operare al limite delle sue capacità e
precluso a qualsiasi uso civile, identico discorso dovrebbe farsi
per l'aereoporto di Tirana, l'unico, indubbiamente, di tutta
l'Albania che possa consentire l'atterraggio di trasporti della
classe del C5 Galaxy. L'area meridionale andrebbe utilizzata per
il ricovero dei profughi, le sue esigenze di rifornimento fatte
gravitare sul porto di Valona. Per le esigenze di traffico
militare si potrebbero predisporre una serie di
"striscioni" atterrabili, al più, da trasporti della
classe CI30 e senza farsi soverchie illusioni sulle loro
capacità operative. E' ben vero che un appoggio logistico e
bellico potrebbe essere offerto da mezzi ad ala ruotante ma è
altrimenti evidente come buona parte dell'aliquota aereonautica
dovrebbe essere avanzata sugli aereoporti pugliesi.
Al momento attuale una simile preparazione operativa che, è
bene sottolinearlo, richiederebbe una concentrazione operativa ed
economica di portata non comune, è stata appena iniziata. Ed è
bene anche sottolineare come si dovrebbe operare con la massima
rapidità, in un'area come quella balcanica le cui condizioni
metereologiche sono talmente sfavorevoli e mutevoli che un
ritardo, seppur di poche settimane, potrebbe costituire serio
pregiudizio alle operazioni belliche. Operazioni che non si
svolgerebbero sul "tavolo da biliardo" del deserto
arabico con una larga possibilità di movimento di ampie masse
corazzate ed obiettivi facilmente individuabili, tutt'altro; in
un simile teatro operativo si potrà tranquillamente dimenticare
l'impiego di carri pesanti (Leopard, Abrams), simili mezzi che
più che dal fuoco controcarro sarebbero falcidiati da qualcosa
di ben più micidiale: il fango. Se si crede ad una esagerazione
basterà consultare delle foto del fronte Greco-Albanese del
1940/41. Le truppe dovrebbero appoggiarsi a mezzi corazzati
leggeri; ottimale durante il conflitto delle Falkland dei carri
in alluminio corazzato "Scorpion" che ben si adattavano
al cedevole terreno erboso dell'isola.
Favorevole alle forze NATO sarebbe la presenza dei
guerriglieri dell' Uck aventi una perfetta conoscenza dei luoghi
e che, quindi, giuocherebbero in casa (come i Serbi d'altronde);
ma più complesso sarebbe "gerarchizzare" dei
guerriglieri in una complessa struttura di comando
multinazionale, rendere visibile al partigiano ansioso di
liberare il proprio villaggio o finanche la propria casa o di
consumare una vendetta gli "obiettivi strategici"
fissati in qualche remoto summit e imposti da un generale
straniero. E perciò, riassumendo, gravi carenze di strutture
logistiche, obiettive difficoltà per le complesse condizioni
orografiche e metereologiche.
Né ci si deve fare soverchie illusioni sulla
"anemizzazione" dell'esercito federale tramite la vasta
campagna aerea di queste settimane. Ben organizzati nuclei di
guerriglia potrebbero portare "morsi" ben più dolorosi
alle forze attaccanti di un esercito lanciato, in condizioni di
inferiorità tecnica ed organizzativa, in una battaglia campale
(Iraq docet). Superfluo aggiungere che la guerriglia potrebbe
protrarsi indefinitamente anche dopo la completa occupazione del
Kosovo ridotto, anche a nostra causa, ad un deserto in cui le
forze occupanti dovrebbero sopperire alle più elementari
esigenze vitali di una popolazione allo stremo, con il
conseguente ed esponenziale aumento dei problemi sopra descritti.
Come si vede molteplici sono, anche ad una prima e
superficiale disamina, le problematiche di un impegno terrestre
delle forze NATO non solo e non tanto per ciò che potranno avere
davanti come nemico ma, paradossalmente, per la situazione che
avranno alle spalle come supporti logistici. Ben difficilmente
l'Occidente potrebbe farsi carico di una operazione che più che
al Ponte aereo di Berlino rassomiglierebbe alla biblica Torre di
Babele; chi fosse preso dal sacro fuoco dell'aiuto umanitario
pensi all'abbassamento del tasso d'interesse compiuto nei giorni
scorsi nell'area Euro ed ai primi segnali di cedimento del già
traballante mercato italiano. La meditazione di questi fattori è
interessante non solo di ristrette cerchie di politici ed
economisti, essa deve divenire appannaggio dei più ampi settori
della società civile e ciò per non riperpetuare quell'ignavia
tra questa e le classi dirigenti che così nefasti effetti ha
avuto nella nostra nazione.
FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE
"Quale riforma possibile?"
di Domenico Catera
Attualità |
Le attuali crisi (definite di Nuovo Tipo*) valutarie e
finanziarie che hanno investito i mercati mondiali, ed in cui il
Fondo è intervenuto massicciamente, hanno messo in luce i suoi
limiti, sia nella disponibilità di risorse sia negli strumenti
operativi di cui dispone, avviando in questo modo una discussione
che dovrebbe portare ad una sua riforma, in modo da dotarlo di
quegli strumenti economici, ed eventualmente politici che
potranno metterlo in grado di affrontare le sfide future.
Le recenti crisi valutarie che hanno investito i mercati
finanziari internazionali hanno fatto si che il Fondo
intervenisse sempre più di frequente, cercando di intraprendere
delle operazioni di salvataggio nei Paesi che ne erano afflitti.
Non ultimo il caso del Brasile, il quale è stato oggetto della
più grande operazione di sicurezza finanziaria mai intentata sul
piano internazionale a favore di un Paese emergente, e anche la
più complicata. Essa prevedeva linee di credito concesse da
diverse istituzioni, per un ammontare complessivo di 41,5
miliardi di dollari, nonostante questenorme impegno di
risorse il Brasile è stato travolto da una enorme crisi
finanziaria, e il Fondo è il principale accusato di questo
fallimento, il quale, avendo dato luce verde a questa operazione,
poi fallita, ha messo in crisi non solo le proprie risorse
finanziarie, ma anche la sua stessa identità. Il Fondo istituito
nel 1944 dagli accordi di Bretton Woods, aveva lo scopo di
promuovere e mantenere la cooperazione monetaria internazionale,
lespansione e la crescita equilibrata del commercio
mondiale, la stabilità dei tassi di cambio, il sistema
multilaterale dei pagamenti, fornire risorse e liquidità dove
fosse stato necessario. Con il crollo del sistema dei cambi
fissi, avvenuto nel 1971, per volere degli USA, venne meno anche
la principale ragione per cui era stato istituito, ma nonostante
ciò seppe trovarsi nuovi ruoli. Il primo era quello di valutare
la solvibilità finanziaria dogni Paese: infatti, per
statuto, il Fondo deve redigere una pagella su ogni Paese membro.
Il secondo ruolo, il Fondo lo ha assunto quando nel 1995 una
forte crisi valutaria investì il Messico e, di concerto con la
Banca Centrale Statunitense, "prestò" 40 miliardi di
dollari al Messico stesso. I mercati finanziari accettarono di
buon grado questa soluzione, non prevedendo che sarebbe diventata
prassi, infatti, da lì a poco anche la Thailandia, l'Indonesia,
la Corea del Sud furono travolte da una crisi finanziaria, crisi
che si è ripercossa anche sul Giappone, finendo per influenzare
tutto il ciclo economico mondiale. Nel momento in cui la suddetta
crisi investì la Russia, un intervento del Fondo si dimostrò di
difficile attuazione, perché le proprie risorse finanziarie
vennero meno.
Il Fondo, concepito nella metà del ventesimo secolo, per dare
stabilità ai mercati è ora divenuto la causa principale della
loro instabilità. Ed è per questa situazione che ora si pone il
problema di una sua riforma resa indispensabile, e urgente, dalle
crisi valutarie che hanno scosso i mercati finanziari. Il punto
di partenza di una possibile riforma e quello di rafforzare la
capacità del Fondo di raccogliere e di diffondere dati
statistici sullesposizione valutaria dei Paesi che lo
compongono.Un'altra riforma che si dovrebbe attuare è quella di
trasformare il Fondo in un "tribunale fallimentare" per
Stati sovrani. Negli ordinamenti giuridici degli Stati, infatti,
è previsto listituto della sospensione dei pagamenti per
insolvenza ai creditori. Al Fondo dovrebbe essere attribuito il
compito di applicare tale procedura alle crisi internazionali,
evitando nello stesso tempo la fuga dei capitali e garantendo in
questo modo il pagamento ai Paesi creditori; tutto ciò
modificando anche una parte del proprio statuto, che impone al
Fondo stesso di non accettare rinvii nei pagamenti che gli sono
dovuti. Altra riforma di cui il Fondo dovrebbe essere oggetto è
quella dessere più trasparente, rompendo in questo modo la
cortina di segretezza che ha coperto la sua attività fin dalla
nascita e, non ultimo, quella di accettare di sottoporre il
proprio operato al giudizio dei governi e dei parlamenti dei
Paesi che lo finanziano.
* CRISI DEL "NUOVO TIPO"
Le recenti crisi valutarie e finanziarie che
hanno investito i mercati mondiali non sono minimamente
paragonabili alle crisi passate, le quali erano crisi della
bilancia corrente dei pagamenti determinata da eccessivi consumi.
La crisi che ha sconvolto i Paesi asiatici è, infatti, di
"nuovo tipo", vale a dire crisi del saldo dei capitali
dovuta al movimento di masse enormi di fondi. Questo significa
che leconomia di un Paese non è solo determinata dalla sua
situazione finanziaria e dalla politica economica adottata dal
Paese, ma anche dai mercati finanziari.
Ovvero erano meglio Ferribotte e Capannelle
di Livio Zaccagnini
APPUNTI |
No, non è il bel film in bianco e nero in cui alla fine oltre il buco si trova una sontuosa pasta e ceci. È più semplicemente un recente fatto di cronaca che credo interessi tutti gli Amici del Club e di liMes; un grazie va allAmico Sabatino Salvi che via e-mail ci ha tempestivamente informato della notizia. Per meglio garantire la nostra imparzialità ci siamo permessi di copiare un pezzo trovato su internet sul sito www.repubblica.it. Sperando di non aver commesso reato vi invitiamo ad una attenta lettura.
Furto alla rivista
"Limes"
dopo il numero sul Kosovo
Rubate memorie dai computer.
Caracciolo: fatto minaccioso
ROMA - Furto alla rivista LiMes
nella notte tra giovedì e venerdì scorsi. Ma soprattutto furto
mirato, sono state infatti rubate le memorie dei due computer.
Alla ricerca di cosa? Per il direttore Lucio Caracciolo, il furto
oltre a essere stato compiuto da esperti di computer, è
collegato all'ultimo numero di LiMes interamente dedicato alla
guerra del Kosovo. I ladri erano forse alla ricerca di indirizzi
o di materiale straordinario. "In realtà non è stato
portato via nulla di importante, non c'erano cose diverse oltre a
quelle che sono già state pubblicate. È però un fatto
minaccioso, un brutto segno", commenta Caracciolo arrivando
ieri mattina negli uffici dove hanno sede sia LiMes che
Micromega.
Il numero di LiMes dedicato alla crisi kosovara in edicola e in
libreria da mercoledì è già andato esaurito in due giorni, ed
è in corso una ristampa. Analizza i diversi aspetti del nuovo
conflitto nei Balcani, compresi i piani della Nato, un ritratto
del leader serbo Milosevic e i rischi che l'Italia corre in
questa fase. Denuncia altresì la vasta diramazione delle mafie
balcaniche in Europa e in Italia.
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