OPUSCOLO INFORMATIVO SULLE ATTIVITA' DEL CLUB

NUMERO 2/2000

I PARADOSSI DELLA NEW ECONOMY ED I SUOI PILASTRI di Domenico Catera

IN ANGOLA, TRA INGERENZA E INDIFFERENZA di Maria Vittoria Sbordoni

I PARADOSSI DELLA NEW ECONOMY ED I SUOI PILASTRI

Precisazioni su un tema di grande attualità

di Domenico Catera

ECONOMIA

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La old-economy poggia su due leggi economiche fondamentali:
I ) L’utilità marginale decrescente
II ) La produttività marginale decrescente
La prima si basa sul principio che l’utilità apportata da un bene diminuisca all’aumentare della disponibilità dello stesso (principio che è alla base della costruzione della curva di domanda), mentre il secondo principio serve per la costruzione della curva di offerta che assieme determinano il prezzo di equilibrio di un bene.

Nella new-economy, dominata dall’economia della rete o net-economy, le  due leggi economiche sopra descritte vengono sovvertite e, si  afferma il "principio dei rendimenti crescenti" che dal lato della domanda si espleta con il paradosso che più le postazioni di accesso alla rete aumentano e maggiore e l’utilità che se ne ricava, mentre dal lato dell’offerta più una rete è dotata di connessioni più diventa efficiente e veloce migliorando di conseguenza la produttività che in questo modo tende ha crescere.
Venendosi ha modificare sia  la curva di domanda sia curva di offerta, anche il prezzo di equilibrio, che risulta determinato dal loro incontro, ne viene alterato.
Nella old-economy man mano che il prezzo di un bene cresce la sua offerta aumenta, mentre la domanda del bene stesso subisce una contrazione perché si hanno meno risorse da spendere. Nella new-economy tutto ciò è alterato perché per effetto del principio dei rendimenti crescenti (più una risorsa è usata più è richiesta; così come più si produce un servizio più diviene semplice offrirlo) si ottiene una diminuzione del prezzo d’equilibrio nonostante l’offerta aumenti, da qui la constatazione del paradosso.
Paradosso che trova che trova anche una evidenza empirica nel settore finanziario con i seguenti esempi: le informazioni sulle quotazioni dei titoli azionari in tempo reali una volta erano costose e nessuno o quasi le offriva, ma ora che sulla rete sono disponibili in tempo reale tutti le offrono. Ma anche come alcune commissionarie di borsa online che offrono ai clienti la possibilità di comprare o vendere titoli azionari senza pagare commissioni:  tutto ciò è reso possibile perché  la rete ha basse barriere d’ingresso  e costi generali molto contenuti, con in più la potenzialità di diffondere le informazioni, sempre  in tempo reale, a una vasta platea di utenti.

I 4 PILASTRI   DELLA NEW ECONOMY

I punto 
Prima dell’affermarsi di internet e del web come li conosciamo oggi, non si era affermato nessuno standard di comunicazione di portata planetaria. Con l’adozione di internet e del web come standard di comunicazione globale si è creata la possibilità di far circolare informazione e conoscenza in una quantità mai vista.

II punto
L’intelaiatura su cui  si basa la new-economy è quella dell’interconnessione digitale tra i soggetti che compongono il tessuto connettivo di un sistema socio-economico, perché essa comporta non solo lo scambio di dati e informazioni, ma anche di beni e servizi.

III punto
E’ quello fondato sulla distinzione tra economia basata sul possesso dei beni materiali ed economia basata sul possesso della conoscenza. Nella old-economy i fattori della produzione erano il capitale e il lavoro, ma con l’avviarsi del processo di trasformazione indotto dall’era digitale l’informazione ha assunto il ruolo di fattore unico di produzione. L'informazione è diventata dunque l'elemento fondamentale di distinzione tra il modello di businnes adottato dalle imprese che si trovano ad operare e quindi a lavorare su due tavoli diversi, quello del old-economy e quello della new-economy e ad adottare di conseguenza modelli operativi differenti.

IV punto
La new-economy produce l’annullarsi del "trade-off" tra l’ampiezza di offerta e la quantità di informazioni trasmesse, infatti, la tecnologia analogica non permette la trasmissione di informazioni mirate e in grandi quantità ad una vasta platea. Al contrario la tecnologia digitale (ed in particolare quella che sfrutta la larga banda ), permette un flusso maggiore di informazioni (mirate e non) che può raggiungere un pubblico vastissimo.

IN ANGOLA, TRA INGERENZA E INDIFFERENZA

di Maria Vittoria Sbordoni

AFRICA

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“ta como tapa, va como vaca…”  ripetono in coro una cinquantina di bambini accoccolati sui barattoli di latte Nido della Nestlé come improvvisati sgabelli, ritmando le sillabe che il loro maestro indica con un bastoncino sulla lavagna attaccata al muro e appuntandole nei loro quadernetti spiegazzati. Sono scalzi, malvestiti, con le treccine piene di pulci…Siamo a Boa Vista,  chiamata così perche' è davanti all'oceano,  nella favela di Lixeira (letteralmente discarica, immondezzaio) di Luanda, dove milioni di sfollati hanno costruito le loro baracche di lamiera e mattoni di adobe, fango e paglia. E' una estesa collina di terra rossa, alta tre/quattrocento metri sul livello del mare, dalla cui cima si srotola giù un'immane discarica puzzolente, vasta come una valanga immobile, che si ramifica in mille rivoli infilandosi nelle pieghe del terreno roso dalle piogge. La sporcizia, la puzza, il degrado sono intollerabili.

Alle pendici della collina ci sono enormi capannoni  fatiscenti e ormai abbandonati, dove un tempo c'erano fabbriche o magazzini delle merci del vicino porto. Sono scoperchiati, ed ora utilizzati come di luogo di incontro e di alfabetizzazione. E’ qui che ci accolgono i bambini, ed è la nostra prima tappa nell'immenso formicaio umano degli sfollati di Luanda, dove l’Ong VIS e i Salesiani stanno realizzando progetti d’emergenza (assistenza sociale e sanitaria, alfabetizzazione, igiene ambientale) con fondi dell’Ambasciata italiana. Ci accompagnano due funzionari dell’Ambasciata, appositamente venuti per verificare lo stato di realizzazione dei progetti.

La prossima  tappa ha per scenario una favela attraversata dai binari di un'inesistente ferrovia, ne restano poche traversine di ferro, molte delle quali, contorte, servono per stenderci i panni ad asciugare. In una di queste baracche in muratura, c'e' un altro posto di salute e due aule per l'alfabetizzazione: fanno fino a sei turni giornalieri.

L’ambiente è devastato da immondizie e pezzi di ferro. Ci sono pezzi di ferro dappertutto, vecchie bombole di gas, tralicci, pezzi di carri armati, inferriate, rottami di auto: il ferro abbandonato è esclusiva proprietà dello Stato e nessuno lo può toccare né rimuovere, questo – ci spiegano - per evitare che ci facciano le armi.

Ogni volta che lasciamo un luogo, pensiamo di aver lasciato il peggio, ma qui, veramente, il peggio non muore mai. Bairro Verde prende forse il nome dal colore dei rivoli puzzolenti che solcano la strada, dove si mescolano escrementi umani e animali, immondizia, rifiuti d'ogni genere, in mezzo ai quali grufolano i maiali. L'ispettrice dell’Ambasciata, d’origine angolana, mi chiama, punta il dito su una pozzanghera e mi dice "malaria", indicandomi le migliaia di zanzare ferme sull'acqua densa.

Qui le statistiche del PNUD divengono drammaticamente reali: mortalita' infantile al 195 per mille, 283 per mille quella materna, 32% dei bambini sotto i 5 anni d’età gravemente denutriti, aspettativa di vita alla nascita di 41 anni per  gli uomini e di 43 anni per le donne, tasso di analfabetismo elevatissimo a causa dell’impossibilità di frequentare regolarmente le scuole (quest’anno il 71% dei bambini di 6 anni  non ha potuto iniziare il corso regolare di studi), 5 milioni di profughi interni di cui 2 milioni e mezzo di sfollati nella sola Luanda, 350 mila rifugiati.

La guerra che si trascina ormai da 25 anni tra l’MPLA (Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola) del Presidente Dos Santos e l’UNITA (Unità Nazionale per la Liberazione Totale dell’Angola) di Savimbi ha messo il paese in ginocchio: oggi l’Angola ha uno dei più bassi indici di sviluppo umano del mondo, al 160.mo posto  su 174 paesi nella classifica annuale del PNUD insieme al Sudan, Senegal, Haiti e Uganda (Relatorio do Desenvolvimento Humano, Angola 1999 - PNUD, Luanda, Angola).

Eppure l’Angola è uno dei paesi potenzialmente più ricchi del continente africano grazie ai suoi giacimenti di petrolio e diamanti, i cui proventi si accentrano nelle mani di pochi, e che vengono spesi in buona parte in armamenti bellici aggirando l’embargo delle Nazioni Unite; il 20% della popolazione più ricca detiene il 61% della ricchezza nazionale, contro appena il 3,2% detenuto dalla popolazione più povera con un reddito pro-capite annuo di 100 dollari.

L’estrazione del petrolio attira i paesi occidentali; l’Italia si attesta, dopo gli Stati Uniti e la Francia, tra i  principali acquirenti  del greggio angolano, che viene lavorato sul posto con grosse navi raffineria; ci arrivano direttamente dall’Angola i prodotti finiti, la benzina verde, la super, il gasolio, i derivati per la produzione di materie plastiche. Al contempo l’Italia è al secondo posto tra i paesi donatori, limitandosi tuttavia ad interventi d’emergenza.

Qui siamo lontani  dai Balcani, qui il diritto d’ingerenza invocato altrove per proteggere i diritti umani di popolazioni colpite da massacri, genocidi e persecuzioni non funziona; ci si limita a dispensare aiuti al di fuori di una strategia complessiva che andrebbe mirata a sostenere il processo di pace.

L’indifferenza occidentale regna su questo paese e sulla sua popolazione, su questo continente lasciato a se stesso e ai dittatori di turno. Con la fine della guerra fredda è finito anche l’interesse strategico e geopolitico del mondo occidentale per l’Africa.

L’Angola dimostra – sulla pelle della sua gente - che non ci sarà un’escalation dei conflitti centrati sul principio d’ingerenza; la guerra sta diventando sempre di più monopolio dei paesi poveri, mentre i paesi ricchi mostrano un’evidente reticenza a intervenire, a meno che non siano toccati interessi strategici fondamentali, come nel Kossovo.

Dunque la pace in Angola appare lontana e con essa le prospettive – e gli interessi - della ricostruzione; l’ingerenza umanitaria riacquista qui il suo significato letterale, e gli interventi, sia pur inadeguati di fronte alla gravità della situazione, vengono lasciati ai missionari,  alle Ong e ai pochi organismi internazionali che ancora operano nel paese dopo il ritiro della Monua, l’operazione di peacekeeping delle Nazioni Unite.

Una strettoia tra due baracche ci porta a un altro orrore: lungo la strada di terra rossa le mura di fatiscenti  capannoni sono usate dagli sfollati per appoggiarci le loro baracche di lamiera e adobe. Ci viene incontro l'uomo piu' anziano, i bambini sbucano da ogni parte, chiedono di fotografarli. Punto l’obiettivo su queste facce innocenti, sulle loro pance gonfie, molti hanno l'ernia ombelicale che si gonfia come un palloncino quando i piu' grandi li spintonano indietro e li fanno piangere. Uno dei capannoni lungo la strada non e' stato “bonificato”, dall'interno letteralmente cola sulla strada l'immondizia che lo riempie fino a 5 metri d'altezza. Mi raccontano che il Nunzio apostolico, in visita qui, non abbia piu' aperto bocca per ore, che qui l'ambasciatore italiano abbia avuto una crisi d'identita'.

Ma non e' finita. Padre Marcelo, il giovane Salesiano che ci guida in questa giungla, e' deciso a mostrare all'ispettrice angolana tutto il lavoro che si sta svolgendo; lui in questo marasma si muove con assoluta naturalezza, tutti lo salutano, lo toccano, e per ciascuno ha una frase d’incoraggiamento, un sorriso, una risposta.

Altra favela, altro pugno nello stomaco: il prossimo centro di alfabetizzazione e' ai margini del Roque Santeiro, uno dei mercati piu' grandi dell'Africa. Entriamo scostando la fatiscente palizzata che separa la confusione del mercato dalla scuola: nello spiazzo sterrato, quattro pali sorreggono un tendone sotto il quale sono compostamente seduti una cinquantina di bambini, con il loro maestro, la loro lavagna, i gessetti colorati, i quaderni...

Risaliamo in auto per altre destinazioni che non sto a raccontare e non diverse da quelle viste finora. La nostra auto sobbalza sulla strada sterrata che attraversa il mercato, c'e' una folla incredibile e altre auto che impediscono di passare, così noi abbiamo  il tempo di osservare l'universo che ci circonda, panni dappertutto, frutta, pentole sul fuoco, pesci a seccare al sole; dicono che qui al Roque si può trovare di tutto, dalle armi ai computer.

Il nostro percorso termina dopo altre favelas, tutte in condizioni altrettanto terribili, che la nostra coscienza individuale e collettiva non può passare sotto silenzio. Va vinta l’indifferenza; a fianco ai progetti e alla solidarietà umanitaria, va suscitata una forte mobilitazione politica capace di dare pace e futuro all’Angola e a tutto il continente africano.

Maria Vittoria Sbordoni fa parte del Settore Progetti della Ong Volontariato Internazionale per lo Sviluppo (VIS)

 


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