OPUSCOLO INFORMATIVO SULLE ATTIVITA' DEL CLUB

NUMERO 1/2000

MA LA POLITICA ESTERA VATICANA? di Francesca Barbara Scisciani

PERCHé "L'IMPERO DEL PAPA" NON CI SEMBRA UNA PROVOCAZIONE di Gloucester

THE NEW ECONOMY di Domenico Catera

ESEGESI ICONOGRAFICA DELLA COPERTINA DI LIMES di Livio Zaccagnini

MA LA POLITICA ESTERA VATICANA?

Alcune precisazioni sulla conferenza organizzata dal Club il 21 febbraio 2000

di Francesca Barbara Scisciani

INCONTRI

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Il Limes Club Roma, in occasione dell’uscita dell’ultimo numero di Limes, “L’impero del papa” ha collaborato ad organizzare insieme alla rivista Limes ed alla Agenzia Romana per la preparazione del Giubileo l’incontro pubblico di venerdì 28 gennaio alle ore 17.30 presso il Centro Stampa in via di Porta Castello 44. Sono intervenuti: Giuliano Amato (ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica), Bruno Bottai (già segretario generale del Ministero degli Affari Esteri e ambasciatore presso la Santa Sede), Jean-Dominique Durand (storico, esperto di questioni vaticane), Andrea Riccardi (storico, presidente della Comunità di Sant’Egidio), Lucio Caracciolo (direttore di Limes); ha moderato Erich B. Kusch (direttore del Centro Stampa). Si può trovare la registrazione filmata di tutti gli interventi sul sito Internet: http://www.garamond.it/limes . Su temi emersi da questo incontro farà delle precisazioni un nostro Amico.
Il club ha anche organizzato l’incontro cui si riferisce la nostra Amica Francesca Barbara Scisciani il 21 febbraio 2000 alle ore 21.00 in collaborazione con Limes e l’Antica Libreria Croce (Corso Vittorio Emanuele n° 156/158); presenti Andrea Cordero Lanza di Montezemolo (nunzio apostolico in Italia), Giulio Andreotti (senatore a vita), Francesco Margiotta Broglio (canonista) e Lucio Caracciolo (direttore di Limes).

Livio Zaccagnini

 Il giorno 21 febbraio 2000 presso l’“Antica Libreria Croce” di Roma si è svolta la conferenza di presentazione dell’ultimo numero di Limes, intitolato “L’impero del Papa”. Come d’abitudine in queste conferenze organizzate dalla rivista e dal Limes club Roma i relatori invitati a parlare erano di altissimo livello e senza ombra di dubbio più che qualificati ad affrontare il tema trattato. Ciò nonostante, a parere di chi scrive, è venuto a mancare quello che invece non è mai mancato nelle conferenze di Limes: la politica estera. Limes è prima di tutto un prodotto editoriale, e giustamente queste conferenze servono anche a promuoverlo, ma pur sempre di geopolitica e di politica estera tratta; i vari dibattiti organizzati ad ogni nuovo numero uscito, sono sempre stati luoghi di approfondimento ed anche di discussione di temi di politica estera. In quest’ultima occasione invece è sembrato mancare un approfondimento che andasse oltre un giudizio, peraltro sommario e generico, degli articoli pubblicati e della impostazione data alla rivista. E’ certamente vero che la Santa Sede, è una entità diversa da uno Stato come normalmente inteso, fatto più volte sottolineato dai relatori, in particolare dal nunzio apostolico in Italia Andrea Cordero Lanza di Montezemolo e dal Senatore a vita Giulio Andreotti. Tutto ciò però non significa che da sempre la Santa Sede non attui e persegua ugualmente una sua propria politica estera. Invece sembrava quasi che lo scopo principale dei relatori fosse proprio quello di negare che la Santa Sede avesse una natura che andasse oltre quella di pura e semplice guida di una comunità religiosa. Con l’ultimo Pontificato la dimensione internazionale della Santa Sede se non è cresciuta nei fatti, è stata comunque percepita dall’opinione pubblica come molto più importante di prima. I viaggi del Papa nascono come visite pastorali, e questo rimane il loro scopo principale, ma, soprattutto quando avvengono in alcuni paesi, ed in determinati momenti (l’esempio più recente è quello del viaggio a Cuba) non si può negare una loro forte valenza politica. Pensare che il muro di Berlino, e con esso i regimi comunisti, siano caduti grazie al fatto che il Pontefice fosse di nazionalità polacca è una interpretazione semplicistica ed anche errata, ma anche i suoi più tenaci avversari non possono ignorare che la sua persona ed i suoi discorsi abbiano quanto meno aumentato l’attenzione per certi problemi. Il pontificato di Giovanni Paolo II va avanti da più di un ventennio, e di mutamenti geopolitici in questi anni se ne sono visti parecchi. In questo arco di tempo la Santa Sede non ha mai mancato di prendere posizioni anche molto chiare riguardo ciò che avveniva nella sfera della politica internazionale. Non si poteva chiedere ad una conferenza di analizzare tutte le linee guida e gli obiettivi eventualmente raggiunti in venti anni e più di politica estera, ma ciò che è mancato durante tutta la serata è stato, sempre a parere di chi scrive, proprio il tentativo, anche parziale, di analizzare tutto ciò. Il nunzio apostolico ha sottolineato quanto la Santa Sede sia qualcosa di più e di diverso da un comune soggetto attivo in campo internazionale, ed il Senatore Andreotti ha precisato come quando il Pontefice parli lo faccia, sì nei confronti dell’intera comunità internazionale, ma in primo luogo verso la “sua” comunità, che resta una comunità religiosa, un insieme di fedeli. Questa comunità però numericamente si avvicina al miliardo di persone, che in modo diverso e a livelli diversi interagiscono tra loro e con altre comunità, incluse le loro stesse comunità di appartenenza, non si tratta di un piccolo gruppetto non organizzato. Il recentissimo accordo tra Santa Sede ed Autorità Palestinese alla luce del prossimo viaggio del Papa in Israele, o Terra Santa che dir si voglia, non si può ricondurre solo al fatto che l’Olp davanti a trattative tra Santa Sede e Stato d’Israele abbia chiesto a Roma di trattare anche con loro. Così come la discussione su se considerare o meno l’Autorità Palestinese alla pari di uno Stato sovrano, sembra un modo di svicolare l'attenzione dalla valenza politica che questo accordo ha, soprattutto in questo momento. Nello stesso modo gli accordi succedutisi nel tempo con lo Stato d’Israele hanno alla loro base un pensiero un po’ più allargato della precisazione fatta dal nunzio su quale Israele intendere (se quello proclamato dall’Onu nel 1947, o quello proclamatosi unilateralmente nel 1948), o su quanto simile ad uno Stato sia percepita la Santa Sede da altri soggetti internazionali. Altrettanto riduttivo, è dire che le trattative con i cinesi sono difficoltose perché questi ultimi devono ancora capire la differenza tra Stato Città del Vaticano e Santa Sede. I problemi di trattativa con la Cina sono ben altri. Il nunzio ha poi più volte sottolineato il fatto di aver ricoperto ben quattro incarichi in America Latina, tra i quali anche nel Nicaragua sandinista. Di una esperienza del genere sembra strano che vengano ricordate solo le difficoltà, peraltro non precisate, incontrate per organizzare il viaggio, da lui stesso definito storico, del Pontefice in quel paese. Se era storico, e lo era, ci poteva anche spiegare il perché. La presenza cattolica in America Latina è stata, ed è, un elemento importante nei rapporti di potere di quei paesi, e si tratta di una presenza molto controversa. Non era certo il caso di fare un trattato sulla Teologia della Liberazione, però un accenno all’azione cattolica a favore delle oligarchie in alcuni casi e contro le stesse in altri, poteva pur essere fatto, da chi ha vissuto certi fatti in prima persona. Da un più volte Capo del Governo e Ministro degli Esteri italiano, e da un nunzio apostolico con decenni di carriera alle spalle, ci si poteva anche aspettare una analisi della politica di un soggetto internazionale così atipico come la Santa Sede, se non esaustiva, almeno un po’ più approfondita. Insomma senza nulla togliere all’incontro, pur sempre valido spunto di riflessione, né a coloro i quali hanno organizzato il tutto, è stata forse una occasione mancata.

PERCHÉ “L’IMPERO DEL PAPA” NON CI SEMBRA UNA PROVOCAZIONE

Notazioni a margine della presentazione dell’ultimo numero di Limes

di Gloucester

HISTORIA

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 Ancora una volta Limes ha organizzato una magnifica conferenza (quella del 28.01.2000) e, visto il tema, nel luogo più appropriato, la sala stampa degli eventi giubilari. Si parlava infatti dell’Impero del papa, cioè dell’ultimo numero di Limes che proprio così si intitola. Quasi tutti i relatori, all’inizio del loro intervento, hanno sentenziato senza possibilità di appello che questa dicitura, l’impero del papa, fosse essenzialmente una provocazione, da ascriversi nella lista di quelle che spesso Limes propone. Sinceramente non ci troviamo d’accordo. Infatti, senza sapere se Caracciolo intendesse questa come una provocazione o meno (e anche se la avesse intesa in questo modo avrebbe avuto senz’altro gran gusto, unendo in una sorta di concordia discordandum ciò che la storia, nel medioevo, aveva messo l’un contro l’altro armati, in una battaglia sicuramente epocale tra la Chiesa e la sua creazione, battaglia che tante conseguenze avrebbe portato nella storia mondiale) intendiamo almeno provare a confutare che il termine impero, che richiama senz’altro potenza militare ed economica, sia poco adatto alla realtà della Chiesa. Proprio nella storia alto-medioevale, che tanto è allacciata e connessa con quella tardo-antica, troviamo forse un inconsapevole appiglio alla nostra ipotesi a posteriori di non provocatorietà del titolo in questione; infatti all’epoca viveva e prosperava un Impero, almeno prima del Natale dell’800, quello bizantino, che come diretto e unico discendente dell’antico impero romano era non un impero, ma l’Impero, e quindi aveva giurisdizione su tutto l’orbe terraqueo (anzi, solo terrestre, per quello acqueo vigeva lo ius naturale) e quasi non riconosceva sovranità esterne. Proprio questo Impero, a cui i re romano-barbarici (che certo controllavano il proprio territorio con forte autorità) mandavano le insegne a dimostrare una sudditanza sentita (e per questo un re Burgundo scrivendo a Costantinopoli dirà: “Tutto ciò che è mio è tuo”), era ritenuto onnipresente e rappresentava quella lex mundialis a cui d’altra parte faceva contrappeso la lex spiritualis in un perfetto dualismo gelasiano. Ma quando la Chiesa, infastidita da forti tendenze cesaropapiste aveva deciso di fondare un proprio impero con a capo i Franchi, non pensò di creare un altra sovranità in Occidente, ma cercò (soprattutto agli inizi) di unificare i due imperi con un improbabile matrimonio tra Carlo Magno e l’imperatrice Irene per ricreare quell’Impero mondiale e occidentale, amico e protettore della Chiesa Cattolica. Se poi l’idea naufragò e l’impero occidentale divenne prima disinteressato nei confronti della Chiesa, poi apertamente in contrasto inducendo Roma a combatterlo fortemente e a far sorgere quegli Stati nazionali che avrebbero concretamente distrutto l’impero e creato spazi territoriali il cui capo non riconosce altra autorità rispetto alla propria, l’idea di una legge imperiale ancora vigente non solo non crollò, ma addirittura rinacque con i grandi giuristi dell’XI secolo e portò alla grande rivoluzione giuridica del diritto comune, diritto sussidiario e allo stesso tempo filtro di tutte le esperienze locali. Un diritto che si rifaceva dunque più all’esperienza romana (tanto che Irnerio, colui che recuperò il Corpus Iuris di Giustiniano, lo considerò perfettamente completo ed autoreferenziale) e quindi all’unico Impero, piuttosto che all’impero germanico di allora i cui capi erano tutto sommato mal visti dai giuristi, non da un punto di vista politico, ma perché scarsamente preparati nella tecnica giuridica. L’Impero romano così sopravvive e così sopravvive il suo diritto. Impero è quindi da intendersi come un entità non sovranazionale come magari potevano essere gli imperi centrali ottocenteschi, ma come una sovranità con una sfera di applicazione globale e generale, con non riconosce i propri confini semplicemente perché non ne ha e perché in fondo tutti sono sotto la sua giurisdizione. Un Impero dunque universale, che non esprime una potenza dovuta all’estensione dei sui confini, al numero dei propri soldati o alla forza della propria economia, ma quella forza data dalla sua presenza in ogni dove, una sorta di immanenza, non solo spaziale, ma anche temporale per la sua antica vetustà che lo fa nascere quando il mondo era diverso. Un Impero dunque “altro” rispetto all’impero moderno, un Impero che con le sue caratteristiche in fondo, ben calza con l’idea di Chiesa cattolica che molti hanno. Insomma un perfetto Impero del papa.

THE NEW ECONOMY

La nuova frontiera dei rapporti economici mondiali: attualità e prospettive

di Domenico Catera

ECONOMIA

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  Prima dell’avvento della rivoluzione industriale la struttura economica poggiava su due basi: agricoltura e commercio. Con la rivoluzione industriale si avvia un nuovo modo di produrre e la struttura economica viene ad articolarsi in tre settori: agricoltura, industria e terziario (servizi). Un Paese viene quindi definito sviluppato o sottosviluppato in base al grado di sviluppo raggiunto dal settore industriale; con il trascorrere del tempo nei Paesi ad alto tasso di industrializzazione il settore del terziario prende il sopravvento su gli altri settori, dato che il nuovo modo di produrre induce un aumento di domanda e offerta di servizi. Con lo sviluppo della telematica, cioè di quelle applicazioni derivate dall’integrazione delle tecnologie informatiche con quelle delle telecomunicazioni si dischiudono nuovi orizzonti per lo sviluppo economico; dove tutti i settori dell’economia sono attraversati ubiquamente dallo sviluppo della telematica. Si passa da una economia basata sul possesso dei beni ad una economia della conoscenza, dove il bene più prezioso e il possesso e lo scambio delle informazioni. Si viene ha delineare un altro settore, quello che gli economisti definiscono “New economy”. Nuova economia che ha nella comunicazione elettronica e nei servizi interattivi il proprio cuore. Un’economia difficile da quantificare e da valutare secondo i canoni tradizionali, ma con una differenza di fondo rispetto all’old economy: cioè un’elevata conoscenza ed un’alta qualificazione.  Le conseguenze indotte da questi cambiamenti saranno straordinarie (ed in parte sono già in atto): infatti questa New economy costringerà organizzazioni come le imprese, le strutture pubbliche e gli Stati a disegnare attorno ad un “consumatore-utente” i servizi di cui esso domanda e tutto questo avrà un impatto sia sui profitti delle società, sia sui vantaggi che il consumatore ne potrà ottenere. I profitti delle società potranno aumentare, dato che saranno abbassate le barriere d’accesso ai mercati, ed inoltre aumenterà il grado di competitività degli stessi, oltre al fatto che i costi si abbasseranno. Il consumatore ne trarrà vantaggio perché avrà prodotti e servizi personalizzati, maggiore ampiezza di scelta, un miglioramento qualitativo dei servizi e una riduzione dei prezzi, quindi un abbassamento dell’indice dei prezzi e quindi dell’inflazione. Tutto questo provocherà una nuova ondata deflazionistica (non di tipo keynesiana cioè provocata dalla caduta di domanda dei consumi), ma una deflazione “positiva”, che stimolerà la crescita; che ci spingerà verso periodi di crescita prolungati, bassa inflazione, bassa disoccupazione; tutte indotte dalla new economy. Veniamo ora all’affermazione e alla diffusione di Internet che costituisce uno dei più stupefacenti fenomeni di questo fine secolo. Mentre agli inizi degli anni novanta era ancora una tecnologia riservata ai ricercatori e agli accademici, alla fine del 1999 gli utilizzatori di Internet avevano raggiunto alcuni centinaia di milioni (il numero continua ha crescere in modo esponenziale). Nato nel mondo della ricerca accademica, quindi lontano dai circuiti televisivi e delle telecomunicazioni, la sua diffusione è stata determinata dalla domanda spontanea di milioni di utilizzatori ed ora le sue applicazioni, come strumento di trasporto di dati, informazioni, suoni e immagini interessa filoni produttivi compositi. Le vie di comunicazione: la telefonia fissa da potenziare tramite nuove tecnologie a larga banda (un esempio sono le linee ISDN e ADSL), la telefonia mobile tramite le nuove licenze UTMS, le reti satellitari e relative infrastrutture di accesso, le reti in fibra ottica e relativo cablaggio dei centri urbani. I fornitori di siti e le relative tecnologie di accesso alla rete. I fornitori di contenuti: circuiti informativi, servizi finanziari ed e-commerce il quale si divide in due grandi categorie: il commercio dalle aziende verso i consumatori e il commercio dalle aziende alle aziende. Il commercio elettronico potrà rappresentare la prossima rivoluzione industriale, perché ha la potenzialità di produrre profonde modificazioni nel modo in cui le persone e le imprese acquistano e vendono prodotti e servizi. Il Commercio elettronico arriverà a lambire anche la logistica in quando esso necessita di sistemi di trasporto e distribuzione efficienti e rapidi, la sicurezza del sistema dei pagamenti come presupposto allo sviluppo dei servizi telematici. L’affermarsi di questa new economy però non può prescindere dallo sviluppo di un nuovo schema istituzionale e normativo all’interno del quale racchiudere codesta nascente società dell’informazione.

ESEGESI ICONOGRAFICA DELLA COPERTINA DI LIMES

I mille segreti nascosti nelle prime pagine colorate di Limes

di Livio Zaccagnini

ESTETICA…!

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 Se, come a volte è giusto, la prima impressione è quella che conta, la prima impressione che riceviamo di una rivista è la sua copertina, e se collezioniamo la rivista, non possiamo fare a meno di confrontare tutti i colori, i caratteri di stampa, le particolarità stilistiche a cui siamo abituati e notare le differenze, piccandoci per ogni cambiamento di una rassicurante trimestrale routine oppure entusiasmandoci per ogni seppur minimamente gradita novità. Così confrontando il primo “antico” numero, cioè il secondo numero di Limes, (perché il primo è introvabile in edizione originale ed è possibile avere solo una tarda e bieca ristampa che non ne rispetta in pieno le fattezze) con l’ultimo, è possibile notare alcuni radicali cambiamenti: la mutazione più importante è la scomparsa dell’elenco degli autori che ha confortato gli acquirenti del prezioso tomo geopolitico fino al primo numero del ’98, quando la mannaia del restyling ci ha privato della possibilità di conoscere in anticipo quali famosi geopolitologi avessero scritto su ogni numero, impedendoci così di poter risparmiare qualche liretta se i suddetti nomi non ci fossero piaciuti. Avidi. Il vuoto lasciato però sulla copertina de “L’Italia mondiale” (che con quel sottotitolo “nella sfida tra le nazioni” riportato anche sul dorso è universalmente considerata come la meno riuscita) è durato solo un trimestre ed è stato colmato molto presto. Così ne “La bomba globale” eccolo riempito da un anticipatore quanto breve annuncio delle tre sezioni in cui sono raggruppati gli articoli interni, sorta di prologo alla fatica che ci apprestiamo a compiere impegnandoci nella lettura di un volume veramente poderoso (con “La Russia a pezzi” si arriva a 328 pagine, ma tutte apprezzate, anzi, amate!). Oltre al simbolo iconografico che campeggia al centro, a su cui più tardi ci soffermeremo, sono comparsi dalla fine del ’95 in poi vari strisce colorate con iscritti nomi di dossier, sondaggi, osservatori geopolitici, Limes in più ed altro che rendevano la copertina troppo “picassiana”; ma con l’aggiunta successiva di rotondi bollini bananeschi posti in basso a sinistra si è provveduto a trasformare la copertina in una opera sempre più lontana dai canoni della perfezione classica che l’avevano ispirata. Evoluzione ugualmente estrosa, ma certamente meno confusionaria, è stata quella del simbolo del volume, posto tra la marca ed il titolo, fulcro stesso dell’immagine che si imprime nella mente dei lettori. Se all’inizio è racchiuso, quasi confinato in un quadrato (ma bello davvero l’utilizzo di alcune opere d’arte nell’annata ’93), ecco che piano piano prende forza, quasi vita, esce prima sommessamente, con una ciocca di Eltsin, una testa di un saraceno, un pezzo d’Africa, poi rompe gli argini e deforma il quadrato in un triangolo quasi da automobile (ne “Il triangolo dei Balcani”, manco a dirlo) per esplodere infine con tutta la sua forza nel rotondo omnicomprensivo e un po’ confuciano simbolo di “Asia maior”, ma soprattutto con lo svolazzante vessillo american-israelo-turco di “Israele-Turchia etc. etc.” (ecco, a volte i nomi dei titoli sono troppo lunghi, perdendo quindi di incisività; meglio i cinematografico-teatrali “La guerra dei mondi”, “Ombre russe” e “Euro o non euro”, oppure il teologico “Le città di Dio” o il lapidario “Africa!” col punto esclamativo) e con il simbolo vaticano ne “L’impero del papa”. Un’esplosione di vitalità che negli ultimi numeri si concorda con la sobria eleganza di una ritrovata rigorosità stilistica. Ma forse, ciò che rimane più impresso nella memoria del collezionista è il rutilante sfondo di colori ispirato al tema del titolo, una colonna sonora cromatica che accompagnerà per novanta giorni la nostra vita:. E così, se quasi obbligate appaiono le scelte del bianco-giallo, del giallo-blu e del bianco-rosso-verde per i numeri su Vaticano, Europa, Italia, ben scelti sono invece il giallo deserto e l’azzurro per Israele (tra mare e le dune…), ma anche il blu e verde per “Mediterraneo l’Arabia vicina” (l’islam e il blu del Mediterraneo) e il blu-bianco-rosso de “L’America e noi”. Ci piace anche molto il verde e giallo sulla Cina (non sappiamo perché, ma ci piace, è istintivo…) molto più del bianco-rosso di Asia maior. E se bianco-rosso-nero per “Il richiamo dei Balcani” fa un po’ troppo nazismo, preciso è il grigio-verde de “La bomba globale”, molto più militare del verde chiaro-verde scuro del numero sulla Nato. Forse sarebbe stato più aderente una copertina bianca e blu, i colori della bandiera dell’Alleanza atlantica, ma fonti bene informate ci dicono che questo sarebbe stato impossibile; secondo voci di corridoio, infatti, la copertina di “Euro o non euro” sarebbe giallo-nera per ricalcare i colori di una nota squadra di calcio tedesca che ha scippato la coppa dei campioni ad una nota squadra italiana in una stagione recente. E dei tifosi non proprio amici di questa squadra italiana, dicono le stesse fonti, certo mal sopporterebbero una copertina bianco-azzurra: una prova è la copertina de “L’impero del papa”, di un giallo-rosso estremamente chiarificatore; ma queste si sa, sono solo voci.

 


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