Dalla selva alla rosa (Signorelli 1990) HOME PRINT





Gli itinerari

I grandi temi della Comedìa

e la loro evoluzione dall'Inferno al Paradiso

Il comico L'esilio L'amore

La storia e la politica La conoscenza

La lingua

Occasioni

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GLI ITINERARI

Nota introduttiva - Molteplicità e « reductio ad unum ».

In molte occasioni Dante afferma che la molteplicità è indizio di imperfezione e nell'u­nità è la perfezione. Coerentemente a questa sua convinzione e in conformità con la visione cristiana, egli opera la « Reductio ad Unum » per tutti i grandi temi sui quali ha meditato, partendo da una pluralità di modelli e punti di vista, di esperienze e senti­menti spesso contraddittori, e facendo li poi convergere nella direzione unificante di Dio. Ciò non vuole dire che-la Comedìa sia un semplificante viaggio all'Uno che neghi l'e­sperienza e l'esame del contrario; anzi il viaggio delle tre cantiche passa per tutte le scis­sioni e le lotte della pluralità, esamina e consuma gli aspetti conflittuali dell'esistere e del pensare ..

Le lotta tra Papa e Imperatore, l'opposizione delle monarchie nazionali alla monarchia universale dell'Impero, gli avversi partiti dei Comuni, l'opposizione delle sette ereticali al corpo della Chiesa, la competizione degli ordini religiosi e, all'interno di ciascuno di essi, i contrasti fra opposte tendenze, le stesse personali esperienze di allontanamento e separazione, le polemiche letterarie e culturali ... erano le forme agitate della realtà, che si presentava divisa e contesa fra bene e male, spirito e materia, Dio e Satana, eter­nità e tempo, cielo e terra, Paradiso e Inferno, ordine e disordine. Tutte queste forme egli riconosce e descrive, ma dalla molteplicità che lo intriga si svincola operando ri­nunce e scelte sempre più chiare, eliminando le contraddizioni o conciliando gli opposti in una soluzione unificante. Separazione e unificazione sono dunque i due stili più evi­denti nella costruzione della Comedìa, che sono anche i modi, opposti e coesistenti, di leggere la vita: la prima riflette le lacerazioni di cui egli faceva esperienza, la forza cen­trifuga delle cose di questo mondo; la seconda il bisogno di convergenza, la forza cen­tripeta dell'ideale, nel quale le cose hanno una forma unica, stabile, incontrastata.

I capitoli che seguono hanno inteso evidenziare, per ciascun tema, proprio questo ca­rattere della Comedìa: procedere per scissioni e operare l'unificazione, passare per la pluralità e ricondurla all'unità.

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Conclusioni

Dimmi come ridi...

Partiti dal comico e dal significato della parola Comedìa, sulla traccia del Lieto Fine promesso dall'autore, ci siamo trovati a un livello che, di selezione in selezione, sembra non avere piu niente a che fare col comico nell'accezione odierna e che sembra avere rapporti discutibili anche col senso di comico dal quale è partito lo stesso Dante. Indubbiamente egli ha tenuto fede alla promessa del lieto fine: nel Paradiso la letizia è piena, inequivocabile, eterna. Ma dov'è il linguaggio delle « donne comuni» di cui si parlava nella Lettera a Cangrande, se i Sapienti, i Contemplanti, Beatrice, dispiegano il loro sapere con sottili concetti e forbito linguaggio, e lo stesso personaggio Dante tiene degnamente testa a queste situazioni? Inoltre, le« donne comuni» potevano ride­re dello stesso finissimo riso del Purgatorio e del riso tutto interiore del Paradiso? No, certamente, e lo stesso autore ne è consapevole: sempre più frequenti si fanno nel Para­diso gli appelli alla dottrina e all'attenzione del lettore, e chi legge talvolta viene esplici­tamente avvertito delle difficoltà, come se Dante prevedesse, o addirittura desiderasse, di essere seguÌto da un pubblico meno folto di quello al quale pensava quando si è mes­so in cammino. Nella Lettera a Cangrande il Paradiso è chiamato« Comedìe sublimem canticam », col quale aggettivo si vuole dire, forse, non solo l'ultima ma anche la più alta per argomento e impegno di stile e dottrina. Se poi la Lettera non fosse stata scritta da Dante, sarebbe in ogni caso la prova di come il poema era percepito dalle prime ge­nerazioni di lettori, che condividevano.con Dante sensibilità ,e riferimenti culturali. Ma dunque Dante ha tradito il suo pubblico, così come sembra, ad ogni ciclo di lettura, tradire la maggior parte degli studenti, che all'appuntamento col Paradiso si vedono costretti ad andare armati di nozioni di storia, di filosofia, di astronomia, e di una co­noscenza più sottile e accurata della lingua?

Indubbiamente rimane difficile, almeno alle prime letture, cogliere il senso del riso e del sorriso del Purgatorio e del Paradiso, mentre è più facile vedere nell'Inferno il riso maligno (del quale però Dante non parla!) o il riso gratuito (del quale però Dante non ride!); mentre rischia di sfuggirci il riso dei giochi di parole, quando essi si riferiscano a cose e usi che non sono più sotto i nostri occhi e nel nostro vocabolario.

È difficile anche sapere se e quanto per ciascuno di noi l'Inferno e il Paradiso siano gli stessi che per Dante e i suoi contemporanei.

Quel che conta per noi, considerando l'opera nel suo insieme, è l'aver visto che « il sal­to »dal comico senza riso (Inferno) al riso del tragico (Paradiso) non rimane inspiega­bile, perché l'autore, mentre componeva il poema, percorreva anche le fasi di una sua evoluzione, che lo portava dalle forme grottesche e violente della materia del pianto alle forme composte e solenni della materia del riso.

li comico dell'Inferno è stato percepito e commentato variamente in relazione alle varie epoche e alle sensibilità: lettori di indiscusso acume e critici di chiara competenza ne hanno fornito letture differenti.

L'interesse e la simpatia che sentiremo per l'una o l'altra forma di esso può nascere dalla curiosità o dal compiacimento, o dal gusto dell'orrido, o da remote inconfessate paure e sensi di colpa; ognuna di queste disposizioni si attiverà in noi a seconda che terremo d'occhio più la poena sensus o la poena damni, se ci sentiremo con Dante pelle­grini nel viaggio del dolore o turisti nel castello degli orrori; se per temperamento ap­pezziamo le freddure e le arguzie, o ci affascinano le basse « sconcezze » che fuori della letteratura abbiamo cura di censurare.

Individuare, infine, il « comico» dell'una o dell'altra cantica, dipenderà dalla prospettiva che vorremo adottare: ridere della Terra dall’alto dei cieli, ridere dell'Inferno dal basso  della Terra, o convenire nei cieli col riso dell'universo.

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APPENDICE

Francesca o la perversione dell'amore

1. L'interesse morale del canto di Francesca.

La lunga riflessione per la quale Dante giunge a definire l'amore è lo sfondo sul quale va letto il canto V dell'Inferno ed è per questo che ne poniamo l'analisi in appendice a questo capitolo.

I contributi più recenti alla ricostruzione della concezione (o delle concezioni) dell'amo­re nel Medioevo hanno consentito di liberare il canto dagli equivoci di una lettura « in­genua », non mediata dalla filologia, lettura a cui la critica dell'800 (Foscolo, De Sanc­tis ... ) non era sfuggita.

Se facciamo un confronto fra il toccante commento desanctisiano e un commento filo­logicamente più aggiornato, il primo risulta per molti versi più bello e « attuale », ma rimane sostanzialmente estraneo alla cultura del tardo Medioevo e a Dante stesso. Oggi si è chiarito definitivamente che il canto di Francesca non è l'esaltazione dell'amore li­bero né una romantica rivendicazione dei diritti del cuore contro le anguste regole so­ciali; esso è una meditazione sull'amore e sui pericoli morali di certi modi di intenderlo. Anche a distanza di tempo il canto continua a commuovere chi lo legge; Dante stesso in più punti del testo richiama l'attenzione del lettore sul proprio coinvolgimento emo­tivo. Eppure Dante non si commuove per le stesse cose che turbano noi, e molte cose che turbavano lui lasciano indifferenti noi. Di che si commuove Dante? Ricordiamo, preliminarmente, che per Dante il problema dell'amore è inseparabile dal problema della salvezza dell'anima, per cui se vogliamo affermare che per lui l'amore è un problema di cuore, dobbiamo supporre che nel suo cuore, cioè nella dimensione che chiamiamo emotiva e sentimentale, c'è anche l'aspetto morale dell'amore. Rileggiamo il testo (Inf. V, 25-142) prestando particolare attenzione al lessico. Nel se­guire il racconto e nell'annotare le reazioni di Dante personaggio cercheremo di non perdere di vista il contesto:

a)    siamo nell'Inferno, nel quale si attua la giustizia di Dio; 

b)    Dante pellegrino osserva le pene e medita sui peccati;

c)    Dante Alighieri autore dei versi è profondamente interessato al problema dell'amore e ha già avviato una sua elaborazione a proposito (cfr. Vita Nova e Convivio).

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