I grandi temi della Comedìa
e la loro evoluzione dall'Inferno
al Paradiso
Il comico L'esilio L'amore
La storia e la politica La conoscenza
La lingua
Occasioni
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Nota introduttiva - Molteplicità e
« reductio ad unum ».
In molte occasioni
Dante afferma che la molteplicità è indizio di imperfezione e nell'unità
è la perfezione. Coerentemente a questa sua convinzione e in conformità
con la visione cristiana, egli opera la « Reductio ad
Unum » per
tutti i grandi temi sui quali ha meditato, partendo da una pluralità di modelli
e punti di vista, di esperienze e sentimenti spesso contraddittori, e facendo
li poi convergere nella direzione unificante di Dio. Ciò non vuole dire che-la
Comedìa sia un semplificante viaggio all'Uno che neghi l'esperienza e l'esame
del contrario; anzi il viaggio delle tre cantiche passa per tutte le scissioni
e le lotte della pluralità, esamina e consuma gli aspetti conflittuali
dell'esistere e del pensare ..
Le lotta tra Papa e
Imperatore, l'opposizione delle monarchie nazionali alla monarchia universale
dell'Impero, gli avversi partiti dei Comuni, l'opposizione delle sette ereticali
al corpo della Chiesa, la competizione degli ordini religiosi e, all'interno di
ciascuno di essi, i contrasti fra opposte tendenze, le stesse personali
esperienze di allontanamento e separazione, le polemiche letterarie e culturali
... erano le forme agitate della realtà, che si presentava divisa e contesa fra
bene e male, spirito e materia, Dio e Satana, eternità e tempo, cielo e
terra, Paradiso e Inferno, ordine e disordine. Tutte queste forme egli riconosce
e descrive, ma dalla molteplicità che lo intriga si svincola operando rinunce
e scelte sempre più chiare, eliminando le contraddizioni o conciliando gli
opposti in una soluzione unificante. Separazione e unificazione sono
dunque i due stili più evidenti nella costruzione della Comedìa, che sono
anche i modi, opposti e coesistenti, di leggere la vita: la prima riflette le
lacerazioni di cui egli faceva esperienza, la forza centrifuga delle cose di
questo mondo; la seconda il bisogno di convergenza, la forza centripeta
dell'ideale, nel quale le cose hanno una forma unica, stabile, incontrastata.
I capitoli che
seguono hanno inteso evidenziare, per ciascun tema, proprio questo carattere
della Comedìa: procedere per scissioni e operare l'unificazione, passare per la
pluralità e ricondurla all'unità.
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Conclusioni
Dimmi come ridi...
Partiti dal comico e dal significato
della parola Comedìa, sulla traccia del Lieto Fine promesso dall'autore, ci
siamo trovati a un livello che, di selezione in selezione, sembra non avere piu
niente a che fare col comico nell'accezione odierna e che sembra avere rapporti
discutibili anche col senso di comico dal quale è partito lo stesso Dante.
Indubbiamente egli ha tenuto fede alla promessa del lieto fine: nel Paradiso la
letizia è piena, inequivocabile, eterna. Ma dov'è il linguaggio delle « donne
comuni» di cui si parlava nella Lettera a Cangrande, se i Sapienti, i
Contemplanti, Beatrice, dispiegano il loro sapere con sottili concetti e forbito
linguaggio, e lo stesso personaggio Dante tiene degnamente testa a queste
situazioni? Inoltre, le« donne comuni» potevano ridere dello stesso
finissimo riso del Purgatorio e del riso tutto interiore del Paradiso? No,
certamente, e lo stesso autore ne è consapevole: sempre più frequenti si fanno
nel Paradiso gli appelli alla dottrina e all'attenzione del lettore, e chi
legge talvolta viene esplicitamente avvertito delle difficoltà, come se Dante
prevedesse, o addirittura desiderasse, di essere seguÌto da un pubblico meno
folto di quello al quale pensava quando si è messo in cammino. Nella Lettera
a Cangrande il Paradiso è chiamato« Comedìe sublimem canticam », col
quale aggettivo si vuole dire, forse, non solo l'ultima ma anche la più
alta per argomento e impegno di stile e dottrina. Se poi la Lettera non
fosse stata scritta da Dante, sarebbe in ogni caso la prova di come il poema era
percepito dalle prime generazioni di lettori, che condividevano.con Dante
sensibilità ,e riferimenti culturali. Ma dunque Dante ha tradito il suo
pubblico, così come sembra, ad ogni ciclo di lettura, tradire la maggior parte
degli studenti, che all'appuntamento col Paradiso si vedono costretti ad andare
armati di nozioni di storia, di filosofia, di astronomia, e di una conoscenza
più sottile e accurata della lingua?
Indubbiamente
rimane difficile, almeno alle prime letture, cogliere il senso del riso e del
sorriso del Purgatorio e del Paradiso, mentre è più facile vedere nell'Inferno
il riso maligno (del quale però Dante non parla!) o il riso gratuito (del quale
però Dante non ride!); mentre rischia di sfuggirci il riso dei giochi di
parole, quando essi si riferiscano a cose e usi che non sono più sotto i nostri
occhi e nel nostro vocabolario.
È difficile
anche sapere se e quanto per ciascuno di noi l'Inferno e il Paradiso siano gli
stessi che per Dante e i suoi contemporanei.
Quel che conta per
noi, considerando l'opera nel suo insieme, è l'aver visto che « il salto »dal
comico senza riso (Inferno) al riso del tragico (Paradiso) non
rimane inspiegabile, perché l'autore, mentre componeva il poema, percorreva
anche le fasi di una sua evoluzione, che lo portava dalle forme
grottesche e violente della materia del pianto alle forme composte
e solenni della materia del riso.
li comico
dell'Inferno è stato percepito e commentato variamente in relazione alle varie
epoche e alle sensibilità: lettori di indiscusso acume e critici di chiara
competenza ne hanno fornito letture differenti.
L'interesse e la
simpatia che sentiremo per l'una o l'altra forma di esso può nascere dalla
curiosità o dal compiacimento, o dal gusto dell'orrido, o da remote
inconfessate paure e sensi di colpa; ognuna di queste disposizioni si attiverà
in noi a seconda che terremo d'occhio più la poena sensus o la poena
damni, se ci sentiremo con Dante pellegrini nel viaggio del dolore o
turisti nel castello degli orrori; se per temperamento appezziamo le freddure
e le arguzie, o ci affascinano le basse « sconcezze » che fuori della
letteratura abbiamo cura di censurare.
Individuare,
infine, il « comico» dell'una o dell'altra cantica, dipenderà dalla
prospettiva che vorremo
adottare: ridere della Terra dall’alto dei cieli, ridere dell'Inferno dal
basso della Terra, o convenire
nei cieli col riso dell'universo.
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APPENDICE
Francesca o la perversione
dell'amore
1. L'interesse morale del canto di Francesca.
La lunga
riflessione per la quale Dante giunge a definire l'amore è lo sfondo sul quale
va letto il canto V dell'Inferno ed è per questo che ne poniamo l'analisi in
appendice a questo capitolo.
I contributi più
recenti alla ricostruzione della concezione (o delle concezioni) dell'amore
nel Medioevo hanno consentito di liberare il canto dagli equivoci di una lettura
« ingenua
», non mediata dalla filologia, lettura a cui la critica dell'800 (Foscolo, De
Sanctis ... ) non era sfuggita.
Se facciamo un confronto fra il toccante
commento desanctisiano e un commento filologicamente più aggiornato, il primo
risulta per molti versi più bello e « attuale »,
ma rimane sostanzialmente estraneo alla cultura del tardo Medioevo e a
Dante stesso. Oggi si è chiarito definitivamente che il canto di Francesca non
è l'esaltazione dell'amore libero né una romantica rivendicazione dei
diritti del cuore contro le anguste regole sociali; esso è una meditazione
sull'amore e sui pericoli morali di certi modi di intenderlo. Anche a
distanza di tempo il canto continua a commuovere chi lo legge; Dante stesso in
più punti del testo richiama l'attenzione del lettore sul proprio
coinvolgimento emotivo. Eppure Dante non si commuove per le stesse cose che
turbano noi, e molte cose che turbavano lui lasciano indifferenti noi. Di che si
commuove Dante? Ricordiamo, preliminarmente, che per Dante il problema
dell'amore è inseparabile dal problema della salvezza dell'anima, per cui se
vogliamo affermare che per lui l'amore è un problema di cuore, dobbiamo
supporre che nel suo cuore, cioè nella dimensione che chiamiamo emotiva
e sentimentale, c'è anche l'aspetto morale dell'amore. Rileggiamo il
testo (Inf. V, 25-142) prestando particolare attenzione al lessico. Nel
seguire il racconto e nell'annotare le reazioni di Dante personaggio
cercheremo di non perdere di vista il contesto:
a)
siamo nell'Inferno, nel quale si attua la giustizia di Dio;
b)
Dante pellegrino osserva le pene e medita sui peccati;
c)
Dante Alighieri autore dei versi è profondamente interessato al problema
dell'amore e ha già avviato una sua elaborazione a proposito (cfr. Vita Nova e
Convivio).
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