Scuola Media Statale "G.Marconi"

 di Petilia Policastro

Il fiume Soleo

La Storia

Utilizzazione delle acque nel corso della storia

L'Acquedotto Giordano

Le segherie ad acqua lungo il fiume

I mulini

La centrale idroelettrica

Toponomastica ed Agricoltura

 

LA STORIA DEL SOLEO

PREISTORIA – L’antica età del Bronzo (Argomento oggetto di commento nella prima visita guidata a Copati, ai piedi del “Timpone delle Rose”). Il Timpone delle Rose è un modesto colle presso la confluenza tra il Tacina ed il Soleo: alcuni anni fa vi è stata rinvenuta una tomba risalente all’antica età del bronzo (XIX- XVI sec. a.C.). All’interno, quali suppellettili del defunto, sono state trovate due asce di bronzo a lama rivoltata. Il sito rappresenta: 1) la testimonianza di contatti geo-micenei in terra di Calabria; 2) la presenza di metallurgia nella nostra zona; 3) un aspetto di vita sociale afferente quelle antiche popolazioni.        Siti della stessa epoca ne sono stati ritrovati a Cotronei, presso il lago Ampollino a Timparello dei Ladri, presso Capo Piccolo ed altrove.

 I Brezi nel nostro territorio (gli alunni del prof. Fico Alberto) - Verso il IV° secolo a.C. l’attuale Calabria era abitata da una popolazione che viveva di agricoltura, pesca e pastorizia e che aveva reso questa regione una zona molto fertile. Questo popolo seminomade, denominato Bruzi (da cui poi Bruzio) si era impossessato di ampi territori, soprattutto delle zone montuose e fluviali (cioè la Calabria centro meridionale; Crotone sulla fascia ionica, e altre città su quella tirrenica). Essendo sparsi anche in aree pianeggianti erano sempre preda di invasori, e per questo motivo dovettero stare sempre sulla difensiva. Il loro punto di riferimento erano gli alti colli (come quelli dell’attuale territorio di Petilia Policastro) dai quali il nemico poteva essere avvistato in tempo per organizzare la difesa, o scappare in luoghi più sicuri.Dopo varie lotte contro i Lucani, Alessandro d’Epiro e Agatocle di Siracusa, riuscirono ad ottenere l’indipendenza formando una confederazione di varie città con capitale Cosentia, che prese il nome di Caput Brutium, perché era di grande potenza sia per il numero che per il valore dei cittadini. Dopo ciò conquistarono Terina, Ipponio, Turi e Sibari e più tardi Tempsa e Petelia. Questo popolo, avendo conquistato un vasto territorio, non era intenzionato a lasciare che i romani, già impossessatisi di tutta la penisola italica, potessero penetrare e conquistare anche il loro territorio. Per questo si allearono con Pirro, che era in urto con Roma, ma dopo una lunga battaglia, i Bruzi tornarono in patria con una vittoria mancata. I bruzi, per ribellarsi ai romani, si allearono con Annibale durante la seconda guerra Punica, (216 – 202 a. C.) ma dopo la partenza del cartaginese vennero sconfitti. Molti fatti sono ancora monchi, poiché non si hanno validi documenti che si possono ritenere appartenenti a questa popolazione, ma la loro influenza sul territorio di Policastro si può notare molto.Infatti nelle escursioni fatte a Copati si sono trovati molti dei cocci che sono dei reperti storici probabilmente appartenenti a tombe Bruzie, ma soprattutto lungo il Soleo, sempre nel nostro territorio, sono presenti varie necropoli Bruzie, nelle quali questi seppellivano i loro morti. Appartenenti a tali tombe sono delle lastre in terracotta che con il passare dei secoli e per l’azione del terreno, e l’attività sconsiderata di tombaroli, sono andate distrutte.Queste sono le poche informazioni di cui siamo al corrente, ma sappiamo che c’è ancora molto da scoprire sulle nostre origini.

UTILIZZAZIONE DELLE ACQUE NEL CORSO DELLA STORIA

 (Alunni della prof.ssa Rosetta Carvelli)

A) L’ECONOMIA DEL FIUME - La storia di Petilia è legata al fiume SOLEO; le sue acque, di fondamentale importanza per l’economia del paese, hanno contribuito in modo particolare allo sviluppo economico e sociale.Le acque di questo fiume, una volta più abbondanti di adesso, sono state utilizzate nel passato in varie operazioni:

irrigazione degli orti e dei campi: il cosiddetto Canale Madia od “acquaro di Paternise” prendeva l’acqua dalla cosiddetta “ncrinàta” e costituiva ed ancora costituisce un elemento economico di I° piano per i cittadini di quella contrada.  Ora, in due punti del Soleo esistono prese d’acqua del Consorzio di Bonifica ed il prezioso liquido viene condotto nelle fertili pianure costiere del crotonese, ma il letto del nostro fiume rimane quasi a secco;

Lavaggio della biancheria; si faceva il bucato con sapone fatto in casa, si sciorinavano i panni nell’acqua limpida del fiume e si mettevano ad asciugare dulle pietre;

macinazione del grano e d’altri cereali;

filande, soprattutto per la cardatura della lana, la lavorazione del lino e la produzione di iuta per il fatto che il territorio abbonda di ginestra;

 pesca alle trote e alle anguille;

nuoto;

macinazione delle olive nei frantoi;

abbeveraggio degli animali;

antiche segherie ad acqua;

 produzione d’energia elettrica (centrale Madia e nuovi progetti);

Il nuoto era uno sport praticato dai ragazzi nelle acque del fiume, nei cosiddetti “Vuddri”, che sono simili a delle piscine naturali dove i ragazzi amavano andare a fare il bagno durante l’estate. I più frequentati dai ragazzi erano quello di “Cerratullo” e quello della ”Tracca; il primo è tristemente famoso per la tragica morte di un giovane.

L'ACQUEDOTTO GIORDANO

L’acquedotto “Giordano” - Sul crinale di sinistra del fiume Soleo (Principe, Talavazzo e Comunello), alquanto a monte, verso la fine del XIX secolo il centro di Petilia prese l’acqua per il suo fabisogno. Fu veramente un momento storico e l’opera ancora è ricordata a memoria d’uomo (Dal Petilino “Quando gli alunni scrivono la storia). La più importante iniziativa intrapresa da Luigi Giordano quale amministratore di Petilia, fu un acquedotto, tuttora attivo, che è ancora a lui titolato “ Acquedotto Giordano”. Sembra che sia stato il primo costruito in Calabria di tipo moderno. L’opera fu intrapresa nel 1892, nel suo primo mandato d’amministratore e doveva sopperire ai bisogni della popolazione che, numerosa, attingeva a stento a due sorgenti naturali sgorganti nei pressi di Petilia: “La Fontana Grande” a sud e “La Fontana dei Preti” a nord., costruite dal padre Giuseppe, quando era sindaco di Petilia. Due esperti ingegneri progettarono l’opera: Buratto e Galatti.Il Giordano in persona condusse una campagna di raccolta di fondi, e la popolazione rispose generosamente: furono raccolte lire 123.401;quindi furono individuate le sorgenti che avrebbero alimentato l’acquedotto: in zona Principe e in zona Talavazzo. L’opera percorreva tutto lo spartiacque dal Soleo al Cropa e attraversava le località: Comunello, Musco, Mmarrata e San Teodoro, lungo l’antico tratturo. Nell’ottobre del 1896 fu inaugurato il serbatoio di Chiari. Tutta la popolazione partecipò curiosa e commossa all’avvenimento. Prima della fine dell’anno un’acqua fresca e limpida sgorgò da decine di fontane pubbliche, in tutta Petilia, a soddisfare la sete e le esigenze igieniche della popolazione. I nomi delle fontane divennero allora punti di riferimento topografico: Fontana di Bosco, della Marana, del Timpone, della Rupa, del Fumarello, degli Spiriti, di Bullone, di Santa Caterina, della Cento Diavoli. Dovettero passare molti decenni perché l’acquedotto fosse ampliato e fornisse anche l’abitato di Pagliarelle. Ciò avvenne durante le prime legislature comunali repubblicane, negli anni ’50, con la realizzazione dell’acquedotto di “Lanza Porco” per opera di un altro sindaco, l’avvocato Luigi Carvelli, che era parente del Giordano, quando si dice il caso, per via dei Pollizzi di Mesoraca.

 LE SEGHERIE  “AD ACQUA” LUNGO IL FIUME SOLEO

 Importante attività del passato, quando ancora non era conosciuta l’elettricità e non esisteva il motore elettrico. Per la lavorazione del legno le segherie funzionavano tramite la forza dell’acqua corrente: numerosi erano i laboratori artigiani lungo il fiume Soleo, si ricordano in particolare le seguenti:

Segherie di:           

Malarotta

Ritorta

Erivusu

Passu da serra

Differenze

Macchia ‘e l’apìta

Macinìaddru

Con l’arrivo della SO.FO.ME. le segherie non lavorarono più.

I MULINI

 Oggi il motore elettrico fa molire il grano in laboratori ubicati nei centri urbani, ma una volta, fino a 80 anni fa circa, preposti a quello scopo, sorgevano numerosi mulini lungo i corsi dei fiumi; l’acqua corrente ne rappresentava la forza motrice. Anche lungo il Soleo furono attivissimi i mulini.E’ Già  stato detto che il loro possesso sia nel medio evo che nei secoli successivi rappresentava dominio economico, controllo del territorio e se i mulini erano in possesso dei governanti, controllo dei redditi delle popolazioni ai fini dell’attribuzione  delle tasse.Nel 1598, come nel 1615 tutti i mulini di contrada Copati, alcuni lungo il corso del Tacina, altri del Soleo erano assoggettati alla Ducal Corte di Cutro la quale li diede in fitto ad un tal Gio Ferrante Amendolara. Si vogliono addurre, per la conoscenza degli antichi usi e sistemi di vità, alcuni passi di un contratto di quell’epoca estratto da internet e riportato da Pesavento, storico. Chi vuol saperne di più può controllare il seguente sito: http://www.laprovinciakr.it/mulinocanosa.htm             Il linguaggio è cinquecentesco costituito da molti termini dialettali e da un volgare italo-meridionale di quel secolo. Ancora, lungo il Soleo, sono presenti i ruderi di un grosso mulino che appartenne fino agli inizi del secolo e al suo smantellamento, alla Famiglia Madia di Petilia Policastro. La struttura è possente ed i materiali di costruzione e la vetusta delle mura di base fanno pensare che sia stato attivo  già in epoca cinquecentesca o subito dopo. Sono integri i tunnel di scarico e si notano le tracce di numerosi rifacimenti. Rispetto ai ruderi dei mulini di ponte di Ferro, di Pantanelle, di Cropa, quello di Prospero fu il più importante laboratorio policastrese di molitura dei grano e cereali diversi.

LA CENTRALE IDROELETTRICA CASTAGNINO

(Alcune notizie sono state fornite dal sig. Giuseppe Pace, socio della sezione petilina di  Legambiente)

Era ubicata in località Calorino. Fu costruita da Vicenzo Castagnino, possidente di Petilia e dopo alcuni anni di lavoro fu consegnata dalle maestranze l’11 marzo del 1917. Non tutte le famiglie di Petilia ne usufruirono, ma soltanto le più facoltose procedettero all’attacco che, in mancanza, allora, di qualsiasi elettrodomestico, era pagato forfettariamente. Le famiglie che non avevano la possibilità di pagare il canone continuarono ad adoperare la deda (legno resinoso di pino) o le lampade ad olio. Molti operai che lavorarono alla costruzione della centrale, a parte un anticipo salariale, furono liquidati con l’attacco della corrente elettrica ed il godimento dell’utenza con canone gratuito per il corrispondente rimanente credito.

La centrale in tutto era formata dai seguenti elementi:

una presa d’acqua nel fiume Soleo presso la località Rinacchio;

un tubo lievemente in discesa sul crinale destro del Soleo per un paio di chilometri;

un salto finale di circa 100 metri in condotta forzata dopo una vasca di contenimento (tubo, vasca e condotta forzata sono visibili dalla strada Petilia-S.Spina);

una centralina contenente la turbina ubicata sulla riva del fiume, di cui permangono ruderi sparsi.

Solo lentamente, entro gli anni 30, i cittadini di Petilia poterono usufruire tutti del servizio, grazie ad un progressivo miglioramento delle condizioni di vita del paese. Vecchie case abbandonate nel centro storico, infatti, ancora presentano sulle pareti la fumosità della resina.Oggi, informa il Sindaco della città, una azienda sta rilevando la centrale idroelettrica Castagnino: ci si chiede se voglia riattarla in chiave moderna a riprodurre energia o per motivi turistici, od altro.

 

TOPONOMASTICA ED AGRICOLTURA        

 (Impegnati gli alunni delle prof.sse Ida Tallarico ed Eleonora Le Rose)

 Copati:

il toponimo non compare sulle mappe ufficiali al 25.000 ma indica un vasto tratto pianeggiante delle foci del Soleo. Sembra debba derivare dal greco copiates (becchini, fossori) perché per largo tratto il luogo è cosparso di cocci relativi ad un sepolcreto brezio, ben osservato dagli alunni. Qui l’agricoltura è praticata in modo intensivo, soprattutto  di aranceti ed uliveti, ma anche di culture ontofrutticole. L’irrigazione avviene tramite condotte del consorzio di bonifica di acque limpide prese a monte sia del Tacina che del Soleo.

San Cesario: una situazione di rischio

Lo stesso nome indica che è stata terra di proprietà dell’antica chiesa di Santa Maria dei Francesi di Policastro che fù attiva fino al XVII secolo. Qui infatti fu vivo il culto del Santo Francese San Cesario. L’agricoltura ivi praticata è quella specializzata legnosa di agrumeto misto ad uliveto.  E' da sottolineare in tale contrada una evidente situazione di rischio per il fatto che sul corso del fiume, diviso in due  canali, sono stati costruiti due pontini di fortuna tramite una serie di tubi di cemento di appena un metro di diametro. Ma mentre col buon tempo le acque defluiscono normalmente, la storia del fiume ci insegna che in caso di nubifragi a monte, il concorso delle piogge con l’immediato scioglimento delle nevi, provocherebbe fenomeni alluvionali violenti, non comprensibili nel normale alveo. Si riporta, a tale proposito alcune informazioni forniteci dal presidente della locale sezione di Legambiente, prof. Luigi Concio, geologo. “Dodici giorni di pioggia, dal 20 dicembre 1972 e fino al 2 gennaio del 1973 con un nubifraggio finale hanno gonfiato a dismisura l’alveo del fiume provocando, a partire dalle ore 4 del 2 gennaio suddetto una alluviove tanto imprevista, quanto distruttiva. In quell’arco ti tempo sono caduti circa 1500 mm di pioggia”. Abbiamo appreso noi come Scuola, tramite altre fonti, che si trattò di una persistente perturbazione sciroccale, quindi piuttosto tiepida che, riversando grandi quantità di acqua anche sulle abbondanti nevi, le ha sciolte. Il binomio delle acque piovane e del disgelo ha innescato un fenomeno perverso ed una massa d’acqua è venuta giù dalla montagna. Un filmato, che abbiamo voluto inserire nel nostro CD-ROM a monito per chi non prevede situazioni particolari relative alle acque del fiume, ci mostra le furie del Soleo. Interi impianti di aranceti che sembravano a distanza di sicurezza sono andati infatti perduti lungo tutto il corso inferiore del fiume; si disse allora che l’azienda Mazzuka ha porso in poche ore quasi l’intero impianto d’aranceto per 70 tomolate circa, l’azienda Ceraudo oltre 20. Non parliamo dei piccoli proprietari che in un attimo opersero tutto. In località Ponte di Ferro la piena ha invaso le strutture di un laboratorio di trasformazione dei prodotti agricoli e di una adiacente fattoria privata. La frazione Foresta è rimasta isolata per mesi. Il vecchio ponte di ferro ha subito danni così gravi che è stato per sempre disabilitato al traffico e ne è stato costruito un altro a monte. C’è da considerare, quindi, che i pontini di Copati, in situazione di crisi meteorologiche, verrebbero abbondantemente tracimati con pericolo di vita della gente che vi si troverebbe a passare, anche in auto. Della particolare situazione hanno preso coscienza gli alunni in occasione della loro prima visita guidata.

 Ponte della S. Spina

La presenza di un pontino che unisce il tratturo discendente da Petilia con quello risalente verso il Santuario della S. Spina ha determinato l’attribuzione toponomastica al luogo. Il ponte suddetto sembra sia opera dei frati Francescani Osservanti nel XVI secolo allorché l’arrivo della reliquia sopra citata (1523) ha determinato un fiorire di pellegrinaggi da tutto il Marchesato. Nell’arcata a valle del ponte, infatti, è murata una pietra con incisa l’effige della S. Spina. Il tratturo discendente da Petilia è stato tutto artisticamente ristrutturato quale “Via Crucis”, quello ascendente mantiene la millenaria struttura in pietre granitiche massicce. I piloni del ponte poggiano su due solidi spuntoni di granito.

Prospero

Più che aggettivo sembra un eponimo, cioè originato da nome di persona. Era anticamente il luogo dove si svolgeva parte delle attività economiche del paese. Vi sono infatti i ruderi di un grosso mulino e di una filanda. Vi passa poi l’acquedotto aereo del Consorzio di Bonifica.

Calorino: (il legno: risorsa del Soleo)

La voce deriva da Carolino quindi da “carua”, termine greco per indicare noce; letteralmente quindi “zona di noci”. Ma l’attribuzione toponomastica bizantina avvenuta oltre 10 secoli fà, ora sarebbe non adeguata perché la vallata si è rinselvatichita. La tradizione agricola della zona, comunque, mantiene tuttora una rara coltivazione di noci e noccioli mentre larga parte del territorio è stata riconquistata dalla tipica vegetazione collinare mediterranea e dal castaneto. L’acqua del fiume qui è ancora pura e limpida perché, a monte, non esistono scarichi fognari e di laboratori artigiani.  A Calorino finisce il Lauretum e incomincia la zona del Castanetum con numerosi impianti di tale albero che si irradiano sempre verso più amonte. A giudicare dalla vetustà delle ceppaie tale cultura ha numerosi secoli di pratica. La castagna è stato infatti da sempre un elemento economico di prim’ordine per il paese e, durante la seconda guerra mondiale, con la sua farina dolciastra si sopperiva alla mancanza di grano. Ancora apporta reddito, ma viene esportata e non lavorata in loco, altrimenti costituirebbe maggiore fonte di ricchezza e di lavoro. Sono rimaste inutilizzate infatti le antiche caseddre in cui il frutto del Castagno veniva affumicato e zocculiato (sbattuto per far staccare la buccia dalla polpa) e venduto a pastille. Non è poi da trascurare la validita ancora attuale dell’artigianato che si basa sulla lavorazione del legno di castagno per costruire mobilio ed imposte. Esiste a Petilia, in proposito, una antica tradizione artigiana di pregiati mobili in legno di castagno tutt’ora molto ricercati; ma si può sfruttare anche il pinorosso, l’abete, il faggio, il rovere e il douglas da poco impiantato; tutti costituiscono una risorsa d’eccezione per il nostro territorio, a cui le istituzioni dovrebbero puntare per rilanciare l’occupazione. Bene ha fatto il locale Istituto Professionale ad istituire la cosiddetta “Scuola del Legno”. Questo nuovo corso ad indirizzo Legno-arredo sorge e si svilupperà ancor di più a So.Fo.Me, dove, come è riportato nei capitoli di storia  del nostro libro, sorse una industria del legname che negli anni ’30 e ’40 diede lavoro a 2000 operai; è già dotata di moderne strutture ed attrezzature, con laboratori, officine e macchinari avanzati ed è perciò idonea ad erogare servizi di consulenze tecnologiche alle imprese del settore operanti in zona, coinvolgendo le varie associazioni di categoria e promuovendo tutte quelle attività che possono contribuire a creare la “cultura del legno”.

Malarotta

Il toponimo indica una località posta a valle del Timpone Granaro, tra gli 800 ed i 1100 metri di altitudine, in parte scoscesa a dirupo, in parte alberata. Per la gente dei centri vicini e soprattutto per i Petilini il toponimo esprime nel suo significato etimologico, almeno quello che si considera autentico, il dramma contenuto in una antichissima leggenda che si vuol passare per avvenimento storico: la lotta tra cartaginesi che in zona si approvvigionavano del legname per costruire la loro flotta ed i cittadini dell’antica Petilia, creduta dai più l’odierna Petilia Policastro. Ma i nostri, sembra, subirono una completa disfatta, da cui il toponimo mala - rotta. Si ha motivo di credere, invece, che Malarotta possa derivare da molarotta: pietraia granitica in disfacimento.  

Manca dei Diavoli

Numerosi sono i termini agiografici nel crinale di destra di quell’ansa del Soleo: Serra dello Spirito Santo, Trentademoni, Santa Lucia ed anche Manca dei Diavoli. Per considerare a pieno la giustezza di questa attribuzione bisogna dare uno sguardo a quel territorio. Trattasi di un luogo intricatissimo di faggi, abbastanza ampio, almeno 20 ettari; la scarpata é, però, così ripida che le frane di terra miste a rocce granitiche sono molto frequenti ed il fenomeno è alimentato dalle numerosissime sorgenti d’acqua. Le rupi a picco, le frane, le centinaia di alberi strappati al suolo dai massi, come se fossero fuscelli, l’oscurità della foresta, conferiscono al luogo un aspetto sinistro che ha meritato il senso del toponimo. Per contro i più avventurosi hanno potuto raccogliere in quegli anfratti ottimi porcini (siddri), canterelli (gallinelle), clavarie (ditole), lepiote (coppuluti).

Cerratullo

Il termine ha una radice greca, da carrubo, quindi significa carrubeto. Ma quell’albero, che  costituiva una volta alimento soprattutto per gli animali, ora non esiste più e la vallata è brulla ed argillosa. Sarebbe veramente il caso di indagare su questo degrado idrogeologico di portata storica. Nella zona vi è una grotta carsica molto importante, profonda circa cento metri, con varie diramazioni e fiumi sotterranei. Nella parte più profonda di essa vi è la “Grotta Dell’Angelo” perché dalla sommità pende una formazione stalattitica somigliante  a quella divina creatura.

Sofome

La presenza per lunghi anni (dal 1930 al 1945) della Società Forestale Meridionale, le cui iniziali sono appunto SO.FO.ME., ha attribuito alla nostra  frazione  questo secondo toponimo. In nome autentico è invece Foresta dalla intricata foresta di querce che una volta vi insisteva.

Macchia dell’Orso

Rappresenta una delle sorgenti del Soleo. E’ evidente che il luogo è così detto per la presenza, una volta, di orsi, quando in Calabria, come ora in Abbruzzo, viveva ancora questo plantigrado. Il termine macchia, riferito alla foresta silana indica radura, luogo privo di vegetazione, come: Macchia dell’Arpa (dell’alpe), Macchia Tunna (rotonda), Macchia da pitinèddra (piccolo abete), Macchia du’ Cifaru (cinghiale), MacchiaLonga (lunga). Il termine macchia mediterranea, al contrario, indica un insieme di alberi caratteristici delle sponde mediterranee in un contesto brullo. 

Differenze

Probabilmente trattasi di un neologismo, quindi toponimo di recente formazione. Il luogo è importante perché vi partiva la funivia che conduceva a valle il legname di pertinenzia della società boschiva della So.Fo.Me.

Fossa du Tesùaru

E’ un luogo vicinissimo a Copati nel pressi del cimitero brezio. Un’antica leggenda vi aleggia, sul ritrovamento di un tesoro. Un contadino sognò una notte di trovare un tesoro nei campi da lui coltivati. L’indomani si recò sul luogo, scavò, ma non trovò niente. Infine cercò nel cavo di un grande albero fumante a cui il giorno prima egli  stesso aveva dato fuoco. Proprio tra le brace, infatti, trovò numerose monete d’oro.