Scuola Elementare - Materna di Petilia Policastro
Anticamente i mulini erano azionati dalla forza del vento o da quella dell acqua. Per far funzionare i mulini ad acqua bisognava deviare ed incanalare da un corso d’ acqua naturale una corrente facendola precipitare su una ruota a pale. Questa ruota,mediante degli ingranaggi, era collegata a delle macine che, movendosi, macinavano i cereali. Ogni mattina al mulino arrivano molte persone con dei sacchi di grano. Questo veniva macinato e si ricavavano la farina e la crusca. La farina serviva per fare il pane, la crusca veniva data agli animali. Altre volte il mugnaio, in groppa ad un asino,girava per le strade del paese con al collo due campanelli che, suonando, servivano da richiamo per la gente che voleva consegnare il grano da macinare. In questo caso era il mugnaio stesso che portava i sacchi di grano al mulino e lo macinava. Il mugnaio si alzava alle 7,00 del mattino e finiva di lavorare alle quattro del pomeriggio. lavorava nel periodo primaverile-estivo perchè era il tempo del grano. Il lavoro del mugnaio non era molto faticoso perchè richiedeva uno sforzo moderato. C'è un detto popolare legato alla figura del mugnaio che dice : "Quennu se 'mpriganu i mulineri guardate a farina '' . TOP
Un uomo anziano del nostro paese mi ha raccontato che anticamente c’era un contadino che diceva sempre: “ Sotto la neve pane, sotto l’acqua fame!”. In un primo momento quelli che lo
ascoltavano non capivano che cosa volesse dire, borbottava continuamente
così: “Sempre piove, e ancora domani pioverà, fra otto giorni pioverà
come ieri e oggi”. “Ienneru”era un uomo semplice e buono, era una
persona onesta che amava la terra più della sua vita e non era capace di
fare del male nemmeno a una
formica. Si rattristava molto quando c’erano annate di pioggia eccessiva
che rovinavano il raccolto, mettendo in pericolo la fertilità della terra
stessa.”Ienneru” era un esperto conoscitore dell’aspetto del cielo
(come lo sono in genere molti
contadini), e capiva al volo se la stagione avesse avuto continui periodi
di pioggia o di sereno. Egli era solito fumare la pipa e, mentre fumava
faceva delle continue osservazioni per capire se c’erano perturbamenti
atmosferici o tempeste. Dato che sapeva che quell’anno avrebbe piovuto
sempre, passeggiava nervosamente e, si lamentava che il grano era
cresciuto esile e anemico. Pensava al fatto che sotto la neve il grano
incominciava a fare le prime foglioline alla base e poi a primavera
germogliava. Al contrario quando lo stelo e le foglioline del grano si
allungavano troppo per effetto della eccessiva umidità la spiga che
veniva fuori era povera di chicchi quindi, era come diceva “Ienneru””na
mala annata”. Da qui il detto: sotto la neve pane, sotto l’acqua fame.
Però nel pensiero di”Ienneru”non c’erano bestemmie o cattiverie che
offendevano la natura. Egli diceva sempre: “Quennu te cada a cammisa
curta ha a ‘cchi fare u ta
pijji e, u te sta citu”.Quando c’erano le annate di pioggia eccessiva
“Ienneru” faceva coraggio a tutti i contadini che si disperavano e,
pronunciava questo discorso: quanta fatica per una boccata di pane, quante
braccia per produrre un “tomolo” di grano, e, quanto sudore! Ma questa
annata e chissà quante altre ancora
il nostro lavoro va al vento! Ma noi siamo abituati, alla fatica e a
sopportare tutto
con umiltà e pazienza, e perciò “cuamu ‘nne cada ‘nna piamu”
TOP
Carmine
Ruberto 5^ A
L’ardente fede del popolo petilinoSan
Francesco placa la tempesta dei grilli…
Tanto tempo fa
negli anni ’20,’30,’40 a Petilia il popolo viveva in condizioni di
miseria. Le famiglie erano numerose: genitori e figli dormivano tutti in
una stanza dove si svolgevano le attività di vita quotidiana. Ci
si lavava con una brocca d’acqua, si mangiava quello che c’era e, gli
avanzi della sera precedente si consumavano l’indomani mattina. Le
donne andavano a “frasche” per accendere un bel fuoco per cuocere il
pane. C’erano i cosiddetti “furni a frasche”dove ogni giorno si
infornava “pane jencu, viscuatti e pane e bruniattu, e talvolta cuddruri,
e vucceddrati”. Gli
uomini invece, lavoravano i terreni a forza di braccia per produrre:“granu”,
“ciciari”, “suraca”. Durante
la guerra , con i ceci coltivati si faceva“u pane e ciciari”. Nei
campi le donne raccoglievano”aspraine”, “carduni”,” cardeddre”,”cicorie”. In casa facevano
le provviste per l’inverno. Si raccoglievano i peperoni,
che“a filari”, poi si mettevano ad asciugare
sopra il camino.
C’erano i mulini che macinavano i peperoni e si otteneva”u spagnualu
‘ppe fare a pruvista du purceddruzzu”. Non mancavano
nemmeno le conserve all’aceto delle”miluncene”. Nei periodi di
festa come a Natale le donne in casa preparavano”e pitte ‘ccu passule”con
questi ingredienti: “farina”, “garofalu”, “canneddra”, “zuccaru”,”mele”,
“nuci e nuciddri e l’
uartu”, “vinu”, “liavitu” “uajjiu”. Anche i “crustuli”
si facevano con farina, lievito e un pizzico di sale. I “ tardiddri”
“se mpastavanu” “cu ra” farina, “vinu”, “zuccaru”, “liavitu”.
A Natale si faceva anche “a pasta cumpettata” con farina, uova,
zucchero e tanto miele. Poi, si uccideva il maiale e si invitavano i
parenti per festeggiare. A Pasqua si facevano le “cuzzupe”che si preparavano con le uova di gallina, il
lievito e lo zucchero. Anche questa era una festa molto attesa e per
l’occasione si indossavano le scarpe e il vestito nuovo. Alla festa di
S. Giuseppe si faceva “u ‘mmitu”con pasta e ceci e alcune pagnotte
di pane che venivano benedette dal sacerdote durante la messa in onore del
santo. La gente petilina nonostante fosse tormentata da molti problemi
aveva una grande fede. Spesso si organizzavano pellegrinaggi in massa al
santuario della Santa Spina per la richiesta della pioggia nelle annate di
siccità o, talvolta per fare cessare la pioggia abbondante che minava i
raccolti. Si diceva “ca se dispunia a Santa Spina scavuzi”. Sempre per
gli stessi motivi si invocava l’aiuto di Sant’ Antonio o, quello di
San Francesco che venivano portati in processione a spalle per il paese.
La processione era accompagnata da canti e preghiere fatti con fede. Si
narra che una volta nella zona della marina a causa della grande siccità
e per il caldo afoso che c’era ci fu una forte invasione di grilli che
distruggevano il grano mandando in rovina l’intero raccolto
dell’annata. La gente era disperata, piangeva e pregava. Già la fame si
avvertiva molto nelle famiglie numerose di allora, per cui il grano che si
disperdeva avrebbe significato andare incontro ad una vera e propria
carestia. Fu così che le persone anziane che avevano sperimentato più
volte l’aiuto di San Francesco nella loro vita, pensarono di portarlo in
processione a spalle verso le zone della marina cantando e pregando. Era
impressionante, per chi
ricorda questo fatto il vedere che dove metteva piede
San Francesco seguiva una
grande quantità di grilli che morivano. E,
si narra che i grilli morirono
tutti grazie alla presenza del santo miracoloso. Ecco i canti che
le persone anziane ricordano che accompagnavano la processione: Sa Franciscu mio
si nu gran santu pregare te vulera ogni momentu ca le preghiere mie e ‘ne jjre avanti ca ‘nna mannare a
pace e l’alimiantu. ‘Nnu simu degni de pregare i santi ca simu peccaturi veramente. Mo Vi‘nne priagu a Vui chi siti santu facitilu ‘ppe l’anime innocenti. Antonio
Cosco 5^B
A Iumera era bella, era chiara A
Iumera era bella, era chiara Il fiume era bello,
l’acqua era chiara. Tu bevevi quella l’acqua e la digerivi subito, ora
è rovinata tutta l’acqua.L’acqua del fiume si beveva
perchè era chiara, era pulita, l’acqua corrente era bella. Al fiume ci si lavava anche. I panni del fiume si lavavano meglio, si faceva il bucato con la cenere (lissia) che si faceva bollire nell’acqua. Una volta bollita si versava la lissia sulla biancheria (assammarata) e messa dentro le sporte (grosse ceste). Dopo alcune ore il bucato veniva lavato al fiume e sciacquato bene. Le donne lavavano i panni su delle pietre in mezzo la fiume, con i piedi nell’acqua, lasciando i bambini vicino l’argine del fiume. La biancheria lavata al fiume era profumata e si metteva ad asciugare sulle pietre calde e sulle piante che trovavano nei pressi del fiume, generalmente salici. Gli abitanti di Petilia lavavano i panni con le acque del fiume Soleo, nelle località: Ponte di ferro, Cerratullo, Tracca. Oltre l’acqua del fiume c’era anche
l’acqua “du Surriatunu” che sgorgava dalla timpa, era chiara però
quando la bevevi era un po’ pesante. C’era anche l’acqua
“campagna” che sgorgava tra due grossi macigni, era un’acqua molle,
quando la bevevi ti lasciava un gusto dolce. Quando si andava al fiume le donne preparavano
delle belle insalate, era un banchetto gioioso dove ognuno metteva a
disposizione tutto ciò che aveva portato da casa, un buon pic nic. Quando arrivava la piena perché pioveva
tanto, l’acqua sembrava un batuffolo di lana. Ma c’era tanto spavento
perché la piena trascinava tutto ciò che trovava nel suo passaggio. Il
fiume in piena non conosceva ostacoli. Le grosse pietre che si trovavano
negli anni passati, ora non ci sono più, è scomparsa la sorgiva e
l’acqua campagna e tanti alberi che la natura aveva messo a disposizione
dell’uomo. Ma insieme alle cose cattive le piene lasciavano qualcosa di
utile, il fiume offriva nuova legna, terriccio e sabbia. Inoltre il fiume
rappresentava anche il mezzo di trasporto dei tronchi d’albero, quindi
oltre ad essere una fonte di benessere, vita, il fiume alimentava
l’acqua del mulino, e poi era una fonte di energia elettrica. Il
fiume per i ragazzi dagli 11
ai 14 anni rappresentava il mare. Incoscienti, inconsapevoli del pericolo
di annegamento facevano il bagno alle cascate delle sbriglie, nell’acqua
“du vuddru” . Poi si asciugavano
sulle grosse pietre (petramuni) che ci sono lungo il fiume, mentre,
più a valle, le donne sotto il ponte lavavano i panni.
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Scuola Materna di Foresta)
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