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Eugenio Montale e la Sinestesìa

di Giuseppina Cavallo
Classe V Sezione A dell'Istituto Magistrale Statale di Mesoraca (KR)

 

Nato a Genova nel 1896, frequentò le scuole tecniche presso i Barnabiti

( la scuola frequentata dal Manzoni ), la lasciò in seguito ad una malattia e continuò gli studi privatamente. Imparò l’inglese, il francese e lo spagnolo, fra le sue letture letterarie ci sono Manzoni, e i moderni: Baudelaire, Mallarmé, fra gli italiani Pascoli e D’Annunzio, Campana e Onofri.

La sua prima poesia Meriggiare pallido e assorto… è del 1916, scritta a Monterosso, nelle cinque terre - paese natale del padre - esprime la sua concezione dell’uomo e della vita. Secondo Montale " la vita non è altro che una muraglia, che impedisce di vedere la luce, nessuno riesce a superarla perché in cima al muro ci sono pezzi di vetro e non ha via d’uscita ". ( 1 )

Il poeta è molto pessimista perché sostiene che la vita è un ostacolo alla speranza, alla felicità, sostiene che i poeti non possono cambiare la vita, possono solo " appendere le loro cetre ai salici ", cioè smettere temporaneamente di fare poesia e attendere tempi migliori. Loro non possono indicare la via della salvezza, possono solo dire ciò che è sbagliato, possono solo raccontare gli orrori della guerra affinché non si ripetano in futuro. E’ chiaro quindi che il pensiero di Montale è influenzato molto dalla guerra, da essa dipende anche il suo pessimismo.

Nel 1925 pubblica Ossi di seppia ( 58 poesie ) il titolo è un segno di morte ( " gli scheletri delle seppie che galleggiano e le onde che li abbandonano sulla spiaggia puliti e ridotti all’essenziale " ) (2 ) ma è anche simbolo di essenzialità, di scarnificazione come sono in realtà le sue poesie.

Questo modo di scrivere include Montale fra i poeti ermetici che usavano parole semplici, essenziali per rappresentare la tragica esistenza dell’uomo durante la guerra. I poeti ermetici usavano ampiamente l’analogia - facevano dei paragoni per far capire ciò che scrivevano - molto spesso però non si capisce bene il nesso tra le parole usate o i paragoni che vengono fatti, c’è bisogno di meditare molto sulle poesie per capirle.

Invece nelle poesie di Montale ciò che colpisce di più è la struttura della sua lingua poetica, infatti il poeta cerca di ridurre al minimo la distanza tra le cose e le parole che la rappresentano; in essa si compie un duplice processo: di liberazione dal superfluo, e di ricerca della parola più aderente all’oggetto.

Una lingua in cui stupisce la capacità di concentrare in una sola parola una sensazione o una immagine, molto complesse, usando, se necessario, anche termini dialettali. Per riuscire in questo Montale usa la Sinestesìa.

Questa è una figura retorica consistente nell’associazione di termini relativi a sfere sensoriali diverse. Quando, per esempio, si dice che una voce è calda o che un suono è dolce si accosta un termine relativo alla sfera sensoriale dell’udito a un attributo proprio di un’altra sfera sensoriale.

La sinestesìa in quanto trasferisce un significante da un campo semantico che gli è proprio a un altro, è una metafora, che si applica a quel settore del lessico designante immagini sensoriali. La sinestesìa è stata sempre usata dai poeti di ogni tempo. Acquista particolare importanza nella poesia barocca; venne poi largamente usata dai poeti romantici; infine diviene chiave semantica della poesia simbolista francese.

L’individuazione delle sinestesìe e l’analisi delle loro funzioni letterarie e stilistiche è una buona via d’accesso alla comprensione della poesia moderna.

Nella poesia di Montale I Limoni troviamo varie sinestesìe vista>udito nella seconda e nella terza strofa:

 

" Meglio se le gazzarre degli uccelli

si spengono inghiottite dall’azzurro:

più chiaro si ascolta il sussurro ……

Vedi, in questi silenzi le cui cose……" ( 3 )

 

In una situazione che il poeta considera positiva, nei luoghi che egli preferisce ( dove si sente " l’odore dei limoni " ), impressioni acustiche deboli ( silenzio, sussurro, tace la guerra delle passioni… ) sono definite da sensazioni visive.

Gli ultimi tre versi sono costruiti su una sinestesìa che va nella direzione opposta udito>vista, corrispondente al rovesciamento della situazione descritto nell’ultima strofa: il poeta non è più negli orti silenziosi, ma " nelle città rumorose ".

Qui, dove la noia invernale grava sulle case, dove la luce è spenta, la vista fugace e inattesa del " giallo dei limoni " riporta nel cuore del poeta sensazioni solari; il sole, metaforicamente presente nel giallo dei limoni, viene salutato da un tripudio di sensazioni uditive:

 

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo

nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra

soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.

La pioggia stanca al terra, di poi; s’affolta

il tedio dell’inverno sulle case,

la luce si fa avara – amara l’anima.

Quando un giorno da un malchiuso portone

tra gli alberi di una corte

ci si mostrano i gialli dei limoni;

e il gelo del cuore si sfa,

e in petto ci scrosciano

le loro canzoni

le trombe d’oro della solarità. "

Note:

( 1 ) Da: Storia della letteratura italiana C. Salinari C. Ricci pag. 3867

( 2 ) Idem pag. 3863

( 3 ) Da: Ossi di seppia ; I limoni pag. 3865

 
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