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C’era una volta un’idea meravigliosa: una federazione di popoli liberi, che scambiassero beni, informazioni e capitali fra di loro, senza ostacoli di frontiere e senza il rischio di farsi la guerra fra loro. Questa idea era quella di un’Europa unita, senza frontiere, aperta al mondo. E questa è ancora l’Europa che ci piacerebbe ci fosse: non un unico Stato, ma gli attuali Stati europei confederati e uniti fra loro solo da una difesa comune e da un libero mercato comune fortemente deregolamentato. Quello che abbiamo adesso è l’embrione di uno Stato europeo forzosamente unificato da un’unica burocrazia, con un mercato interno soffocato da una regolamentazione asfissiante, economicamente chiuso verso l’esterno e del tutto privo di una difesa comune.

Quel che c’è di peggio è che l’élite politica che ha forgiato l’Europa attuale, negli ultimi dieci anni, è quella stessa élite che, durante la fase cruciale della Guerra Fredda, non ha saputo o non ha voluto scegliere una parte. Chi domina l’Europa adesso è chi, negli anni ’70, simpatizzava con i terroristi rossi o non voleva opporsi ad essi. Chi non voleva rendersi conto che il blocco comunista era una minaccia quotidiana per le nostre stesse vite e che si crogiolava nell’illusione di raggiungere una pace stabile con Mosca, fondata sul compromesso. Chi non sapeva o non voleva scegliere fra capitalismo e socialismo, fra libertà e schiavitù e che si illudeva di trovare una via di mezzo fra i due sistemi: inventando poi un deleterio socialismo soft, produttore solo di inefficienza. Quella di adesso è un’Europa nata dalle idee utopistiche e inconcludenti del ’68 e degli anni ’70: il terzomondismo, il multiculturalismo, il pacifismo, l’ecologismo, il socialismo “di mercato”. Non è un caso che, anche adesso, questa Europa non sappia schierarsi in modo deciso nemmeno di fronte a un’evidente aggressione da parte del terrorismo islamico contro la stessa civiltà occidentale. Che non sappia scegliere fra un Paese libero come Israele e un totalitarismo arabo come la Palestina.


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