A un mese e mezzo dalla vittoria, si possono fare i primi veri bilanci. E questi
sono positivi. Le cassandre del pacifismo continuavano a ripetere, con certezza,
che questa guerra avrebbe sicuramente scatenato l’odio di tutto il mondo
islamico contro noi occidentali. Che avrebbe sicuramente sollevato le piazze di
tutto l’Islam, dal Marocco alle Filippine. Da quando è scoppiata la guerra ad
oggi, vi sono stati 20.000 egiziani in piazza al Cairo (su una popolazione di 15
milioni di abitanti), qualche telegramma di sostegno a Saddam da parte di Arafat,
qualche scherzo telefonico a numeri privati americani da parte di qualche decina
di arabi goliardici (la “Jihad telefonica”) e… basta. I giornali sauditi e
kuwaitiani hanno ringraziato gli anglo-americani, la popolazione irakena (e gli
Arabi in generale) hanno accolto bene le truppe occidentali e nemmeno gli Sciiti
hanno dato problemi, limitandosi a fare qualche discorso anti-occidentale
durante il pellegrinaggio a Kerbala. I quotidiani sauditi e del Golfo hanno
diffuso commenti e notizie con toni che, da noi, si possono trovare su giornali
come Il Giornale o Libero tanto erano anti-Saddam.
Questo dimostra che il mito del popolo islamico compatto nell’odiare l’Occidente
e il suo sistema, rimane, giustappunto, un mito, non una realtà. Guerra fra
ideologie (come tutte le guerre sono e sono sempre state, alla fine) la Guerra
in Iraq ha dimostrato che le divisioni fra una parte e l’altra sono trasversali:
in Europa, come all’interno dell’Iraq e nel mondo islamico in generale, fra
civili come fra militari, ci si è divisi fra i sostenitori e gli oppositori di
Saddam Hussein. E in questa divisione, i sostenitori del dittatore neo-nazista
che foraggia il terrorismo islamico, sono risultati una minoranza. Una minoranza
chiassosa, ma pur sempre una minoranza.
Ci si è divisi ancora una volta per ideologia, fra chi sostiene una società
aperta (o semplicemente odia i dittatori) e chi, invece, sostiene una dittatura
che riassume in sé, in una rara miscela di totalitarismi, l’oscurantismo
religioso, il dirigismo socialista, l’espansionismo territoriale e
l’anti-semitismo. Una combinazione di ideologie totalitarie che ben rispecchia
le varie famiglie di estremisti che sono confluite nel movimento no-global, il
protagonista assoluto della campagna europea pro-Saddam. Un movimento di cui
fanno parte comunisti vecchio stampo, fianco a fianco con integralisti cattolici
anti-moderni, sette ecologiste con richiami al nazismo naturista, autentici
neo-nazisti, reazionari, movimenti sessisti e multiculturalisti (leggasi:
razzisti, anche se alla rovescia). Tutti uniti nell’odio contro la società
aperta e il capitalismo, rappresentati, simbolicamente, da Israele e dagli Stati
Uniti. Stesso scenario nel mondo arabo, dove i sostenitori di Saddam (dentro e
fuori l’Iraq) hanno raccolto attorno a sé neo-nazisti discendenti dalla
predicazione del muftì di Gerusalemme, comunisti memori del terzomondismo di
Nasser e integralisti islamici che odiano, semplicemente, tutto ciò che è stato
creato dopo il VII secolo.
Sia nel mondo arabo, sia in Europa, queste minoranze di estremisti credevano di
aver dominato la piazza, soprattutto a seguito dell’impressionante marcia
“pacifista” del 15 febbraio. Dopo lo scoppio della guerra, il loro consenso si è
sciolto come neve al sole, lasciandoli da soli a sostenere Saddam. Una volta
scoppiata la guerra, tutti coloro che, in astratto, la temevano, hanno fatto
prevalere il buon senso. Di fronte alla vittoria americana, tutta la stampa e i
media pro-Saddam, da Al Jazeera al Manifesto, passando per la stampa iraniana
fedele all’Ayatollah, hanno reagito con stizza, inventandosi stragi, massacri,
devastazioni di città che non sono mai esistite, invitando a resistere contro la
calata dei “barbari” anglo-americani come se ci si trovasse di fronte alla
riedizione della conquista mongola del Califfato. Stefano Benni, del Manifesto,
appena finita la guerra, ha dedicato due pagine di insulti al vincitore Bush.
Umberto Eco, con un gesto che sa di resistenza a oltranza, a 48 ore dalla caduta
di Baghdad scriveva dalle colonne dell’Espresso il conflitto sarebbe stato
ancora lungo e duro, quasi augurandoselo. Tuttora il movimento pro-Saddam
continua a mobilitarsi contro quella che loro chiamano “guerra infinita” degli
Americani contro il Medio Oriente e il mondo intero. Una guerra che solo le loro
menti fantasiose riescono a vedere, dato che adesso, da un mese e mezzo a questa
parte, gli Stati Uniti non sono proprio in guerra con nessuno. I sostenitori
europei di Saddam strillano che si è trattato di una guerra ingiusta, che le
armi chimiche non ci sono e non ci sono mai state in territorio irakeno. Le
hanno trovate in gran numero (anche montate su missili pronti all’uso), ma non
le vogliono vedere, rimuovendo parte delle realtà, per continuare a urlare i
loro slogan e, in Gran Bretagna, per cercare di mettere in crisi il governo
Blair.
Alle parole di stizza per la sconfitta, sono seguiti i gesti di stizza. In Iraq
i fedayn fedeli al regime, continuano i loro attentati contro le forze
anglo-americane e gli stessi civili irakeni che le hanno accolte bene. Nel mondo
islamico, da Grozny a Casablanca passando per Riyad, Al Qaeda è tornata in
azione, punendo e uccidendo civili musulmani, rei, secondo loro, di non essersi
ribellati in massa all’ “invasore”. Da noi i terroristi rossi si preparano a
colpire di nuovo. Sono gesti di stizza e come tali rimangono sporadici e
isolati, anche se, probabilmente, costeranno ancora tanto sangue innocente.
Comunque è evidente, ormai, chi abbia vinto questa guerra ed è ancor più
evidente che la guerra sia finita.