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Il nichilismo marxista dell’Europa



“Guerra del petrolio”, “guerra imperialista”, “guerra dei potenti della Terra contro i poveri”, “guerra voluta dai trafficanti di armi”… sono tante le descrizioni sommarie che vengono appioppate dall’opinione pubblica europea contro la guerra (che non c’è, o, per lo meno, non c’è ancora) contro l’Iraq. Nessuno la definisce per quello che è: una guerra difensiva contro il regime di Saddam Hussein. Una guerra decisa da Saddam Hussein e solo da lui, con la costruzione di armi chimiche, la preparazione di armi nucleari, i tiri continui della sua contraerea contro le forze aeree di monitoraggio americane e britanniche, le continue minacce all’Occidente tutto, a Israele e ai suoi vicini arabi. Quelle di Saddam Hussein non sono solo minacce, non sono solo provocazioni: sono atti di guerra, dichiarati, palesi. “Che cosa distingue,” si continua a chiedere, “un atto di guerra da una provocazione costruita a tavolino dagli Americani?” Ma sparare contro aerei ritenuti nemici, o mitragliare guardie costiere ritenute nemiche, non è abbastanza? “E che cosa distingue una minaccia reale da una presunta?” Ma il fatto che Saddam dichiari continuamente le sue intenzioni, non basta ancora?

In Europa, in tutta Europa, si gioca al gioco del “non capisco”. I politici, i media, i gruppi di pressione e parte dell’opinione pubblica popolare, stanno facendo la figura delle scimmie che non vedono e non sentono. Ma che, purtroppo, parlano solo contro gli Stati Uniti. Agli Americani si attribuisce il ruolo dei “cowboy”, i vaccai più insultati della storia. Si dice che sono ingenui nel distinguere il mondo in “buoni e cattivi” e che con queste storielle nascondono i loro interessi “reali”. Sì, un interesse reale, innegabilmente ce l’hanno: quello di salvare la pelle, di evitare nuovi 11 settembre. Qualcuno lo può contestare? Non è loro legittimo diritto quello di difendersi? Ma non è questo interesse che viene contestato ai “cowboy”: si parla di petrolio, degli interessi del “clan” dei Bush, di mafia, di volontà di potenza, di voler costruire un impero, di aumenti della produzione degli armaioli, delle speculazioni dei banchieri e dei finanzieri. Queste sono la accuse che vengono lanciate, ogni giorno, da tutti, implicitamente o esplicitamente, contro gli Stati Uniti. Come sempre, dove non si riescono a individuare affari sporchi, li si inventa e li si attribuisce agli odiati Stati Uniti e ai loro “viscidi vassalli” inglesi. Gli Europei si oppongono alla guerra contro l’Iraq perché non vedono che cosa sia Saddam, né che cosa stia facendo. Ignoranza? No, se non nei casi dei no-global da strada più ingenui. Interessi? Anche, ma non solo. L’Europa si oppone alla guerra contro l’Iraq per motivi filosofici, morali, prima di tutto. L’Europa non vuole vedere Saddam Hussein, né quello che sta facendo, perché è convinta che non sia lui dalla parte del torto. Perché la visione del mondo che viene insegnata, fin dalle scuole superiori, a quelli che diventeranno politici, imprenditori, manager, o “opinion maker”, suggerisce queste conclusioni. Il marxismo insegna che non ci sono buoni e cattivi, non ci sono aggressori e aggrediti, ma solo oppressori e oppressi. Non c’è il bene o il male, ma solo la lotta di classe del debole contro il forte. Se un “debole” aggredisce un “forte”, fa solo bene, in questa visione del mondo. L’eliminazione della contrapposizione fra “bene” e “male” è venuta naturale dopo secoli di disillusioni. La Chiesa, proclamando il “bene”, giustificava il suo potere e in altri tempi anche le sue torture e i suoi crimini di massa. Le Nazioni, proclamando il loro “bene” si sono lanciate le une contro le altre in guerre sanguinosissime. I regimi totalitari, proclamando il “bene”, hanno fatto milioni di morti. La crisi contro i valori assoluti è giunta per questi motivi, ma ha provocato un danno difficilmente riparabile: oggi, nell’intellighenzia europea, non si sa più distinguere, a nessun livello, l’aggredito dall’aggressore. Quando due soggetti “si picchiano”, siano essi nazioni o truzzi di periferia, si tende a trovare le ragioni di entrambi, li si mette sullo stesso piano. Il marxismo ha aggiunto una distorsione in più: se l’aggredito appartiene a una determinata classe sociale, la colpa è sua, a priori. Il leninismo ha distorto ancora di più: se l’aggredito è situato in una parte del mondo definita “capitalista” (cioè ha un governo che riconosce il diritto di proprietà), ha torto a priori. Stati che fanno parte del mondo socialista, hanno ragione a priori, anche se ammazzano metà della loro stessa popolazione, o aggrediscono altri Paesi. Stati capitalisti hanno torto a priori, anche se non fanno altro che difendere i propri cittadini da aggressori esterni. La linea guida dei politici e degli opinion maker della sinistra europea è stata questa, durante tutta la Guerra Fredda. Oggi, però, si dice che il marxismo è morto. Si dice che il leninismo era sepolto già negli anni ’70. E allora che cosa impedisce di distinguere il vero aggredito dal vero aggressore?

Il marxismo, soprattutto la variante leninista del marxismo,  è veramente morto, ma ha lasciato il posto a una strana filosofia nichilista, accettata pressoché da tutti, non solo dalla sinistra, che propone una visione del mondo molto semplice: non solo il “buono” e il “cattivo” non esistono, non solo “aggredito” e “aggressore” sono indistinguibili, ma la realtà stessa non esiste. Esistono solo opinioni, manipolazioni medianiche e culturali della mente e interessi di parte. I marxisti-leninisti che credevano ciecamente all’URSS, ora credono altrettanto ciecamente al “niente” più assoluto. Secondo loro, Bush non esiste, Saddam non esiste, i colpi sparati contro gli aerei americani e le navi kuwaitiane, le armi di distruzione di massa irakene, non esistono. Esistono opinioni in merito ed esistono solo interessi: petrolio, armi, acqua (oggi va di moda parlare di “guerre per l’acqua”) e quant’altro.  Esiste solo gente che si “azzuffa” per possedere più risorse possibili. Esistono solo false giustificazioni morali alla continua lotta per il potere e la sopravvivenza. Non ci sono diritti di possedere una risorsa. Non ci sono possibilità di distinguere chi ha iniziato una guerra. Questo è quello che circola fra i nostri “cervelli”.

E’ quello che circola anche fra gli intellettuali della torre d’avorio americana, ma con l’unica differenza che, di fronte a certe cose, gli Americani non danno loro retta. Di fronte all’abbattimento delle Torri Gemelle, l’opinione pubblica americana reagisce e i politici seguono di conseguenza, se non altro per il loro innato istinto di sopravvivenza. Di fronte alle minacce di Saddam, gli Americani reagiscono armandosi e i politici danno loro retta. In Europa, invece, si da retta maggiormente agli intellettuali nichilisti. Forse perché l’Europa non subisce aggressioni da cinquant’anni. Speriamo che sia solo per questo, ma ci sono motivi ben precisi del successo del nichilismo in Europa. Prima di tutto, il nichilismo, dagli allievi di Kant in poi, è parte integrante della cultura europea, assieme all’altra faccia della stessa medaglia che è l’idealismo di Hegel e dei suoi numerosissimi discepoli. In tempi più recenti, poi, i politici, i loro affaristi di fiducia e i loro intellettuali di corte, sono imbevuti da decenni di cultura marxista, accettata, se non altro, come lente con cui osservare il mondo, anche da chi marxista non si è mai ritenuto. Sono spinti ad accettare maggiormente una logica nichilista, in nome della quale concludono affari con i peggiori dittatori della terra per ottenere guadagni immediati[1]. E’ da un pezzo che le élite europee trattano con i dittatori e con gli aggressori, senza considerare che è possibile che qualcuno si opponga loro con le armi, prima o poi. Mattei ha trattato con i golpisti iraniani per avere petrolio a buon mercato, per poi puntare il dito contro chi li ha (giustamente) combattuti e ha rovesciato il loro potere. Centinaia di uomini d’affari di tutta l’Europa occidentale (coperti e incoraggiati dai politici) hanno acquistato gas da ed esportato tecnologia verso l’Unione Sovietica, nel periodo in cui questa minacciava le nostre città con le sue testate nucleari. Giscard d’Estaing ha dichiarato di non avere problemi con l’URSS, nemmeno di fronte ad atti di aggressione plateali come l’invasione dell’Afghanistan. E tutti costoro si sono scagliati contro Reagan quando questo ha incominciato a reagire (per difendere loro stessi) contro l’Unione Sovietica. Quattro governi Italiani, hanno protestato contro gli Stati Uniti per il loro intervento contro Milosevic, perché i loro affari con il dittatore serbo sarebbero andati in fumo. Berlusconi, pur con tutto il suo ostentato moralismo cattolico-liberare, non fa eccezione nel momento in cui va a stringere la mano a Gheddafi o si atteggia come amico di Putin. Ora i Francesi hanno inviato armi e beni di ogni tipo a Saddam e non vogliono che qualcuno glieli distrugga.  E Gino Strada, che vuole realizzare il suo sogno di costruire un ospedale a Baghdad, con la benedizione del dittatore locale, non vuole vederselo sfumare in anticipo. Se questo non è nichilismo…

Ciò che è ancora più comico e fastidioso, è che questo nichilismo venga spacciato dai politici e dagli opinionisti europei come una crociata morale. Contro l’immoralità di presunti, “sporchi”, interessi americani.


 

[1] Tutti, in questo sito, siamo favorevoli al libero mercato. Fare affari di Stato con un dittatore, da molti, è considerato erroneamente un aspetto del libero scambio. Un conto è lo scambio fra individui consenzienti e non aggressori, un altro è concludere affari (con soldi anche non propri) con dittatori. Fornire beni e servizi a un dittatore equivale a fornire complicità a un serial killer, fornirgli i mezzi con cui commette i suoi crimini.

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