In questo caso, come in quello precedente della legge sull’indulto, viene da
chiedersi quale sia la visione che i nostri uomini pubblici hanno dello Stato.
Lo Stato, per come lo vediamo noi, ha il ruolo di un guardiano notturno, che
veglia sulle nostre vite e sulle nostre proprietà. Un guardiano notturno non è
pagato per colpire quelli che gli sono antipatici, né per mettersi d’accordo con
l’aggressore o con il ladro a scapito di chi dovrebbe proteggere. Eppure il
primo comportamento è quello tenuto abitualmente dai magistrati e il secondo è
quello che il governo vorrebbe tenessero in futuro.
Il caso della proposta di legge sull’indulto, emerso nei mesi precedenti, è
abbastanza chiaro per far comprendere l’assurdità della situazione in cui si
trova l’Italia. Le nostre carceri sono piene di innocenti e per questo
scoppiano. Nelle nostre galere si trovano migliaia di persone incarcerate
preventivamente, non ancora processate o condannate, sulle quali gravano
semplici sospetti, su cui non esiste alcuna certezza di colpa. Sempre nelle
nostre carceri si trovano ancor più numerosi “colpevoli” di “reati” non
aggressivi: da quelli che hanno voluto risparmiare soldi invece che regalarli a
qualche ente di Stato a loro sconosciuto (generalmente chiamati “evasori”) a
quelli che hanno comprato o venduto qualità di erba che non piacciono al governo
(generalmente chiamati “spacciatori”): tutte attività che non hanno comportato
alcuna aggressione a danno di terzi, che non hanno provocato vittime in alcun
modo. L’ingiustizia è evidente, ma nessuno la nota. Non è per scarcerare questi
innocenti che molti politici, sollecitati direttamente dal Papa, si sono mossi e
hanno protestato. La proposta di legge sull’indulto, infatti, si fondava sul
perdono, arbitrariamente concesso ad aggressori. Si trattava di liberare
migliaia di colpevoli di aggressione, di stupro, di pedofilia, di omicidi, di
violenze di vario genere. Tutti reati che di vittime ne hanno provocate eccome.
Vittime che ora non troveranno giustizia, vedendo a piede libero i propri
carnefici.
Oggi ci troviamo di nuovo di fronte a un caso analogo. Previti è stato
condannato, da giudici fortemente ostili alla sue idee politiche, dunque
convinti aprioristicamente della sua colpevolezza, in base a deposizioni di
testimoni altamente inattendibili e di fronte a prove evidentemente costruite a
tavolino. Si è trattato di un processo che ricorda, nei modi (non nei tempi)
quelli che si sono celebrati, in queste stesse settimane, a Cuba, a danno di
giornalisti e intellettuali, accusati di essere cospiratori e sabotatori al
servizio della CIA. Appare evidente che il problema sia la magistratura, in
questo caso come nei passati processi politici contro i Socialisti. Appare
evidente a tutti che la magistratura, o almeno parte di essa, da dieci anni
indaga e processa solo una parte della politica italiana: quella che si colloca,
ideologicamente, contro il PCI-PDS-DS. Il problema è quello, è lì da vedere ed è
da affrontare il prima possibile, in modo radicale. Però, in due anni di governo
di centro-destra, costituito dalle stesse vittime della magistratura, l’organo
giudiziario non è stato toccato. Non si sta parlando di una purga ideologica dei
magistrati, cosa che solleverebbe, giustamente, l’ira di ogni buon difensore
della libertà individuale e dell’equilibrio fra i tre poteri dello Stato. Stiamo
parlando di una soluzione liberale, di una riforma (che poteva benissimo essere
promossa e attuata dalla maggioranza attuale già da un pezzo) per limitare i
danni che la magistratura potrebbe ancora arrecare e per riportare il giudice a
svolgere il suo ruolo originario di arbitro in una disputa. Il magistrato è un
cittadino come gli altri e deve rimanere tale. Il fatto che indossi una toga e
svolga quel mestiere non deve comportare una sua deresponsabilizzazione civile e
penale, cosa che lo rende un individuo al di sopra della legge. Bisogna, perciò,
far sì che il magistrato sia nuovamente responsabile, civilmente e penalmente,
per i danni che può arrecare nello svolgimento del suo incarico. Non si capisce,
infatti, perché un ingegnere che sbaglia i calcoli e fa crollare un ponte va in
galera, mentre un magistrato che sbaglia e manda in galera un innocente continua
a guadagnarsi il suo lauto stipendio. Eppure è così: nonostante un referendum
(riguardante solo la responsabilità civile dei magistrati) votato a maggioranza
assoluta nel 1987, il magistrato italiano rimane un cittadino al di sopra della
legge. Può permettersi tutti gli errori e gli abusi che vuole ai danni dei
comuni mortali: una vera e propria casta professionale superiore. Non solo: è
una casta ancor più superiore agli altri comuni mortali dal momento che non si
limita a fare da arbitro fra due parti in causa, ma da poliziotto e arbitro
nello stesso tempo. Finché non ci sarà una riforma che separi ruoli e carriere
di giudice e pubblico ministero, infatti, noi ci troveremo di fronte a un unico
gruppo di persone che seleziona i suoi bersagli, cerca prove su di essi e li
giudica. Non so quanti italiani si rendano conto del pericolo che questo sistema
comporta e della situazione in cui, adesso, noi ci stiamo trovando.
Il presidente del consiglio e i membri della maggioranza di governo, che adesso
protestano per la sentenza Previti, di sicuro, non se ne rendono conto fino in
fondo. Dopo due anni di inazione pressoché totale, quello che stanno chiedendo
adesso è, unicamente, la loro immunità. Trovandosi di fronte al pericolo di una
casta privilegiata, chiedono privilegi per sé stessi sotto forma di una barriera
di immunità parlamentare. Un’immunità dietro la quale, loro e i loro successori
(anche quelli che adesso sono all’opposizione) possono, per anni, perpetrare
ogni tipo di reato, dal regalare appalti ai loro amici, con i nostri soldi, al
finanziare terroristi all’estero e in patria, sempre con i nostri soldi… Come
sempre noi comuni mortali, che dovremmo essere difesi da loro, rimarremmo in
balia di due caste privilegiate invece di una, doppiamente beffati e sottomessi.