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La lezione di storia

Se il governo dovesse istituire una commissione per giudicare i libri di storia, commetterebbe un grave errore. Se dovesse pensare alla creazione di un "testo unico", sarebbe un atto ai limiti del crimine politico. Il governo non dovrebbe occuparsi dell'editoria. A dire il vero, non dovrebbe occuparsi nemmeno di istruzione "pubblica", lasciando scegliere a studenti e genitori le scuole e l'insegnamento che preferiscono. Intervenendo ulteriormente, il governo conferma ancora una volta la sua smania di controllo statalista, come nel caso della mancata privatizzazione della RAI e della volontà di partecipare alle contrattazioni sindacali.
Il discorso che intendiamo affrontare qui è diverso: il governo ha perfettamente ragione nel constatare che quello che c'è scritto sulla stragrande maggioranza dei libri di storia è semplicemente sbagliato. Non nel senso che vi si riportano eventi storici non veri (quello capita ancora raramente), ma che vi si trovano interpretazioni sbagliate degli eventi storici o omissioni di eventi.
 

Quando si parla di passato remoto, ci si accorge poco delle distorsioni e delle omissioni. Viene quasi da dire che ve ne siano meno, anche se dei trenta milioni di morti fatti dai "tolleranti" Mongoli o dell'annientamento di larghi settori della popolazione da parte del "civilizzatissimo" Impero Cinese, non si sente mai parlare. Sono milioni e milioni di morti che non fanno testo, che non rientrano nel programma di formazione di uno studente. Rientrano le migliaia di morti fatti dall'Inquisizione. Quelli sì, sono morti che fanno testo. Come rientrano le migliaia di civili uccisi dai Crociati. Anche se le Crociate, che sono state una risposta armata a un'aggressione continua dell'Islam imperiale contro l'Europa, sono presentate come un'aggressione immotivata. Tutta la distruzione del mondo cristiano mediterraneo da parte dell'Islam "illuminato", che ha preceduto e causato questa risposta armata, viene semplicemente omessa. E se oggi ci sono gli integralisti islamici è anche colpa nostra, fin dal Medioevo. Nessuno, poi, parla dei sacrifici umani di massa, che venivano regolarmente praticati dagli abominevoli regimi teocratici nell'America Centrale. Perché tutta la colpa deve ricadere sui "conquistadores" spagnoli, rei di avere "esportato con la forza la loro civiltà" e di avere "portato le loro malattie" agli indigeni.
 

Del passato così remoto, comunque, si interessano in pochi. E' il passato più recente, quello di cui si parla sempre, che scotta di più. Per tutti. L'inizio della storia contemporanea, la rivoluzione industriale, è vista quasi all'unanimità come una tragedia di immani proporzioni. Le immagini che contornano i testi sulla rivoluzione industriale riguardano sempre sobborghi fatiscenti, gente alienata e ubriaca, paesaggi rovinati dalle industrie. I testi non incutono meno timore e orrore per ciò che è avvenuto fra la seconda metà del XVIII secolo e i primi decenni dell'800, prima nella sola Inghilterra e poi in tutta Europa. Per alcuni storici si tratta di una sorta di complotto ordito da un'unica classe coesa e compatta, chiamata "borghesia": "Il concetto di progresso diventò la filosofia generalizzata della classe borghese la quale aveva il pieno controllo di questo gigantesco mutamento sociale. La borghesia capitalistica, da un lato premeva sui settori tradizionali delle classi alte, la nobiltà e la proprietà terriera, per acquistare nuovo spazio e nuovo potere sul sistema sociale; dall'altro doveva affrontare i nuovi e spiacevoli termini della questione sociale, prodotti dallo sviluppo capitalistico che essa stessa avocava. Le masse dei poveri non erano più solo costituite da un miserabile contadiname e da un sottoproletariato urbano vivente ai margini della società, ma da quegli operai che la borghesia impiegava nelle proprie aziende e che, concentrati nelle fabbriche, cercavano in modo crescente di contrastare gli effetti di un brutale sfruttamento" (Salvadori) Non si faceva prima a dire che, dopo l'invenzione delle macchine a vapore e il loro primo impiego industriale, molta gente ha deciso di farci i soldi e moltissimi altri hanno deciso di abbandonare la campagna per impiegarsi in questi nuovi (e più stabili) lavori? Nell'apocalittica visione del mondo riportata qui sopra ci si immagina una cospirazione di persone, che sanno di essere "borghesi" e per questo agiscono come un sol uomo, che concentrano i "proletari" nelle loro fabbriche, come se fossero campi di concentramento e li reprimono. Ma questa visione che ricorda film di fantascienza come Matrix, ha qualcosa a che vedere con la realtà delle cose? Perché mai milioni di contadini decisero di abbandonare le campagne per farsi intrappolare nell'incubo "borghese"? "I centri urbani esercitarono così un costante richiamo sulle sovrabbondanti popolazioni rurali e sugli artigiani disseminati nelle campagne e minacciati dalla disoccupazione a causa della concorrenza dei prodotti industriali (...) lo sviluppo ottocentesco delle città creò quartieri riservati alla popolazione più umile e indigente, che venne così espulsa dal centro storico per essere segregata nelle abitazioni dei sobborghi presto cadenti e degradate, con standard igienici al di sotto della tollerabilità." (Capra/Chittolini/Della Peruta). Dunque sono stati costretti dalla "concorrenza". Non si dice, però, che questa "concorrenza" è un insieme di scelte volontarie. Chi fu mai costretto a preferire i prodotti industriali a quelli artigianali? E chi ha mai costretto i contadini ad abbandonare in massa le campagne per andare a infilarsi in slums "al di sotto della tollerabilità"? Forse che in campagna c'era la possibilità di morire di fame alla prima sfortunata carestia e con un salario fisso no? E poi siamo così sicuri che le città siano così degenerate? Considerando che tutte le reti viarie e fognarie, in cui viviamo oggi, l'abbattimento delle mura, la fine delle baraccopoli, la diffusione dell'illuminazione urbana (con tutto ciò che questa comporta: non poco) risalgono all'800, si direbbe un "regresso" provvidenziale. Si tace, poi, il fatto che con la rivoluzione industriale, in pochi decenni, la mortalità infantile è stata abbattuta, le carestie nelle campagne, con la loro tragica coda di morte, sono state del tutto debellate, la speranza di vita si è alzata da 40 a 70 anni, la natalità è cresciuta esponenzialmente e soprattutto la ricchezza risultava distribuita molto più equamente rispetto a tutti i periodi precedenti: un "piccolo borghese" inglese dell'800 poteva permettersi uno stile di vita che, solo un secolo prima, solo un nobile vicino alla corte del re poteva sperare. Un operaio medio della metà dell'800 viveva con molte più certezze e comodità rispetto al più ricco degli artigiani di un secolo prima. Ma dire questo è diseducativo, oppure "non coglie il problema"?

La galleria degli orrori dell'800 occidentale, per i nostri storici, non si limita all'Europa, ma si estende al resto del mondo con il fenomeno che viene chiamato "colonialismo" o direttamente "imperialismo". "Ormai la creazione di una grande industria in costante sviluppo richiedeva un controllo molto più sistematico e su scala assai più vasta dei territori extraeuropei al fine di garantire un flusso incessante di materie prime per l'industria e di prodotti agricoli per la popolazione della madrepatria" (Salvadori). "Ragioni economiche come la necessità di reperire le materie prime e la volontà di trovare nuovi sbocchi alle eccedenze di popolazione, si coniugarono alle esigenze di difendere le rotte commerciali." (Capra/Chittolini/Della Peruta). "Teorici e politici hanno quasi sempre sottolineato il rapporto fra l'incremento crescente dell'industria, il processo di concentrazione della produzione da parte delle grandi imprese legate al capitale finanziario e la ricerca di domini territoriali per l'approvvigionamento di materie prime, l'esportazione di prodotti finiti e l'investimento di capitali." (Vivanti) Tutti d'accordo dunque: gli imprenditori industriali, per accaparrarsi materie prime gratuite e addirittura per procurarsi nuovi mercati hanno fatto pressione sui governi per lanciarsi alla conquista del mondo. Accompagnati da madri che, non sapendo più dove piazzare figli sempre più numerosi, volevano mandarli in Asia e in Africa. E queste sarebbero le cause del colonialismo dell'800. Peccato che gli industriali e i partiti liberali da loro appoggiati e votati in quegli anni, si opponessero al colonialismo, favorendo politiche di libero scambio. Non ci vuole un grande economista per capire che le risorse conviene comprarle che conquistarle: conquistarle costa di più, in termini di uomini e soldi. Per quanto riguarda la conquista di nuovi mercati: anche allora un industriale preferiva abbassare i prezzi per vendere di più i suoi prodotti, piuttosto che pagare le tasse per maggiori spese militari o vedere un figlio morto in guerra. Allora lo avevano già capito, adesso si insegna che, invece, non lo sapevano. Nelle spiegazioni che si da alle guerre coloniali, poi, non si tiene mai conto di una cosa molto semplice: che raramente una potenza europea ha dato inizio a una guerra contro uno Stato africano o asiatico senza un motivo. Si tratta molte volte di risposte ad aggressioni locali, di difesa di interessi consensualmente maturati, addirittura di richieste locali di protezione armata. Nel caso della guerra britannica al Sudan, si tratta anche di interventi sofferti, non voluti, meditati anche per anni prima di metterli in atto. Tutto ciò viene omesso o fatto passare in secondo piano. Aggressioni contro Europei o alleati locali degli Europei come, appunto, l'attacco derviscio a Khartoum, vengono taciuti o fatti passare come meri "pretesti". I giudizi che vengono dati alle amministrazioni coloniali, poi, sono quasi altrettanto unanimi nel condannarle senza appello. "Sfruttamento", "oppressione", "occupazione", sono i termini generalmente impiegati per descrivere la vita all'interno delle colonie europee. Che le popolazioni locali non fossero libere di esprimersi fino in fondo e che avessero tutte le ragioni per ribellarsi agli Europei, è innegabile. Tuttavia la critica all'amministrazione coloniale europea, in generale, risulta del tutto fuorviante se non si tiene contro di che cosa c'era prima della colonizzazione: regimi dispotici, castali, corrotti e decadenti (India), veri e propri "musei degli orrori" (Asia Centrale), regimi tribali dove la vita dell'individuo era tenuta in scarsa o nulla considerazione (Africa nera), veri e propri imperi totalitari caratterizzati dalla repressione capillare della libertà individuale (Cina), dittature militari fortemente repressive e razziste (Africa settentrionale ottomana). Benché contestabili, le amministrazioni europee, anche quelle più dure, come quella belga sul Congo e quella Portoghese nell'Africa australe, sono da considerarsi un paradiso di legalità, pace e benessere rispetto a quello che c'era prima. Però non si trovano manuali di storia che descrivano bene che cosa ci fosse, in Asia e in Africa, prima del colonialismo. Il periodo pre-coloniale è stato quasi del tutto omesso dalla nostra storiografia.

All'unanimità, gli storici considerano il passaggio vero dall'800 al 900, la I Guerra Mondiale e la Rivoluzione Russa. Soprattutto la Rivoluzione Russa è considerata come il vero inizio del secolo scorso. Ma come viene descritta e interpretata? "Lenin denunciò l'Assemblea come roccaforte della borghesia e rivendicò il diritto del proletariato industriale, la classe più avanzata e progressiva della Russia, fra cui i Bolscevichi avevano la maggioranza, di stabilire la propria dittatura mediante i Soviet in contrapposizione al parlamentarismo borghese." (Salvadori). Classe più "avanzata" e "progressiva"? E quegli operai che, in massa, votavano per i socialisti e contro i Bolscevichi? Non vengono considerati? Si dimentica che, dopo lo scioglimento dell'Assemblea Costituente da parte di Lenin, a manifestare e a scioperare c'erano soprattutto gli operai. E che a ordinare la successiva occupazione manu militari delle fabbriche e l'apertura del fuoco sui manifestanti, c'erano ricchi intellettuali come Lenin e Trockij. E che nei Soviet, i Bolscevichi non ottennero mai la maggioranza, nemmeno dopo il colpo di Stato, esclusivamente militare, di Lenin. "Il successo dei bolscevichi non fu un colpo di fortuna, secondo un'interpretazione largamente diffusa nella storiografia anglosassone, ma il risultato di un processo politico maturato nei mesi precedenti. La propaganda dei bolscevichi, incentrata sulle parole d'ordine della pace, della terra e del pane, aveva infatti trovato larga risonanza nello stato d'animo di un popolo ormai esausto". Non si capisce perché, allora, questo popolo persuaso e convinto dalla propaganda bolscevica, si sia rifiutato in massa di votare per i Bolscevichi (che ottennero un pugno di voti alle prime e uniche libere elezioni della Russia rivoluzionaria) e soprattutto non si capisce perché, già dal 1917, Lenin dovette creare una polizia segreta politica (quella che sarebbe diventata il KGB) e un sistema di campi di concentramento, il primo nel mondo, per "persuadere" ulteriormente la sua popolazione. La repressione di Lenin costò 5 milioni e mezzo di morti: 3 milioni e trecentomila durante la Guerra Civile e 2 milioni e duecentomila durante la NEP, cioé in quel periodo che viene considerato all'unanimità come un periodo di "allentamento della rivoluzione", di pace sociale e di prosperità nella Russia post-rivoluzionaria. E non si parla di morti durante la Guerra Civile, o durante scontri fra i bolscevichi e i loro oppositori, bensì di civili deportati e uccisi per motivi politici o etnici, all'interno dei territori già controllati dal regime di Lenin dal 1917 al 1924. "Così Lenin, quantunque assorbito nella dura dalla dura responsabilità della direzione della Russia sovietica, fu spesso indotto a replicare alle critiche dei più insigni avversari. Ancora a pochi giorni dalla sua morte sembrava ancora giustificarsi per quella sua storica scelta del 7 novembre 1917." (Vivanti). Povero Lenin, così solo e incompreso nella sua "storica" opera! Su Stalin si è già detto tanto. Molti, per loro bontà, ammettono che Stalin fu un dittatore brutale. Pochi ammettono che la sua politica non era tanto diversa da quella di Lenin: Lenin fece meno morti perché durò meno, ma le idee e gli strumenti impiegati da Lenin e Stalin erano gli stessi. Ma a prescindere da queste irrilevanti distinzioni politiche, Stalin fu responsabile del peggior eccidio che questo secolo ricordi: 11 milioni e 400mila morti durante la "collettivizzazione", 4 milioni e mezzo di morti durante il "grande terrore", 5 milioni di morti durante le "grandi purghe", 13 milioni di morti durante la II Guerra Mondiale (non morti in guerra: morti per i plotoni di esecuzione sovietici), 15 milioni e mezzo di morti nelle purghe all'inizio della Guerra Fredda. Non si parla di noccioline, ma di esseri umani morti ammazzati. Qualche libro di storia nota il carattere del tutto eccezionale di un eccidio di queste dimensioni? Di questa mostruosità che fa passare Hitler per un dilettante? No. "Il terrore staliniano, che nelle sue varie fasi coinvolse anche qualche milione di di persone, non diminuì il prestigio di Stalin agli occhi della maggioranza della popolazione." (Capra/Chittolini/Della Peruta) "Poiché i kulaki (contadini proprietari ndr) risposero alla politica staliniana con il sabotaggio aperto, Stalin, fra il 1929 e il 1930, la linea generale della collettivizzazione delle terre, esortando i contadini poveri a costituire fattorie collettive che sarebbero state sostenute dallo Stato e reprimendo in modo generalizzato i kulaki" (Salvadori) "Il vero scopo della collettivizzazione forzata non era però tanto quello di aumentare la produzione agricola quanto quello di favorire l'industrializzazione del paese mediante lo spostamento di risorse economiche e di energie umane. Da questo punto di vista i risultati furono indubbiamente notevoli." (Giardina/Sabbatucci/Vidotto). Stranamente tutti accennano al problema del terrore staliniano durante la collettivizzazione forzata, ma nessuno parla del più grande eccidio di Stalin, quello compiuto durante la II Guerra Mondiale, quello in cui intere popolazioni furono spostate a forza in regioni remote o sterminate dal primo all'ultimo uomo. Della II Guerra Mondiale si parla solo dell'eroica lotta di Stalin contro il nazismo. Con cui rimase fedele alleato e collaboratore attivo dal 1939 al 1941, cosa che viene solo velatamente ammessa. Velatamente: perché se tutti gli storici ammettono l'esistenza dei "protocolli segreti" con cui URSS e Germania nazista si spartirono l'Europa centrale, nessun testo di storia parla della collaborazione attiva di Stalin con il nazismo tedesco, con la consegna degli Ebrei a Hitler e l'ordine dato ai partiti comunisti europei di sabotare nelle fabbriche e al fronte la guerra contro la Germania.

Di fronte al silenzio più completo, di fronte al tentativo di nascondere o ridimensionare l'elefante dello sterminio staliniano, non c'è da stupirsi sul silenzio unanime dei nostri libri di storia di fronte a episodi più limitati, come gli eccidi perpetrati dai partigiani rossi in Emilia Romagna durante e subito dopo la II Guerra Mondiale, o di fronte al massacro dei partigiani bianchi perpetrato sempre dai comunisti in Friuli. Che le "foibe" non vengano ricordate quanto le "fosse ardeatine" è cosa nota.

La visione dell'Unione Sovietica creata dai libri di storia, viene confermata, con maggior vigore, nella trattazione della storia più recente, dallo scoppio della Guerra Fredda alla dissoluzione dell'URSS. Prima di tutto, come nel caso della narrazione storica riguardante l'URSS, le dimensioni dei crimini commessi dai regimi comunisti, sono ampiamente taciuti. Sotto la definizione quasi poetica di nomi come "Grande balzo in avanti", "rivoluzione culturale", "cento fiori", nella Cina comunista si macinarono le vite di 35 milioni di civili inermi, deportati e uccisi per motivi di "classe", o per semplici motivi statistici. "Se la formazione di nuovi Stati indipendenti nei territori già appartenenti a vecchi imperi fu un momento decisivo della decolonizzazione, l'avvenimento storico, universale, di maggiore portata nella crisi del sistema di dipendenza dai Paesi colonialisti fu l'ascesa dei comunisti al potere in Cina. Questa era, bensì, formalmente uno Stato indipendente e anche una grande potenza vincitrice sul Giappone. Ma una cosa era l'apparenza e l'altra la realtà. Chiang Kai Shek, capo dei nazionalisti borghesi, venne sconfitto dai comunisti guidati da Mao Tse Tung, proprio perché era incapace di dare alla Cina un avvenire di indipendenza e di autonomia dal controllo delle potenze imperialistiche" (Salvadori). Se si parlasse anche di quei milioni di morti fatti dal regime di Mao, forse cambierebbe il modo di vedere la storia recente. Forse, in questo caso, gli storici sono sensibili all'impressionabilità dei loro giovani lettori. Nei capitoli dei libri di storia dedicati alla "decolonizzazione", il più delle volte si mette dentro più della metà della storia della guerra fredda e soprattutto la nascita dei regimi comunisti a Cuba, in Vietnam, Laos, Cambogia, Etiopia, Mozambico, Angola. Cosa c'entra l'instaurazione di questi regimi con la "decolonizzazione"? I Paesi in America Latina, Asia e Africa, che sono diventati comunisti erano già indipendenti quando i comunisti vi hanno instaurato il loro potere. E' disattenzione? E' solo un problema di organizzazione degli spazi? O è un modo per dare la colpa al colonialismo occidentale per tutto ciò che è successo in seguito? Alcuni dettagli sono molto rivelatori. Sulla guerra del Vietnam e sulle sue cause si dice: "In Indocina era in pieno svolgimento la lotta del Vietnam per la liberazione dal dominio coloniale francese. Mentre si svolgeva a Ginevra una conferenza sul futuro della Corea e dell'Indocina, giunse la notizia che le truppe francesi avevano subito una schiacciante sconfitta a Dien Bien Phu. Poco dopo esse furono costrette ad abbandonare il Paese e venne fissata una linea di confine provvisoria lungo il 17° parallelo: a Nord fu instaurata una repubblica democraticapresieduta da Ho Chi Minh; nel Sud prese il potere un uomo politico filo-occidentale, l'imperatore Bao Dai. Dopo due anni avrebbero dovuto avere luogo libere elezioni e sarebbe dovuto cadere il confine provvisorio, ma il Sud rifiutò di sottoscrivere qualsiasi accordo con il Nord e la situazione interna continuò a peggiorare..." (Vivanti). Sembra insomma, che un Sud ancora filo-colonialista abbia fatto scoppiare la guerra e che in questo, in seguito, sia anche stato appoggiato dagli Stati Uniti, continuatori dell'imperialismo occidentale. Si omettono alcune semplici cose: che la "repubblica democratica" di Ho Chi Minh aveva un solo partito al potere, che era finanziata e sostenuta militarmente da Cina e Unione Sovietica e che in pochi anni, fece 1 milione e mezzo di morti nelle purghe contro coloro che non ne erano entusiasti. Qualche ragione per opporsi alla dissoluzione del confine provvisorio, dunque, il Sud l'aveva. Dopo la fine della guerra del Vietnam, stranamente, nessuno parla dell'instaurazione del regime comunista in Cambogia: 3 milioni di morti in una popolazione di neanche 10. Un vero record! Abbastanza grossa, come cosa, per essere dimenticata o giudicata irrilevante dai nostri storici.

Si potrebbero fare anche tanti altri esempi di questo tipo. Su Israele, per esempio, gli storici sono più prudenti, anche se c'è da notare che gli 800 mila ebrei espulsi dai Paesi arabi non sono mai citati, mentre dei profughi palestinesi fuggiti da Israele durante la I Guerra Arabo-Israeliana si parla su tutti i libri di storia. Si parla sempre della "dura repressione" israeliana nei territori occupati dal 1967: non si parla quasi mai dei morti quotidiani subiti dagli Israeliani da quei territori ad opera del terrorismo palestinese. Non si dice mai come sia nata l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, come quinta colonna militare araba inserita in Israele creata a tavolino dal dittatore egiziano Nasser. Non si ricorda mai che una Palestina araba non è neanche mai esistita, che la questione palestinese sia nata ad opera di regimi arabi che vogliono recuperare pezzi di loro territori e alla fine vogliono solo (e lo dichiarano anche) l'annientamento dello Stato di Israele. Si parla di "brutale aggressione" (Salvadori, Vivanti, Capra/Chittolini/Della Peruta) del Libano da parte di Israele, senza però dedicare neanche una riga a tutto ciò che aveva determinato l'intervento israeliano: i bombardamenti continui contro fattorie inermi, i raid terroristici dei Palestinesi e degli Hizbollah fin dentro Tel Aviv, i campi di addestramento di guerriglieri anti-israeliani in Libano e tutto il resto. Sulla guerra nel Libano in sé, si parla sempre di Sabra e Chatila. Fu un crimine, su questo sono tutti d'accordo. Non si parla mai, in nessun manuale di storia, della persecuzione sistematica dei Cristiani da parte dei Mususlmani libanesi e siriani. A leggere sui nostri manuali, la violenza sembra solo a senso unico, solo ad opera dei Cristiani: appoggiati da Israele e dagli Stati Uniti.

Passando a una questione nostrana, ancora molto discussa, il terrorismo degli "anni di piombo", si leggono tante strane cose e non si legge molto altro. "L'insicurezza e le difficoltà furono poi accresciute dal dispiegarsi della cosiddetta strategia della tensione, un disegno di destabilizzazione volto a favorire una soluzione autoritaria e fondato su una progressione di provocazioni e attentati riconducibili a una matrice di estrema destra." (Capra/Chittolini/Della Peruta). "Si parlò allora di una strategia della tensione, messa in atto dalle forze di destra per incrinare le basi dello Stato democratico e favorire soluzioni autoritarie. La conferma del pericolo corso dalle istituzioni venne, nel '70, con la rivolta di Reggio Calabria guidata da esponenti del MIS." (Giardina/Sabbatucci/Vidotto) "Ebbe inizio la strategia della tensione, con aperti intenti sovversivi: anche in questo caso si scoprì il coinvolgimento dei servizi segreti italiani" (Vivanti). Tutti i libri di storia, concordano che il terrorismo abbia avuto inizio con la "strategia della tensione" di estrema destra, anche con la complicità dei servizi segreti "deviati" al loro servizio. Il terrorismo rosso, secondo tutti, è nato come reazione armata a questo pericolo di sovversione di destra. Quindi dobbiamo ringraziare i terroristi rossi? Sono loro i salvatori della nostra democrazia? Nessuno si spinge a dire tanto, ma sembrerebbe quasi che molti storici inducano a crederlo. Anche perché omettono alcune cose risapute da parecchio tempo, ormai: la nascita della "strategia della tensione" è però a Mosca e non in Italia. Nei documenti della Linea A (misure attive) del KGB, si possono leggere delle disposizioni volte a diffondere, in Occidente, tesi sulla "strategia della tensione" di matrice neofascista. Che esistesse nella realtà, questa "strategia della tensione" è un fatto ancora tutto da dimostrare. Nello stesso tempo, si omette un altro particolare importante: che armi e addestramento per i terroristi rossi, giungevano dal Patto di Varsavia. C'erano talmente tanti legami fra Brigate Rosse e servizi del Patto di Varsavia, soprattutto con l'FTB cecoslovacco, che quando fu rapito Moro, Mosca protestò con Praga, perché "i vostri uomini stanno provocando più danni che vantaggi". Tutto ciò, però, anche se è documentato, viene taciuto ovunque.

Si potrebbero fare anche tantissimi altri esempi di verità taciute, o deliberatamente raccontate in modo da farle apparire in modo completamente diverso da ciò che erano. Questi esempi possono essere molto chiari per constatare come la storia come ci viene insegnata, sia una sorta di favola, ben lontana dagli eventi storici reali. Non c'è da stupirsi che la visione del mondo di oggi, risulti fortemente distorta da chi studia, fin dai suoi 14 anni, su questi testi. Viene spontaneo chiedersi il perché. Perché gli storici nascondono così tanti "particolari"? Perché fanno rientrare a forza interpretazioni della storia che non calzano nella maniera più assoluta con gli eventi che dovrebbero spiegare? Perché milioni e milioni di morti non vengono nemmeno considerati? Si tratta solo di ignoranza? Uno storico che scrive un manuale, di informazioni ne ha anche molte di più di chi scrive questo articolo. Si tratta di interessi ben precisi? Forse anche, ma non solo. Si tratta, prima di tutto, di fede. Fede in una filosofia determinista della storia. Una visione del mondo, secondo cui, gli individui non agiscono in base alle proprie scelte, alle proprie idee, ma in base a un superiore "motore" della storia e della società. Uno storico determinista, vede un dispiegarsi un disegno della storia, scrive un testo come se conoscesse già la trama e il finale. Ciò che risulta scomodo o incoerente per lo svolgimento della sua trama, viene semplicemente taciuto, o fatto rientrare a forza nello schema con una "corretta interpretazione". E' quello che Ayn Rand chiamava "evasione": la volontà di evadere dalla realtà nel nome di una credenza ideologica o religiosa. E' il vero e proprio "peccato originale" dell'intelletto, l'origine, non solo di qualsiasi forma di disonestà intellettuale, ma dello stesso sonno della ragione, sempre gravido di mostri

 

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