Molti tra coloro che come noi sono stati favorevoli
all'intervento militare in Irak ritengono che la strategia primaria per
garantire un futuro migliore agli irakeni debba essere quella di esportare in
Iraq la democrazia.
Tuttavia il segreto della prosperità e della relativa
libertà che conosciamo in occidente non è la democrazia, intesa semplicemente
come governo della maggioranza. Esso risiede semmai nel carattere della cultura
occidentale che riconosce il valore del singolo individuo, il suo diritto ad
esprimere le proprie potenzialità, il suo diritto a vivere, a creare ed ad
intraprendere.
Senza questa cultura - senza questa filosofia - il sistema
democratico degenererebbe rapidamente in una dittatura o sarebbe comunque esso
stesso oppressivo quanto una dittatura.
Il processo di decolonizzazione a cui abbiamo assistito a
partire dagli anni '60 ci insegna sicuramente qualcosa in merito.
Il mito socialista dell'autodeterminazione dei popoli
costrinse molti dei paesi occidentali che possedevano colonie a concedere loro
frettolosamente l'indipendenza. I nuovi stati furono dotati alla nascita -
specie nel caso delle ex colonie inglesi - di costituzioni democratiche,
modellate su quelle occidentali. Quei sistemi tuttavia non durarono che pochi
mesi per mutarsi rapidamente nelle dittature che hanno per decenni insanguinato
il terzo mondo.
Questa lezione storica ci dimostra che non è possibile
esportare la democrazia occidentale senza esportare prima la cultura occidentale;
senza esportare prima i valori fondanti dell'occidente.
Vale la pena riflettere sul caso di Hong Kong. Per la
maggior parte del tempo della presenza inglese Hong Kong non è stata una
democrazia. Il potere esecutivo era esercitato dal governatore nominato dalla
Gran Bretagna con organismi rappresentativi estremamente limitati (le riforme
democratiche sono storia recente, sotto il governatorato di Chris Pattern).
Eppure Hong Kong ha garantito ai suoi cittadini un rispetto dei diritti
individuali ed un sistema di libero mercato che non hanno avuto eguali nel
mondo.
Se in Uganda o nel Pakistan gli inglesi hanno esportato la
democrazia senza esportare la cultura occidentale, ad Hong Kong gli inglesi
hanno preferito esportare la cultura occidentale prima della democrazia.
In questi mesi si sta decidendo il futuro di uno stato,
l'Irak. Dobbiamo chiederci allora se vogliamo che il suo sia un futuro di
miseria di repressione oppure un futuro di libertà e di sviluppo.
Il sistema politico ideale per l'Irak in questo momento non
è l'indipendenza con un'effimera costituzione democratica. Sbaglia quindi chi
sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero lasciare l'Iraq rapidamente, dopo avere
organizzato in fretta e furia un'elezione.
Se vogliamo davvero un Iraq libero occorre rinnovare
completamente la società irakena, promuovendo una cultura che premi la
creatività, la produttività e l'achievement degli uomini e delle donne
di quel paese. Una cultura orientata alla vita che prenda il posto di quella
mistica orientata al sacrificio, alla contrizione ed alla morte che purtroppo
pervade il mondo arabo.
Per raggiungere questo obiettivo la presenza americana in
Irak dovrà essere necessariamente lunga. Potrebbe essere necessaria almeno una
generazione.
Naturalmente non si può pretendere che tale presenza ricada
sulle spalle dei contribuenti americani. Essa dovrà autofinanziarsi - anche
attraverso la fruizione delle risorse petrolifere di quel paese per la
ricostruzione nazionale ed il mantenimento del contingente militare ed
amministrativo USA.
Gli USA dovranno in definitiva mantenere il controllo dell'Irak
esercitandolo attraverso un loro governatore. Naturalmente nell'apparato di
governo andranno gradualmente coinvolte anche le migliori personalità irakene e
sarà opportuno coinvolgere anche i rappresentanti degli investitori per fornire
a chi deciderà di scommettere economicamente sulla rinascita dell'Irak tutte le
garanzie necessarie.
Se il nostro auspicio si realizzerà l'Irak diventerà un faro
nel Medio-Oriente. Non perché in grado di organizzare elezioni - quelle si
tengono anche nell'Iran degli Ayatollah. Ma perché in grado di proteggere i
diritti dei suoi cittadini e di diffondere nella regione i valori secolari
fondamentali libertà individuale e dell'economia di mercato .