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Chernobyl: una catastrofe del comunismo

Sedici anni dopo, se vista nella giusta prospettiva, la tragedia di Chernobyl, l'incubo nucleare che gettò per settimane tutta l'Europa nel panico, prende un aspetto diverso.
Sempre, negli anni che seguirono il disastro, Chernobyl è stato lo spauracchio agitato dagli antinuclearisti  davanti agli occhi dei governanti dei paesi occidentali, per costringerli a guardare con meno simpatia all'energia nucleare.
Si è cercato di far passare Chernobyl come una catastrofe dovuta all'ingordigia umana nel cercare di utilizzare l'energia nucleare, ignorandone la potenziale pericolosità.
L'impressione che si ha, invece conoscendo un po' la materia, è che Chenrnobyl sia stata una catastrofe assolutamente evitabile, e dovuta al comunismo e all'ottusità dei burocrati dell'Ex Urss

Mi è capitato in mano, recentemente, un libro piuttosto raro, che racconta la cronistoria dell'evento narrata da Gregorij Mendvev, ex responsabile del programma nucleare del sud-ovest sovietico, con introduzione di Andreij Sacharov.
Il racconto di Medvev è qualcosa di agghiacciante, non solo per la crudezza e l'immediatezza con cui rende la drammaticità dell'evento, ma soprattutto per la chiarezza con cui racconta tutti i fattori non solo tecnici, ma anche ma anche burocratici e organizzativi della vicenda.
Le ragioni dell'incidente sono (al di là dell'episodio) chiaramente riconducibili all'approccio che la vecchia Unione sovietica aveva non solo nei confronti delle tecnologie nucleari, ma anche nei confronti della sicurezza della propria popolazione, dei suoi lavoratori e della sua situazione ambientale.
 
Il panorama che viene descritto risulta, agli occhi di un osservatore abituato all'approccio occidentale al nucleare, quasi incredibile.
In occidente le procedure di sicurezza, in campo nucleare, sono una cosa seria, e impongono controlli quasi spasmodici sulle dosi di radiazioni assorbite dai lavoratori, sul funzionamento dell'impianto, e sugli scenari di possibili incidenti che potrebbero verificarsi. 
Nell'Unione Sovietica, tra gli anni '70 e gli anni '80, era consuetudine che i lavoratori finissero in ospedale per sindrome acuta da radiazione (vomito, anemia, ecc..), cosa che si verifica quando un uomo riceve in poche ore dosi di radiazioni almeno 50 volte quelle permesse a un lavoratore di una centrale occidentale ( o a un radiologo) in un anno.
Oltretutto i reattori nucleari erano considerati solo "caldaie", e spesso i direttori delle centrali  non erano ingegneri nucleari o fisici, ma  ingegneri meccanici o elettrotecnici, senza la minima competenza di problematiche nucleari.
 

Le commissioni di controllo sulla sicurezza (quasi asfissianti, giustamente,  in Occidente) erano di fatto comitati di controllo politico, formate da ufficiali politici che non avevano la minima idea di cosa fosse una centrale nucleare.

L'impianto di Chernobyl, tra l'altro, era di tipo RBMK, non utilizzato in occidente, perché ritenuto pericoloso e instabile, anche se più economico di altri tipi più sicuri.
Questo tipo di reattore, già intrinsecamente insicuro, non aveva l'edificio di contenimento, che è invece assolutamente obbligatorio per tutti i reattori in tutto il resto del mondo.
L'edificio di contenimento è di fatto l'estrema barriera che separa il reattore dal resto del mondo  in caso di incidente, nel caso si rompesse il contenitore fisico del reattore stesso.
Per capirci, è come se, cucinando qualcosa di maleodorante in una robusta pentola a pressione, la si chiudesse in una scatola per evitare che, in caso di rottura della pentola, gli odori si diffondano troppo.
Nel caso specifico la "pentola a pressione" è un oggetto di metallo di 20 cm di spessore, e la scatola è (di solito) un edificio di cemento armato di un metro e mezzo di spessore, dimensionato per reggere un attacco missilistico o per reggere all'impatto di un Boeing.
Nel caso del reattore di Chernobyl l'edificio di contenimento era un edificio normale, visto che non era contemplata per legge la possibilità di un incidente in cui servisse un contenimento serio.

La notte dell'incidente si stava facendo un test, ordinato dall'alto, per verificare il comportamento di un sistema di sicurezza in condizioni critiche.
Per vari motivi, il reattore si era trovato in una condizione di instabilità,e i sistemi di sicurezza avrebbero spento il reattore, ma l'ingegnere capo (ingegnere elettrotecnico), temendo le reazioni dei burocrati nel caso in cui non avesse eseguito il test, aveva ordinato di staccare molti sistemi di sicurezza e di procedere lo stesso. L'unico esperto nucleare, un giovane ingenere, aveva protestato, ma era stato minacciato di "ritorsioni" se non avesse eseguito gli ordini.
Il resto è cronaca. Il reattore è fuso, ha preso fuoco, e una colonna di fumo ha iniziato a salire verso l'alto, trascinando con sé molto materiale radioattivo, e producendo la nube tossica che tutti ricordiamo.

Quello che è agghiacciante è stata la gestione dell'emergenza: nessuno all'inizio, si era reso conto del fatto che si era fuso il nocciolo. Tutti avevano pensato a un'esplosione di qualche impianto secondario.
Il radioprotezionista addetto al controllo delle radiazioni nell'impianto non aveva strumenti adatti a quelle situazioni, perché l'unico strumento adatto era chiuso in un armadio, e le chiavi erano in possesso del suo capo, che non era reperibile, e, visto che per regolamento in caso di emergenza le misure erano di competenza del radioprotezionista capo, quello strumento non fu usato. Cos' nessuno aveva idea di quanto fossero intense le radiazioni a cui gli addetti erano esposti.
Un fisico fu mandato a guardare cosa stesse succedendo nell'edificio del reattore, senza la minima precauzione. Guardò direttamente nel reattore scoperchiato, e morì pochi giorni dopo per sindrome acuta da radiazione. Per la cronaca, non è una delle morti migliori che si possano immaginare.  
Il direttore chiamò Mosca, e rassicurò tutti sul fatto che l'incidente non aveva coinvolto il reattore, ma solo alcuni impianti secondari.
Furono chiamati i pompieri, che salirono sul tetto del reattore scoperchiato, che, mentre cercavano di di spegnere le fiamme, camminarono tra i pezzi incendiati di reattore , a si trovarono direttamente esposti alle radiazioni che provenivano dal nocciolo (e dai suoi pezzi che erano volati in giro).
Tutti gli appartenenti alla prima squadra di pompieri sono morti di radiazioni nel giro di poche settimane. 
 
Oltretutto nessuno pensò di controllare quanto fossero intense  le radiazioni nella vicina città di Prypiat (la prima cosa che si sarebbe fatta in Occidente..), e nessuno pensò, nel dubbio, di evacuarla.
Così, gli abitanti di una cittadina che si trovava a tre Km dalla centrale respirarono nuclidi radioattivi per tutta la notte, e per tutto il giorno dopo.
Il direttore della centrale continuò a rassicurare tutti per un giorno, e, nel dubbio, le autorità locali decisero di non evacuare la città per "non creare panico".
Così la mattina dopo, una domenica, tutti vissero come se fosse tutto normale, portando a passeggio i bambini, facendo picnic all'aperto...
E respirando iodio radioattivo in quantità più che preoccupanti.
Dopo un giorno e mezzo, dopo che i primi pompieri e i primi addetti iniziarono a dare i primi sintomi da radiazioni, i responsabili realizzarono quello che era successo, fecero le misure di radioattività ambientale (che in occidente, intorno alle centrale, è monitorata di continuo..),  avvertirono Mosca e fecero evacuare la zona.   
 

Nonostante tutto i sovietici non avvertirono i paesi verso cui stava andando la nube radioattiva, ma furono costretti ad ammettere l'incidente dagli Svedesi, che videro impazzire i loro rivelatori  di radioattività ambientale, e, analizzando l'aria e guardando le condizioni del vento, accusarono subito l'Urss.

Chernobyl fu la peggiore catastrofe mai capitata nell'uso civile del nucleare.
SI è cercato di farla passare per una catastrofe legata all'uso del nucleare.
Guardando più dentro l'evento, guardando il modo in cui è stata gestita la centrale prima dell'incidente, e il modo in cui è stata affrontata l'emergenza, l'immagine che si ha è quella di un incidente dovuto al comunismo, alla sua visione pianificatrice e burocratica del mondo, al suo inesistente rispetto della vita umana e alla  tronfia convinzione che in qualsiasi campo, anche la gestione di una centrale nucleare, prima delle ragioni della tecnica, vengano quella della politica.
Ricordo un vecchio adagio comunista: se la realtà non va d'accordo con la teoria, è la realtà che va cambiata.
Purtroppo le conseguenze di questo modo di pensare  sono state (e sono) davanti agli occhi di tutti.

 

Michele Ferrarini
mferrarini@hotmail.com
 

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