Quando è partito il
bombardamento su Baghdad, chi scrive era davanti al televisore, e seguiva le
cronache di Anna Migotto, in diretta sul Tg4.
Abbiamo visto le immagini delle esplosioni sui palazzi presidenziali, nel centro
della città.
Immagini terribili, affascinanti nella loro grandezza e drammaticità, immagini
che difficilmente possono non colpire.
La città veniva illuminata a giorno dalle esplosioni, funghi di fumo si alzavano
dietro i palazzi che restavano in piedi, e l’inviata, che si trovava a poche
centinaia di metri dai luoghi delle esplosioni, aveva la voce tremante di paura.
Difficilmente si può restare indifferenti, di fronte a uno spettacolo del
genere, e di fronte alla consapevolezza del fatto che sotto quelle bombe, e
sotto tutte le bombe che si stanno abbattendo in questi giorni sull’Iraq, stanno
morendo delle persone.
Persone che magari hanno sostenuto solo indirettamente quel regime, o magari
persone che non hanno nemmeno l’età per averlo potuto sostenere.
Il telegiornale ci rimanda immagini di bambini feriti, di uomini sfigurati, e ci
parla di persone che non si vedono, ma che di certo, sotto i bombardamenti
alleati, hanno perso la vita.
Al Jazeera ci mostra le immagini dei marines morti, i cui corpi sono stati
ammucchiati in una stanza e mostrati con orgoglio dai funzionari del regime.
Queste immagini, crude, drammatiche e terribilmente, sfacciatamente vere, ci
raccontano che la guerra, in ogni sua manifestazione, è orribile, ed è un orrore
di cui tutti vorremmo fare a meno.
Vorremmo tutti poterne fare a meno, poter vivere in un mondo senza guerre, senza
soldati, senza bombe e senza morti violente.
La guerra non piace a nessuno, nemmeno a quelli che, come noi, sostengono questa
guerra, e sostengono la necessità di mandare quei ragazzi in Iraq a sparare, a
bombardare a uccidere e a farsi uccidere.
Ma siamo consapevoli del fatto che ci sono casi, e momenti, in cui quelle bombe,
quelle pallottole, quegli uomini morti e quei bambini sfigurati, sono il prezzo
da pagare per poter liberare un popolo dai suoi aguzzini, e per poter
smantellare le organizzazioni di quelli che, nel nome di una ideologia malata,
nel nome del loro potere personale o semplicemente per arraffare le briciole che
cadono dai tavoli di un regime, attentano alla nostra libertà e alla nostra
sicurezza.
Il regime irakeno ha sulle spalle, oltre a due guerre sanguinose negli ultimi
vent’anni, più di mezzo milione di morti solo in stermini interni.
Uomini trucidati, torturati, imprigionati solo per aver contestato il regime,
per aver tentato, o sperato, di poter riconquistare la propria libertà dalla
dittatura, o uomini colpevoli solo di appartenere all’etnia sbagliata.
Tutti abbiamo visto le immagini orribili dei curdi sterminati coi gas, tutti
sentiamo parlare degli iraniani colpiti dalle armi chimiche di Saddam, che
ancora oggi, dopo vent’anni, agonizzano in ospedale per gli effetti di quelle
sostanze, che continuano a devastare il loro corpo.
Uomini che gli aguzzini del regime descrissero come “mosche che abbiamo
scacciato con gli insetticidi”.
Il regime di Saddam, diretto erede del vecchio partito nazionalsocialista arabo,
ha conservato tutti i tratti del nazismo da cui proviene.
L’inclinazione allo sterminio etnico, la spietatezza della repressione politica,
il delirio tecnologico nella “pulizia” delle razze “inferiori”.
Il regime irakeno, in definitiva, altro non è che una squallida accozzaglia di
macellai, che hanno massacrato il proprio popolo senza ritegno, e che hanno
aggredito tutti i paesi vicini portando morte e distruzione ovunque hanno
potuto.
A nessuno piacciono le bombe, i morti in guerra, i palazzi in rovina e i bambini
feriti in ospedale.
E tutti, in un’altra situazione, ci saremmo evitati volentieri questa guerra,
con il suo carico di morte e sofferenza.
Ma quelle bombe, che tanto ci hanno impressionato, servono a liberare il popolo
irakeno dalla cricca di serial killer che lo governa, e a restituire alla vita
venticinque milioni di persone che vivevano in una gabbia, con il continuo
terrore di finire nella macchina tritacarne della repressione del regime.
Leggiamo che nei bombardamenti che avevamo visto al telegiornale sembra sia
morto uno dei luogotenenti di Saddam, che si era occupato di come sterminare i
curdi con i gas e che per questo si era guadagnato il simpatico soprannome di
“Alì il chimico”.
Non possiamo non gioirne.
Se la scelta è tra gli orrori di una guerra, o gli orrori della pace dei
macellai e dei torturatori noi scegliamo la guerra, e ce ne prendiamo tutta la
responsabilità.
E speriamo che sotto le bombe alleate, domani, muoiano altri assassini di
regime.