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I Pacifisti e la repressione in Iran: cronaca di un silenzio assordante

 

In questi giorni l’Iran è teatro di una violentissima repressione da parte del regime integralista degli Ayatollah nei confronti degli studenti,  che manifestavano per un po’ di riforme e di democrazia.
Gli studenti che manifestavano sono stati picchiati dagli estremisti islamici, mentre la polizia stava a guardare, e, appena finiti gli scontri, almeno 500 di loro sono stati arrestati in modo illegale e sono ufficiosamente”desaparecidos”

Quegli studenti chiedevano democrazia: chiedevano semplicemente quello che  noi in Occidente abbiamo da mezzo secolo.  Libere elezioni, e vera sovranità popolare, senza la tutela di un consiglio religioso che ha il potere di annullare, in nome di Allah, qualsiasi decisione.

Il tutto, ovviamente, in mezzo al silenzio assodante dei nostri uomini di sinistra. I giornali di sinistra ne hanno parlato, ma mai con troppo impegno e senza mai calcare troppo la mano.

Tutti quelli che si stracciavano le vesti per la “barbarie” della guerra in Iraq, tutte le anime belle alla Gino Strada che sono “contro tutte le forme di violenza” (!), tutti i no-global che protestano contro la “polizia cilena” italiana non si sono visti scendere in piazza a sostegno degli studenti iraniani.

Sarebbe stato bello poter leggere, sui giornali iraniani “110 milioni in piazza contro gli Ayatollah”, specularmente ai “110 milioni in piazza contro il nemico” del telegiornale irakeno il giorno della manifestazione pacifista contro la guerra in Irak.

Ma non abbiamo visto Casarini bruciare bandiere Iraniane, Fassino fare il digiuno contro la repressione, e magari Castagneti sbraitare da un palco insieme a Cofferati e Gino Strada.

Perché?

Sì, certo, loro sono contro la repressione, con qualche se e un paio di ma.

Sono contro la repressione,  ma gli americani non la prendano come scusa per intervenire.

Sono contro la repressione, ma auspicano un dialogo costruttivo con il regime.

 

Perché, diciamocelo, i nostri pacifisti sono tutti comunisti di ritorno, e ai comunisti di ritorno tutto sommato il regime degli ayatollah non dispiace troppo.

E’ nemico degli americani, e la cosa non guasta mai.

E’ venuto da una rivoluzione, e un pizzico di invidia, il comunista che voleva fare la rivoluzione proletaria, sotto sotto la cova sempre. 

E soprattutto, ha la parvenza di una democrazia,  ma c’è comunque qualche grande saggio che, in nome di Dio, controlla che con la democrazia non si esageri.
Esattamente come in un regime comunista c’è il grande padre della patria, che, nel nome di una cosa altrettanto astratta come il popolo, controlla che le cose si facciano nel maniera “giusta”.

Lo stile è identico.

Una dittatura spacciata per democrazia, la stessa repressione feroce dei dissidenti, la stessa accusa pelosa e inconsistente dei “dissidenti pilotati dall’America”, e la stesa retorica rivoluzionaria.

 

Gli ayatollah, sotto sotto, ai comunisti piacciono: e comunque, per loro sono “i nostri figli di puttana” contro gli “yankee imperialisti”.

Per questo non vedrete mai e poi mai una manifestazione dei no global contro il regime iraniano.

Gli uomini di sinistra parlano e straparlano di democrazia, ma a loro, tutto sommato, i dittatori piacciono sempre.

Si vede con Fidel Castro, si è visto con Saddam (sì, ok, un orrido dittatore, ma…) si è visto con Chavez (qualcuno di sinistra gli ha mai dato del dittatore?), non parliamone con Arafat, e si vede adesso con gli Ayatollah in Iran.

 

Ma nessuno si azzardi a dirlo.

Loro sono socialdemocratici europei, non comunisti.

Perché i comunisti, dicono loro, non ci sono più.

Siamo contenti di saperlo: ma vorremo poterne essere convinti

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