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In che senso vogliamo che questa guerra sia condotta meglio

E’ presto per dare un giudizio sulle operazioni militari condotte dalla coalizione anti-Saddam, ma già da adesso possiamo dire di sperare che, nei prossimi giorni o nelle prossime settimane, questa guerra venga combattuta meglio di quanto non sia stato fatto finora. In che senso? Nel senso che la guerra che è stata combattuta finora sembra fatta per il benessere, non solo del popolo irakeno, ma anche dell’esercito di Saddam. Ma una guerra deve essere combattuta con l’intento di battere il nemico, non di redimerlo. Invece, forse spinti dall’ottimismo utopistico dei neoconservatori (pensatori ex di sinistra, che, purtroppo, hanno mantenuto la stessa struttura mentale anche della destra), i maggiori sostenitori di questa campagna militare, gli Americani e gli Inglesi sembravano convinti, fin dal primo giorno, di essere accolti a braccia aperte da soldati e cittadini irakeni e si sono comportati di conseguenza: invitando i giornalisti in prima linea, non issando nemmeno la propria bandiera nei luoghi conquistati o imponendo addirittura di ammainarla (fatto militarmente irrilevante, ma durissimo colpo al morale dei combattenti!), sprecando tempo e uomini nello spegnimento dei pozzi (per salvare la flora e la fauna locali? Per salvare l’economia di Paesi arabi nemici? Per salvare i contratti di Putin e Chirac?) dando la priorità a obiettivi come Faw (penisola che poteva benissimo essere accerchiata) per far sbarcare gli aiuti umanitari, non colpendo obiettivi militari in aree urbane per evitare a tutti i costi perdite fra i civili, perdendo tempo in trattative con ufficiali e soldati nemici, ecc… Se le forze della coalizione andranno avanti così, potranno solo sperare in una sconfitta irakena, ma non in una loro rapida vittoria. Ogni indecisione, ogni trattativa con i comandanti locali, ogni rallentamento dell’avanzata, aumenta il rischio che gli Irakeni possano riorganizzarsi e infliggere perdite superiori agli Anglo-Americani. Aumenta il rischio che Saddam lanci le sue testate chimiche e batteriologiche, provocando perdite e danni incalcolabili fra i soldati e i civili.  Questo comportamento in guerra non è solo militarmente pericoloso, ma è anche altamente immorale. La moralità di un comandante sul campo, come di una Nazione in guerra, impone prima di tutto, la salvezza dei propri uomini e la sicurezza del proprio popolo. Sacrificare l’una e l’altra per salvare il nemico è semplicemente assurdo. Potrà sembrare un discorso criminale, ma si è già comportato in modo più morale il comandante in capo della precedente coalizione, Schwarzkopf, quando ha sepolto vivi, con i bulldozer, migliaia di soldati irakeni trincerati nel deserto (e già pronti a colpire alle spalle le forze avanzanti), o quando ha fatto bombardare ponti e strade nel cuore delle città irakene (pronti ad essere usati come arterie per le divisioni corazzate di Saddam): tutte scelte dure, durissime, che hanno comportato la morte, anche atroce, di migliaia di Irakeni, purtroppo anche civili, ma che sono state necessarie a salvare la vita a migliaia di propri soldati.

Speriamo, quindi, in una vittoria rapida delle forze della coalizione anti-Saddam e per questo speriamo che l’attuale comandante in capo delle forze sul campo, il generale Franks, ogni volta che si troverà di fronte alla dura scelta di salvare la vita agli Irakeni, o evitare rischi ai propri uomini, scelga per la seconda strada. E che, nelle sue scelte, ignori i gusti e il parere dei giornalisti e delle opinioni pubbliche arabe ed europee, che tanto si sono schierati contro di lui, qualsiasi cosa i suoi uomini facciano.


 

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