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Perché, secondo noi, questa guerra è partita tardi

Questa guerra è resa necessaria dalla difesa contro la minaccia terroristica. E’ un attacco preventivo, o una difesa avanzata, che dir si voglia: colpire i terroristi in casa loro, rovesciare i regimi tirannici che li proteggono, li finanziano e li armano. Il terrorismo islamico ci minaccia seriamente da almeno un decennio e da almeno sette anni, viene foraggiato e sponsorizzato da Saddam Hussein. Stante il fatto che i servizi di intelligence israeliani, britannici e statunitensi erano già in allerta su questo problema, la guerra avrebbe dovuto scattare alle prime avvisaglie di pericolo, nel 1996 o negli anni immediatamente successivi. La guerra al terrorismo, la dottrina dell’attacco preventivo, come la sua messa in pratica con l’invasione dell’Iraq, dovevano essere i compiti principali dell’amministrazione Clinton, del governo Blair, del governo Netnayahu, come di tutti i governi europei minacciati dal terrorismo. Invece non è stato fatto nulla. La nostra ignavia ci è costata cara: quasi tre anni di guerriglia in Israele, pesanti attentati contro il cuore stesso degli Stati Uniti, cellule islamiche in tutta Europa. Solo dopo l’attacco a New York e Washington dell’11 settembre 2001, ci si è resi conto del pericolo, ma nonostante tutto ci si è mossi con una lentezza elefantiaca. Gli Stati Uniti dovevano includere l’Iraq nei primi obiettivi della guerra contro il terrorismo, assieme all’Afghanistan, ma non lo hanno fatto. Non perché l’Iraq fosse meno pericoloso del regime talebano. Anzi. Lo hanno fatto per un mero calcolo politico, per sottoporre la sicurezza di milioni di Americani al consenso delle opinioni pubbliche e dei governi altrui. Così facendo l’amministrazione Bush ha disatteso il suo primo dovere, che è quello di provvedere, prima di tutto, alla difesa dei propri cittadini. Il governo israeliano, guidato da Sharon, è stato l’unico governo che ha premuto per un’azione immediata contro l’Iraq, ma non ha potuto fare nulla. Spinto da Powell e da quella parte dell’amministrazione Bush che vede nel mantenimento di astratti quanto inesistenti “equilibri” internazionali, una priorità rispetto alla vita dei propri cittadini, il presidente Bush ha bloccato ogni eventuale azione contro l’Iraq e ha rinviato il tutto, in modo surreale, al parere dell’Onu. A un consesso di Paesi eterogenei dominato, ormai, dagli interessi e dalla volontà di tante piccole tirannidi illegittime del Terzo Mondo (molte delle quali sono legate direttamente al terrorismo islamico e vogliono la distruzione degli Stati Uniti) e dal potere delle ultime due grandi tirannidi rimaste al mondo: Cina e Russia.

Quella contro l’Iraq poteva e doveva essere una guerra di autodifesa contro il terrorismo. Powell e gli altri “multilateralisti” e “pragmatici” della Casa Bianca hanno voluto trasformarla in una specie di party mondiale, spostando artificiosamente la questione dalla sicurezza nazionale dei Paesi minacciati alla ripresa delle ispezioni. La risoluzione 1441 era inutile: bastava impugnare l’articolo 51 (autodifesa) o la costituzione di qualsiasi Paese minacciato dall’Iraq per giustificare l’attacco contro il regime di Baghdad. Per di più, la risoluzione 1441 (approvata solo dopo due mesi di dure trattative fra sordi), ha dimostrato anche di non servire materialmente a nulla. Non volendo nemmeno riconoscere il pericolo di armi chimiche e batteriologiche nelle mani di Saddam, nessuno ha approvato l’azione degli Stati Uniti. Per cui Stati Uniti e pochi altri Paesi (primo fra tutti il Regno Unito) hanno dovuto, alla fine, muoversi ugualmente da soli come avrebbero potuto fare fin da subito.

Unico risultato ottenuto da tutto questo: anche dopo l’11 settembre, Saddam e i terroristi da lui sponsorizzati, hanno avuto quasi due anni di tempo per prepararsi, sia nella difesa del territorio irakeno, sia nell’attuazione di nuovi, terribili, attentati (magari pure con armi chimiche o batteriologiche) contro Israele, l’Europa e gli Stati Uniti.


 

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