Amelia Rosselli - figlia di Carlo, l'esule antifascista fondatore del movimento "Giustizia e Libertà", poi assassinato da emissari del regime - è nata a Parigi nel 1930. Qui é vissuta sino all'occupazione tedesca, che l'ha costretta a fuggire in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Ha più tardi (nel 1950) fatto ritorno in Italia, stabilendosi a Roma, dove ha vissuto fino alla morte (si è suicidata nel 1996). Musicista, traduttrice, scrittrice in italiano, inglese e francese, ha pubblicato racconti e soprattutto poesie: Variazioni belliche (1964), Serie ospedaliera (1969), Documento 1966-1973 (1976), Impromptu (1981), Sleep (1992, in inglese).
Tre "Variazioni belliche"
I tre testi che analizziamo appartengono alla raccolta Variazioni belliche (1964), ma le prime due sono comparse anche nella serie di 24 poesie edite nella rivista diretta da Vittorini e Calvino «Il menabò» (n. 6, 1963), che non poco ha contribuito a far conoscere la Rosselli a un più largo pubblico. In questa sede i suoi testi erano accompagnati da una Notizia su Amelia Rosselli redatta da Pier Paolo Pasolini, che ad esempio definiva la poesia della scrittrice, figlia di Carlo Rosselli: «lussureggiante oasi fiorita con la stupefacente e casuale violenza del dato di fatto». Pasolini, poi, riconducendola alla matrice dello sperimentalismo neo-avanguardistico tipico di quegli anni Sessanta - verso cui egli non era certo tenero - poteva scrivere che «il revival avanguardistico - così tetro presso gli eterni apprendisti di Milano e Torino (all'incirca il Gruppo 63) - ha trovato in questa specie di apolide dalle grandi tradizioni famigliari di Cosmopolis, un terreno dove esplodere con la funesta e meravigliosa fecondità dei funghi atomici nell'atto in cui divengono forme».
Uno degli stilemi più tipici della poesia di Amelia Rosselli è certamente dato dalla concatenazione degli enunciati (frasi o periodi) secondo moduli ricorrenti nei diversi testi, ma spesso variati all'interno del medesimo componimento. Questa tecnica, che illustreremo e che è implicita nella stessa definizione dei componimenti come Variazioni, determina una struttura che per certi aspetti appare meccanica (anche nella sua ripetitività), ma che al tempo stesso cela improvvise illuminazioni (o scarti o intemperanze della fantasia, se si preferisce).
Prendiamo Se la colpa è degli uomini. Questo componimento è costituito da quattro periodi, concatenati tra loro secondo un particolare tipo di climax o gradazione, che prevede che enunciati successivi incomincino con una ripresa di uno dei termini finali dell'enunciato che precede, secondo uno schema scalare che possiamo così individuare: a-b, b-c, c-d, d-e, ecc. In questo caso, per tre periodi su quattro al climax si associa anche l'anafora del «se» (così cominciano i primi tre periodi). Mala ripresa dei termini (b, b; c, c; ecc. nello schema) è talora variata e mascherata mediante il ricorso ad associazioni analogiche o sinonimiche: se infatti il secondo periodo si connette normalmente al primo per la ripresa del termine «mura» (v. 2) in «muro» (v. 3), il terzo si connette invece al secondo analogicamente - «vorace» (v. 7) riprende per contrasto il «digiune» del v. 5, come forse «l'inferno» fa con «la gran gloria» (gloria in excelsis...) -, e il quarto si connette al terzo per via della sinonimia «aria» / «vento» (v. 9). Inoltre si può notare una sorta di circolarità determinata dalla ripresa del concetto «fuori dalle sue mura» (vv. 1-2) nel concetto conclusivo « al di là dei confini» (vv. 9-10): il primo è un auspicio di liberazione, forse, o quanto meno un'esortazione («che Iddio venga...»); il secondo una realizzazione positiva (il vento corona i sogni di «albe felici»). II climax è, etimologicamente, un procedimento scalare, progressivo: si può ipotizzare dunque che in questo caso la concatenazione operata mediante questo artificio sottolinei stilisticamente una tensione dinamica, un processo liberatorio che la sostanza delle immagini lascia supporre abbastanza chiaramente. Tutto il componimento, infatti, - per quanto oscuro, se lo si volesse rapportare a fatti ed eventi precisi - è palesemente condotto su un intreccio di immagini antitetiche di chiusura, coercizione, staticità e di apertura, liberazione, dinamismo; di immagini negative e di immagini positive, insomma, che hanno una pregnanza simbolica, in quanto possono facilmente venire associate a una gamma di stati emozionali e psichici, nonché volendo - a impressioni e giudizi sullo stato delle cose e sulla condizione esistenziale dell'individuo. In altri termini non possiamo sapere che cosa angosci e da che cosa si voglia liberare la poetessa, ma possiamo intuire che dietro questo testo c'è una storia di angoscia (o un incubo) e un'ansia di liberazione dall'evento che produce l'angoscia (o dall'incubo).
All'interno di questa struttura logico-ritmica e di questa trama di simboli si collocano poi molte altre metafore (o parestesie come l'espressione «verdastra come l'alfabeto che non trovo») surreali o comunque di difficile decifrazione. La «storia di congiunzioni fallite» è forse una storia sentimentale (mancati accoppiamenti) o uno scacco espressivo («congiunzioni» come nessi sintattici? in connessione con la fallita ricerca di un alfabeto); l'antitesi fiamme/aria, legata a quella inferno/cielo, probabilmente una variazione dell'antitesi coercizione/liberazione e così via. In questo tipo di poesia - si noterà conclusivamente -, come in quella surrealista con cui essa è imparentata, è programmaticamente richiesta un'alta cooperazione del lettore per determinare il senso del testo, che varierà da lettura a lettura, da lettore a lettore, e difficilmente potrà trovare una definizione univoca e
definitiva.
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