Alessandro Bonsanti, nato a Firenze nel 1904, per alcuni anni lavorò a Milano come impiegato di banca. Ritornato a Firenze fu tra gli animatori di «Solarla» e poi direttore della rivista «Letteratura», che in certo qual modo a partire dal 1937 ne continuò l'azione. Nelle Edizioni di Solaria pubblicò La serva amorosa (1929) e I capricci dell'Adriana (1934, ripubblicati in Racconti lontani, 1962). Apparve nel 1927 Racconto militare. Nel 1941 succedette a Montale come direttore del Gabinetto scientifico-letterario G.B. Vieusseux di Firenze. Il passaggio dalla misura del racconto (come i testi citati) e quella del romanzo si è avuto con i tre volumi di La buca di San Colombano (1964) e con La nuova stazione di Firenze (1965). È morto a Firenze - ne è stato sindaco negli ultimi anni di vita - nel 1984.
Quella di Bonsanti è una prosa nitida, precisa nei particolari, volta a registrare il sottile rapporto che si stabilisce tra paesaggio esterno e paesaggio interiore.
Per la narrativa di Bonsanti la critica ha fatto il nome di Proust, e nell'ultima parte di di un suo brano c'è proprio un esplicito riferimento alla «corsa naturale della memoria che si rifugia contenta in ciò che è morto». È alla luce di questa dichiarazione che vanno lette le sue pagine.
Scrive Gianfranco Contini, dopo aver illustrato gli interessi e il "clima" di «Solaria»:
In quest'ambiente la funzione del narratore Bonsanti è un po' comparabile a quella d'un Proust della borghesia provinciale italiana (prevalentemente fiorentina), depurato tuttavia d'ogni estetismo. Nel suo lunghissimo, accumulato periodare contesto di materia verbale quotidiana, Bonsanti dà un'analisi infinitesimale del più modesto procedere umano, anzi, poiché per solito nulla in lui accade, o almeno nulla che abbia rilevanza esterna, della riflessione microscopica e rallentata su tale procedere; lo scrutinio frazionato della memoria vi ha naturalmente, come in tutto il momento solariano, grande importanza. Certo, un mondo grigio in una scrittura compatta, laboriosamente approntata in un laboratorio provinciale; ma ciò non ha vietato a scrittori di altre lingue europee, nemmeno più applicati di Bonsanti, di toccare un livello di fama al quale è francamente da deplorare che egli non sia ancora salito neppure nel suo paese.
Ritmo e melodia nella prosa.
Alle rr. 14-15 leggiamo Si vedeva una donna salire, che è un decasillabo e, subito dopo portando sul capo una cesta, che è un novenario. Di casi del genere - cioè di veri e propri versi all'interno della prosa - ce ne sono tanti nella narrativa italiana, dall'incipit dei Promessi Sposi, che è un novenario, a quello di Gente in Aspromonte, che è un endecasillabo, da Vittorini a Pavese, ecc. Ci sembra opportuno pertanto porre un problema di metodo.
Isolare i singoli versi nella prosa del romanzo sarebbe un esercizio sterile; più proficuo è invece valutare ciascun verso all'interno del suo contesto e soprattutto adottare il concetto di "unità melodica" come suggerisce G.L. Beccaria nel suo Ritmo e melodia nella prosa italiana, Firenze 1964 (un testo fondamentale, a cui qui, con inevitabile schematismo, faremo riferimento).
«L'unità melodica è quella porzione del discorso con senso proprio e con forma musicale determinata, compresa fra due pause sospensive, rilevata quasi sempre dai segni d'interpunzione, che delimitano un"'unica gittata" sonora, senza soluzione di continuità fonica».
Bisogna notare quel "quasi sempre", perché la scansione in unità melodiche non è un fatto meccanico, ed essendo basata sulla sensibilità del lettore lascia margine a una certa opinabilità. Tenendo conto delle sillabe che le costituiscono, le singole unità melodiche si caratterizzeranno per la loro brevità o lunghezza. Nello spazio delimitato da due segni forti di interpunzione (il punto fermo e il punto e virgola) normalmente si succedono parecchie unità melodiche, che danno luogo ad una struttura melodica. La fisionomia e la catalogazione della struttura melodica sono determinate dal modo con cui si succedono le unità melodiche che la costituiscono. Avremo perciò delle strutture melodiche progressive quando ad iniziale (o iniziali) unità breve segue (o seguono) unità lunghe; delle strutture melodiche regressive quando dalle lunghe si passa alle brevi; delle strutture melodiche simmetriche con tutta una casistica basata sulla simmetria e sulla rispondenza di strutture lunghe e strutture brevi; delle strutture isometriche quando si susseguono unità melodiche di relativamente pari estensione.
È chiaro che all'interno di questa struttura melodica talvolta - come negli esempi di Bonsanti citati la singola unità melodica assume la fisionomia di veri e propri versi, quando cioè il succedersi degli accenti segue le norme metriche; ma isolare queste unità melodiche/versi è discutibile e fuorviante perché fa perdere di vista l'intera struttura all'interno della quale esse si inseriscono. L'analisi della varietà di queste strutture - progressive, regressive, ecc. - dovrebbe far capire (ed è un problema non semplice) quali effetti lo scrittore intende ottenere e più in generale, qual è il timbro, la specificità della sua
prosa. |