Una serena e tersa giornata di novembre può per un attimo suggerire un'illusione di primavera e riportare quasi il profumo degli albicocchi in fiore. Ma si tratta di un'illusione che presto scompare, e alle iniziali impressioni subentra la stupefatta constatazione di un inverno che non è solo indicazione stagionale ma metafora dell'esistenza. Pubblicata sulla rivista «Vita nuova» nel 1891, la lirica fu inclusa nella edizione di Myricae dello stesso anno.
È, per comune riconoscimento della critica, una delle composizioni più suggestive dell'intera produzione poetica pascoliana. Come la maggior parte delle Myricae, anche questa - malgrado il titolo - più che a descrivere la natura in un particolare momento (nel caso specifico, i giorni della prima metà di novembre detti "estate di San
Martino o "estate dei morti") è rivolta a penetrare il segreto senso delle cose; e a scoprire in esse un messaggio di morte o un precario senso di fragilità, di vuoto.
Non sfugga la perfetta struttura del componimento. La prima strofe rende, con una nitida precisione di contorni veramente classica, l'impressione di una improvvisa primavera; ma la seconda ribalta la prima e, intessuta tutta da una fitta trama di parole-chiave (secco, stecchite, nere, vuoto, cavo, sonante), avvia verso la conclusione e legittima, con coerente gradualità di trapassi, il tono della terza. Quest'ultima è tutta incentrata sulla constatazione di una fredda legge di morte come unica e vera realtà che rimane dopo la momentanea, effimera illusione di colori e profumi primaverili.
Sull'aspetto metrico cadono particolarmente opportune per questa lirica le osservazioni del Bigi circa la compresenza (nella poesia del Pascoli) di «due diversi piani ritmici, uno vicino e scoperto e uno segreto e lontano». In questo caso la struttura ritmica, compatta e classica, della saffica è dissolta dal di dentro, resta quasi come involucro esterno e subentra un ritmo scandito da pause, da lunghi silenzi. L'endecasillabo è frantumato, ricco di spezzature, di enjambements (con più evidenza ai vv. 1-2, 7-8, 11-12); notevole la simmetria dei versi iniziali di ogni strofe (vv. 1, 5, 9): sono endecasillabi a minore, spezzati da una forte cesura, in cui il primo emistichio («Gemmea
l'aria»; «Ma secco è il pruno»; «Silenzio, intorno»,) enuncia quasi il tema e il tono della strofe.
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