Nel complesso rapporto di vecchio e di nuovo che caratterizza gli ultimi decenni dell'Ottocento (non solo italiano), la funzione di Pascoli nell'ambito della produzione poetica è di un'importanza fondamentale: Pascoli è da considerare per così dire uno spartiacque che segna l'inizio del Novecento. I suoi rapporti col decadentismo, meno vistosi di quelli di D'Annunzio, sono in compenso più profondi e la sua influenza sulla posteriore poesia italiana - sul piano del linguaggio e dei moduli espressivi - sarà determinante.
È essenziale distinguere in Pascoli la novità che - specie nella prima produzione - si cela e si
confonde, apparentemente, con il rispetto o la prosecuzione di temi e di forme di quella produzione veristica ché per i primi due-tre decenni del secondo Ottocento era stata egemone: i
"quadretti di genere", le rappresentazioni di scene della vita dei campi che troviamo in Myricae é che paiono rimandare a tanta produzione letteraria e figurativa di quei decenni in realtà sono per Pascoli lo scenario sul quale proiettare inquietudini, smarrimenti, un senso del vivere fatto di ansiose perplessità. E di conseguenza i dati "realistici" presenti nelle sue liriche si caricano, di significati e di simboli, diventano quasi dei "correlativi oggettivi', per significare altro che ne trascende l'apparenza. Con questa prima fondamentale novità Pascoli per un verso si inseriva in un orientamento presente a livello europeo in quegli anni (il simbolismo) per un altro trovava le modalità più adatte e suggestive per esprimere un senso della vita sotteso da turbamenti adolescenziali, da incertezze e da paure di fronte alla realtà storica contemporanea, e, di conseguenza, tutto proiettato verso il vagheggiamento del proprio nido familiare, verso la contemplazione della campagna come idilliaco "rifugio", verso l'ossessivo ricordo dei morti. Una tematica, questa, che è collegata alla dolorosa esperienza biografica del poeta, e che di
frequente dà luogo a sbavature sentimentalistiche e a querule insistenze.
Ma a parte ciò, il processo di rinnovamento realizzato da Pascoli si manifesta, oltre che nella dimensione simbolica della sua poesia, in parecchi altri modi. Anzitutto, sul piano linguistico egli adotta frequentemente un lessico nel quale o entrano termini tecnici, gergali, relativi al mondo della campagna, o c'è posto per termini che sono al di qua della comunicazione, privi di senso, "pregrammaticali" ma carichi di valenze fonosimboliche, di suggestioni evocative (le onomatopee ad esempio). Inoltre, Pascoli apparentemente rispetta la prosodia e le forme metriche tradizionali, ma in realtà il singoio verso o la struttura strofica sono dissolti e disarticolati: al posto della loro compattezza armonica tradizionale, subentrano e si insinuano una versificazione e una musicalità frantumate dalle cesure, dilatate dagli enjambements, o rotte da pause, da attoniti spazi di silenzio.
Se è indiscutibile che queste sono le novità di fondo del Pascoli migliore, è altrettanto vero che la
sua produzione è assai ampia e presenta altri aspetti che non sono stati - come invece quelli che
abbiamo elencato - fertili di sviluppi. Nei Poemi conviviali ad esempio Pascoli realizza
componimenti raffinatamente letterari che traggono spunto e suggestioni da capolavori del mondo
fisico (l'Odissea, soprattutto) e quindi si distinguono per la parnassiana ricercatezza di un «linguaggio antiquario» (Contini), sono cioè un'opera di
letteratura che nasce da una preesistente letteratura. Nei componimenti di Odi ed inni (le sue ultime cose) quel Pascoli che in Myricae e nei Poemetti era stato il cantore delle "umili cose" affronta la celebrazione delle idealità civili e patriottiche e si trasforma - con risultati discutibili - in un poeta vate, sull'esempio di Carducci e di un certo D'Annunzio: una metamorfosi, questa, collegata ad un confuso itinerario ideologico che fa sì che questo poeta inizi la sua carriera come cantore del chiuso nido familiare e la concluda come celebratore, della conquista della Libia.
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