Per acquisito giudizio critico questa lirica è da considerare uno dei risultati più alti e originali della produzione pascoliana. Per essa più che per qualsiasi altra del Pascoli è
difficile indicare la trama, produrre una traduzione prosastica: ciò perché vi è portato all'estremo quel processo di rarefazione dell'elemento logico-narrativo che è una caratteristica fondamentale della poesia moderna e che Pascoli (in tanta parte della sua produzione) ha introdotto nell'ambito della poesia italiana. La lirica quindi - che deriva il suo esile pretesto realistico dalla caratteristica del gelsomino notturno, che solo di notte apre la sua corolla per richiuderla ai primi raggi del sole - è tutta una trama di impressioni apparentemente disordinate e casuali nel loro succedersi,, ma in realtà legate reciprocamene da sottili e rarefatti rapporti; da una logica del sentimento più difficile da cogliere, ma forse più vera della logica della ragione.
Per una prima lettura basterà ricordare che questi versi furono scritti dal Pascoli per le nozze dell'amico Raffaele Briganti e in essi è adombrato - con mirabile levità simbolica - il tema dell'unione di due esseri; e del conseguente germogliare, dentro l'urna molle e segreta, di una nuova vita.
La lirica venne pubblicata in un opuscolo "per nozze" nel luglio 1901, e poi inclusa nei Canti di Castelvecchio (1903).
Su questo testo esiste una produzione critica che ne ha messo in luce - a volte con sofisticata sottigliezza - l'originalità e la complessità. Noi ci limitiamo a sottolineare alcuni dati fondamentali.
La tematica affrontata si collega in un certo senso a quella di Digitale purpurea: è anche qui dominante - sia pure attraverso una complessa trama di mediazioni simboliche - il tema dell'eros aI quale il Pascoli si accostò sempre con una sensibilità turbata e
adolescenziale, con un complesso rapporto di attrazione e frustrazione. Questo componimento cioè mostra con risultati poetici di alta suggestione «quali sono le condizioni, sempre anomale, ma sempre straordinariamente acute, dentro cui Pascoli sente l'esperienza erotica: come sofferenza, morte,
violazione, rinunzia, esperienza misteriosa e preclusa» (Tropea). L'atteggiamento del poeta dinnanzi all'atto nuziale, all'unirsi degli sposi nella loro casa, è quello di un adolescente ,"è un morboso coesistere di vaghe e conturbanti idee di violenza (vv. 21-22: «i petali / un poco gualciti») e di attrazione voyeristica (vv. 19-20:-«Passa il lume su per la scala; / brilla al primo piano: s'è spento...»). Ma questo tema di fondo - il morboso turbamento di fronte all'eros è inserito nella rappresentazione di un "notturno" fitta di voci, di sensazioni, di corrispondenze (v. 1, .«i fiori notturni»; v. 9, «i calici aperti»; v. 10, «l'odore di fragole rosse») che analogicamente ad esso si collegano.
Per quanto riguarda l'aspetto metrico, va sottolineata la differenza di ritmo che si instaura tra versi che pure sono uguali (tutti novenari): in ogni strofe i primi due
novenari hanno un ritmo incalzante, concitato, ascendente, con quell'impennata prodotta soprattutto dall'accento sulla seconda sillaba e poi sulla quinta e sulla ottava («E s'àprono i fiòri
notturni»); gli ultimi due invece sono caratterizzati da un ritmo discendente, fortemente pausato nel mezzo con accento sulla terza, quinta e ottava sillaba («Sono appàrse in mèzzo ai vibùrni»). L'alternanza ritmica è sottolineata dal fatto che costantemente si susseguono unità ritmico-sintattiche costituite da due versi (1-2, 3-4; 5-6, 7-8; ecc.). Questa alternanza si spezza solo nell'ultima strofa, nella quale il v. 21 («
È l'alba: si chiudono i petali») ha una forte pausa dopo la terza sillaba ed è ipérmetro, per cui la sillaba li di petali si elide con la prima del verso seguente e permette la rima di peta con segreta.
A proposito di questa alternanza ritmica il Vicinelli ha osservato (ma è ormai un dato critico acquisito) che «nella movenza impennata dei primi due versi il Pascoli ha rinvenuto il grafico, l'immediata significazione musicale dell'aggressività con cui la natura e la notte stringono l'assedio dei loro inviti d'amore. Negli ultimi due con quel gorgo lento che la sosta centrale produce ha trasfuso un crollare smemorato e blando». L'anomalia ritmica dell'ultima quartina (dei v. 21 soprattutto) servirebbe a sottolineare questo "crollare", questo smemorato languore, dopo la notte nuziale. (A chi ritenesse discutibile o eccessiva questa attenzione ai dati metrici, ricorderemo col Debenedetti che questa è «una poesia, dove le figure metriche sono altrettanto significative quanto le immagini».).
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