Nello scritto intitolato Il fanciullino, pubblicato nel 1897 e nella sua redazione definitiva nel 1902, Pascoli espresse meglio che altrove i canoni della sua poetica.
Vale la pena sottolineare la «dimensione riduttiva» che ha questa poetica. Pascoli qui si inquadra cioè in tutta una corrente di Fine Ottocento (particolarmente operante in Francia) che mira a superare i confini logico-razionali entro i quali prima sembrava dovesse limitarsi la poesia; ma egli, anziché imboccare, in questo superamento, la dimensione visionaria o teorizzare l'impegno di dar voce all'inesprimibile (si pensi a Rimbaud), fa regredire l'attività poetica a stupori infantili, a capacità prelogica, a tinnulo squillo di campanello che ancor può echeggiare nell'incallito animo dell'uomo adulto (ed è qui l'origine di tanti suoi atteggiamenti «pargoleggianti», di quei toni fastidiosamente queruli che di frequente si incontrano nella sua produzione). Visione, questa, che da un lato non può approdare alle arditezze espressive consentite ad altre poetiche anch'esse irrazionalistiche, dall'altro va collegata a quella scoperta dell'infanzia (o regressione nell'infanzia) come fuga dalla storia che è tanta parte dell'ideologia pascoliana.
Sul «fanciullino» ha scritto Giorgio Bàrberi Squarotti:
L'interpretazione del discorso sul «fanciullino» è sempre stata (dal Croce al Binni fino al Salinari) poco comprensiva per le ragioni del Pascoli: il linguaggio volutamente dispersivo, non raziocinante, ma procedente per intuizioni, spunti, illuminazioni improvvise, ha portato gli interpreti a restare sul piano della lettera (cioé all'immagine del «fanciullino», usata allora per definire la poetica e la poesia del Pascoli come una sorta di bamboleggiamento, ovvero come l'esplicazione di un'attenzione per le piccole cose, immediataménte
colte con vergine sguardo), senza scendere nel reale significato del simbolo. In realtà, il Pascoli, mentre respinge l'idea di una poesia «applicata» (cioè civile, morale, politica, ecc.), e dichiara che la grande poesia è rara e di breve durata, in consonanza con la linea ottocentesca e novecentesca della «poesia pura» (come ha molto felicemente indicato l'Anceschi), si serve dell'immagine del «fanciullino»-sia per segnalare il modo assolutamente nuovo della sua ottica poetica, che è rovesciata rispetto a quella consueta, normale, obiettiva (cioé «adulta», nel senso della conoscenza razionale e scientifica), e privilegia l'apparire sull'essere, onde può capovolgere i rapporti fra le dimensioni, i luoghi, gli oggetti. In più, il «fanciullino» significa il privilegio accordato a ciò che è
pre-razionale di fronte alla scienza e alla ragione: l'invenzione rispetto alla riproduzione realista, iI sogno rispetto al «vero», la «distrazione» rispetto alla logica, l'arbitrarietà del segno e della parola contro la normalità comunicativa. In questa prospettiva, la stessa «poetabilità» degli oggetti è sottoposta a scelta: che è, appunto, quella arbitraria di uno sguardo che si è liberato ormai completamente dalle buone regole di decoro di «classe», a cui la tradizione italiana aveva sottoposto il «poetabile». E' un'idea anti-realistica della poesia e delle sue funzioni: ma è anche uno dei punti più avanzati (alla dine dell'Ottocento) della meditazione di poetica in Italia in consonanza con la poesia moderna in Europa.
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