Arsenio è l'ultimo componimento in ordine cronologico degli Ossi di seppia, aggiunto nell'edizione del 1928 e composto l'anno prima. La scena, che ha per la prima volta un protagonista maschile diverso dal poeta, ma in cui il poeta si proietta oggettivandosi, è posta in una stazione balneare nell'imminenza di un temporale. Arsenio è attratto dal vortice degli elementi verso la spiaggia nell'intuizione che a quello sconvolgimento improvviso della natura sia legata la possibilità di un mutamento radicale nella propria esistenza, che quello sia l'evento tanto atteso. Ma Arsenio, come Montale, è «della razza di chi rimane a terra»...
II senso globale di Arsenio, a parte l'interpretazione dì singoli versi ambigui, è chiaro: Arsenio si è trovato davvero, o molto probabilmente, di fronte all'evento tanto atteso, quello capace di sconvolgere il corso della sua vita, di annullare d'un colpo il «male di vivere», liberandolo e rendendolo «divino». II temporale è il simbolo di questa opportunità o forse è esso stesso questa opportunità: lo sconvolgimento naturale attrae Arsenio, che è sul punto di gettarsi in mare, sradicando le radici viscide che lo legano a terra. La liberazione, il mutamento è però inquietante, forse-perché si tratta di proiettarsi nel turbine di un mare sconvolto-coincide con l'annullamento di sé, con l'annientamento, la morte. Forse, insomma, è il morire che può dare senso alla vita, il proiettarsi nel nulla cosmico. Ma Arsenio, come Montale, è «della razza di chi rimane a terra» e rinuncia a cogliere questa terribile ma forse salvifica opportunità, ritornando alle cose in autentiche e alle angosce di tutti i giorni, qui simboleggiate dalla folla dei villeggianti
morti-viventi.
II componimento è anche importante perché segna, in anticipo rispetto alle successive scelte delle Occasioni, un deciso orientarsi verso una poetica che è stata definita del "correlativo oggettivo", in parte mutuata da Eliot, che Montale proprio in questi anni legge e traduce. Sta di fatto che qui Montale sostituisce all'io lirico un personaggio, Arsenio, in cui la sua personale problematica esistenziale è oggettivata (come in Eliot accade col protagonista di Rapsodia e con Gerontion nel componimento omonimo). È anche vero però che Montale anche in precedenza aveva sistematicamente proiettato se stesso e i suoi stati soggettivi in oggetti simbolici (si vedano ad esempio gli oggetti-simbolo di Spesso il male di vivere), tant'è che non pare pretestuosa la sua rivendicazione di una scelta autonoma e coerente in questo senso. Si veda ad esempio quanto Montale dichiara, a proposito delle Occasioni, nella prefazione alla traduzione in svedese delle sue liriche: «Qualcuno mi mosse il rimprovero di avere qui adottato il metodo eliottiano del "correlativo obiettivo": che è di fornire un oggetto (la poesia) in cui il motivo sia incluso in forma di suggerimento, non però spiegato o commentato in termini psicologici. La verità è che io avevo tradotto nel '29 tre brevi poesie di Eliot, ma nient'altro conoscevo di quel poeta; mentre parecchie mie pagine degli anni precedenti già mi imponevano quella strada». E altrove (Intenzioni) precisa: « in sostanza non mi pare che il nuovo libro [Le occasioni] contraddicesse ai risultati del primo: ne eliminava alcune impurità e tentava di abbattere quella barriera tra interno ed esterno che mi pareva insussistente anche dal punto di vista gnoseologico. Tutto è interno e tutto è esterno per l'uomo d'oggi; senza che il cosiddetto mondo sia necessariamente la nostra rappresentazione. Si vive con un senso mutato del tempo e dello spazio...».
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