D'Annunzio non interessa soltanto la storia della letteratura, ma anche quella della società italiana, in quanto per alcuni decenni - dall'ultimo Ottocento sino almeno alla prima guerra mondiale - ha rappresentato un modello di comportamento, un ideale e uno stile di vita. Il dannunzianesimo intendendo con questo termine una vasta gamma di atteggiamenti mentali e pratici. dal vagheggiamento di una vita realizzata con pienezza e con scarse remore etiche al culto della Bellezza e alla contaminazione tra vita e arte, dall'esaltazione dell'avventura al mito superomistico e alle posizioni antidemocratiche dal compliacimento del "bel gesto" all'abuso della parola retoricamente agghindata - è stato un dato fondamentale della società e dello spirito pubblico italiano.
D'Annunzio esercitava questa sua suggestiva influenza sia con la sua vita - brillante mondanità, avventure amorose con "donne fatali ", duelli e scandali - sia con la sua produzione letteraria soprattutto romanzesca, nella quale trasferiva in una prosa di estrema ricercatezza gran parte delle sue esperienze biografiche e creava personaggi, miti umani, nei quali la sensibilità e i gusti del decadentismo trovavano incarnazione ed esemplificazione: Andrea Sperelli protagonista del
Piacere, nel quale ardore sensuale e tedio coesistevano e si accompagnavano ad una sofisticata sensibilità; Claudio Cantelmo, protagonista. de Le Vergini delle rocce, nel quale l'elitario culto della Bellezza approdava ad un violento disprezzo per l'altrui "volgarltà" e alla teorizzazione dell'antidemocrazia.
Attorno agli anni Novanta infatti (Le Vergini delle rocce sono del 1896) D'Annunzio legge Nietzsche e innesta sul ceppo della cultura e della sensibilità decadenti - di cui in Italia egli rappresenta la testimonianza più vistosa - l'ideologia del superuomo, il vagheggiamento di un ideale umano proteso alI'affermazione di sé, al di fuori di ogni remora di ordine morale e sociale.
Questo mito umano che D'Annunzio elabora sia nei romanzi sia nelle opere teatrali si accompagna con l'elaborazione di un altro mito umano, ma al femminile, cioè con una galleria di "donne fatali", di "donne vampiro" che nella sua produzione si pongono come forza antagonista come ostacolo al maschio teso alla propria autoaffermazione. Si tratta di una sorta di superomismo al femminile, di una tipologia di donna che nelle sue varie incarnazioni - da Ippolita Sanzio del Trionfo della morte alla
Fornarina del Fuoco, a Basiliola della Nave e, pur con un'angolazione e con esiti diversi, a Mila figlia di Jorio - deriva Ia sua "fatalità" dall'oscura e
invincibile forza dell'eros, dall'«ossessione carnale» mediante la quale avvince e limita l'antagonista.
Ma D'Annunzio non fu solo un romanziere e un autore di testi teatrali; fu soprattutto (a parere di molti) un poeta. Mentre alcuni grandi poeti - un Petrarca, un Leopardi - hanno pochi temi di fondo che nella loro produzione vengono
costantemente approfonditi, D'Annunzio ha una pressoché inesauribile varietà e disponibilità tematica: può nelle sue prime raccolte di versi "Canto Novo, Intermezzo) cantare l'ardore sensuale e la bramosia di godimento di tutti gli aspetti della natura, e subito dopo (Poema paradisiaco) indulgere invece a toni di malinconico distacco, a vaghi. desideri di purificazione e rigenerazione; può farsi celebratore dell'avventura "ulissiaca" e degli, eroi (Maia) o, assumendo il ruolo di vate, dei destini della nazione (Merope), e può anche celebrare la natura nel variare delle stagioni e delle ore (Alcyone). E sempre, pur nella molteplice tematica, con una strenua ricerca di una forma raffinata e insolita, con un amore sensuale della parola.
Qualcuno ha visto in questa eccessiva disponibilità e per così dire facilità
tematica il limite specifico dell'arte dannunziana che non consisterebbe in altro che nella ricerca - indipendentemente dal
tema trattato - di raffinate e squisite sensazioni; altri in tempi recenti hanno cercato
di cogliere un filone, un ambito "autentico" in così variegata produzione, e lo hanno individuato nel cosiddetto
D'Annunzio "notturno", cioè nelle pagine di interiore ripiegamento, di malinconico distacco dai miti superomistici, di constatazione della sconfitta che si ritrovano soprattutto nel Notturno, ma che non sono assenti in altre sue opere dei primi anni del Novecento..
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