Con questo titolo furono pubblicati (1924 e 1928) due volumi di prose, molte autobiografiche, che (alcune in una differente stesura erano apparse sul « Corriere della Sera», nei primi del secolo. Di notevole interesse
Il compagno dagli occhi senza cigli, sul quale negli ultimi decenni i critici hanno richiamato
l'attenzione.
Nel Compagno dagli occhi senza cigli D'Annunzio rievoca l'adolescenza trascorsa in collegio, e di contro a quell'ambiente chiuso e gretto, ai pedagoghi meschini, a quel sentore dì muffa che emana da sonnolente consuetudini di vita e di studio, si levano le aspirazioni e i vagheggiamenti di un mondo eroico, di cui pullula l'animo del giovane collegiale col suo amore del rischio, della grandezza, dell'avventura. Ma su tutto questo si riflette un'intensa malinconia, un'intima disperazione a volte, in quanto la rievocazione di tanta tensione giovanile è fatta alla luce di una ben triste realtà: Dario, il compagno più caro, che in quegli anni di collegio ha nutrito i suoi sogni di gloria con lo studio e l'infatuazione delle imprese napoleoniche, torna dopo vent'anni a trovare il poeta: è malato, misero, ridotto ormai una triste larva umana. Da qui un contrappunto tra passato e presente, un conseguente bilancio fallimentare: e in ciò precisamente consiste la validità di questo testo. Già parecchi decenni fa il MomIgliano aveva definito il compagno dagli occhi senza cigli «la migliore tra le cose di D'Annunzio di una certa ampiezza e la sola che gli sopravviverà intera»; di recente il Salinari, dopo aver affermato che «si toccano le cime più alte dell'opera dannunziana quando il tema della sconfitta si spiega in tutta la sua terribile consapevolezza».
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