Dante riproduce qui, come in altri passi della Vita Nuova, una situazione cortese: il ragionare d'amore in una cerchia di donne, donne gentili, capaci di conversare con eleganza.
Nella scena tradizionale così predisposta introduce una definizione inconsueta dell'amore e ne sottolinea il carattere di novità attraverso le parole di una sua interlocutrice.
Il poeta, interrotta l'unica relazione personale (il saluto) che aveva stabilito tra se stesso e la donna, rappresenta l'amore come esperienza che avviene tutta all'interno del soggetto-amante. L'amore si appaga di sé; la beatitudine che esso può dare non dipende da nulla che gli sia esterno: «Amore ... ha posto tutta la mia beatitudine in quello che non mi puote venire meno»; dunque il favore della donna cessa di essere l'obiettivo dell'amante e la condizione della sua felicità.
La beatitudine si realizza nell'atto dello scriver versi: «In quelle parole che lodano la donna mia». Dante così formula un principio di poetica (argomento della poesia d'amore deve essere la lode della donna) e sancisce, al tempo stesso, la non-comunicazione con l'oggetto reale del desiderio. L'amore, sottratto alle vicende empiriche e perciò a quelle occasioni di sofferenza o di tentazione che il rapporto vissuto con una donna potrebbe provocare, è proposto come fenomeno puramente intellettuale e si attua con pienezza nella rappresentazione di se stesso.
Il saluto di Beatrice sarà, nei componimenti successivi, descritto non in relazione a Dante, ma nella sua funzione oggettiva, che si esercita nei confronti di ogni creatura. |