Viene formulata una teoria della nobiltà in connessione con il principio cortese dell'amore, fonte di perfezionamento. Guínizzelli pone in gioco tre concetti: il cuore gentile, l'amore (che proviene dalla donna), la natura.
Il nesso tra cuore gentile e amore è dichiarato già nel primo verso: l'amore penetra nei cuori gentili per una adesione spontanea e quasi necessaria (a illustrarla sono introdotte le comparazioni con elementi e situazioni del mondo fisico). In che cosa consiste però la gentilezza del cuore, e come la si acquisisce? Su questo punto - che è il nodo teorico del testo - la seconda strofa e la quarta propongono esplicitamente una tesi.
La gentilezza consiste non nella nobiltà ereditaria, ma nelle qualità morali: si noti che Guinizzelli non nega, in assoluto, che la nobiltà di famiglia sia un valore, ma ne limita il primato, asserendo che essa non è di per sé sufficiente a nobilitare l'individuo.
Siamo dunque di fronte a una concezione «democratica» secondo la quale chiunque potrebbe aspirare a nobílítarsi attraverso l'amore? Non precisamente, poiché il cuore gentile non è dato a tutti. La natura, che interviene nel testo come concetto astratto a significare una entità che è esterna all'essere umano e che lo trascende, rende gentili i cuori destinati a innamorarsi.
Rileggiamo la seconda strofa. Vi si sviluppa una analogia tra due serie di elementi:
a. il sole, la pietra preziosa, la stella;
b. la natura, il cuore gentile, la donna.
Tra questi elementi sono stabiliti i seguenti rapporti:
a. il sole rende pura la pietra preziosa, e solo allora la stella può infonderle la «virtù»;
b. la natura rende puro e gentile il cuore, e solo allora la donna può farlo innamorare.
Conclusione: attraverso il concetto di natura Guinizzelli abbozza una concezione meritocratica dell'uomo; i meriti personali diventano il segno di una predisposizione naturale grazie alla quale alcuni sono migliori: ancora una volta i fedeli d'amore (i cuori gentili) si rappresentano come un gruppo selezionato e
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