Abbiamo già presentato, trattando della società feudale, alcuni esempi di pastorelle composte dai trovatori e sottolineato come all'origine di questo genere e del tema che lo caratterizza (la richiesta d'amore) ci sia una precisa situazione dei rapporti sociali (rapporti di potere dei cavalieri sui contadini). Cavalcanti si riallaccia a questi modelli e tuttavia ne modifica in parte le caratteristiche: dà scarso rilievo alla situazione sociale e ai rapporti di forza (il personaggio maschile non è contrassegnato da specifici attributi di classe, la pastorella non si limita ad accettare passivamente la richiesta e neppure si ribella, ma appare vogliosa di far l'amore). La funzione del testo sembra essere quella di offrire l'occasione per un linguaggio scherzosamente aggraziato e per una rappresentazione non dottrinale, ma naturalística dell'amore.
Cavalcanti si vale di questa forma letteraria, in opposizione a quello che è il tono dominante della sua poesia, per raffigurare l'incontro con la donna semplicemente come occasione per l'insorgere di un desiderio che è immediatamente appagato.
Ricordiamo che il conflitto tra città e campagna, così importante nello sviluppo della società urbana e così presente nella sua cultura, non ha eco nelle rime degli stilnovisti, la cui esperienza intellettuale è interamente legata alla città e agli antagonismi interni alla classe di potere. In Italia il genere della «pastorella» non ebbe grande sviluppo: forse perché si costituì a partire dal XIII secolo una nuova «forma» - la «satira del villano» - in cui era possibile convogliare in modo più diretto ed esplicito gli atteggiamenti
anticontadini. |