Ci soffermiamo su alcuni aspetti tematici e stilistici di questo celebre testo, sulla scorta dell'analisi di Domenico De Robertis:
- nel raccontare le sue vicende, Abelardo le presenta come sviluppo necessario e inevitabile di un processo naturale (atteggiamento «naturalistico»), che viene interpretato e rappresentato come sviluppo logico e razionale, serie di conseguenze tratte da premesse necessarie (atteggiamento «dialettico»). La realtà è inscritta nella natura e disvelata nel discorso logico. Il primo paragrafo, per esempio, che racconta la nascita, fanciullezza e scoperta della vocazione di Abelardo, spiega come la natura (i dati d'ambiente, la terra d'origine) si sia incontrata con l'ingenium (i dati genetici, il sangue che scorre nelle vene) e come i risultati di un simile incontro siano stati propiziati dall'opera dell'educazione (secondo una linea di discendenza dal padre al figlio). A questa concezione della realtà corrisponde una resa stilistica nel discorso, che punta sulle correlazioni fra i dati, sulla deduzione dell'uno dall'altro, sull'abbondante uso di comparativi (così come, tanto quanto) e consecutivi (così che, tanto che). Tutto il primo periodo è come un grande sillogismo «di cui la vocazione del giovane Abelardo per la dialettica appare l'estrema deduzione».
Questo atteggiamento verso la realtà comporta un tipo di narrazione lineare e consequenziale, nella quale di volta in volta si vengono dimostrando e deducendo le inevitabili conclusioni delle premesse date;
- accanto a questo atteggiamento, se ne può indicare un altro: a un certo punto, nel processo naturale, si innesta l'iniziativa dell'ingenium, al quale si offre la possibilità di una scelta, l'avvio di un suo modo autonomo di attuarsi. Lo si vede alla fine del primo paragrafo, là dove il discorso non viene più impostato sulla correlazione o sulla comparazione (o sullo sviluppo logico di uno stesso ordine di idee: rapporto natura-genus o poter-filius), ma invece viene impostato sull'analogia, sulla metafora (e quindi sull'accostamento fra idee e cose di ordine diverso, che si presentano in rapporto fra loro non di consequenzialità, ma di alternativa): è l'opposizione lettere-armi, «corte di Marte» - «seno di Minerva», che stabilisce un campo di scelte opposizionali per le azioni del protagonista, ma anche un campo di operazioni linguistiche per l'esercizio della sua abilità retorica (che già qui si esplica, applicando le immagini del mondo delle armi a quello delle lettere). Non è più solo il modo di essere di Abelardo che è in gioco, ma il suo modo di conoscere.
Questo atteggiamento verso la realtà comporta un tipo di narrazione che procede fra alternative contrapposte: non più lineare e consequenziale come un sillogismo, ma drammaticamente contrastata come in una disputa dialettica (anche se lo sviluppo narrativo è abbastanza condizionato entro i limiti già inizialmente e simbolicamente segnati dalla prima immagine oppositiva armilettere, quale contrasto che è destinato a ripresentarsi, battaglia che viene combattuta per tutta una vita);
- l'entrata in scena di Eloisa, cioè di un personaggio nuovo, molto più concreto dei rivali d'occasione o degli ammiratori o dei personaggi fittizi delle dispute dialettiche, capace di scatenare una passione travolgente e incontrollabile, rende improvvisamente insufficiente tutto l'apparato di strumenti conoscitivi approntato (anche se Abelardo presenta la conquista di Eloisa con l'immagine dell'assedio e della strategia militare o razionale). La natura e il modo di essere sono stravolti, la razionalità e il modo di conoscere sono sfidati a misurarsi su una materia incandescente. D'improvviso, e sia pure solo parzialmente, cadono gli schemi rigidi e Abelardo scopre la dimensione narrativa autentica del raccontare («Viveva allora a Parigi una fanciulla...»); le armi della dialettica, costrette inopinatamente ad applicarsi alla profondità psícologica vanno oltre i sillogismi, le analogie, le personíficazioni e le dispute nominalistiche, persino oltre i termini tradizionali della vicenda d'amore che qualsiasi buon maestro o scolaro medievale aveva imparato sui testi di Ovidio, gran maestro della psicologia d'amore (è a lui che risalgono alcune delle immagini usate da Abelardo per rappresentare il suo amore, come quella «uniti sotto lo stesso tetto / poi anche nei nostri cuori») per scoprire l'ambiguità del reale, la dimensione doppia e «perturbante» (la parola che usiamo, volutamente, è freudiana) dell'amore: le dolci percosse (il testo latino ha verbera: frustate e soavitatem: soavità) non uniscono soltanto e finalmente in una sintesi i due termini a contrasto di studium (il maestro che insegna e usa la bacchetta) e amor (l'amante che corteggia e usa le carezze), ma scoprono una nuova dimensione
psicologica. |