Questa storia, piuttosto povera di peripezie e di avvenimenti, si articola in tre situazioni principali:
- il colloquio tra Maso del Saggio e Calandrino nella chiesa di San Giovanni; - Calandrino, con Bruno e Buffalmacco, in cerca di pietre lungo il Mugnone; - Calandrino che infligge alla moglie una «fiera battitura», nella sua casa «piena di pietre».
L'ultima fase, in cui si rappresentano la delusione del personaggio e il suo rientro nella realtà (il ritorno quindi alla condizione iniziale), ci interessa meno delle due precedenti, rispetto al tema di cui ci stiamo occupando (aspirazione alla felicità materiale).
Nella prima è dominante la raffigurazione del paese di Bengodi: questo sogno antico dell'abbondanza (sogno da gente povera che solo eccezionalmente riesce a saziarsi di cibo e di vino) viveva dunque anche nella florida città del Trecento; dice Calandrino (righe 48-49): «ben ti dico che io vi verrei una volta con esso teco pur per veder fare il tomo a quei maccheroni e tormene una satolla».
Tuttavia il paese di Bengodi (l'utopia) appare inaccessibile anche al credulo Calandrino. Un oggetto «magico» (la pietra che rende invisibili) gli permette invece di immaginare una felicità più verosimile e a portata di mano.
Se nella descrizione della contrada di Bengodi Boccaccio ha rappresentato, utilizzando un motivo folklorico, l'arcaica aspirazione al soddisfacimento dei bisogni primari, quando si passa a parlare dell'elitropia e dei desideri che Calandrino vorrebbe appagare grazie a essa, la situazione acquista una sua precisa fisionomia storico-sociologica: Maso del Saggio si presenta come esperto in una delle «scienze» del tempo e, conformemente a quelle che sono le peculiarità dell'economia fiorentina, Calandrino vuole il denaro, dando per sottinteso che da esso derivi ogni altro bene, compreso il
potere. |